Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Usa il cervello. Ma poi rimetti tutto a posto.
Usa il cervello. Ma poi rimetti tutto a posto.
Usa il cervello. Ma poi rimetti tutto a posto.
Ebook301 pages4 hours

Usa il cervello. Ma poi rimetti tutto a posto.

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Ciao, io sono un libro, tanto piacere. Mi chiamo 'Usa il cervello. Ma poi rimetti tutto a posto.'. Sono stato scritto da poco e la mia principale intenzione è quella di farti divertire. Ma come dice il titolo, usando il cervello. E invece tu, come ti chiami? Lo sai che se mi leggi, puoi farmi da protagonista? Giuro, non sono affatto come tutti gli altri libri. Prova e vedrai. Tanto mi troverai sempre qui. Scusa l'emozione, ma è la prima volta che mi presento. Non sono a mio agio dentro una vetrina. Ho dei principi, io. Anche se alla fine, come tutti, ho finito per vendermi.
LanguageItaliano
PublisherDemian Rent
Release dateMay 22, 2014
ISBN9786050305333
Usa il cervello. Ma poi rimetti tutto a posto.

Related to Usa il cervello. Ma poi rimetti tutto a posto.

Related ebooks

Humor & Satire For You

View More

Related articles

Related categories

Reviews for Usa il cervello. Ma poi rimetti tutto a posto.

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Usa il cervello. Ma poi rimetti tutto a posto. - Demian Rent

    Controanalisi

    Avvertenze

    Leggere l’intera storia attentamente. Come le avvertenze. Arieggiare i condotti cerebrali, prima di cominciare. Inizialmente potrebbero insorgere alcuni effetti collaterali, quali non comprensione di una minchia, assoluta sfiducia nel sistema editoriale nazionale, netta sensazione di esser stati derubati di tempo e denaro. Col passare delle pagine, tuttavia, tali sintomi resteranno. Proseguire ugualmente. È stata accertata una totale incompatibilità con i libri classici. I continui riferimenti nel testo a ‘Te’ o a ‘Tu’, non sottintendono né la bevanda calda delle cinque, né un numero di telefono occupato. Significano esattamente Te o Tu, ossia proprio chi sta leggendo. Predisporsi dunque ad essere protagonisti, compiendo azioni e vivendo situazioni in prima persona, sotto l’attenta supervisione di un lunatico narratore. L’opera potrebbe contenere coniugazioni pericolose, ma non sono state riscontrate ulteriori controindicazioni nella lettura. Più che altro, per la completa assenza di lettori. Ad ogni modo, il troppo sottile umorismo del testo potrebbe danneggiare cervelli allo stato embrionale. Evitare quindi di leggerlo in gravidanza. Per evitare la gravidanza, rivolgersi invece ad altri testi. Si consiglia una dose massima di tre capitoli al giorno, meglio se a seguito di abuso di alcolici o sostanze psicotrope. Un quantitativo di capitoli maggiore potrebbe causare diarrea, vomito o sonnolenza. Si raccomanda di non utilizzare le pagine del libro stesso per pulirsi e di non avanzare nella lettura mentre si dorme. Se non si capisce il senso di una frase, rileggerla con più applicazione, prima di proseguire. Se risultasse ancora ostica, assicurarsi di saper leggere. Qualora fosse assolutamente incomprensibile, consultare il proprio narratore. Tenere lontano dalla portata dei bambini o se altrimenti inevitabile, leggere loro un solo capitolo ogni cinque anni. Augurarsi quindi che campino più di centocinquanta anni. Non somministrare in alcun caso a persone saccenti e professorali con l’innata vocazione di far dimenare i testicoli altrui. Dopo la lettura, senza escludere che la cosa possa avvenire anche durante o addirittura prima, non disperdere il libro nell’ambiente, ma gettarlo negli appositi contenitori per la carta. Se invece si è in possesso della versione elettronica, spiegare agli organi di polizia come sia possibile, visto che l’antiquato narratore non l’ha fin qui, nemmeno prevista. Ciò nonostante, smaltirla lo stesso rispettando l’ambiente. E il narratore. Infine, se al termine dell’ultimo capitolo la voglia di leggere quest’ultimo persiste, contattare seriamente un medico. E farsi prescrivere al più presto un vero farmaco. Senza scordare di leggerne attentamente le avvertenze. Se lo si dimentica, prendere un altro farmaco per la memoria. Ma leggerne sempre e comunque le avvertenze. Ricordarsi però di leggere anche il libro. E così via. Non preoccuparsi più di tanto, perché prima o poi finisce. E soprattutto, si può smettere quando si vuole.

    Capitolo 1

    Bene. Ora che ci sei anche tu, questa storia può finalmente partire. Ti stavano aspettando tutti. Dall’inquieto narratore, agli altrettanto impazienti personaggi. Per la troppa attesa, uno di loro si è persino addormentato. Il povero Pisellino. D’altro canto è piccolo e a giudicare dal prepotente odore di merda, se l’è fatta pure sotto. Ma grazie al cielo, avrai a che fare con lui non prima del capitolo 25. Per allora, se tutto andrà come deve andare, dovrebbe svegliarsi. Ed essere cambiato. Preparati dunque a farla tu, la storia. A partire da subito. Perché sei più essenziale in questo libro, che al tuo funerale. Tanto lì, che non sei più tra loro, lo direbbero lo stesso. Qui invece, senza di te, nulla di tutto quello che deve accadere, accadrà. Senza di te, queste non rimarrebbero altro che futili parole mai lette. Prima però, per un adeguato coinvolgimento in quest’avventura, devi dimenticarti del posto dove ora stai leggendo. È di capitale importanza. O minimo, minimo, capoluogo di regione. Concentrati bene. Devi togliertelo dalla testa, ovunque tu sia. Nel tuo letto, nella sala lettura di una biblioteca, in metropolitana, sulla spiaggia, sopra un aereo per Giacarta, nell’invidiabile intimità del cesso di casa tua. Annulla il contesto intorno a te. Non sei dove sei. Ti trovi qui ora. Dentro una pagina nella quale il debuttante narratore ti colloca alla guida di un'auto, una berlina con il contachilometri guasto, il cambio legnoso ed un malandato impianto stereo che, tra gracchi e spernacchi, manda una canzone che apprezzi quanto unghie che graffiano lavagne. Non navighi certo nell’oro. Non navighi proprio. Guidi. E neanche come si deve. Se ce le hanno messe, allora usale le frecce. Intorno a te, scorre un paesaggio urbano anonimo e infuocato. Come un alcolista. Il sole sta tramontando, ma indipendentemente dalla tua religione, domani risorgerà. Sono le 18.53 del 12 ottobre 2013. Un sabato. Sembri sapere bene dove stai andando. Più del narratore. Se di solito fumi, qui puoi anche scordartelo. E’ vietato fumare. Potrebbe avvantaggiarti nel prematuro conseguimento di un cancro. E questo non è un libro di astronomia. La strada è poco trafficata e la tripla corsia invita proprio ad accelerare. Ti stai distraendo per rintracciare un CD nel cassetto sul lato passeggero. Il semaforo, appena cento metri più avanti, è diventato giallo. Tu non te ne accorgi. Continui a cercare questo dannato CD. Quando riconoscerai la supremazia tecnologica degli MP3, sarà ormai troppo tardi. Pochi istanti ed il semaforo è rosso. Tu niente, non hai la minima percezione del pericolo che stai per correre. Procedi speditamente. La macchina color prugna sta sopraggiungendo da destra. Ha il verde, oltre ad un grande potenziale lassativo. E viaggia altrettanto speditamente. Quanti stupidi incidenti avvengono così, con chi guida a smentire certe affinità intellettuali con la volpe. Con questi presupposti, ci vorranno i vigili del fuoco, per estrarti dalle lamiere. O Gesù. Quando rialzi gli occhi è troppo tardi per riuscire ad evitare di impegnare l’incrocio. Fai giusto in tempo ad immaginare l’impatto, prima che avvenga. E non puoi fare a meno di immaginarlo esteticamente d’impatto, quest’impatto. Nella medesima frazione di secondo, riesci addirittura a chiedertelo. Chissà che impatto avrà, quest’impatto d’impatto? Ti vedi già finire con la tua auto in fiamme, giù nella scarpata. Quale scarpata, resta un mistero. Una carneficina, insomma. E per fortuna che hai scelto il libro dell’ancora inespresso, ma comunque promettente narratore. Perché soltanto lui, infatti, poteva decidere di attribuire al conducente della macchina color prugna la lungimiranza e la prudenza necessarie a fargli notare la tua andatura impertinente ed indurlo a frenare giusto in tempo, nonostante il verde. Senza omettere di augurarti, con l’occasione, una morte lenta e dolorosa. È esclusivamente grazie a quest’incalcolabile botta di culo, che oltrepassi indenne l’incrocio, ancora protagonista di una storia allettante, ma troppo misera, per esser già venduta. Finalmente trovi il CD, felice ai confini dell’imbecillità. D’altronde è un CD del narratore, molto ben assemblato. Una compilation con, tra gli altri, Placebo, Coldplay e Radiohead. A te piacciono i Radiohead. Li ascolteresti in continuazione, da qui fino a Pasqua. Senza sorprese. Non è neanche contemplata, un’opinione differente. Inserisci quindi il CD affannosamente recuperato. Anche il titolo è appropriato. Regoli il volume. Che come titolo è un mix di complicità e distacco. Provi un gran senso di libertà. C’è una persona consapevole alla guida di quest’auto. Già, con Sapevole. Così si chiama il pupazzo che tieni sopra il cruscotto: Sapevole. Sai pure che stai per arrivare a destinazione. Lo sa anche il narratore, adesso. Quello che non sai è che hai appena preso un velox a 97 km/h, qua dove il limite è 50. Lo saprai entro novanta giorni. Se ci arrivi. Chi sta facendo di tutto per non arrivarci invece, è proprio Sapevole, visto il preoccupante colore della sua pelle, sempre più corrispondente al giallo. O si beve il liquido antigelo o piscia spesso controvento. Abitudine che chiarirebbe anche il perché del suo odore molto pungente. Ma tieni troppo a lui per gettarlo, ancora vivo, dal finestrino in corsa. E poi potrebbe tornare utile al narratore più avanti, nel corso della storia. Intanto, vedi un parcheggio libero sul lato destro. È piuttosto risicato. Manovri elegantemente per entrarvi. Una sosta da manuale. Lo specchietto retrovisore destro trattenuto con due pezzi di scotch ti aiuta, ma è più determinante la compiacenza di un narratore al quale non stai ancora completamente sul cazzo. Scendi dall’auto. Introduci una moneta nel dispositivo mangia soldi del parcheggio. Malgrado te li restituisca, in un atipico episodio di inappetenza monetaria, la macchina stampa ugualmente il biglietto da esporre. Non ti spieghi il perché. Anche perché te lo spiega il narratore. Questo giro lo offre lui, che è sempre stato un fiero oppositore delle soste a pagamento. Posizionato il biglietto sul cruscotto accanto al di nuovo utile Sapevole, ti dirigi verso il negozio con la simpatica insegna ‘Diritto di Foto’. Entri, che poi è sempre il modo migliore, per non restare fuori. Tu non la ricordi, ma hai già incontrato la titolare uguale sputata a Braccio di Ferro. Sembra gentile. Davvero squisita. Con gli altri, però. Con te no. Quando è il tuo turno, ti chiede cosa vuoi, trattenendo un cazzo. Non nel senso di tenere tra le mani un membro maschile, situazione bizzarra in un negozio che non sia un Sexy-Shop, ma nel senso che il tono che usa è quello che sottintende un cazzo tra le parole cosa e vuoi. Gli rispondi che devi ritirare delle ose. Non hai origini toscane, è solo che al narratore, nella digitazione, è sfuggita una ‘c’. Quali ose? ti ripete Braccio di Ferro prendendoti apertamente per il culo e guadagnandosi, in tal modo, anche l’odio del narratore. Tu rispondi che si tratta di alcune foto che avevi portato a sviluppare, brutta stronza. Brutta stronza non lo dici, è accidentalmente scappato al narratore. Braccio ti chiede il nome, sempre gentile e attenta alle tue esigenze. Tu glielo dici. Lei, tuttavia, non lo capisce. Allora tu lo ribadisci con voce doverosamente più alta. Al che, lei ti urla Ma come (cazzo sottinteso) si scrive?. Tu a questo punto inizi a pensare che sia stupida, poveretta e le fai lo spelling. Ti viene bene lo spelling. Forse perché ieri hai preso troppo sole. Alla fine devi darle il documento. È la regola, dice. Per esercitare il diritto di foto. Contrariata, Braccio cerca in una scatola sullo scaffale. Prende un pacco e te lo porge con grazia. E giustizia. In realtà quasi te lo tira addosso, ma la conosci Braccio, è fatta così. Tu afferri il pacco, giri i tacchi e te ne vai. Ma ricorda sempre una osa. Non provar mai più a contrariare, anche involontariamente, una donna, più che una donna, una persona suscettibile come Braccio. Infatti ti sta correndo dietro, più rossa di un’armata, la mascella serrata, il fumo dalle orecchie e dalla pipa, neanche avesse mangiato gli spinaci, gridandoti poco distintamente che le devi pagare quelle foto, condendo il suggerimento con 11 pesantissimi insulti di cui 4 finora sconosciuti ed in grado di rivitalizzare l’antico settore del turpiloquio. Capito il malinteso, prima che ti si pari davanti trasformandosi in AvamBraccio, le spieghi che avevi già saldato il conto al momento dell’ordinazione. Lei non ricorda ed ancora diffidente, controlla sul computer. Le pesa da morire, ma si scusa, pur lasciando intendere che la colpa dell’equivoco è tua, perché non glielo hai detto prima. Invece di diventare, per la vergogna, invisibile come una sogliola, di fianco, vista dallo spazio, ha pure la sfacciataggine di replicare. Insistendo, per giunta. Si meriterebbe proprio una bella punizione. Diretta. E qui, si faccia largo al sapiente tiro del narratore. Guarda cosa accade. Nel rientrare in negozio, dopo aver salmodiato fino a fuori, per pura sfortuna, Braccio inciampa su di un gradino e rovinando in terra, imprime i suoi duri lineamenti sull’asfalto. Alcuni passanti, attirati dalla coreografica parata di incisivi svolazzanti, accorrono per rialzarla. C’è anche un medico tra loro. Il dottor Marino, di passaggio sulla terraferma. Nessuno potrà quindi accusarti di omissione di soccorso. Al limite Braccio potrà dichiarare alla stampa che una certa narrativa ce l’ha con lei. Te ne vai trattenendo le risate. Fatta poca strada a piedi, entri in un supermercato. Puoi prendere quello che vuoi per cena, basta che non spendi un patrimonio. Lascia però perdere la carne di maiale, non vedi che è ingiallita? No, il filetto di platessa a 18 il chilo è un furto. Neanche la pasta pronta va bene, contiene un mucchio di schifezze. Rimetti a posto le patatine. Prendi un’insalata e due mozzarelline in offerta. Anzi, non sono in offerta, una sola mozzarellina. Perfetto. Solo alla mensa della Caritas, avresti risparmiato di più. Te ne vai alla cassa, tutt’altro che felice. Apri il portafoglio per prendere i soldi e lo trovi pieno, pienissimo. Più saturo di un intestino dopo un battesimo in Calabria. Si, non credevi di avere tanto conquibus. Soprattutto perché non sapevi cosa cazzo fosse il conquibus. Fai per tornare al banco delle specialità più costose, quando avverti una forza che ti immobilizza. Non c’è verso di sconfiggerla. È la ferrea volontà del narratore che ti impone di pagare quanto preso, da convinto sostenitore dell’importanza del risparmio, in un’economia in forte recessione. Esci dal supermercato e prima che la Banca Centrale abbassi i tassi o alzi le giraffe, entri nella vicina tabaccheria. Hai avuto un’idea su come investire i soldi appena risparmiati. Un investimento attento, oculato, con pochi rischi, che non incontra certo il favore dell’economista in cabina di regia. Un gratta e vinci. Quale vuole? ti chiede l’uomo abbronzato alla cassa. Quello che vince! rispondi tu, accompagnando la battuta col tuo miglior sorriso. L’uomo abbronzato non solo non ride, ma ti guarda come se gli avessi ammazzato il canarino. Da quanto lo vuole? domanda. Da poco sussurri. Con tutto il disgusto di cui è capace, te ne porge uno. Concludi il tuo investimento ringraziando e salutando. Ma soprattutto, ancora memore di Braccio, pagando. Per tener fede alla sua abbronzatura, l’uomo resta scuro in volto e non ricambia. Scuro e duro, come uno stronzo. Vorrà dire che dopodomani il narratore lo farà sbiancare. Torni in macchina, dove non gratti e non vinci. Preferisci farlo a casa, in modo da far lievitare la speranza e immaginare più a lungo la tua prossima vita da benestante. Prossima, appunto. Lo riponi sul cruscotto, accanto al sempre utile Sapevole. Ti dici che, in caso di vincita, farai come lui, ossia niente, ma in una grande casa bianca, con il giardino, sul lungomare. Intanto, buste della spesa in mano, torni a casa tua, un modesto bilocale al primo piano di un rudere condonato con vista panoramica su muro scrostato, dalla stessa valenza e stabilità architettonica di una casetta Lego. Montata al contrario. Sulle scale incroci la signora Troìa, con l’accento sulla ‘i’ e non, come la fa imbestialire, sulla ‘o’. Non vi salutate. Non da quando, in qualità di amministratrice, ti costrinse a sborsare per dei lavori, ancora non terminati, il triplo della cifra preventivata inizialmente, cosa che in sede di commento con un altro vicino, ti portò a riferirti a lei rimarcando diverse volte l’accento sulla ‘o’, senza far caso subito a suo figlio che sopraggiungeva. Il figlio di Troia, appunto. Famoso anche per essere una spia. Per quieto vivere, badate bene di non guardarvi nemmeno. Così arrivi alla tua porta e visto che restare davanti ad una porta chiusa non arricchirebbe la trama, la apri. Che meraviglia! Eccola venirti incontro a salutare. Bellissima e raffinata come una Dea. Slanciata, seducente, stupenda, con quegli occhi così lussuriosi. Contenta di vederti e di strofinarsi finalmente addosso a te. Il pelo libero e invitante. Perugina. La tua dolce gattina. Ti inginocchi e le accarezzi la testolina. Quant’è carina. Così piccolina. Ti segue fino in cucina. Il narratore si è incantato sulla rima con -ina. Tu aspetti con poca adrenalina. Accipicchiolina. Prendi un piatto e salti la rima, anche se dopo ci metti la mozzarellina. Allora fai pure un salto in cantina. Prendi un barattolo di zuppa contadina. Quella che ti ha regalato la tua vicina. Ricetta fiorentina. Poi ti si fulmina una lampadina. E senti odore di benzina. Ma ci penserai domani mattina. Torni in cucina. E riecco Perugina. La tua dolce gattina. Ti inginocchi e le accarezzi la testolina. Quant’è carina. Così piccolina. Qualcuno stacchi la spina! O è accanimento, per Dindirindina! Sant’Eutanasia, che tu sia lodata! Di nuovo in una prosa sensata, dopo una cena che neanche in ospedale, prendi il pacco delle foto. Sulla busta c’è scritto il tuo nome. Nulla di strano. La apri. Guardi la prima foto. Poi la seconda. La terza. La quarta. La quinta. Qui il narratore potrebbe dilungarsi fino a quarantotto, ma ha il buongusto di capire che annoierebbe, invece di creare suspense. Non hai parole. Brefriw, ferqvg, glissow. Persino il narratore, per un attimo, non ne ha. Sei tu in queste foto, non c’è dubbio. L’assurdo è che non sono le tue! Non li hai fatti tu questi scatti. Tu ti fai sempre gli scatti tuoi, sei per la riservatezza. Qui invece, qualcuno si è fatto i tuoi, dato che non sei mai in posa. In questa sei sotto casa tua che cerchi la chiave del cancello. Mamma che faccia! Qua stai per entrare in macchina. Si vede che avevi dormito poco. Qua leggi il giornale al bar. Non eri granché in forma neanche quel giorno. Qua sei incredibile. Smetti di guardarle. Sei nel pallone. In uno da rugby oltretutto, che non si sa mai dove va. Non capisci. Ti vengono migliaia di domande. Anzi tre, non hai un cervello così grande. 1) Chi ti sta spiando? 2) Perché? 3) Come mai vieni così male in foto? Hai bisogno di aria. Forse anche di un lifting. Esci in balcone. Evvabbene, fumatela sta sigaretta! Tiri così a raffica non si erano mai visti, neanche al poligono. Ti accompagnerebbe anche il narratore, se non gli avessero imposto di decidere di smettere. Come devi comportarti adesso? Cosa farti fare, con un cervello così limitato? Puoi tornare da Braccio di Ferro. Domani però è domenica ed il negozio è chiuso. Dovrai aspettare, allora. Nel frattempo puoi scavare dentro di te. Frequenti persone poco raccomandabili? Hai visto qualcosa che non dovevi vedere? O forse non hai visto qualcosa che dovevi vedere? Per caso non ci vedi? Quante sono queste? In fondo sai molto poco di te. Che tipo di rapporto hai con questo narratore? Ti puoi fidare? Improvvisamente ti viene in mente che sei in balcone e che, proprio in questo preciso momento, qualcuno potrebbe spiarti. Sei sotto il tiro incrociato degli obiettivi di macchine fotografiche, smartphones, tablets ed altri apparecchi dall’ostico plurale. Chiunque ora potrebbe rubare un immagine di te. Ti convinci che quell’anziana donna laggiù, protetto tra i gomitoli di lana, nasconde un Ipad di ultima generazione. È ovvio che la lana è una copertura. C’è anche quell’operaio con una scatola di tegole. Anche le tegole sono una classica copertura. Per non parlare dell’ombrello di quel ragazzino. Non è paranoia. Meglio rientrare. Non prima di aver afferrato Perugina. La tua dolce gattina. Con quell’aria sbarazzina. Che era uscita poverina. Rinchiusa da stamattina. E mo basta co sta rima! Chiudi la finestra. Rivolgi un ultimo sguardo là fuori. Il giorno va giù, in gola all’orizzonte. Risale la notte con le sue intrepide stelle. Tiri le tende. Si è fatto tardi, devi andare a dormire. Vedrai che, nonostante tutto, ci riuscirai. Anche perché non è che il narratore può stare sempre dietro a te. Ha un appuntamento stasera. Non la conosci. Fatti gli affari tuoi. Ora entra dolcemente nel tuo letto. Spegni la luce e chiudi gli occhi. Come un uccello, fai ritorno al tuo nido. Vola lieve verso i tuoi sogni. Quelli no, nessun narratore può toccarteli. Per ora.

    Capitolo 2

    La sveglia! Il terrificante suono che punta a demolire i tuoi nervi encefalo-spinali, non è altro che la sveglia. Quest’infernale aggeggio che ti fa pentire di possedere le orecchie, sta rendendo partecipe l’intero Universo del suo messaggio d’amore per te Alzati cazzo! Dimentica i tuoi stupidi sogni e smettila di poltrire. Disattivami e vatti a lavare almeno il viso, se proprio vuoi tralasciare le ascelle. Datti una mossa e fai una colazione povera che stai ingrassando, palla di lardo! Poi vestiti per Dio e come lui comanda. Muoviti e butta il tuo culo fuori di qui!. Regalala a chi odi, una sveglia così. D’altronde l’ipertensione del narratore e il ritardo nello sviluppo della storia non potevano fargli fare altrimenti. E se c’è una cosa che il narratore non sa fare, sono proprio i menti. Dopo aver celermente eseguito i rigorosi ordini del Sergente Sveglia, esci di casa assumendo un’aria diffidente. Hai saggiamente preso le dovute precauzioni per difenderti da chi ti sta spiando. Indossi infatti uno zuccotto in testa, calato fin quasi sugli occhi. Occhi che qui il narratore ti concede azzurri, funzionanti e non guerci, ma che tanto oggi nascondi sotto un paio di grossi occhiali neri da moscone. È difficile riconoscerti. Non sembri neanche tu. Ma sei tu? Persino il narratore trova difficoltà nel seguirti. Per un tratto di strada, pensando sia tu, va dietro alla persona sbagliata. Quest’ultima poi, pur indossando un cappello e i tuoi stessi occhiali da sole, si rivela da subito molto più intrigante ed appropriata di te. Ciò induce il narratore ad accorgersi dell’equivoco e a fargli mordere le mani per non averla scelta, al posto tuo, quale protagonista. Cercando di non far notare che ha perso le tue tracce, divaga. Si mette a parlare della moda, di come il prevalere di pochi brand nel settore, favorisca la scarsa distinzione nei look. Si giustifica. Usa termini inglesi per sembrare più intelligente. Se la prende con il traffico, anche se è domenica. Dice che si asterrà dal voto alle prossime elezioni e che nell’amatriciana ci va il guanciale, non la pancetta. Racconta pure la barzelletta del ciclista che, arrancando sui tornanti della salita verso il Santuario, dopo un bivio, chiede ad uno ai bordi della strada Vado bene per la Madonna? e quello gli fa Per Dio, sembri Pantani!. E proprio quando sta per confessare il suo atroce, completo e vergognoso fallimento come narratore, ecco che ti ritrova. Ha riconosciuto la macchina. Sei in un autolavaggio, che ti pigliasse un colpo. O l’anima de li mejo mortacci tua, come aggiunto in fase di rilettura. Stai infilando una moneta nel selfservice, senza che questo distolga il macchinario dal suo non far nulla. Provi allora con la seconda, ma anche questa risulta poco stimolante. Ti ha fregato i soldi. E ti sta bene. Così impari a volatilizzarti per andare a lavare la macchina. Come se desse un senso alla trama. Alla terza moneta, più improvviso di un citofono alle quattro di mattina, parte un getto d’acqua che ti bagna i piedi fin dentro i metatarsi. Imprechi sontuosamente. Nel farlo, afferri il tubo per cercare di indirizzarlo verso il cofano, ma inondi con accuratezza un tizio che sta lucidando il parabrezza della sua Audi TT. Uno di quegli esaltati che, di domenica mattina, non ha niente di meglio da fare che lavare la propria auto. Esattamente come te che, invece, dovresti condurre al successo il più innovativo e sofisticato libro della storia. Sempre dopo ‘Quale uccello è stato? - Guida onnicomprensiva alle deiezioni dei volatili di Gran Bretagna ed Europa -’. Questo per lo meno a parere del narratore e di parte della critica collusa con lo stesso. Ti ritrovi così a litigare col tizio dell’Audi che hai appena irrigato come un frutteto. Gli dici cose del tipo scusi, è colpa mia, questi gingilli non si capisce mai come funzionano, ma neanche nel sottofondo narrativo di un romanzo tanto ricercato, c’è spazio per la comprensione ed il perdono. Il tizio ti urla che sei pietosamente incapace e che, nonostante ti nasconda dietro un cappello e degli occhiali da sole, fai ugualmente e sempre la tua figura di merda. Dimostrando inaspettate doti descrittive, effettua un continuo parallelismo tra te e appunto, la merda. Ti accosta frequentemente all’imbecillità. Sembra conoscerti, dunque. Sbraita dicendoti che non sei in grado di lavarti l’auto autonomamente. Ha ragione, però. Tu vorresti rispondergli che non c’è bisogno di urlare tanto e che è solo acqua, per giunta saponata. Quasi, quasi vorresti sciacquargli bene la bocca. Ma come ben enunciato nei trattati sul cannibalismo, l’odio si nutre solo di altro odio. Dai retta al narratore quindi, che con la sua indifferenza, ne ha uccisi a centinaia, di stronzi così. Rimani in silenzio ed inserisci un’altra moneta, dato che nel frattempo il gettito è finito. Ancora sui tuoi piedi, ovviamente. Sono così all’incirca tredici, gli aggettivi qualificativi che sperimenti accanto a Dio. Poi monti in auto e te ne vai, folle di rabbia. Il magnanimo narratore, intravedendo già una trionfale trasposizione cinematografica, ti concede una sgommata ad effetto. Con un abile gioco di sterzo e il sapiente uso del freno, lasci scritto sull’asfalto, con un chiaro riferimento al modello dell’Audi, la parola ‘fot-Ti-Ti’. Anche tu, quando

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1