Le affinità elettive
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Johann Wolfgang Goethe
<p>Johann Wolfgang Goethe, hijo de una familia de la alta burguesía, nació en Francfort en 1749, y murió en Weimar en 1832, universalmente reconocido y admirado. Entre una fecha y otra no sólo se extienden dos grandes revoluciones históricas, sino que la Ilustración, a través del <i>Sturm und Drang</i> y del clasicismo, ha dado paso al Romanticismo, que marcará el rumbo del hombre moderno. La vida de Goethe no se limitó a ser un reflejo privilegiado de todas estas conmociones, sino que participó activamente en casi todas ellas. Su novela de juventud <i>Las penas del joven Werther</i> (1774) causó sensación en toda Europa. En 1775 se estableció como consejero del duque Karl August en Weimar, ciudad que ya sólo abandonaría ocasionalmente. Un viaje a Italia (1786-88), durante el cual versificó su <i>Ifigenia en Táuride</i> (1787), y la amistad con Schiller moderaron su ímpetu juvenil, asentando el ideal humanista.</p> <p>Del clasicismo de Weimar que constituye una de las cumbres de la literatura alemana. Pero su curiosidad abarcó también la geología, la biología, la botánica, la anatomía y la mineralogía, como se ve en obras como <i>La metamorfosis de las plantas</i> (1790) o <i>Teoría de los colores</i> (1810). Su obra maestra en dos partes, <i>Fausto</i> (1772-1831), aglutina espléndidamente todas las etapas de su carrera. En <i>Poesía y verdad</i> (1811-1830) dejó testimonio de su juventud. Alba ha publicado también, a modo de crónica de su vejez, <i>El hombre de cincuenta años / Elegía de Marienbad</i> (1807; ALBA CLÁSICA núm. LVI) y la narración bocacciana <i>Conversaciones de emigrados alemanes</i> (1795; ALBA CLÁSICA núm.- LXXXV).</p>
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Le affinità elettive - Johann Wolfgang Goethe
Le affinità elettive
Johann Wolfgang Goethe
In copertina: Thomas Gainsborough, La passeggiata del mattino, 1785
© 2015 REA Edizioni
Via S. Agostino 15
67100 L’Aquila
www.reamultimedia.it
redazione@reamultimedia.it
www.facebook.com/reamultimedia
a cura di Fabrizio Cristallo
Questo e-book è un’edizione rivista, rielaborata e corretta, basata su un’edizione del 1933 a cura di C. Baseggio.
La casa editrice rimane comunque a disposizione di chiunque avesse a vantare ragioni in proposito.
Indice
PARTE PRIMA
CAPITOLO PRIMO
CAPITOLO SECONDO
CAPITOLO TERZO
CAPITOLO QUARTO
CAPITOLO QUINTO
CAPITOLO SESTO
CAPITOLO SETTIMO
CAPITOLO OTTAVO
CAPITOLO NONO
CAPITOLO DECIMO
CAPITOLO UNDICESIMO
CAPITOLO DODICESIMO
CAPITOLO TREDICESIMO
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
CAPITOLO QUINDICESIMO
CAPITOLO SEDICESIMO
CAPITOLO DICIASSETTESIMO
CAPITOLO DICIOTTESIMO
PARTE SECONDA
CAPITOLO PRIMO
CAPITOLO SECONDO
CAPITOLO TERZO
CAPITOLO QUARTO
CAPITOLO QUINTO
CAPITOLO SESTO
CAPITOLO SETTIMO
CAPITOLO OTTAVO
CAPITOLO NONO
CAPITOLO DECIMO
CAPITOLO UNDICESIMO
CAPITOLO DODICESIMO
CAPITOLO TREDICESIMO
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
CAPITOLO QUINDICESIMO
CAPITOLO SEDICESIMO
CAPITOLO DICIASSETTESIMO
CAPITOLO DICIOTTESIMO
PARTE PRIMA
CAPITOLO PRIMO
Edoardo, ricco barone nel fiore della virilità, aveva passato la più bella ora di un pomeriggio d’aprile nel suo vivaio ad inserire innesti, appena ricevuti, su giovani tronchi. Terminato il lavoro e riposti gli utensili nell’astuccio, egli contemplava soddisfatto l’opera sua, quando gli si avvicinò il giardiniere, che si compiacque della zelante collaborazione del padrone.
— Hai visto mia moglie? — domandò Edoardo, mentre si accingeva a proseguire il suo cammino.
— È dall’altra parte, ai nuovi lavori — rispose il giardiniere. — Oggi finiscono la capanna di muschio, che la signora ha fatto costruire a ridosso della roccia, di fronte al castello. Tutto è riuscito molto bene, le piacerà di certo. Si gode una vista splendida: sotto, il villaggio, un po’ sulla destra la chiesa, che con il suo campanile quasi non interrompe neppure la prospettiva; di fronte, il castello e i giardini.
— È vero — rispose Edoardo; — a pochi passi di qui riuscivo a scorgere gli uomini al lavoro.
— Poi — proseguì il giardiniere — a destra si apre la valle e l’occhio spazia sopra la ridente distesa dei prati, ricchi d’alberi, fino a un orizzonte lontano. Il sentiero su per le rupi è tracciato molto bene. La signora padrona se ne intende; c’è gusto a lavorare sotto la sua direzione!
— Va’ da lei — disse Edoardo — e pregala di aspettarmi. Dille che desidero vedere la nuova creazione e goderne anch’io.
II giardiniere si allontanò in fretta, Edoardo lo seguì poco dopo.
Scese per le terrazze, osservando di passaggio serre e vivai, finché giunse all’acqua e, varcato un ponticello, al punto dove il sentiero che conduceva ai nuovi lavori si biforcava. Uno, passando dal cimitero, correva quasi diritto verso la parete di roccia, quello a sinistra, un po’ più lungo, saliva serpeggiando dolcemente in mezzo a vaghi cespugli; egli abbandonò il primo per percorrere il secondo; giunto là dove i due rami si riunivano, sedette un momento su una panchina sapientemente collocata proprio lì, quindi cominciò la salita vera e propria e, per una successione di svariati gradini e piattaforme lungo lo stretto sentiero, ora più ora meno ripido, si trovò finalmente alla capanna di muschio.
Carlotta accolse il marito sulla soglia e lo fece sedere in modo che con un solo sguardo potesse abbracciare dalla porta e dalla finestra i diversi quadri del paesaggio come in una cornice. Egli se ne compiacque assai, sperando che presto la primavera avrebbe arricchito tutta quella natura di nuova vita.
— Avrei una sola — soggiunse: — la capanna mi sembra un po’ troppo stretta.
— Ma c’è spazio abbastanza per noi due — replicò Carlotta.
— È vero, — disse Edoardo — forse c’è posto anche per un terzo.
— Perché no? — riprese Carlotta — e anche per un quarto. Per una compagnia più numerosa prepareremo poi qualche altro luogo.
Allora Edoardo cominciò: — Poiché siamo qui soli e indisturbati, con l’animo tranquillo e sereno, devo confessarti che già da un po’ di tempo ho nel cuore una cosa che dovrei e vorrei confidarti, ma non mi riesce.
— Me ne sono accorta — rispose Carlotta.
— E ti confesserò anche — continuò Edoardo — che se non fosse la partenza del messo postale domattina presto a mettermi fretta, e se non dovessimo prendere oggi una decisione, avrei forse taciuto ancora per un pezzo.
— Di che si tratta dunque? — domandò Carlotta, incoraggiandolo affettuosamente.
— Si tratta del nostro amico, il capitano — rispose Edoardo. — Tu conosci la triste situazione in cui, come tanti altri, è venuto a trovarsi senza colpa. Come dev’essere doloroso per un uomo della sua cultura, del suo ingegno, della sua capacità, vedersi escluso dal servizio e... ebbene, non voglio più indugiare a dirti il mio desiderio: io vorrei ospitarlo per qualche tempo in casa nostra.
— È una cosa a cui bisogna riflettere bene e che va considerata sotto molti aspetti — obiettò Carlotta.
— Quanto alle mie idee, sono pronto a comunicartele — le rispose Edoardo. — L’ultima sua lettera esprime fra le righe uno scoramento profondo; non che gli manchi il necessario: egli sa limitarsi, e per l’indispensabile ho provveduto io; né gli pesa di accettare da me: in vita nostra ci siamo scambiati tante volte favori simili, che non sapremmo davvero calcolare chi di noi due sia in credito o in debito... Ma è senza lavoro, questo è il suo vero tormento. L’unico suo piacere, anzi, la sua passione è di mettere al servizio degli altri, ogni giorno, ogni ora, le molteplici cognizioni che ha perfezionato in se stesso. Ora, lo starsene con le mani in mano, o il continuare a studiare per procurarsi altre abilità, quando non può fare uso di ciò che possiede già in modo perfetto... basta, mia cara, è una situazione penosa, e la sua solitudine raddoppia e triplica il suo tormento.
— Ma io pensavo — disse Carlotta — che gli fossero giunte offerte da diverse parti. Avevo scritto per lui ad amiche e amici intraprendenti e, a quanto mi risulta, non senza effetto.
— Verissimo — rispose Edoardo — ma anche queste diverse occasioni, queste offerte, gli procurano nuovo tormento, nuova inquietudine. Nessuna delle condizioni proposte è adatta a lui. Non avrebbe modo di svolgere un’attività; dovrebbe sacrificare sé, il suo tempo, le sue idee, il suo sistema di vita, e ciò gli è impossibile. Più considero, più sento tutto questo, e più vivo si fa in me il desiderio di averlo con noi.
— È molto bello e gentile da parte tua — osservò Carlotta — prendere tanto a cuore le condizioni di questo tuo amico; ma lasciami dirti che devi pensare anche a te, a noi.
— Ci ho pensato — rispose Edoardo. — Dalla sua vicinanza non possiamo aspettarci che vantaggi e piacere. Della spesa non parlo neppure, perché in ogni caso, venendo egli da noi, per me diventa minima; tanto più che la sua presenza non ci procurerà il minimo disturbo. Egli potrà abitare nell’ala destra del castello, e tutto il resto si accomoderà da sé. Che piacere gli rendiamo, di che gradimento, e non solo, ma anche di che utilità ci sarà la sua compagnia! Io avrei desiderato da un pezzo misurare della tenuta e dei dintorni; se ne curerà lui e ne dirigerà l’esecuzione. È tua intenzione che in avvenire, non appena scaduto il contratto con gli attuali affittuari, amministriamo noi stessi i nostri beni. Ma sai quale difficoltà presenta una simile impresa? Quante nozioni elementari ci saprà fornire! Io sento troppo la mancanza di un uomo come lui. I contadini sanno come stanno le cose; ma le loro informazioni sono confuse e poco leali. Gli uomini di studio che vengono dalla città e dalle accademie sono invece chiari e ordinati nella teoria, ma mancano di pratica. Dal mio amico mi posso ripromettere l’una cosa e l’altra; e poi ci sono cento altre conseguenze, che mi piace immaginare, anche nei tuoi riguardi, e da cui prevedo molto bene. E ora grazie di avermi benevolmente ascoltato; parla anche tu in tutta libertà e dimmi tutto quello che hai da dire; non ti interromperò.
— Benissimo — rispose Carlotta: — comincerò subito con una osservazione generica. Gli uomini pensano più al particolare, al presente, e con ragione, perché sono chiamati a operare, ad agire; le donne invece si preoccupano più dei vincoli della vita, e con altrettante ragione, perché il loro destino, il destino delle loro famiglie è legato a questa coesione, ed esse sono appunto chiamate a costituire tale vincolo. Gettiamo dunque uno sguardo alla nostra vita presente, alla nostra vita passata: mi concederai che questo tuo invito al capitano non è precisamente in accordo coi nostri propositi, coi nostri piani, coi nostri sistemi. E a me piace tanto rievocare i nostri primi tempi! Da giovani ci amavamo teneramente; ma fummo separati: tu, perché tuo padre, insaziabile di ricchezze, ti unì a una donna facoltosa, alquanto più matura di te; io, perché, senza mire speciali, dovetti dare la mia mano a un uomo agiato, che non amavo, ma stimavo. Poi fummo di nuovo liberi; tu prima, perché la tua vecchietta morì, lasciandoti in possesso di un cospicuo patrimonio; io più tardi, quando appunto ritornavi dai tuoi viaggi. Così ci ritrovammo. Ci compiacemmo del nostro ricordo, amammo quel ricordo e potemmo vivere insieme indisturbati. Tu insistesti perché ci sposassimo; io non acconsentii subito, poiché, essendo pressappoco della stessa età, io come donna ero certo invecchiata, mentre tu come uomo no. Alla fine non volli negarti quello che sembrava rappresentare per te l’unica felicità. Volevi riposarti al mio fianco di tutte le agitazioni della vita di corte, della vita militare, dei viaggi, volevi rientrare in te stesso, godere l’esistenza; ma soltanto con me. Io misi la mia unica figlia in collegio, dove senza dubbio riceve un’istruzione più varia di quella che sarebbe stato possibile darle in campagna; e con lei mandai anche Ottilia, la mia diletta nipote, che forse sarebbe cresciuta meglio sotto la mia direzione, per essermi poi d’aiuto nelle cure domestiche. Tutto avvenne col tuo consenso, solo perché noi potessimo vivere l’uno per l’altra e godere indisturbati quella felicità un tempo così ardentemente desiderata e più tardi finalmente raggiunta. E ci stabilimmo in campagna. Io assunsi la cura dell’amministrazione interna, tu di quella esterna e le direttive generali. Per conto mio sono disposta ad accontentarti in tutto, a vivere solo per te; proviamo almeno per un po’ di tempo, fintanto che bastiamo così l’una all’altro!
— Poiché, come tu dici, la coerenza è proprio il vostro elemento, interruppe Edoardo — o non bisogna starvi a sentire quando ragionate a fil di logica, o bisogna darvi ragione per forza; e in realtà, fino a oggi tu hai ragione. La base sulla quale abbiamo disposto finora la nostra esistenza è ottima; ma non dobbiamo costruire più nulla? Non se ne deve sviluppare nulla di nuovo? Quello che io faccio nel giardino e tu nel parco, deve essere solo per degli eremiti?
— Giustissimo! — rispose Carlotta — verissimo! Ma non facciamoci entrare nulla di ingombrante, di estraneo. Pensa che i nostri progetti, anche per quanto riguarda lo svago, si basavano in certo modo solo sulla nostra vita in due. Tu volevi comunicarmi in ordine cronologico i diari del tuo viaggio, riordinando così anche tante altre carte relative, e, con la mia collaborazione, col mio aiuto, trarre da quei fascicoli, da quei fogli preziosi, ma confusi, un insieme organico, che riuscisse piacevole a noi e agli altri. Io promisi di aiutarti a copiare, e ci pareva così comodo, così carino, così intimo e suggestivo, percorrere nei ricordi il mondo che non potevamo vedere insieme! Anzi, abbiamo già cominciato. Poi, la sera, tu hai ripreso il tuo flauto, mi accompagni al cembalo; non ci manca lo scambio di visite con i vicini. Da tutto questo io almeno mi ero formata l’idea di un’estate, che mi pareva dovesse essere la prima veramente lieta della mia vita.
— Eppure — rispose Edoardo, passandosi una mano sulla fronte — nel sentire tutto ciò che mi dici con tanto affettuoso buonsenso, non posso fare a meno di pensare che la presenza del capitano non turberebbe nulla, anzi renderebbe tutto più agile e più animato. Anch’egli ha partecipato ad alcuni dei miei viaggi, anch’egli ha preso parecchie note, e da un punto di vista diverso: ce ne serviremmo insieme e allora davvero risulterebbe qualcosa di ben fatto e di completo.
— Ebbene, lascia che ti confessi sinceramente — replicò Carlotta con una certa impazienza — che il mio cuore è contrario a questo progetto; un presentimento mi dice che non ne verrà nulla di buono.
— Ecco, voi donne siete proprio imbattibili — rispose Edoardo: — prima tanto assennate, che non è possibile contraddirvi, poi tanto affettuose, che ci si arrende volentieri, di animo così sensibile, che non si vorrebbe affliggervi, infine anche presaghe, da far rimanere sgomenti.
— Io non sono superstiziosa — ribatté Carlotta — e non darei importanza a questi oscuri avvertimenti, se si trattasse solo di impulsi misteriosi; ma il più delle volte sono inconsce reminiscenze di conseguenze felici e infelici, che azioni nostre o altrui ebbero in passato. In ogni situazione nulla è più importante dell’intervento di una terza persona. Io ho visto amici, fratelli, amanti, coniugi, i cui rapporti sono completamente mutati, la cui situazione si è completamente capovolta per l’intromissione casuale o voluta di una terza persona.
— Può darsi — obiettò Edoardo — che questo capiti a chi vive solo in balia di oscuri istinti, ma non a chi, già illuminato dalla esperienza, è cosciente di se stesso.
— La coscienza, mio caro, — ribatté Carlotta — non è un’arma sufficiente, anzi talvolta è pericolosa per chi la adopera; e da tutte queste considerazioni almeno una cosa risulta chiara: che non dobbiamo precipitare nulla. Concedimi ancora qualche giorno: aspetta a decidere.
— Ma, a quanto stanno le cose, — rispose Edoardo — anche fra parecchi giorni una decisione sarà sempre precipitata. Ormai ci siamo detti reciprocamente le ragioni a favore e contro; si tratta di risolvere, e il meglio sarebbe davvero di affidare la soluzione alla sorte.
— So bene — disse Carlotta — che in casi dubbi tu ricorri volentieri alle scommesse e al gioco dei dadi; ma in una questione così seria mi sembrerebbe un delitto.
— E che cosa dovrò scrivere al capitano? — esclamò Edoardo: — perché bisogna che me ne occupi subito.
— Una lettera calma, ragionevole, confortante, — rispose Carlotta.
— Il che equivale a non scrivere — ribatté Edoardo.
— Eppure — soggiunse Carlotta — in parecchi casi è necessario, e più gentile, scrivere frasi vuote che non scrivere affatto.
CAPITOLO SECONDO
Quando Edoardo si trovò solo nella sua stanza, il suo animo fervido era davvero sotto la gradevole influenza delle parole di Carlotta, che avevano rievocato in lui le vicende della sua vita e ridestato la coscienza del loro stato presente, dei loro progetti per l’avvenire. Vicino alla moglie, in sua compagnia egli si era sentito così felice che pensava di scrivere al capitano una lettera amichevole, affettuosa, ma calma e senza alcun accenno positivo. Senonché quando si fu avvicinato allo scrittoio ed ebbe preso la lettera dell’amico per rileggerla, la triste condizione di quel brav’uomo gli si ripresentò così viva che tutti i sentimenti che in quei giorni lo avevano angustiato si ridestarono in lui e gli parve impossibile abbandonare il suo amico in uno stato così penoso.
Edoardo non era abituato a negarsi qualcosa. Viziato fin da bambino come figlio unico di genitori ricchi, era stato da questi indotto a un matrimonio strano, ma assai vantaggioso, con una donna molto più attempata di lui, che a sua volta se l’era coccolato in tutti i modi, cercando di compensarlo della buona condotta verso di lei con la più larga generosità; dopo la morte di lei, avvenuta poco tempo dopo, era rimasto padrone di sé, libero di viaggiare a suo piacimento, di fare e disfare come più gli tornava gradito, pieno di desideri, mai eccessivi, ma frequenti e svariati, generoso, benefico, coraggioso, occasionalmente anche valoroso — cosa al mondo poteva contrastare i suoi desideri?
Fino a quel momento tutto era andato a modo suo, era riuscito anche a possedere Carlotta, conquistandola finalmente con una fedeltà ostinata, quasi romanzesca; ed ecco che per la prima volta si sentiva contraddetto, per la prima volta trovava un ostacolo, proprio quando voleva chiamare a sé l’amico di gioventù e concludere in qualche modo la sua intera esistenza. Irritato e impaziente, prese la penna in mano, la ripose più volte, indeciso su quello che dovesse scrivere. Contrariare i desideri di sua moglie non voleva, assecondarli non poteva; e come scrivere una lettera calma con l’inquietudine che sentiva nell’animo? Impossibile! La soluzione più naturale era di prendere tempo. Con poche parole chiese dunque scusa all’amico di non avergli scritto ultimamente e di scrivergli solo brevemente anche quel giorno, promettendo però di mandargli quanto prima una lettera più interessante e consolante.
L’indomani Carlotta approfittò di una passeggiata al medesimo luogo, per riattaccare il discorso, forse convinta che il metodo più sicuro per troncare un progetto è discuterlo spesso.
Edoardo fu molto lieto di riprendere l’argomento. Si espresse, com’era sua abitudine, con amabile cortesia: poiché, suscettibile com’era, se si infiammava facilmente, se la vivacità dei suoi desideri lo rendeva spesso insistente e la sua ostinazione poteva anche far perdere la pazienza, egli sapeva mitigare le sue manifestazioni con una delicatezza così riguardosa verso gli altri che anche quando riusciva molesto non si poteva fare a meno di subire il fascino della sua amabilità.
Cosi quella mattina egli cominciò col mettere Carlotta di ottimo umore, poi con espressioni seducenti la sconcertò al punto che ella finì per esclamare: — Tu vuoi proprio che io conceda all’amante quello che ho rifiutato al marito! — E continuò: — Per lo meno, mio caro, devi constatare che i tuoi desideri e l’amabile vivacità con cui li esprimi non mi lasciano indifferente né impassibile. Mi obbligano anzi ad una confessione. Anch’io ti ho nascosto una cosa. Mi trovo in una situazione simile alla tua, e mi sono imposta già quello stesso sforzo che ora intuisco in te.
— Mi fa proprio piacere — disse Edoardo; — mi accorgo che nella vita coniugale qualche volta è necessario litigare per conoscere i segreti reciproci.
— Devi dunque sapere — prosegui Carlotta — che di fronte ad Ottilia io mi trovo nella stessa condizione in cui sei tu nei riguardi del capitano. Per me è un vero cruccio sapere che quella povera figliola è in collegio, perché ci si sente troppo a disagio. Mia figlia Luciana, che è nata per il mondo, viene educata là proprio per il mondo, impara facilmente lingue, storia e tutto ciò che le viene insegnato, legge a prima vista pezzi e variazioni; di natura vivace e di memoria pronta, dimentica, si può dire, e ricorda tutto con la stessa istantaneità; si distingue dalle altre per la disinvoltura delle maniere, per la grazia nella danza, per la facilità appropriata dell’eloquio, e la sua indole istintivamente dominatrice fa di lei una regina nella sua piccola cerchia; per la direttrice dell’istituto è come una giovane dea, che, affidata alle sue mani, si sviluppa ora magnificamente ed è destinata a farle poi onore, a conquistarle fiducia ed a procurarle affluenza di nuove educande. Se dunque le prime pagine di tutte le sue lettere e relazioni mensili sono veri e propri inni, che naturalmente io so tradurre nella mia prosa, alle doti eccezionali di una simile ragazza, nelle ultime pagine riguardanti Ottilia si profonde invece in grandi scuse, dispiacendosi del fatto che una fanciulla così ben sviluppata fisicamente non riesca ad esserlo anche intellettualmente e non mostri nessuna attitudine, nessuna capacità. Questo, come le poche altre notizie che aggiunge sul conto suo, non è un enigma per me, perché in quella cara bimba io ritrovo tutto il carattere di sua madre, l’amica mia più preziosa, cresciuta accanto a me, e sono sicura che se potessi educare o sorvegliare io la sua figliola, ne farei una creatura magnifica.
«Ma siccome ciò non rientra nel piano della nostra vita normale e non è bene farvi troppi strappi o apportarvi continue modiche, preferisco subire la mia pena e superare anche il dispiacere che provo, quando mia figlia, la quale sa benissimo che la povera Ottilia dipende in tutto e per tutto da noi, con lei abusa altezzosamente della propria superiorità, annullando così in certo modo il nostro beneficio.
«D’altra parte chi è così perfetto da non far valere talvolta in modo crudele per gli altri i propri privilegi? E chi sta così in alto da non dover talvolta soffrire di una simile oppressione? Queste prove accrescono senza dubbio il valore di Ottilia; tuttavia da quando io mi sono resa conto della sua penosa situazione, ho cercato il modo di collocarla altrove. Attendo risposta da un momento all’altro, e poi non indugerò più. Ecco il mio segreto, amico mio. Vedi che ambedue abbiamo nel cuore le stesse ansie, ispirate da una fedele amicizia. Sopportiamole insieme, poiché l’una non elimina l’altra.
— Strani esseri siamo! — disse Edoardo sorridendo. — Se appena riusciamo ad allontanare dalla nostra presenza quanto ci preoccupa, crediamo che tutto sia accomodato. Siamo pronti a sacrifici completi, ma alle piccole rinunce raramente ci sappiamo adattare. Così era mia madre. Fin che le vissi accanto, da ragazzo o da giovane, non riuscì mai a sottrarsi alle ansie del momento; se tardavo a rientrare da una cavalcata, doveva essermi capitata una disgrazia, se un acquazzone m’inzuppava, certo mi veniva la febbre. Cominciai a viaggiare, mi allontanai da lei, e fu come se non le appartenessi più.
— A pensarci bene, — continuò — commettiamo tutti e due una sciocchezza e veniamo meno alla nostra responsabilità, lasciando nella pena e nell'angustia due esseri così nobili e così cari al nostro cuore, solo per non esporci ad un pericolo. Se questo non si chiama egoismo, cosa meriterebbe di esserlo? Tu prenditi Ottilia, lascia a me il capitano, e proviamo, in nome di Dio!
— Sarebbe una cosa da tentare, — osservò Carlotta pensierosa — se il pericolo fosse per noi due soli. Ma ti sembra consigliabile far vivere nella stessa casa il capitano, che ha pressappoco la tua età, l’età (lascia che ti dica in faccia questo complimento), in cui l’uomo è più capace e più degno d’amore, e una ragazza con le doti di Ottilia?
— Veramente non capisco — replicò Edoardo — come tu possa preoccuparti tanti delle doti di Ottilia! Me lo spiego solo pensando che ella ha ereditato il tuo affetto per sua madre. È carina, è vero, e mi rammento che il capitano me la fece notare un anno fa, quando la incontrammo con te da tua zia al nostro ritorno. Carina, ha soprattutto dei begli occhi, ma non mi pare che abbia fatto su di me la minima impressione.
— Questo torna a tuo onore, — disse Carlotta — perché ero presente io: e per quanto ella sia molto più giovane di me, la presenza dell’amica più anziana aveva per te un tale fascino che non vedesti nemmeno quella promettente bellezza in procinto di sbocciare. È anche questo un tratto della tua natura, per cui io divido cosi volentieri la vita con te.
Carlotta, malgrado la sua apparente sincerità, nascondeva tuttavia qualcosa. Al ritorno di Edoardo dai suoi viaggi, ella gli aveva infatti presentato Ottilia con intenzione, nella speranza di procurare alla diletta figlia adottiva un così buon partito: giacché non pensava ormai più ad una possibilità per se stessa nel riguardi di Edoardo. Anche il capitano era stato segretamente incaricato da lei di richiamare l’attenzione dell’amico sulla fanciulla; ma questi, che nel cuore serbava tenace il suo primo amore per Carlotta, non aveva guardato né a destra né a sinistra, felice soltanto all’idea che gli si aprisse la possibilità di raggiungere finalmente un bene desiderato con tanto ardore, che per una serie di eventi pareva dovesse essergli negato per sempre.
I due coniugi stavano per scendere verso il castello dalla parte dei nuovi lavori, quando si videro venir incontro di corsa un servitore, che già dal basso gridò loro, ridendo: — Signori, venite, presto! Il signor Mittler è entrato al galoppo nel cortile del castello. Ha gridato a tutti quanti noi di correre a cercarvi