La fata del dolore
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Book preview
La fata del dolore - Hermann Sudermann
La Fata del Dolore
Hermann Sudermann
In copertina: Gustav Klimt, Morte e Vita, 1911
© 2010 REA Edizioni
Via S.Agostino 15
67100 L’Aquila
Tel diretto 348 6510033
www.reamultimedia.it
redazione@reamultimedia.it
La Casa Editrice esperite le pratiche per acquisire tutti i diritti relativi alla presente opera, rimane a disposizione di quanti avessero comunque a vantare ragioni in proposito.
Indice
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XXI
XXII
XXIII
I
Proprio nel momento in cui fu messa all'asta la tenuta appartenente a Meyhófer, nacque il suo terzo figlio, al quale fu posto il nome di Paolo.
Quelli furono tempi duri davvero!
La signora Elisabetta, col viso angosciato e col sorriso melanconico, sdraiata sul suo enorme letto, con la culla del neonato accanto, girava inquieta gli occhi ascoltando ogni rumore che dal cortile e dalle altre stanze giungeva sino alla sua triste camera dl puerpera.... scattando ogni volta che le pareva di udire qualche cosa di sospetto.... come una voce sconosciuta d'uomo, o il rumore sordo di una carrozza: allora domandava con ansia, stringendo forte una colonna del letto:
— Sono arrivati? sono arrivati?
Nessuno le rispondeva. Il medico aveva ordinato severamente di risparmiarle ogni agitazione, e il buon uomo non pensava che quella continua inquietudine ed aspettativa erano per lei mille volte più tormentose di ogni terribile certezza.
Una mattina... cinque giorni dopo aver dato alla luce il piccolo Paolo, udì passeggiare su e giù per la stanza attigua suo marito che proferiva bestemmie e mandava lunghi sospiri; lo aveva appena visto in quei tristissimi giorni. Sentì pure che egli, in mezzo alle altre esclamazioni, ripeteva continuamente una parola: — senza casa!
Seppe allora che erano arrivati.
La povera madre pose la mano debole sulla testolina del neonato, che se ne stava lì tranquillo, col visino serio serio... nascose il viso fra i guanciali e pianse.
Dopo qualche tempo venne la donna di servizio per attendere al bambino e la signora le disse:
— Avverti il padrone che desidero parlargli.
Egli venne... entrò con passi rumorosi e si fermò dinanzi al letto della puerpera guardandola con un viso, che quanto più si sforzava di rendere disinvolto, tanto maggiormente sembrava alterato e disfatto.
— Max — fece lei timida, poiché aveva sempre una certa paura del marito. -Max, non nascondermi nulla, purtroppo sono preparata a tutto.
— Davvero? — domandò lui titubante, ricordandosi dell'avvertimento del medico.
— Quando dobbiamo andarcene?
Vedendo con quanta calma guardava in faccia alla sventura, pensò che non ci fosse bisogno di nessun riguardo, e proruppe a dire con violenza:
— Oggi.... domani.... come vorrà il nuovo padrone.... siamo qui ancora per sua misericordia soltanto; e se a lui piacesse di farci passare la notte nella strada lo dovremmo fare.
- Ma non sarà così inumano, Max, — disse lei sforzandosi di rimanere calma — Se solo sapesse che ci è nato questo piccino da pochi giorni....
— Oh! davvero, ed io forse dovrei andare a chiedergli la grazia di restar qui ?
— Oh! no certo ! ma egli lo farà da sè. Chi è?
— Si chiama Douglas.... viene dalle vicinanze di Insterburg.... si è dimostrato molto tronfio e superbo.... ed io lo avrei cacciato tanto volentieri dalla tenuta.
— Dimmi, c'è rimasto qualche cosa?
Fece questa domanda a voce bassa e titubante, mentre guardava il neonato la cui fragile vita dipendeva forse dalla risposta di lui.
Egli proruppe in una risata cruda.
— Si, un' elemosina.... duemila scudi in contanti!
La povera madre mandò un sospiro di sollievo, poiché si era aspettata di sentir proferire dalle labbra del marito il terribile nulla
.
— A che ci servono duemila scudi? Dopo che ne abbiamo buttati via cinquantamila? Debbo forse aprire una bettola in città, o una botteguccia di metri e bottoni ? Del resto anche tu potrai aiutarmi andando a cucire a giornata nelle case dei ricchi, e i bambini andando a vendere i fiammiferi nelle strade.... Ah ! Ah Ah ! — e cacciava le mani nei capelli folti già brizzolati, urtando nella culla che dondolava forte.
- Perché mai è nato questo poverino? — mormorò cupamente, poi si mise in ginocchio dinanzi alla culla, prese nelle sue mani grosse e rosse i pugni del bimbo e si mise a parlargli.
— Se tu avessi saputo, bambino mio, quanto è cattivo e miserabile questo mondo, quanto trionfino sempre l'insolenza e la birbanteria, e la bontà e la probità vadano al di sotto, certo saresti rimasto dov'eri.... Che sorte avrai?... tuo padre è una specie di vagabondo, un fallito che andrà ramingo per le vie con la moglie e con i figli, finché non abbia trovato un posto in cui possa finire di rovinare sé ed i suoi.
— Max, non dir così- tu mi spezzi il cuore.... — esclamò la signora Elisabetta piangendo e stendendo una mano per posarla sul collo del marito; ma il braccio le ricadde privo di forze.
Egli balzò in piedi.
— Hai ragione.... tregua ai lamenti...! Certo, se fossi solo adesso, se fossi scapolo, andrei in America o nelle steppe della Russia, là si può arricchire; si, si può arricchire.... potrei anche speculare in borsa.... oggi al rialzo, domani al ribasso.... Certo, in tal modo si potrebbero guadagnare molti denari, ma così.... legato come sono.... — e ciò dicendo gettò uno sguardo pietoso sopra la moglie ed il bambino e indicò con una mano il cortile da cui si udivano venire le voci allegre dei due bimbi maggiori.
— Già, lo so purtroppo che peso siamo ora per te — fece la signora Elisabetta umilmente.
— Non parlarmi di peso — rispose lui con impeto — non l'ho detto con cattiva intenzione. Vi voglio bene... e basta! Ma ora si tratta di sapere dove andremo. Se almeno non fosse nato questo bambino! Si potrebbero sopportare per qualche tempo le peripezie di una vita avventurosa; ma ora, con te ammalata e col bimbo che ha bisogno di tante cure!... infine non ci resta altro che comprare una masseriuccia e dare in acconto i duemila scudi. Allegri! allegri! Che bella vita sarà.... io con la bisaccia e con la vanga, tu col paniere e il secchio del latte!
- Questa non sarebbe la peggior cosa — disse con voce sommessa la signora Elisabetta.
— Ah no? — fece lui con un riso amaro — ebbene allora sarai servita. C'è in vendita Mussainen, quel disgraziato terreno paludoso laggiù nella landa.
— Oh e perché proprio quello! — disse lei rabbrividendo
Ma lui s'innamorò subito di tale idea.
— Si, è come bere il calice amaro fino all’ultima goccia. Avere sempre in vista lo splendore perduto.... (perché devi sapere che da laggiù si vedono scintillare i cristalli della villa Helenenthal) ed esser circondati da circa duecento ettari di palude e di terreno incolto.... forse qualche cosa si presta alla coltivazione… potremmo diventare i pionieri dell'agricoltura.... e sai che cosa direbbe la gente, direbbe " Vedi un po' che uomo è il Meyhofer! Lui non si vergogna della sua disgrazia, anzi la guarda quasi in faccia con ironia. Sicuro! Bisognerebbe prendere a ridere la propria sventura!... questo è l'unico degno modo di considerare il mondo, bisognerebbe infischiarsene!
E mandò fuori un fischio così stridulo che l'ammalata scattò in piedi.
— Perdonami, amor mio, — continuò lui accarezzandole una mano; poi ad un tratto soggiunse in tono allegrissimo: — Ma non ho ragione forse? Bisognerebbe infischiarsene. Quando si è onesti e si ha la coscienza a posto, ogni disgrazia si può sopportare con una certa voluttà! Si, voluttà è la parola giusta.... il terreno si può comprare quando si vuole. Il proprietario ha preso da poco una moglie che possiede una grande tenuta e perciò lascia andare più che mai in rovina quella vecchia bicocca.
Pensaci bene prima, Max - supplicò la signora Elisabetta con grande angoscia.
- Che cosa giova il titubare — rispose lui con violenza. — Non possiamo rimanere a carico di questo signor Douglas, né aspettarci nulla di meglio con la miseria di duemila scudi.... dunque, via, compriamolo! E senza nemmeno dire addio all'ammalata se no andò.
Pochi minuti dopo, la signora Elisabetta sentì che partiva nel suo calesse.
Nel dopo pranzo di quello stesso giorno le fu annunziata una visita; le dissero che c'era una bella ed elegante signora, venuta in una splendida carrozza, che domandava di vederla, senza voler palesare il suo nome.
— Che cosa strana! — disse fra sé la signora Elisabetta; ma siccome nel suo dolore cominciava un pochino a credere all'intromissione celeste, non rifiutò di ricevere la visita.
L'uscio si apri; una figurina snella e ben fatta dai lineamenti fini e morbidi, entrò a passi leggeri nella camera, si accostò al letto della puerpera, le prese la mano senza tanti preamboli dicendo con voce dolce e velata:
— Non ho voluto dire il mio nome, cara signora Meyhòfer, per paura di non essere ricevuta. E anche adesso preferirei di rimanere incognita, perché disgraziatamente ho ragione di temere di non essere accolta con molta benevolenza quando dirò il mio nome.
— Non odio nessuno al mondo — rispose la signora Elisabetta — e molto meno un nome.
— Mi chiamo Elena Douglas — disse dolcemente la signora, stringendo più forte la mano dell'ammalata.
La signora Elisabetta si mise subito a piangere, ma la sua visitatrice, quasi fosse stata una vecchia amica, le passò un braccio attorno al collo, la baciò in fronte e disse con la voce sommessa e carica di conforto:
— Non mi abbiate a noia; il destino ha voluto che io vi privassi del possesso di questa casa, ma non ne ho colpa. Mio marito ha voluto farmi una sorpresa perché questa tenuta porta il mio nome di battesimo; ma non no ho avuto più nessun piacere quando ho sentito in quali circostanze è stata comprata e come appunto voi, cara signora, ne abbiate sofferto, specialmente trovandovi in una condizione così pericolosa. Ho sentito il bisogno di alleggerirmi il cuore venendovi a chiedere scusa in persona del dolore che vi ho cagionato e che vi cagionerò ancora, poiché i tempi tristi non sono ancora finiti.
La signora Elisabetta aveva appoggiato la testa alla spalla della straniera e piangeva cheta cheta.
— Forse posso esservi anche un pochino utile — continuò la signora Douglas, — se non altro col togliervi un po' d'amarezza
Noialtre donne, di solito, c'intendiamo meglio di quel che non facciano gli uomini, che sono sempre più ruvidi e impetuosi fra loro; le sofferenze che abbiamo in comune ci avvicinano. Vi dirò prima di tutto che ho parlato con mio marito e vi prego a mio ed a suo nome di considerare questa casa come vostra per quanto tempo vi farà piacere. Noi passiamo l'inverno quasi sempre in città e poi abbiamo anche un'altra tenuta in cui vogliamo mettere un amministratore. Vedete dunque che non ci disturbate in nessun modo, anzi ci fate un piacere mandando avanti le cose qui, come avete fatto fin ora, almeno per altri sei mesi.
La signora Elisabetta non la ringraziò, ma gli occhi umidi di pianto che alzò sulla straniera furono abbastanza eloquenti.
— Ed ora state allegra, mia cara signora — disse la signora Douglas — e se in avvenire avrete bisogno di aiuto, pensate che c'è qualcuno qui che ha da farsi perdonare molto da voi.... Oh che bel bambino! — continuò volgendosi verso la culla — È un maschio o una femmina?
— Un maschio — rispose la signora Elisabetta con un lieve sorriso.
— E venendo al mondo ha trovato dei fratellini!... E i due robusti birichini che mi hanno ricevuto quando sono scesa di carrozza!... potrei fare una più intima conoscenza con loro?... No, no, non qui — continuò rispondendo ad un gesto dell'ammalata. — Ci sarà tempo, ci sarà tempo! Per ora ci dobbiamo occupare soltanto di questo piccolo ometto.
Si chinò sulla culla e accomodò la cuffietta al piccino.
— Dimostra già un viso di piccolo vecchietto filosofo — disse scherzando la giovane signora.
— Il dolore è stato vicino alla sua culla — rispose la signora Elisabetta cori voce bassa e melanconica — perciò ha questo viso di piccolo vecchio.
— Oh! non bisogna essere superstiziosi, mia cara, — rispose la visitatrice — mi dicono che i neonati hanno spesso qualche cosa di vecchio nelle loro piccole fattezze, che però passa presto.
— Avrete certo anche voi dei figli? — domandò la signora Elisabetta.
— Ma io sono ancora una sposa novella - rispose la signora Douglas arrossendo — Sono maritata da sei mesi appena, però.... — ed arrossì maggiormente.
— Dio vi aiuti nell'ora del pericolo — disse la signora Elisabetta. — Io pregherò per voi.
Gli occhi della giovane sposa s'inumidirono.
— Grazie, mille grazie, — disse — e fate che siamo amiche, ve ne prego con tutta l'anima, e.... sentite, prendetemi per comare di questo piccino e rendetemi poi questo servizio d'affetto quando il Cielo mi benedirà di un figlio.
Le due donne si strinsero tacitamente la mano; il loro patto di amicizia era stipulato.
Quando la visitatrice partì, la signora Elisabetta si guardò attorno con espressione triste e paurosa.
— Sinora tutto qui mi pareva chiaro e luminoso, ma ad un tratto ogni cosa è tornata nel buio.
Di lì a poco, malgrado il divieto dell'infermiera, i due ragazzi maggiori si precipitarono in camera dell'ammalata con gridi di gioia; ognuno di loro aveva un pacco di dolci in mano.
— Lo vedi, mamma, che cosa ci ha regalato la signora forestiera? — esclamarono. La signora Elisabetta sorrise e disse:
— Zitti, bambini; è sceso un angelo in casa nostra!
I due ragazzi spalancarono gli occhi tutti sbigottiti e domandarono:
— Come, mamma, un angelo?
II
Così la signora Douglas fu la comare di Paolo. Il signor Meyhofer si arrabbiò molto per quella nuova amicizia, dicendo che non aveva bisogno della compassione dei felici; ma quando la gentile e soave signora venne la seconda volta per persuaderlo, egli non ebbe più il coraggio di dir di no.
Acconsentì anche a rimanere un altro poco in quella casa, benché di mala voglia. La masseria Mussainen, che aveva comprato, difatti, il giorno stesso in cui l'aveva detto, era in uno stato così deplorevole da esser pericoloso portarci la moglie ed il bambino in quelle giornate fredde autunnali. Prima di pensare a traslocare bisognava fare le riparazioni necessarie.
Malgrado ciò, la signora Elisabetta fu costretta dalla cocciutaggine di suo marito a recarsi nella nuova abitazione molto prima che i lavori fossero finiti. Un giorno venne ad Helenenthal un fattore del nuovo padrone con alcuni lavoranti per chiedere modestamente alloggio a nome del signor Douglas; Meyhófer dichiarò che la considerava un'ingiuria fattagli a bella posta e che perciò non sarebbe rimasto un giorno di più nella terra che era stata una volta sua.
Fu in una giornata fredda e torbida di novembre che la signora Elisabetta coi suoi figli disse addio alla vecchia e cara casa. Cadeva una pioggerella fitta e minuta; la landa deserta e desolata che si stendeva dinanzi ai suoi sguardi era avvolta in un nebbione grigio.
Col piccino al petto e coi due maggiori che piangevano accanto, salì nella carrozza che doveva condurla verso il suo nuovo ed, ahimè, triste destino.
Uscendo dal cancello del cortile dove il vento cominciava a frustare il viso come verghe ghiacciate, anche il piccino, che fino allora era stato tranquillo e zitto.... cominciò a piagnucolare; la signora Elisabetta lo avviluppò più stretto nel mantellino e sprofondò il suo viso sul piccolo e tremante corpicciolo per nascondere le lacrime che le scorrevano giù per le guance senza ch'ella potesse trattenerle.
Dopo una mezz'ora di cammino in strade melmose la carrozza giunse a destinazione; quando la signora Elisabetta scorse la nuova dimora, mancò poco che non cacciasse un grido, vedendo tanta desolazione, tanta rovina dinanzi ai suoi occhi.
Capanne fabbricate di argilla e di eriche.... un cortile melmoso.... la casa di abitazione bassa col tetto coperto di assicelle e con le mura scalcinate qua e là.... un giardino abbandonato, nel quale, accanto agli ultimi e tristi avanzi della flora estiva, aster e girasoli, crescevano degli erbaggi mezzo andati a male.... il tutto cinto da uno stecconato dipinto di un colore antipatico come se quella verniciatura fosse stata l'ultima unzione data alla masseria prima della sua fine.... tale era il soggiorno in cui la famiglia del povero agronomo fallito doveva vivere d'allora in poi.
Tale era il soggiorno ove il piccolo Paolo crebbe, a cui dedicò tutte le tenerezze della sua infanzia e che ne fece poi scopo della sua vita.
Nei suoi primi anni, Paolo era una creatura delicata, malaticcia e più di una notte la madre tremò che la debole luce della sua vita non si spegnesse prima dell'alba; allora rimaneva seduta in quella camera tetra e bassa, coi gomiti appoggiati alla sponda del lettino, fissando gli occhi ardenti sul corpicciolo magro che si contorceva dolorosamente nelle convulsioni.
Ma egli superò tutte le crisi della prima infanzia ed arrivato a cinque anni (benché fosse deboluccio ed avesse sempre un viso scialbo di vecchietto) era un ragazzo sano, sul cui avvenire si potevano fondare delle speranze.
Da quel momento cominciano i suoi primi ricordi.
La cosa che gli tornò poi in mente spesso anche negli anni più avanzati è questa:
La camera era semi oscura, ai cristalli delle finestre c'erano i geroglifici di ghiaccio e la luce rosea del tramonto penetrava dalle tende. I fratelli maggiori erano andati a pattinare; ma lui era a letto perché doveva coricarsi di buon'ora. Al suo capezzale stava assisa la mamma, che gli aveva passato una mano sotto la testa e posto l'altra sulla sponda della culla, dove dormivano le sorelline portate entrambe l'anno prima dalla cicogna.
— Mamma, raccontami una novella — chiese lui.
E la mamma gli raccontò..., ma che cosa? Ne ricordava soltanto una confusamente, ma si trattava di una Donna Grigia che era andata a trovare la mamma in tutte le ore tristi della vita, una donna dal viso pallido e sparuto, dagli occhi gonfi di lagrime. Ed era venuta come un'ombra e come un'ombra era sparita, stendendo le mani sulla testa della mamma, incerta se per benedire o per maledire e dicendo molte parole che avevano relazione con lui, col piccolo Paolo. Si trattava di un sacrificio e di una redenzione, ma le parole le aveva dimenticate, poiché probabilmente la sua intelligenza era allora troppo poco sviluppata per capirle. Di una cosa però si ricordava benissimo: mentre se ne stava lì ad ascoltare le parole della mamma, non potendo più tirare il fiato dall'ansia e dalla paura, aveva visto a un tratto comparire la figura della Donna Grigia in persona, con le braccia stese e col viso pallido e mesto, come l'aveva sentita descrivere.... Egli nascose il capo fra le braccia della mamma.... il cuore gli cominciò a battere forte forte, il respiro a mancargli, finché cacciò un urlo di angoscia mortale e disse:
— Mamma, eccola, eccola!
— Chi la Dona Grigia? — chiese la mamma.
Egli non rispose, ma si mise a piangere.
— Dov'è? — continuò a chiedere la mamma.
Là, vicino all’uscio — rispose attaccandosi al collo della mamma, mezzo morto dalla paura.
— Oh! stupidello che sei! - fece la mamma — quello là è il lungo mantello da viaggio del babbo.
Ed andò a prenderlo, e glielo foce toccare di sopra e di sotto affinché si convincesse bene. Alla fine si diede per vinto, ma in cuor suo rimase persuaso di aver visto in faccia la Fata del dolore, perché adesso sapeva anche il suo nome.
Si chiamava dunque la Fata del dolore.
Ma la mamma si era fatta pensierosa e non fu possibile indurla a finire la novella, nemmeno più tardi, per quanto la supplicasse.
Di chi fosse suo padre in quegli anni si ricordava soltanto confusamente; era un uomo con grandi stivaloni, un uomo che sgridava la mamma e bastonava i fratelli e che di solito non lo vedeva, poiché non lo guardava che di rado e di traverso con una espressione che non prometteva niente di buono. A volte, e sopratutto dopo essere stato in città, aveva il viso come una