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Le tragedie dell'ambizione
Le tragedie dell'ambizione
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Le tragedie dell'ambizione

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Una delle caratteristiche principali dell’arte narrativa di Thomas Hardy (1840-1928) è quella di ridurre i più ardui problemi dello spirito a poche idee forti ed elementari. I cinque racconti compresi in questa raccolta, La tragedia di due ambizioni, Il veto del figlio, Per sua moglie, L’Ussaro malinconico e Tradizione dell’anno 1804, hanno un unico filo conduttore: l’ambizione. Ma non vista come impulso positivo per ottenere qualcosa nella vita, piuttosto come un demone distruttivo degli affetti e delle relazioni, che non lascia la presa finché il povero malcapitato non si ritrova da solo di fronte ad un’immane tragedia. L’ambizione vista come pulsione che riesce ad evidenziare il contrasto tra la vita ideale desiderata da un uomo e quella reale che gli tocca di vivere.
LanguageItaliano
Release dateAug 18, 2010
ISBN9788874170500
Le tragedie dell'ambizione
Author

Thomas Hardy

Thomas Hardy was born in 1840 in Dorchester, Dorset. He enrolled as a student in King’s College, London, but never felt at ease there, seeing himself as socially inferior. This preoccupation with society, particularly the declining rural society, featured heavily in Hardy’s novels, with many of his stories set in the fictional county of Wessex. Since his death in 1928, Hardy has been recognised as a significant poet, influencing The Movement poets in the 1950s and 1960s.

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    Le tragedie dell'ambizione - Thomas Hardy

    Le tragedie dell’ambizione

    Thomas Hardy

    In copertina: George Morland, Famiglia di contadini che passa vicino a un mulino, 1790

    © 2010 REA Edizioni

    Via S.Agostino 15

    67100 L’Aquila

    Tel diretto 348 6510033

    www.reamultimedia.it

    redazione@reamultimedia.it

    La Casa Editrice esperite le pratiche per acquisire tutti i diritti relativi alla presente opera, rimane a disposizione di quanti avessero comunque a vantare ragioni in proposito.

    Indice

    LA TRAGEDIA DI DUE AMBIZIONI

    I

    II

    III

    IV

    V

    IL VETO DEL FIGLIO

    I

    II

    III

    PER SUA MOGLIE

    I

    II

    III

    L’USSARO MALINCONICO

    I

    II

    III

    IV

    V

    TRADIZIONE DELL’ANNO 1804

    LA TRAGEDIA DI DUE AMBIZIONI

    I

    Gli strilli dei fanciulli del villaggio entravano dalla finestra accompagnati da scoppi di risa di gente oziante alla porta dell’osteria, ma i fratelli Halborough continuavano a faticare.

    Seduti in camera, là, nella casa del fabbro dei mulini, essi traducevano, senza l’ausilio di maestri, greco e latino. Non era racconto d’omeriche zuffe, nè l’impresa degli Argonauti, nè dolore di tebani che infiammava la loro immaginazione e li spronava innanzi. Essi sgobbavano sul Testamento Greco, immersi in un capitolo di quell’ardua Epistola agli Ebrei.

    Un sole canicolare al declino batteva con raggi sghembi il soffitto basso, le ombre di un gran salice montano oscillavano e s’alternavano sulle pareti come un’armata di spettri in manovra. La finestra, che conduceva nella stanza rumori lontani, fece ora entrare la voce di qualcuno poco discosto. Era la sorella, una fanciulla graziosa di quattordici anni, che li chiamava dalla corte sottostante.

    — Vi vedo la cima della testa! Perchè restate su? Non vi chiamo mica per farvi andare coi monelli, ma venite giù a giocare con me!

    Trattandola con poco rispetto e con due parole, la misero a posto, la fanciulla se ne andò contrariata. S’udì vicino alla casa un pesante strascichìo di passi. Uno dei fratelli rizzò il capo. — Deve essere lui — mormorò, con gli occhi alla finestra.

    Un uomo vestito di panno castano, alla vecchia moda dei commercianti di campagna, aveva svoltato l’angolo e s’avvicinava vacillando. Il figlio maggiore, rosso di rabbia, si levò dai libri e scese le scale. Il minore rimase a sedere. L’altro, dopo poco, ricomparì nella stanza.

    — L’ha visto Rosa?

    — No.

    — Nessuno?

    — Nessuno.

    — Che cosa ne hai fatto?

    - È nel pagliaio. Ho dovuto sudare a mettercelo. Adesso dorme. L’avevo immaginato, io, perchè non s’era più visto! Non una sola macina pronta per il mugnaio Kench, la ruota grande della segheria aspetta le alette nuove e la povera gente, pensa, non riesce a farsi mettere le ruote ai carretti.

    - Ma perché continuiamo a stare addosso a questa roba! - fece il più giovane, chiudendo con violenza il Lexicon del Donnegan. — Ah, se non ci fossimo lasciati portar via le novecento sterline della mamma, chissà a che punto saremmo adesso!

    - Come aveva calcolato bene la somma, lei! Quattrocentocinquanta a me, quattrocento e cinquanta a te. Sta certo che con un po’ di criterio sarebbero bastate.

    La perdita di queste novecento sterline era l’acuta spina della loro fronte. Si trattava di una somma che la mamma aveva accumulato a forza di pene, di privazioni, aggiungendo ad un lascito inaspettato quei pochi soldi che di tanto in tanto riusciva a mettersi in tasca. Ella s’era ripromessa, con quella somma, di soddisfare il sogno più dolce del suo cuore: vedere all’università il suo Joshua e il suo Cornelio. Le avevano detto che con quattrocento, quattrocento e cinquanta sterline per ciascuno l’università l’avrebbero fatta, purchè essi s’adattassero, ciò che la donna non poteva dubitare, alle maggiori economie. Ma essa era morta due o tre anni prima, finita dal grande sforzo per giungere alla sua meta e il denaro, passato interamente nelle mani del padre, era stato da questo quasi tutto dissipato. Cadde così per i figli ogni possibilità, ogni speranza di titolo universitario.

    — Quando ci penso mi sento impazzire — disse Joshua, il maggiore - E noi continuiamo ad arrabattarci così, senz’altra prospettiva che quella di fare per un po’ d’anni i maestri elementari, di entrare, forse, in seminario e d’essere ordinati con quello straccio di licenza.

    L’ira del maggiore si rifletteva in mite tristezza sul volto del più giovane.

    — Cappuccio o no sopra la cotta - disse questi con un filo di consolazione - il Vangelo si può predicare lo stesso.

    - Già, si può predicare - disse Joshua con

    una lieve smorfia — ma così di strada non se ne fa.

    — Cerchiamo di fare quanto si può, e tiriamo avanti.

    L’altro non aggiunse parole. Mestamente si piegarono sui libri.

    Mastro Halborough, la fonte di tutto questo sconforto, russava beatamente nel pagliaio. Egli aveva avuto, malgrado la sua indole spassosa e spensierata, una prospera officina. Ma un bel giorno gli venne addosso una sete smodata di forte liquore, da allora le cattive abitudini cominciarono a intristirgli gli affari. I mugnai si rivolgerono altrove per i loro ingranaggi, e invece di due gruppi di operai ne lavorava uno solo. A stento riusciva a pagare i suoi uomini alla fine della settimana, e sebbene questi fossero ridotti di numero, c’era sì e no lavoro per tutti.

    Il sole discese e scomparve; gli strilli dei bambini finirono, le tenebre invasero la camera dei due studiosi e fuori tutto fu pace. Nessuno sapeva delle febbrili ambizioni palpitanti nel cuore di quelle due giovinezze, nel silenzio di quelle mura piene di piante rampicanti, nella casa del fabbro dei mulini.

    Alcuni mesi dopo i due fratelli lasciarono il loro villaggio per entrare in una scuola magistrale. Avevano prima provveduto a mettere la giovane sorella Rosa nel collegio d’una elegante città marina, perchè la fanciulla si educasse quanto meglio possibile, nel limite dei loro mezzi.

    II

    Un uomo in abito semiecclesiastico faceva la strada che portava dalla stazione in una città di provincia. Camminava e leggeva levando di tanto in tanto la testa dal libro solo per vedere di andare diritto e per evitare altri viandanti. Chi avesse conosciuto i due fratelli al tempo dei loro studi, là, all’officina dei mulini, non avrebbe tardato a riconoscere, nel peripatetico lettore, Joshua Halborough.

    Ciò che era stato semplice forza nel volto del giovane s’era trasformato in dura austerità nel volto dell’uomo. Il carattere andava sempre di più ad incidere nei lineamenti. Vedendolo si poteva scommettere che della sua carriera egli nutriva un concetto sempre più profondo, che di continuo egli udiva dinanzi a sè la voce della sua missione, senza curarsi d’altro nel mondo. Le sue ambizioni erano in vero appassionate, ma contenute, mentre fiorivano in lui più sogni di quanti avrebbero mai potuto attuarsi, egli, i sogni, se li teneva in penombra, timoroso di distrazione.

    Fin qui gli eventi gli erano stati propizi. Poco tempo dopo aver ottenuto il suo primo insegnamento, era riuscito a farsi presentare al vescovo di una diocesi lontana dalla sua contea natale, e quel vescovo, considerandolo una promessa, aveva preso a proteggerlo. Questo era il suo secondo anno di seminario nella città episcopale e doveva prendere gli ordini a breve.

    Entrato in città, infilò una stradicciola e non chiuse il libro finchè fu sotto la volta di un cortile. La volta riportava la scritta «Scuola Pubblica» e aveva le basi ridotte in quello stato cui potevano ridurle soltanto i fanciulli o le onde dell’oceano. Si trovò subito fra la nenia d’una scolaresca.

    Suo fratello Cornelio, maestro della scuola, depose la canna con cui indicava i principali capi d’Europa e gli andò incontro.

    Quello è suo fratello Jos! — sussurrò un alunno della sesta - Deve diventare curato,

    adesso è in seminario.

    Anche Cornelio diventerà curato se avrà soldi abbastanza. — disse un altro.

    Salutato il fratello che non vedeva da mesi, Cornelio cominciò a parlargli del suo sistema d’insegnare la geografia. Ma ciò non destò l’interesse di Joshua. - Come vanno i tuoi studi? — domandò questi. - Hai ricevuto i libri che t’ho spedito?

    Cornelio rispose di sì, e lo informò di quanto andava facendo.

    — Guarda di lavorare al mattino. A che ora ti alzi?

    — Alle cinque e mezzo.

    — Data la stagione, se ti alzassi alle quattro e mezza non ruberesti al sonno neanche un minuto. Le prime ore del mattino sono le più adatte per tradurre. Io non so perchè, ma quando la stanchezza non mi consente di leggere neppure un romanzo, non mi impedisce, invece, di tradurre. Nel tradurre deve esserci qualcosa di meccanico, credo. Senti Cornelio, tu sei piuttosto indietro e devi ancora sgobbare parecchio se pensi di finirla per Natale.

    - Credo bene.

    - Bisogna sondare il vescovo al più presto.

    Sono sicuro che ti troverà facilmente un’occupazione quando l’avremo informato di tutto. Il direttore del mio seminario, il suddecano, dice che il meglio sarebbe che tu venissi quando monsignore assisterà ad un esame, così farà in modo di farti concedere un colloquio con lui. Bada di

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