10 Kilowatt
By Antonio Disi
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Una visione molto umana e poco razionale di un tema di grande attualità.
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Book preview
10 Kilowatt - Antonio Disi
dell’interruttore
INDICE
SMART CINA
IL LAMPIONE DI SAMANTHA
154
FINCHÉ MORTE
STENBAI
DOPPI VETRI
IMPATTO ZERO
CALORI SINISTRI NELLA NOTTE
IL PETROLIERE
LIBERA
a mio padre
SMART CINA
Il rancore ha mille forme, quello di Salvatore si chiamava Cina.
«Maledetti cinesi, mi hanno inguaiato la vita!» Quando Salvatore si arrabbiava se la prendeva sempre con la Cina causa, secondo lui, di tutti i suoi mali. La crisi economica, il babà che non sapeva più di babà, la moglie che lo aveva lasciato.
Tutto era in qualche modo collegato ai cinesi che avevano ormai invaso il suo piccolo quartiere rilevando negozi, pizzerie e, a sua detta, occupando perfino la chiesa da quando era arrivato un viceparroco che, il realtà, era vietnamita.
Chiuse il portone del palazzo sbraitando e risalì sulla vecchia Cinquecento parcheggiata in doppia fila. Il cellulare squillò più volte durante il tragitto ma lui non volle rispondere, impegnato com’era a pensare. Aveva perso un altro cliente. Dopo il Cavaliere e il professor De Luca, anche il circolo delle bocce, la merceria Quagliarulo e la sala giochi di via Speranzella. Era il quinto caso in due giorni. Non era mai accaduto in tanti anni di onorata carriera.
Salvatore era un’istituzione in città e anche fuori. Aveva iniziato da bambino, un po’per gioco ma soprattutto per tradizione familiare. Il nonno era bravissimo a truccare le bilance che si usavano nei mercati per pesare la frutta, il pesce e le olive. Passava tutto il tempo nel suo laboratorio a smontarle, studiandone i complessi meccanismi e modificandole per aiutare gli ambulanti a lucrare qualche grammo sul peso finale della merce. Secondo suo nonno quel lavoro era come una missione e Salvatore, al ritorno da scuola, era sempre lì a dargli una mano, a ricevere i clienti che andavano via molto soddisfatti.
Ma a Salvatore non piacevano i mercati. Gli dava fastidio quella puzza di pesce che rimaneva attaccata ai piatti delle bilance. O anche l’alito pestilenziale di Gennaro ‘o chiattone che vendeva olive e frutta secca al mercato di Arzano e quando faceva visita al nonno prendeva in braccio il piccolo Salvatore e lo riempiva di baci, inquinando l’aria della stanza con un tanfo insopportabile.
Per sfuggire a quel triste destino, Salvatore si era specializzato nei contatori dell’Enel. Grosse scatole nere riposte nei sottoscala dei palazzi che misuravano il consumo di energia elettrica delle abitazioni. Un lavoro domestico, insomma. Niente bancarelle e, soprattutto, niente puzza.
Il funzionamento era abbastanza semplice. Dentro la scatola c’era un motore elettrico con una rotella che girava più o meno velocemente a seconda del consumo di energia. Il girare di questa rotella faceva avanzare i numeri del contatore. Ogni tanto passava un addetto della società elettrica che veniva a leggere quei numeri e, dopo qualche tempo, arrivava la bolletta con l’importo da pagare.
La prima volta fu il contatore della zia Elvira che abitava nel suo stesso palazzo. Zia Elvira era una delle