A Scuola di Futuro
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Quando Cecilia farà ritorno al presente, porterà con sé il “sesto senso”, caratteristica appartenente agli esseri umani del futuro: il bisogno di vivere il rapporto con la Terra in modo rispettoso ed equilibrato.
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A Scuola di Futuro - Caterina Peschiera
Canstockphoto.com
IL BUIO E LA LUCE
La classe di Cecilia non era peggio di tante altre, ma lei riusciva a vederla solo come un perfetto laboratorio di dispetti, inganni e prese in giro. Il suo ruolo lì dentro? La cavia.
Non aveva ‘migliori amiche’ e tutto sommato nemmeno amiche. Da quando era passata in prima media, nessuno aveva scelto lei come una persona speciale con la quale condividere i propri giochi, dalla quale farsi difendere se necessario.
Per questo, molto spesso, invece che restare con gli altri, si isolava nelle sue fantasie, compagnia senza dubbio più interessante di quella che potevano offrirle i suoi compagni. Almeno con se stessa poteva evitare i falsi sorrisetti per i quali proprio non dimostrava alcun talento.
Un talento innato ce l’aveva invece per dire le cose che pensava. Talento che, a giudicare dai fatti, non piaceva proprio a nessuno, e men che meno ai suoi professori. Con la professoressa di scienze poi, se si sognava di fare una domanda, quella di colpo s’irrigidiva. E se stava solo chiedendo di andare in bagno, ecco il suo sguardo cupo illuminarsi di sollievo.
Quel giorno, nel buio dell’aula-video, qualcosa di realmente esplosivo stava preparandosi dentro di lei. Erano quelle immagini proiettate che stavano lavorando nella sua mente, nel suo cuore, procurandole un’agitazione fortissima che faticava a contenere. Non si trattava di horror o fantasmi, eppure ciò che stava vedendo riusciva a darle persino i brividi.
Non a tutti i compagni l’intervento dell’esperta di educazione ambientale doveva fare quest’effetto. A nessuno probabilmente, a giudicare dalla quantità di videogiochi in fermento sotto i banchi. Anche il commercio silenzioso di figurine andava abbastanza forte e, mentre Cecilia seguiva col fiato sospeso le immagini di degrado ambientale come il più emozionante dei thriller, qualcun altro a bassissima voce continuava imperterrito le proprie riflessioni sulle migliori marche di scarpe da ginnastica.
Solo le immagini delle montagne di spazzatura abbandonate ai lati della strada avevano catturato l’attenzione della classe e principalmente a causa di quei passanti che, camminando a passi veloci, si tappavano il naso per la puzza. Era sembrato ai più evidentemente molto comico. A Cecilia proprio per nulla. Sentiva avvicinarsi con ansia la fine della lezione: dopo ciò che aveva sentito sul mondo e la sua incessante distruzione ad opera dell’Uomo non avrebbe sopportato che ognuno lì dentro, cominciando forse da quella sua detestabile professoressa, avesse fatto come se nulla fosse. Come se ciò che era stato detto fosse solo la presentazione di un terribile film di fantascienza e che sarebbe bastato spegnere la TV per non sentirne più parlare. Bisognava fare qualcosa, tutti dovevano fare qualcosa ed anche lei, che amava inventarsi mondi e storie fantastiche, doveva smettere di rifugiarsi nel suo bell’universo di guerrieri coraggiosi in perenne lotta col Male ed affrontare la realtà. Guardare in faccia i problemi veri. Di quel bel mondo fantastico avrebbe dovuto conservare solo l’incrollabile determinazione dei suoi eroi, non aveva bisogno di inventarsi di dover salvare il mondo quando il mondo andava salvato per davvero.
«Bene, questa era proprio l’ultima immagine» concluse l’esperta. Nel buio di quell’aula, la classe, che era rimasta per diverso tempo almeno apparentemente buona e zitta, a quelle parole, iniziò a borbottare e con crescente intensità. La professoressa si affrettò ad accendere la luce perché conosceva bene i suoi polli e sapeva che, restando troppo a lungo nell’oscurità, non avrebbero tardato ad approfittare della situazione per trasformare il mormorio in vero baccano.
Nonostante la luce accesa, però, il borbottio continuava ad aumentare.
«Non ho detto di far confusione e tantomeno di alzarvi. Io credo che la nostra esperta voglia concludere il suo discorso e possibilmente anche salutarvi» la professoressa si guardò attorno e, nel vedere come le sue parole stessero cadendo nel vuoto, continuò alzando un po’ la voce: «Vi ricordo che l’intervallo non è ancora suonato.»
Pochi l’ascoltarono, presi com’erano dai loro programmi per la ricreazione, ad accordarsi sul come arrivare al pallone sequestrato in alto sull’armadio o a chi toccasse stavolta ad esser chiuso nel bagno. Dovette così farsi venire una buona idea per evitare una figuraccia con l’esperta che era rimasta ferma, col suo saluto in standby, ad attendere un silenzio che non arrivava.
«Se fossi in voi prenderei qualche appunto invece di chiacchierare, ciò che ha detto la nostra esperta non dev’essere dimenticato, siamo intesi? Domani pensavo di fare una bella verifica. Fuori carta e penna, fate lavorare il cervello e non la lingua, coraggio! Annalisa, tira le tende per favore, che così ci vedete meglio.» La ragazza tirò le tende e un bel sole entrò ad illuminare la stanza.
Era stata proprio una buona idea quella della verifica perché il risultato fu immediato: silenzio e sguardi preoccupati. Quella luce improvvisa, poi, sembrava averli scoperti e disarmati.
«Ma ci mette delle domande anche su tutto quello che abbiamo sentito oggi?» domandò impensierito uno degli alunni, che, non avendo sentito alcunché, aveva ottime ragioni per allarmarsi.
«No, professoressa, la prego, abbiamo già tanto» si affrettò a puntualizzare Fiorenza che condivideva in pieno la medesima preoccupazione.
«A parte la verifica che è senz’altro importante e immagino possa risvegliare in voi qualche timore» intervenne l’esperta cosciente di risultare ormai trasparente agli occhi dei ragazzi «mi piacerebbe vedervi un po’ preoccupati anche per le sorti del nostro Pianeta. Come avete visto, non gode di ottima salute. Vorrei che vi rendeste conto che i problemi ecologici di cui vi ho parlato sono davvero molto seri ed è importante che i ragazzi come voi capiscano bene queste cose perché proprio voi, la vostra generazione cioè, dovrà impegnarsi davvero al massimo per evitare che il peggio accada.»
Le parole dell’esperta stavolta erano state ascoltate attentamente proprio da tutti. Qualcuno aveva anche preso appunti. Il tono era un po’ diverso da quello usato fino a quel momento e forse era stata quell’imprevista venatura di rimprovero a renderlo più carismatico. Ma forse, ad aleggiare ora sulle sorti del Pianeta, era molto più semplicemente quella brutta sorpresa della verifica a tradimento.
«Prof, ha ragione l’esperta. Ma anche se ha ragione, noi cosa possiamo fare?» intervenne Matilde cercando di dimostrare con quell’osservazione il proprio coinvolgimento nella questione. Cecilia si sentì ribollire, anche perché la cara compagna aveva appena messo in tasca il videogioco con il quale aveva trascorso felicemente l’ultima mezz’oretta.
«Siamo ragazzi, non possiamo decidere niente. Decidono tutto i grandi» ribadì Silvio, il cui interesse in quel momento era concentrato unicamente sul pallone che l’attendeva sopra l’armadio. Cecilia, fremendo impaziente fino ad oscillare impercettibilmente davanti al suo banco, iniziò col conto alla rovescia: si sentiva un missile pronto al decollo che una volta partito non si sarebbe più fermato.
«Finché siete piccoli potete fare cose piccole, ma importanti, e intanto comincerete così a costruire un modo diverso di vedere le cose» commentò l’esperta tornando a quel suo tono pacato e rassicurante.
Non era una donna particolarmente bella, non portava un filo di trucco, ma vestiva in modo originale e forse era più giovane di quello che dimostrava. La gonna leggera sull’azzurro ricordava a Cecilia un costume d’altri tempi. Era la prima volta che si era soffermata a guardarla. Nell’oscurità di pochi minuti prima era stata per lei solo una magica voce capace di condurla in quel viaggio sorprendentemente emozionante che le aveva fatto vedere la realtà a cui era abituata in modo del tutto diverso.
«Cose piccole? E cosa ad esempio?» domandò Fiorenza, fingendosi interessata.
«Evitare gli sprechi innanzitutto, per risparmiare energia e materie prime.»
Fu a quel punto che Cecilia si decise a dichiarare aperte le ostilità.
«Anche l’energia elettrica?» La sua voce sbottò dal nulla.
«Sì, certo» rispose l’esperta stupita dal tono tutt’altro che neutro con cui le era stata rivolta la domanda. Il dito della ragazzina puntato verso il neon sul soffitto poi aveva il sapore di un’autentica provocazione. Nella classe si fece silenzio e tutti gli sguardi si diressero su di lei. Quello allibito della professoressa di scienze poi dal dito di Cecilia passò al cielo, accompagnando l’espressione da un eloquente sospiro.
«Allora, mi chiedo io» continuò Cecilia imperterrita «se il problema è proprio così urgente, perché non iniziamo a spegnere la luce quando non serve, visto che l’abbiamo dimenticata accesa?»
Detto questo, si alzò in piedi e con piglio deciso si rivolse alla sua insegnante: «Professoressa, è vero o no?» La professoressa non rispose ed in una frazione di secondo era già con le spalle girate ad armeggiare con i cavi del videoproiettore.
«Ci si vede benissimo anche senza » ribadì la ragazzina e, giunta davanti all’interruttore, spense la luce senza esitazioni.
La rivolta non tardò anche perché, se fuori ci fosse o meno il sole e che la luce naturale filtrasse attraverso le tende in modo da rendere l’illuminazione del tutto accettabile, poco importava alla maggior parte dei suoi compagni. A quel punto avevano in mente un solo obiettivo: ripristinare ordine e gerarchie. Non fosse mai che, sventolando la bandiera ecologica, la più sfigata della classe fosse riuscita ad imporre la sua volontà, scardinando tutti i loro consolidati rapporti di branco.
«Non è vero, io non ci vedo tanto, faccio fatica a leggere» replicò Matilde.
«Neanche io» si unì prontamente Annalisa, la sua migliore amica.
«Per colpa sua dobbiamo scrivere al buio!» Stavolta il commento era di Martino che, da quando la conosceva, non l’aveva mai potuta sopportare. Ad una che diceva cose tanto strane solo per farsi notare, era meglio tagliare le gambe subito, prima che combinasse troppi danni.
«Non è buio, c’è il sole» Cecilia riuscì a dirlo con un autentico tono da sberle che non l’aiutò certo a farsi degli alleati. Si sentiva circondata da nemici, nemici pronti a colpirla senza pietà. Doveva resistere, difendersi, pur accerchiata da ogni direzione, come le eroine dei suoi libri. Il coraggio della lingua al posto della spada. Guardarli tutti in faccia e mai abbassare lo sguardo, solo così avrebbe trionfato sul Male com’era giusto che fosse. Per il Bene del Pianeta.
Eppure tutta quell’ostilità che le piombava addosso era grande come una valanga e faceva paura. Derisione e solitudine: questi i veleni sulle punte di tutte quelle frecce già incoccate sugli archi ben tesi dei suoi compagni. Si girò verso il videoproiettore cercando la solidarietà dell’unica alleata certa. L’esperta. In caso di difficoltà, quella donna meravigliosa sarebbe stata in prima linea nel difenderla, incenerendo con la profondità del suo sguardo quell’esercito di teste vuote. Possibile invece che restasse ad armeggiare assieme a quell’essere inutile della sua professoressa con cavi e spinotti, perdendosi proprio tutto della sua solitaria battaglia per i risparmi energetici? Addirittura si accingeva ad abbandonarla lì, sola nell’arena, in mezzo ai leoni: assieme alla professoressa aveva già sollevato il videoproiettore per trasportarlo fuori dall’aula, senza ancora averla degnata della sua ammirazione.
«State buoni» fu solo capace di dire la professoressa mentre girava l’angolo. L’esperta disse due parole mosce in segno di saluto e proseguì avanti come avesse appena concluso una lezione di origami. Aveva fatto il suo ed era quindi pronta a blaterare in un’altra classe, accendendo forse l’animo di qualche altro ingenuo, pronto ad essere sacrificato ai morsi delle belve infuriate.
Immancabilmente venne colpita alle spalle: Matilde aveva riacceso la luce.
Matilde, proprio Matilde che non aveva mai potuto vedere. Quella luce accesa non fece che offuscarle la mente d’un odio feroce: la battaglia a sprechi e consumi si era arricchita del gusto squisito della sfida personale.
«No, cara» pronunciò Cecilia semplicemente. Con un balzo aveva già raggiunto il pulsante della contesa, giustiziando ancora una volta l’inutile luce artificiale e la superficialità di tutti i loro cervelli.
Stavano lì le due ragazzine, davanti a quell’interruttore che mai in vita sua si era sentito così importante, a fronteggiarsi con occhi di brace. L’affondo, a questo punto, sarebbe toccato a Matilde. Cecilia, guardandola fissa in attesa della sua prossima mossa, le aveva sussurrato