Ontologia della speranza
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Ontologia della speranza - Primavera Fisogni
Primavera Fisogni
Ontologia della speranza
© 2014 Gilgamesh Edizioni
Via Curtatone e Montanara, 3 – 46041 Asola (MN)
gilgameshedizioni@gmail.com - www.gilgameshedizioni.com
Tel. 0376/1586414
ISBN 978-88-6867-029-0
È vietata la riproduzione non autorizzata.
Copertina: Elaborazione grafica di Dario Bellini
© Tutti i diritti riservati
UUID: 978-88-6867-029-0
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Indice
Premessa
I. FENOMENOLOGIA DELLA SPERANZA
I.1. La visione fenomenologica
I. 2. Sperare: perché?
I. 3. Cosa o atto? Concetto o esperienza?
I. 4. L’infinito futuro della speranza
I. 5. La speranza, ponte tra presente e futuro: una pratica di vita
I. 6. L’intenzione di sperare ci appartiene?
I. 7. Sperare: quando il dire è fare. Ma soltanto per metà
I. 8. Speranza e umanità
I. 9. Il tempo della speranza e lo spazio vuoto dell’angoscia. L’infanzia
I.10. La nascita della speranza
II. LA METAFISICA DELLA SPERANZA
II. 1. L’indagine metafisica
II. 2. L’esigenza di una metafisica dell’atto umano
II. 3. Ai margini della speranza. Disperare
II. 4. La morte, la disperazione e la speranza
II. 5. Disperati o sventurati?
II. 6. Quando l’anima si spegne. L’accidia
II. 7. Giustizia e speranza. Ingiustizia e sventura
II. 8. Contro ogni ragionevole speranza. Vinti dalla sventura
II. 9. Contro ogni ragionevole speranza. Vincere la sventura. Giobbe, la sventura del giusto al cospetto del Dio che tace
II.10. Griselda, la sventura di un grande amore
II.11. Ingiustizia e sventura, giustizia e speranza. L’umanità che resiste, vince
II.12. Al cospetto dell'altro per ritrovare se stessi
III. METAFISICA DELLA SPERANZA
III.1. Intervenire sul tempo: l’efficacia dell’atto di sperare
III.2. Il presente che riapre il passato - La speranza di redimere la storia e il pescatore di perle e coralli: Walter Benjamin
III. 3. Pentimento e rinascita in Max Scheler
III. 4. Perdonare ed essere perdonati: riaprire la vita
III. 5. La confessione di una colpa. La speranza di rinascere
III. 6. Riaprire la memoria del trauma. L’Emdr (Eye Movement Desensitization and Reprocessing)
III.7. Il futuro nel presente. Il tempo della speranza
IV ONTOLOGIA DELLA SPERANZA
IV. 1. L'essere della speranza
IV. 2. Sentire il mondo per costruire la speranza
IV. 3 Afferrare il bene, nell’inclinazione al mondo
IV. 4. L’esperienza originaria del bene come positivo
IV. 5. Perché sentire il bene è aprirsi alla speranza – Priorità dell’esperienza del bene su quella del tempo
IV.6. Perché non sentire il bene mette in ombra la speranza – Genesi della disperazione
Conclusioni - Praticare la speranza
Bibliografia
Postfazione
NIDABA
Collana di Filosofia
3
Invocata nei tempi di crisi, come quelli che stiamo vivendo, la speranza è per il pensiero una matassa assai ingarbugliata. Perché, ad esempio, quando speriamo il tempo si apre davanti a noi, mentre quando ci prende la disperazione ci sentiamo dis-orientati? Il viaggio di Primavera Fisogni muove con il candore e il rigore della fenomenologia da queste due coordinate della condizione umana – lo spazio e il tempo – per superarle, attraverso la lezione della metafisica realistica di San Tommaso d’Aquino, in un ingrediente ulteriore in cui mette radici l’essere stesso della speranza. Sentire la vita, afferrarne il bene nella sua forma più originaria di positivo, consente di risolvere le aporie e le apparenti contraddizioni dell’atto di sperare. Non semplice aspirazione, ma possibile pratica – questo il messaggio della ricerca -, la speranza si rivela legata a doppio filo alle sue forme mancate, al disagio di vivere: in particolare, essa insorge nella fase dello svezzamento, quando l’angoscia per l’assenza della madre fa sperimentare un vuoto destabilizzante. Nel suo percorso per cogliere qualcosa di valido dell’essere della speranza (questo il senso dell’Ontologia del titolo), l’autrice dialoga con il biblico Giobbe, la boccaccesca Griselda, le vittime di mala giustizia della Colonna Infame, incontrando Anna Karenina e la troppa vita
di Antonia Pozzi. Serrato, il confronto filosofico porta l’autrice a misurarsi con G.E.M. Anscombe, Max Scheler, Walter Benjamin, spingendosi fino ad interrogare l’Emdr, metodica psicoterapeutica che riapre, per curarla, la memoria dei traumi.
Primavera Fisogni (1963) è filosofa e giornalista, laureata in Filosofia teoretica con Adriano Bausola all’Università Cattolica di Milano. Ha conseguito il dottorato in Metafisica a Roma, alla Pontificia Università della Santa Croce, sotto la guida di Lluìs Clavell. Tra i suoi saggi: Terroristi. La persona nell’agire eversivo
(Armando, 2004); Incontro al dialogo. La sfida dell’intesa nei tempi della crisi
(Franco Angeli, 2006;); L’inaridimento dei terroristi
(tesi di dottorato, Edusc, 2009); Il candore
(Maremmi, 20013). In lingua inglese: Dehumanization and Human Fragility
(Authorhouse, 2013), Lone Wolves. Updating the Concept of Enemy in the Social Media Age
, Journal of Cyber Warfare and Terrorism (2014): Dehumanization of Terrorists. Analogies and Differences with Mental Diseases
, Rivista Italiana di Psichiatria, 2010; How Dehumanization of Terrorists Reflects on the Ineffability of Al Qaeda Phenomenon
, Revista di Economia, Colombia (2012); : A Love-life in a Sexless Condition The Role of Chastity in Catholic Church
, Orebro, Sweden (2011). Ha firmato la voce Terrorismo. Implicazioni filosofiche e antropologiche
nella Nuova Enciclopedia Filosofica Bompiani (2006). Vive a Como, lavora al quotidiano La Provincia come caposervizio, responsabile del magazine Tess
.
A Maria Castelli
La speranza
Qual filo invisibile di bozzolo,
la speranza avvolge l’universo,
a riempire il corpo e lo spirito,
la mente di pensieroso concetto,
con gaudio per il vivere in corso.
Senza motivazione d’affetto,
né di razionale sentimento,
risiede la virtù in ogni petto
come da primordiale progetto.
Perché ognuno trovi il coraggio
per sé e per il prossimo suo,
né mai si senta disperato,
nella bellezza del creato.
L’ESSERE, il solo che ama il mondo,
nell’attesa del raduno misericordioso
nell’ineffabile, immane, celeste spazio,
cui l’umanità del futuro va verso.
(Lelia Plebani[1])
[1] Ringrazio la poetessa e scrittrice Lelia Plebani Fisogni, mia madre, per aver interpretato con i suoi versi le problematiche salienti di questa ricerca.
Premessa
Viviamo tempi in cui si sente evocare di continuo la parola speranza. La crisi economico-finanziaria esplosa nell’autunno del 2008, esito di un contagio globale che ha fatto franare inveterate certezze, personali e sociali, fa avvertire l’esigenza profonda di punti di riferimento a cui orientarsi. Il diffondersi di nuovi conflitti, di un terrorismo ancor più complesso[1] e il riaccendersi di antiche ferite rispetto alle quali sembra naufragare ogni ragionevole mediazione, dall’Est Europa alla Siria, al territorio israelo-palestinese, alimenta un pessimismo che diventa pericoloso disincanto nelle nuove generazioni[2].
Non è certo un fatto nuovo che in tempi bui si aneli ad un chiarore in grado di illuminare il presente, per muoversi nel futuro. Ma se, in altri tempi bui pensatori come Erich Fromm[3] o Ernst Bloch[4] affrontarono la questione della speranza avendo termini teorici a cui guardare, l’uno nel senso della critica alla tecnica, l’altro nella prospettiva del marxismo-umanistico, per trarne ancora qualcosa di valido, oggi si deve riconoscere che quelle strade non risultano più percorribili. Non soltanto perché le idee che si presentano come esclusive – le cosiddette ideologie – hanno svelato il proprio lato oscuro, declinato dal fondamentalismo all’aridità verso i reali bisogni dell’essere personale[5].
La ricerca della speranza, oggi, si accompagna più che mai alla giustificazione di un percorso sensato e a misura di ciascuno, perché si possa davvero, concretamente credere in questa possibilità di fioritura personale. Per tentare una risposta, e soprattutto per valutare se esistano i margini di una pedagogia concretamente esperibile, si è investigato muovendo da un tratto per così dire paradossale del fenomeno, riassumibile nella domanda:
-perché quando speriamo ci sentiamo aperti al futuro, facendo un’esperienza di temporalità, mentre quando disperiamo proviamo un senso acuto di disorientamento, cioè di dispersione spaziale, senza più presa sul mondo della vita?
Comprendere la speranza richiede di mettere tra parentesi punti di vista consueti, comunemente condivisi, con l’obiettivo di giungere, tramite un rigoroso processo di riduzione[6], ad alcuni caratteri non ulteriormente riducibili, per schizzarne una sorta di profilo. È proprio a partire dall’osservazione che il fenomeno della speranza svela il paradosso portato a tema dalla domanda appena posta e un intrinseco legame con le coordinate del tempo e dello spazio.
Tuttavia, come si vedrà, l’intuizione guadagnata mediante il senso comune, poi rilanciata dalla riduzione fenomenologica – che la temporalità costituisca l’asse portante della speranza – viene messa presto in discussione. È un fatto che l’aspetto temporale, in specie lo slancio al futuro, s’impone come caratteristica qualitativa dominante del fenomeno. L’apertura al domani si giustifica nella relazione della persona con il mondo della vita, con quella spazialità, non soltanto fisica, partecipante a forgiare volontà, sentimento e intelligenza, quale alimento del sentire, nel solco della lezione di Tommaso d’Aquino. All’iniziale analisi fenomenologica fa seguito, nel libro, l’investigazione nella prospettiva della metafisica personale. Il passo ulteriore è giustificato dall’esigenza di rendere conto del fenomeno della speranza come specifico e particolarissimo atto umano, caratterizzato da un dinamismo e da una collocazione spazio-temporale non esauribile nella descrizione-riduzione propria del metodo fenomenologico. I riferimenti all’Antico e al Nuovo Testamento e al pensiero del teologo-filosofo Tommaso d’Aquino, principalmente, rispondono all’esigenza di un dialogo non occasionale, ma antropologicamente fondato, tra la fenomenologia della speranza e l’annuncio cristiano della Speranza[7], proclamato nei momenti decisivi della resurrezione di Gesù[8], negli incontri con il Cristo risorto[9] e nell’annuncio della «beata speranza» del ritorno del Signore[10]. La religione giudaica e successivamente il Cristianesimo hanno reso decisivo il ruolo di questa esperienza sia nel credere, sia nel vivere quotidiano e sacramentale[11], aprendo – nel segno della speranza e nella persona di Cristo come Speranza – una prospettiva che dal tempo sconfina nell’eterno[12]. L’attenzione, sia pure per grandi linee, a questa visione del mondo, si giustifica a partire dall’esperienza stessa dell’uomo, che nell’apertura all’altro, alla vita e alla morte, si impregna di trascendenza. Il confronto, lungi dall’essere una postilla erudita, ha inteso valutare se il piano antropologico si incontra – e come – con quello della fede in Dio. Si è notato che le intuizioni fondamentali colte attraverso l’esperienza esistenziale coincidono con le linee portanti della rivelazione giudaico-cristiana, le quali partecipano in tal modo ad ampliare l’orizzonte della comprensione delle prime.[13] Vengono qui ripresi e ridiscussi contributi che ho dedicato all’esplorazione del fenomeno della speranza e della condizione umana alla luce della perdita di essa, per lo più pubblicati sul mensile Vita Pastorale o su riviste internazionali, insieme a ricerche filosofiche presentate alla conferenza tomista di Cluji in Romania (2011), a quella di Oxford sul tema dello spazio (2011) o e all’investigazione sulla temporalità della cura dei ricordi, attraverso il metodo Emdr (2012). Le forme mancate della speranza, oltre alle riflessioni sull’accidia, ritornano a quanto ho abbozzato nel mio saggio Dehumanization and Human Fragility (2013).
L’antropologia della speranza argomentata, discussa e tratteggiata nelle sue linee essenziali, mostra, da un lato, la capacità di ciascuno di diventare soggetto attivo nella costruzione di un’esistenza più squisitamente umana. Dall’altro, rilancia l’attualità di un messaggio relazionale ontologicamente fondato. Perché la speranza, un atto e non qualcosa di oggettivabile, un ponte tra presente e futuro (I capitolo), un grido contro l’ingiustizia e un’esperienza costruttiva di bene (II capitolo), si dà a vedere come una pratica. Un esercizio quotidiano, a misura dell’uomo – di ogni uomo – perché fatto della medesima stoffa temporale-spaziale di cui ciascuno di noi è costituito, ma insieme trascende queste coordinate (III-IV capitolo), esigendo un atto di decisione. Che, per quanto squisitamente soggettivo, nel modo della deliberazione, non prescinde dal rapporto con il mondo della vita, da quell’atto di essere messo in moto dal sentire (IV capitolo).
[1] Sull’evoluzione dell’idea di nemico, rinvio al mio "Lone Wolves. Updating the Concept of Enemy in the Social Media Age", in International Journal of Cyber Warfare and Terrorism, January-March 2014, vol. 4, n. 1, pag. 40-48.
[2] Si legga il saggio di M. R. Parsi con M. Campanella, Maladolescenza. Quello che i figli non dicono, Milano, Piemme, 2014.
[3] E. Fromm, La rivoluzione della speranza, 1979, Milano, Etas Libri (The Revolution of Hope Toward a Humanized Technology, New York, Harper & Row) viene pubblicato nel 1968, come critica alla società completamente meccanizzata, che ha per scopo il massimo consumo e che è diretta dai calcolatori
; op. cit. trad. it., pag. 9.
[4] E. Bloch, Das Prinzip Hoffnung , Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1959; l’opera fu scritta negli Stati Uniti tra il 1938 e il 1947, riveduta nel 1953 e nel 1959. La più recente traduzione italiana è Il principio speranza, Milano, Garzanti, 2005, a cura di Remo Bodei.
[5] Sul rapporto tra fondamentalismo islamico e terrorismo, come perdita di essere personale, rinvio al mio P. Fisogni, L’inaridimento dei terroristi, Roma, Edusc, 2009.
[6] E. Husserl, Fenomenologia e teoria della conoscenza, Milano, Bompiani, 2000.
[7] Catechismo della Chiesa cattolica, Città del Vaticano, 1993.
[8] 2 Mac 7,9 e 2 Mac 7,14.
[9] At 1,22 e 10,41.
[10] Tt 2,13 e 2 Ts 1,10.
[11] Si veda il § 1405 del Catechismo della Chiesa cattolica.
[12] Si noti il collegamento tra la crisi della fede in Cristo, in Occidente, con quella della speranza.
[13] Quello tra l’antropologia e la teologia è un confronto non nuovo, che la Chiesa cattolica ha riportato al centro dell’attenzione, con le riflessioni consegnate da Benedetto XVI all’enciclica Spe salvi (2007), precedute dal IV Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona (2006) e rilanciate nel progetto di una nuova evangelizzazione tutta da ripensare e costruire (2011).
I. FENOMENOLOGIA DELLA SPERANZA
I.1. La visione fenomenologica
Questa prima parte della ricerca possiede un carattere introduttivo e guarda alla speranza come un fenomeno del mondo della vita. Il metodo fenomenologico[1]si può anche considerare uno sforzo di visione di ciò che appare e, offrendosi, trasmette di sé qualcosa di essenziale. L’esercizio che proponiamo procede mediante la riduzione dell’esperienza di sperare ai suoi termini irriducibili e passando al vaglio critico le intuizioni che la ricerca consegna.
Nella pratica fenomenologica di matrice husserliana, alla quale si fa riferimento in questo lavoro, il modo di vedere le cose, le relazioni, gli stati affettivi non è equiparabile alla visione naturale, anche se la prima muove dalla seconda e non vi sono compartimenti stagni che le separino. Il vedere del fenomenologo è quello di uno specialista
della visione, candido e rigoroso, che cerca di ridurre le possibili ambiguità di quanto osserva, fino a raggiungere – mettendo tra parentesi tratti non specifici del fenomeno – un punto oltre il quale non si riesce più a procedere. Si percorre la via maestra della riduzione, rivolta ad afferrare contempo «delle datità assolute, ovvero delle possibilità di coscienza concrete e singolari»[2].
Se questa sorta di scarnificazione dei fenomeni «sembra metodologicamente giustificata dal fatto che essa rende visibile la sfera degli atti costitutivi» della coscienza e del conoscere, come rileva Edith Stein, essa non è priva di aspetti aporetici, al punto che «bisogna chiedersi se proprio il fenomeno della realtà permetta la messa tra parentesi dell’esistenza e non imponga, al contrario, l’abbandono della riduzione»[3]. Al di là degli aspetti problematici, a cui qui soltanto accenniamo, a favore della riduzione giocano due fattori determinanti: 1) siamo in presenza di un modo di guardare spregiudicato, ricco di sorprese, che apre punti prospettici diversificati sulle cose, facendone il nocciolo della pratica filosofica (come vedremo nel prossimo paragrafo) e distaccandola dall’attitudine naturale a domandare; 2) inoltre, la riduzione favorisce una conoscenza non strettamente empirica, come quella derivante dall’intuizione, la quale «induce una modificazione nell’esperienza delle cose»[4]. Per quanto sia abbastanza chiaro che nella fenomenologia il metodo e l’essenza della pratica vivono una relazione simbiotica, è utile una precisazione attorno a come si esprimono – differentemente – la descrizione della vita comune e la riduzione fenomenologica.
Muoviamo allora, da un’esperienza che appartiene a tutti. Pensiamo a un incontro casuale, o più precisamente agli sguardi che si incrociano su una carrozza del metro. L’atteggiamento naturale è quello di accogliere, sostenendolo e ricambiandolo, lo sguardo dell’altro, oppure – al contrario – di rifiutarlo. Nel primo caso, alla visione segue qualche osservazione mossa da curiosità: si porta l’attenzione, ad esempio, sul colore degli occhi di chi ci guarda, o si cerca di decifrare il segnale che lancia quello sguardo, oppure si allarga il campo al volto, alle espressioni della mimica facciale; poi, magari, si torna a leggere il giornale. L’atteggiamento fenomenologico si sofferma criticamente su quell’esperienza fugace: induce a domandarsi che persona sia chi abbiamo davanti, a intuire il proprio stato d’animo come oggetto
di visione, magari a percepire – nel senso di imbarazzo – qualcosa di sé, delle proprie fragilità. In questa serie di atti intenzionali, di cui rispetto all’atteggiamento naturale, si avverte consapevolezza, si coglie qualcosa di sé e anche dell’altra persona. Non è un caso che fenomeni legati allo sguardo – ad alto tasso di intuizione – come l’innamoramento o il colpo di fulmine, siano così intensamente caratterizzati dall’afferramento, in via consapevole e non ingenua (candido è l’atteggiamento della visione, privo di pregiudizi), di un concreto individuale (l’altro, io stesso). Come a dire: «d’autant plus de réduction, d’autant plus de donation»[5].
[1] La fenomenologia, metodo e sostanza della filosofia husserliana, come l’approccio alle cose stesse
, è ancora una disciplina che ha bisogno di chiarire quali siano le proprie carte in tavola
; ciò dipende da vari fattori: dalla mancanza di un’opera articolata su che cos’è la fenomenologia a firma dello stesso E. Husserl, che pubblicò numerose Introduzioni e i testi fondamentali delle Ricerche logiche e delle Idee (Idee sulla fenomenologia pura e sulla filosofia fenomenologica Torino, Einaudi, 1981), ma ci ha lasciato una vasta serie di scritti, consegnati all’archivio, in buona parte non ancora pubblicati. Secondariamente, Husserl si trovò in conflitto, dopo la pubblicazione delle Idee con un certo numero di suoi allievi, i quali non condividevano la cosiddetta svolta idealistica
del maestro (E. Stein, La ricerca della verità dalla fenomenologia alla filosofia cristiana, Roma, Città Nuova, a cura di A. Ales Bello, 1999).
[2] E. Husserl, Phänomenologie und Erkenntnistheorie, vol. XXV Husserliana
, § 24. In italiano: Fenomenologia e teoria della conoscenza, Milano, Bompiani, 2000, testo bilingue a cura di P. Volontè.
[3] E. Stein, La ricerca della verità, op. cit., pag. 113.
[4] R. De Monticelli, La conoscenza personale. Introduzione alla fenomenologia, Milano, Guerini ed Associati, 1998, pag. 41.
[5] J. Luc Marion, Etant donné, Paris, Puf, 1997, pag. 24.
I. 2. Sperare: perché?
Sul piano teoretico, la sfida aperta dalla speranza consiste nell’accertare se tale esperienza vada ricondotta al sogno di un cambiamento o ad una sorta di anestetico spirituale, oppure se questo slancio[1] sia parte integrante dell’essere personale, al punto che ciascuno possa diventarne fattivamente costruttore. Proprio perché si svela e lo fa nei momenti in cui comprendiamo – intuitivamente, emozionalmente, razionalmente – i limiti della condizione che ci appartiene, la speranza adombra, accanto