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Un Pacco nel Palazzo dei Poteri
Un Pacco nel Palazzo dei Poteri
Un Pacco nel Palazzo dei Poteri
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Un Pacco nel Palazzo dei Poteri

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About this ebook

Il romanzo è un thriller. Ma non c’è violenza, né sangue e nemmeno morti. Eppure tratta di un delitto che si dovrebbe compiere dentro la più alta istituzione della Calabria: il Consiglio regionale. Un pacco, che nel gergo politico sta per un grande imbroglio, compiuto senza la consapevolezza dei molti, è ordito da un cinico gruppetto di consiglieri regionali. Il delitto si dovrà compiere nella seduta notturna della sessione del bilancio. Una giovanissima consigliera regionale e due attempati colleghi intuiscono la trama e si organizzano per impedire che esso si consumi. Tuttavia il pacco è difficile da contrastare ed essi si imbattono in politici avvezzi al potere, presenze esterne al palazzo in cui si ritrovano o si avversano, pezzi di massoneria deviata, settori collusi della curia, personaggi di mafia che temono l’intrusione in Calabria di forze ben più violente della loro. Il disegno perverso, concepito a Roma e a Malta, ha bisogno del voto di una maggioranza, ma i tre che cercano di bloccare il pacco, si organizzano per frantumarla. Ci riusciranno?
La trama del romanzo si svolge dentro Palazzo Campanella, ma è una storia del tutto fantasiosa e integralmente inventata dall’autore; né reali sono i personaggi che vi compaiono, protagonisti di una ritualità dell’azione istituzionale che il più delle volte sfugge agli osservatori esterni.
LanguageItaliano
Release dateOct 2, 2014
ISBN9788868222147
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    Un Pacco nel Palazzo dei Poteri - Damiano Guagliardi

    Damiano GUAGLIARDI

    Un pacco

    NEL PALAZZO DEI POTERI

    Qualsiasi riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

    Edizione eBook 2014

    ISBN: 978-88-6822-214-7

    Via Camposano, 41 - 87100 Cosenza - Tel. 0984 795065 - Fax 0984 792672

    Siti internet: www.pellegrinieditore.com - www.pellegrinilibri.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    A Cenzino

    Parte prima

    2010 L’Antefatto

    Il 13 dicembre 2007, giorno di santa Lucia, l’allora presidente della Regione Calabria, Antonio Lombisano, logorato da quasi tre anni di risse interne, inchieste della magistratura, arresti di consiglieri eletti dalla mafia, dopo due giorni di isolamento assoluto si recò presso il protocollo del Consiglio regionale e presentò le dimissioni dalla carica, interrompendo con tre anni di anticipo l’ottava legislatura regionale.

    Nelle giornate del 6 e 7 aprile 2008 si tennero le elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale e l’elezione diretta del Presidente della Regione.

    L’onorevole Alvaro Gualtiero, espressione di una presunta coalizione di centro sinistra, molto annacquata, superò con 88927 voti il suo avversario, senatore Rosolindo Rispoli, espressione di una coalizione di centro destra, anch’essa presunta e molto annacquata, diventando il terzo Presidente eletto direttamente dal popolo calabrese.

    Così il 29 aprile, dieci giorni dopo, l’Ufficio elettorale della Corte d’Appello di Catanzaro proclamò l’elezione del nuovo Consiglio regionale della IX Legislatura della Regione. Alla coalizione vincente, da quel momento maggioranza regionale, furono assegnati trenta seggi più quello del Presidente; venti invece quelli assegnati alla coalizione perdente, che divenne la minoranza di palazzo Campanella.

    Venerdì 2 aprile 2012

    -1-

    Quel 2 aprile del 2012 la temperatura si era sensibilmente abbassata e la pioggia battente, per alcuni tratti, era diventata nevischio. Sulle montagne circostanti la neve era stata sicuramente abbondante.

    Attorno alle 09:15, l’automobile di Carmine Loricchio, guidata dal suo giovane collaboratore Battista Presta, uscì dalla piazza del paese per imboccare la statale che l’avrebbe portata verso l’autostrada e poi a Reggio Calabria, sede del Consiglio regionale.

    Giunto allo svincolo di Cosenza Sud, Battista imboccò l’uscita per prendere i due collaboratori che lo attendevano alla rotonda. Sulla salita verso Lago il vento aumentò e nubi dense di pioggia, spinte dal vento di nord-est, ad intervalli, scaricarono acqua come Giove pluvio comanda. Era una giornata particolarmente difficile per viaggiare in autostrada. Tir e spediti autobus, procedendo a velocità più alta di quella consentita, creavano spesse scie liquide che, ingrossate dal vento turbinoso, diventavano vere e proprie barriere d’acqua per chi aveva la sfortuna di stare dietro. Ogni qualvolta Battista Presta era costretto ad effettuare un sorpasso, gli altri tre viaggiatori trattennevano il respiro, non per sfiducia per chi era alla guida, ma per la scarsa visibilità che incuteva paura.

    Intorno alle 11:00, poco prima dell’uscita di Rosarno, il cielo cominciò a schiarire; sulla loro destra si intravedeva il cielo azzurro, striato da lunghe strisce di nuvole bianche.

    «Ci fermiamo a bere un caffè alla stazione di servizio?» propose Carmine Loricchio.

    «Ci vuole proprio una sosta. E poi, al rifornimento, siamo attesi da Domenico» rispose Battista Presta.

    «Certo che Domenico è davvero vittima del fumo. Preferisce viaggiare da solo pur di poter fumare in macchina» commentò Saverio Funaro, detto il Caimano per la famelica attrazione verso il gentil sesso.

    «Considerata la nota e rinomata, nonché conclamata, tirchieria del nostro amico Mimmo, conviene affermare che è del tutto evidente che per il nostro valente consulente Domenico Marchese vale più un tiro di sigaretta che non trenta euro di benzina, con l’aggiunta di un viaggio in solitudine» aggiunse con tono canzonatorio Romualdo Tastone, mentre si scuoteva dalla lunga pennichella mattutina in cui era scivolato dall’imbocco dell’autostrada. E per meglio rinforzare il suo concetto, dopo aver abbassato il finestrino, continuò: «Se poi vogliamo mutuare il celebre megliu lu pilu che lu pani di Otello Profazio, possiamo dire che è meglio lu pilu ca la cigaretta. Convenite, compagni, o no?»

    In effetti Domenico Marchese, originario di Pagliarelle, popolosa e rigogliosa frazione di Petilia Policastro, comunità di probabile origine bruzia, era stato scelto come consulente da Carmine Loricchio per le sue profonde conoscenze in materia di legislazione regionale. Nonostante la sua collaudata propensione a trattenersi dall’aprire il proprio portafoglio, soprattutto in occasione di spese comuni o voluttuarie, egli non badava al denaro allorquando si trattava di godere l’aspirazione voluttuosa del fumo delle sue amate sigarette Esportazioni con filtro. Era un così incallito fumatore che già alle 08:00 del mattino il suo alito emanava uno disgustoso lezzo di tabacco bruciato, da rendere del tutto sgradevole la vivibilità in piccoli ambienti come l’abitacolo di una vettura. Difetto a cui riparava consumando enormi quantità di acqua minerale gassata e di caramelle alla menta. Domenico Marchese aveva inoltre altre due grandi passioni.

    Da ragazzo aveva lasciato la sua amata Pagliarelle per trasferirsi in un imponente casolare settecentesco della campagna di Isola Capo Rizzuto, avuto come donazione dallo zio Micuzzo, ultimo rampollo di un’aristocratica famiglia di sangue spagnolo in linea materna. Diventato ricco per i tanti lasciti famigliari, lavorava solo per passione, ma amava vivere nella solitudine perché essa gli consentiva di godere in libertà i suoi hobby. Era anche un appassionato studioso della storia moderna; divoratore di libri e di documenti storici, era diventato esperto conoscitore degli ultimi due secoli della storia contemporanea. Da anni conduceva una ricerca sulle organizzazioni massoniche calabresi, a partire dal 1799, anno della Repubblica partenopea. La storia era dunque la sua seconda passione, dopo le sigarette.

    La terza era costituita dalle donne, delle quali era un instancabile frequentatore. Per il gentil sesso, dimenticava la riconosciuta parsimonia per trasformarsi in un prodigale spendaccione, disponibile a soddisfare ogni richiesta dell’amica del momento.

    Viveva in campagna da solo per godere appieno tali passioni. In questo modo, nessuno poteva lamentarsi del fumo che appestava l’ambiente, tantomeno conoscere le sue frequentazioni femminili, né distrarlo dai suoi studi. Quand’era all’università aveva conosciuto un bellissima ragazza romagnola, una ventenne riminese, esuberante e avvenente, che aveva perso la testa per lui. Dopo una notte di sesso tempestoso, vino e sigarette, avevano deciso di vivere nello stesso appartamento. L’ indomani a Urbino, città dei loro studi, per effetto della solita perturbazione dei Balcani, cominciarono a cadere gelidi fiocchi di neve. Domenico, con la sua sgangherata Simca, raggiunse la pensione di Fiorella, caricò le valigie della ragazza e la portò nel suo appartamento all’ultimo piano di un palazzo cinquecentesco di via Raffaello. Mentre fuori nevicava abbondantemente, preparò una cena con prodotti tipici del crotonese, che consumarono a lume di candela. Dall’alto delle finestre ammirarono in silenzio i copiosi fiocchi che scendevano sulle strade imbiancate, poi lei si avvicinò e appoggiò la testa sulla sua spalla; solo in quel momento Domenico l’abbracciò, fecero l’amore lungamente, addormentandosi all’alba mentre ancora nevicava. Il terzo giorno decisero di sposarsi e di vivere a Rimini. Continuava a nevicare, l’eccessivo ghiaccio rendeva difficile circolare a piedi; ma per loro era meglio così: restando chiusi in casa potevano godersi la loro passione. Domenico era contento perché aveva trovato una ragazza sperta, che non diceva mai di no e, molte volte, era lei a rigenerare l’impeto della passione. Al quinto giorno Fiorella si lamentò del fumo e del cattivo odore della sua bocca; durante la notte del sesto giorno si lamentò a lungo della luce accesa sul comodino, ma Domenico voleva completare la lettura del testo del professor Luigi Lombardi Satriani sulla rivolta di Reggio dell’anno precedente. Il pomeriggio del settimo giorno mentre imperversava l’ennesima nevicata, che aveva imbiancato di trenta centimetri di neve anche le spiagge pesaresi, Fiorella, fu presa da raptus eroticus per almeno due ore. Alla fine del tour de force, era spossata, priva di ogni stilla di forza, voleva solo dormire e riposare a lungo. Domenico, seduto sull’unica poltrona, leggeva un saggio del suo docente Paolo Cinanni, sulle lotte contadine in Calabria e fumava abbondantemente. La bella riminese ebbe nuovamente a dolersi per la luce e lui, seccato per le sue lagnanze, decise di uscire. Dormì in albergo e ritornò il mattino successivo. Tolse dall’armadio le valige di Fiorella, gliele consegnò e le disse: Ora tu rientri nella tua pensione per la quale ho già pagato due mesi di anticipo e ti cerchi un altro ganzo.

    Lei gli chiese stupita: Ma perché?

    Perché non voglio rotture di maroni in casa mia.

    Così il matrimonio non si fece e Domenico, da quel momento, decise di vivere da solo e, soprattutto, dedicarsi allo studio. Decisione che dopo trent’anni non aveva ancora mutato.

    Carmine Loricchio l’aveva scelto per la sua alta professionalità e la particolare competenza in materia legislativa. Era così esperto nel suo campo che spesso alcuni colleghi si rivolgevano a Domenico Marchese per predisporre progetti di legge. L’amicizia tra i due era nata in modo del tutto casuale, durante un convegno organizzato dall’Istituto storico del Marchesato. Il tema del convegno riguardava i Decreti legge emanati dal ministro comunista Fausto Gullo durante il governo di unità nazionale (dopo l’armistizio di Badoglio) che, con la lunga stagione delle lotte per le terre incolte, aveva fatto scaturire la speranza del riscatto dei cafoni e senzaterra calabresi. Carmine Loricchio aveva concluso il suo intervento dicendo che l’assegnazione delle terre era effetto di tre circostanze convergenti: la lungimirante intuizione del ministro Gullo nel predisporre con le nuove leggi la base giuridica per l’assegnazione delle terre incolte ai contadini poveri che le invocavano da un secolo e mezzo; la presenza di un partito comunista e di un sindacato di classe capaci di organizzare e assistere i senza terra; il coraggio di donne e uomini che avevano deciso di riscattare la propria dignità di cittadini che la nuova Costituzione repubblicana affermava.

    Domenico si presentò a Carmine Loricchio e lo invitò a pranzo nella sua casa di campagna. Dopo cinque ore di piacevole discussione, fu l’anziano consigliere a chiedergli la collaborazione, che egli accettò di slancio. L’ accordo che i due avevano trovato era che Domenico avrebbe seguito il consigliere anziano solo durante la sessione di lavoro per l’approvazione del Bilancio annuale.

    -2-

    Con la sigaretta tra le dita e il bavero dell’impermeabile rialzato, Domenico Marchese li aspettava nello spiazzo insieme al consigliere regionale Giuseppe Praticò, Peppe per gli amici, anch’egli componente della Commissione Bilancio.

    «Come mai così presto?» chiese sorridendo Giuseppe Praticò a Carmine Loricchio. «E tu non dovevi essere in Commissione alle 10:30?»

    Come suo solito, Carmine Loricchio rispose con un’altra domanda.

    «Sì, bello mio, ma tu credi alle fate! Hai mai visto una riunione della commissione iniziare prima delle 12:00?»

    «No, mai! Ma qualcuno di noi doveva essere presente all’ora stabilita.»

    «E tu hai pensato che a sacrificarmi dovessi essere io! Perciò, partenza alle 07:00! In questo modo hai dimostrato di essere un grande stronzo, con tutto il rispetto per la tua anzianità. Comunque, prevedendo le tue lamentele, ho chiesto di andarci al collega Barreca che, come sai, è in rottura con il suo gruppo.»

    Giuseppe Praticò, nella geografia dei consiglieri regionali, era un personaggio del tutto particolare. Come lui fosse stato eletto nelle ultime quattro legislature era sempre stato un mistero irrisolvibile, soprattutto per la particolarità del suo difetto linguistico. Dotato di grande intelligenza, acuto analista e giornalista politico, quattro lauree tra materie umanistiche, sociali e matematiche, Peppe Praticò viveva imbarazzanti situazioni nelle relazioni quotidiane con le persone a causa di una forma acuta di balbuzie che, purtroppo, aveva condizionato la sua vita di quasi settantenne. In effetti, incontrando Praticò in uno dei rari momenti in cui non aveva ancora ingerito la sua razione giornaliera di liquore, la massima interlocuzione che si poteva instaurare con lui era assolutamente monosillabica, dominata da suoni gutturali e grugniti smozzicati. Altro non sarebbe uscito dalla sua bocca. Cosa ben diversa era quando Peppe aveva già consumato una fiaschetta di cognac. Allora il consigliere regionale perdeva la sua balbuzie e diventava giovale e simpaticissimo, apparentemente sobrio come un astemio. Di solito, la prima fiaschetta di cognac la trangugiava tra le 09:00 e le 10:00 del mattino. I tanti specialisti che lo avevano visitato gli avevano diagnosticato una devastante forma di timidezza inibitoria, per cui l’uso dell’alcol, cognac in particolare, gli era stato prescritto come terapia necessaria alle sue inibizioni relazionali. Solo con Carmine Loricchio non aveva bisogno di sostegni alcolici, non gli serviva bere perché si parlassero. Si malignò che l’amicizia fra i due fosse dovuta a questa patologia. Ma si sbagliavano, in quanto non solo avevano una profonda stima reciproca, ma la loro amicizia era istintiva e spontanea, generata dalle molte affinità caratteriali e culturali.

    -3-

    Il display della sala commissioni segnava le 12:51.

    «Onorevole presidente, abbiamo superato di molto anche l’orario della seconda convocazione» sbottò ad un certo punto il consigliere regionale Barreca, sbattendo il palmo della mano sul ripiano del lungo tavolo ovale. Tutti trasalirono e si girarono stupefatti verso il consigliere, anch’egli meravigliato di quel colpo, molto somigliante ad un botto di capodanno.

    «Le comunico, onorevole Presidente, che tra cinque minuti io e i colleghi presenti ci allontaneremo dall’aula. La prego, perciò, di chiamare l’appello e dichiarare nulla la seduta odierna. Questa maggioranza ha, ormai, raggiunto il massimo livello di scollamento abdicando definitivamente ai suoi doveri politici verso questa regione. Va censurata l’assenza dell’assessore al Bilancio il quale, in questo momento, si trova nella città di Termoli per discutere dei sapori enogastronomici della transumanza.»

    «Onorevole Barreca, ha perfettamente ragione a lamentarsi del ritardo dei nostri colleghi. In fondo, per dare inizio ai lavori manca solo la presenza di due colleghi. Alcuni sono in ritardo per il maltempo, altri sono già all’interno di palazzo Campanella. Io stesso ho incontrato nel bar il collega Luciano Pitoscio. Aspettiamo ancora qualche minuto e poi procederò all’ultima chiamata.»

    «Onorevole Presidente, che alcuni colleghi stiano nelle loro stanze del quinto piano o circolino tra gli uffici di palazzo Campanella non può essere una giustificazione. Anzi, è una grave scorrettezza verso i colleghi presenti, nonché un atto di irresponsabilità verso i cittadini» precisò il consigliere Praticò, dopo aver sorseggiato abbondantemente la sua fiaschetta.

    «Capisco il suo disagio, onorevole, fra sette minuti esatti procederemo alla chiamata. Nel frattempo facciamo un ultimo annuncio. È d’accordo, onorevole Praticò?»

    «Ci mancherebbe altro, egregio Presidente. Noi siamo qui per lavorare, non per oziare.»

    Carmine Loricchio, sbalordito dall’insolita disponibilità del collega, si rivolse all’amico Praticò: «Ma ti è venuto meno il cervello, Peppe? E se da qui a sette minuti entrano in aula gli altri due, che facciamo? Ci assumiamo noi la responsabilità di far andare deserta la riunione?»

    «Non c’è paura» si intromise Barreca. «Luciano Pitoscio sta fuori con i consiglieri di maggioranza che non hanno alcuna intenzione di entrare in aula. Vogliono che vada deserta la seduta.»

    «E perché mai?»

    «Gli uffici della Commissione non hanno uno straccio di carta. Dalla giunta non è arrivato nulla, per cui sono nella cacca dopo aver strombazzato a tutto il mondo che avrebbero dato inizio alla sessione Bilancio prima di Pasqua. È passata anche la pasquetta, ma nessun documento contabile è ancora arrivato, sicché il Calcagno è ricorso alla complicità esterna di Pitoscio per far andare deserta questa riunione.»

    «E così la compromissione di Pitoscio con la maggioranza continua? Ma tu come sai tutte queste cose?»

    «Radio Tirana, amico mio, che continua a fare controinformazione con gli sms, e-mail, messaggi cifrati in facebook e twitter, oltre ai pizzini che si lasciano nella tasca del giaccone, e così via. Stanno aspettando che ci allontaniamo per entrare, prendere la presenza e, poi, fare qualche dichiarazione roboante sullo sfaldamento della maggioranza.»

    Mentre i due consiglieri si scambiavano queste informazioni, alle 13:00 in punto il Presidente Calcagno fu costretto a chiamare l’appello e, verificata l’assenza del numero legale, con represso disappunto dovette dichiarare la seduta annullata.

    Praticò, a quel punto, dopo aver già sorseggiato due volte la sua amica fiaschetta, chiese la parola rivolgendosi ai due addetti alla registrazione.

    «Signor Presidente, se non ha nulla da obiettare, vorrei che venisse verbalizzato il mio precedente intervento come dichiarazione congiunta con gli altri colleghi.»

    «Va bene, onorevole Praticò, la sua dichiarazione di poco fa è acquisita agli atti. Allora, per la seconda volta, dichiaro la seduta nulla per assenza del numero legale e la aggiorno a venerdì 6 aprile, alle ore 11:30.»

    -4-

    Per pranzare in tranquillità i due consiglieri regionali si erano trasferiti in un ristorante del lungomare.

    «Oh Peppe, cosa mi dici della movimentazione di ‘sta mattina?» chiese Loricchio all’amico consigliere, sgretolando un grissino.

    «Mi sembra la solita furbata: cercano di farci arrivare all’ultima settimana di aprile senza mai discutere del Bilancio per poi infilare il solito pacco alle 3 del mattino. Fra l’altro, quest’anno hanno la compiacenza di Pitoscio e la benevole adesione dell’onorevole Cardinale» rispose Praticò trangugiando il primo bicchiere di vino bianco.

    «Ma che senso ha? Praticamente questo è l’ultimo Bilancio della legislatura. Fino ad ora hanno proceduto con i dodicesimi, non mi sembra che ci siano grandi spazi di manovra per i nostri due colleghi.»

    «Ci saranno, ci saranno. Vedrai che gli emendamenti giusti arriveranno in aula alle 02:00 del mattino. Ormai qui non ci sono più regole da quando è venuto meno il commissario di governo. Con la riforma del Titolo V della Costituzione si può fare tutto ciò che si vuole, soprattutto con questo Consiglio regionale.»

    «Ma non ha senso ai fini della prossima tornata elettorale. Questa è una maggioranza destinata ad andare a casa. Perché mai Luciano Pitoscio dovrebbe metterla nelle condizioni di sopravvivere in questi pochi mesi che restano?» replicò deciso Loricchio.

    Praticò intanto era già al terzo bicchiere di vino senza che ancora fossero arrivati gli antipasti. A quelle osservazioni dell’anziano consigliere arbëresh, chiamato brescio per questo, puntò i gomiti sul tavolo e avvicinò il suo viso a quello dell’amico: «Carmine, ma tu fesso ci sei? Oppure lo fai per prendermi per il culo?»

    «Per cosa?» domandò sorpreso Loricchio.

    «Ma scusa, amico mio, tu hai scritto saggi lungimiranti sulla crisi della politica di questi primi anni del terzo millennio, hai profetizzato con anticipo cosa sarebbe successo nei partiti e nelle istituzioni dopo le riforme elettorali maggioritarie, e poi mi fai ‘sta domanda di minchia che, quasi quasi, fa pensare che finora hai fatto teoria, astratta teoria; anzi, solo maccheronica fantasia. Purtroppo la realtà è pittata esattamente come l’hai descritta nei tuoi libri. In Calabria, in forma rozza ed estremamente volgare, si sta realizzando, pilu dopo pilu, ciò che hai descritto dodici anni fa: il fallimento del presidenzialismo e del sistema bipolare; il parto, dopo la riforma del ’99, di un mostro istituzionale impossibile da sconfiggere perché pervaso di corruzione e di corrotti, dominato dai poteri forti che decidono per noi al chiuso dei loro salotti, condizionati da consiglieri eletti direttamente dalla mafia.»

    «A me sfugge qualcosa» ammise Loricchio, mentre cominciavano a servire l’antipasto di mare.

    «Alt, pausa. Adesso mangiamo queste belle ostriche crude e poi ti spiegherò. Va bene?» propose Praticò.

    «No, prima mi spieghi e poi si mangia» replicò Loricchio.

    «Velocemente allora. Forse a te è sfuggito qualcosa dopo la grande nevicata di gennaio, quando sei stato fuori regione tre settimane per curarti la gamba.»

    «Cos’è che mi è sfuggito?»

    «Ti sono sfuggiti tre fatti. In primis, Luciano Pitoscio ha costituito un nuovo gruppo consiliare, Democrazia, sviluppo e autonomia per la Calabria, con due consiglieri del partito di appartenenza e tre colleghi provenienti da entrambi gli schieramenti. Dopo questo accordo trasversale è del tutto ovvio che egli non potrà più rivendicare la candidatura alla presidenza della Regione. In secondo luogo, l’onorevole Mimì Gurpa, primo azionista della fu coalizione Rispoli, ha pubblicamente rinunciato alla candidatura alla presidenza della Regione lasciando campo libero alle pretese di Calcagno.»

    «Mica è fesso Mimì; sa già che sarà consigliere di minoranza!»

    «Terzo. Da un gossip cosentino si è saputo che durante una innocente festa di laurea, in cui erano entrambi invitati, Gurpa e Pitoscio si sono appartati in un salottino del ristorante e sembra che, anche se da banchi diversi, abbiano deciso di convergere su specifici provvedimenti la loro benevole attenzione. Il risultato di questa democratica convergenza determinerebbe la formazione di un gruppo di nove, dieci consiglieri in grado di determinare, ora da destra, ora da sinistra, le scelte future del consiglio. Radio Tirana ha poi confermato che nei giorni Carnevale, durante una cena a Bova Marina, avrebbero sancito e sottoscritto un patto di amicizia.»

    «Caspita, adesso comincio a intravedere il filo del tuo ragionamento.»

    «Bevi pure così finirò il mio notiziario» lo sollecitò Praticò, tracannando il settimo bicchiere.

    «Vai piano col vino, Peppe. Tre bicchieri bastano a scioglierti la lingua, dieci ti ubriacano.»

    «Tu sai, però, che io rendo di più se mi alimento con questa medicina etilica.»

    «E allora, come continua la storia?»

    «Tre giorni dopo, gli onorevoli Pitoscio e Gurpa hanno chiamato il collega Momo Cardinale per invitarlo a pranzo nel ristorante di palazzo Campanella. Tra una portata e l’altra, sotto lo sguardo di colleghi e dirigenti, gli hanno fatto, grosso modo, questo ragionamento: Noi due abbiamo un discreto numero di consiglieri a disposizione e siamo in grado di controllare circa il quaranta per cento degli eletti di questo Consiglio regionale e pure del prossimo. Con questi numeri, per avere una maggioranza stabile, chiunque vincerà le elezioni dovrà fare i conti con la nostra convergenza. In altre parole, se noi saremo uniti avremo la forza di condizionare qualsiasi Presidente disse Mimì Gurpa a Momo Cardinale. E questi chiese: Ed io cosa dovrei fare?. Ritira la candidatura alla Presidenza della Regione e accetta di fare il Presidente del Consiglio. Sei relativamente giovane e hai tempo davanti a te: puoi ancora aspettare. Cardinale ridomandò: C’è una spiegazione plausibile in ciò che proponi?. Luciano Pitoscio spiegò: Sei l’unico in grado di gestire bene i lavori del Consiglio, al cui interno ci sarà un gruppo trasversale del quaranta per cento. Allora Momo Cardinale sentenziò: Accetto. Con l’adesione di quest’ultimo, la neoforza bipolare si arricchì di altri due suoi fedelissimi. Ti è chiaro ora?» sottolineò Praticò senza balbettare da almeno venti minuti.

    «Quindi la forza diventa tripolare?» convenne Loricchio.

    «Tripolare e pericolosa. Mi segui?»

    «Ti seguo. E dimmi chi era il neo laureato?» riprese Loricchio.

    «La laureata, vuoi dire?»

    «La laureata? Va bè, la laureata!»

    «La figlia del cavaliere Antonio Sebastiano Pietro Maria De Benedictis» rispose serafico Peppe Praticò.

    «Quello …? Quello … che?» chiese Loricchio facendo ruotare l’indice proteso verso l’alto.

    «Esatto quello che solo in pochi, fra cui io e te, conoscono come il gran maestro.»

    «Ah, capisco!» disse secco Carmine Loricchio.

    «Ma non quello di Cosenza» continuò sempre tranquillo Praticò. «Quello che vive a Roma e sta ancora più in alto.»

    «Hai detto cavaliere Antonio Sebastiano Paolo Maria, o no?»

    «No. Io ho detto cavaliere Antonio Sebastiano Pietro Maria.»

    «E dov’è la differenza?»

    «Un Pietro e un Paolo. Paolo è il più giovane e vive da voi a Cosenza; Pietro invece vive in attico di via della Conciliazione a Roma, ed è il più vecchio. Capito ora? E questi sono il primo e l’ultimo dei quattro fratelli. I gemelli Cosma e Damiano, hanno casa a Riace, dove vengono a trascorrere le loro vacanze e non mancano mai di essere presenti il 26 settembre alla festa dei santissimi Cosma e Damiano.»

    «Capito tutto. E mò ci vò un bicchiere di vino.»

    «Bravo! E poi mangiamo perché stanno per arrivare le linguine ai frutti di mare» concluse Praticò rivolgendosi all’amico Carmine.

    -5-

    In attesa del caffè, Carmine Loricchio e Peppe Praticò si trasferirono sul terrazzo del ristorante. Il tempo era cambiato, e alla tempesta del mattino era seguita una limpida giornata d’inizio primavera. A nord, sulla destra, si vedevano lunghe strisce di nuvole bianche, languidamente trasportate da un fresco venticello; sembrava che lambissero il mare per accarezzarlo. A sinistra, verso sud, l’azzurro del cielo combaciava con quello del mare. Per uno strano effetto ottico, la costa siciliana di fronte aveva assunto una dimensione più grande del solito; forse era dipeso dalla limpidezza dell’aria. Il mare accarezzava quietamente i massi che emergevano sotto il terrazzino, mentre lo Stretto intero sembrava un grande lago immoto. Di fronte, l’Etna fumante risplendeva del bianco intenso della nevicata mattutina. Carmine Loricchio si era seduto su una panca del terrazzo e col bastone tra le gambe, il mento appoggiato sulle mani incrociate poggiate sulla curva del manico, scrutava muto la scenario senza avere un punto dove fermare la sua attenzione. Avrebbe voluto avere un occhio grandangolare per fissare l’intero stretto, con la sua acqua cheta, i mille colori della città di Messina e quelli della montagna siciliana germinata nell’imminenza della primavera. Accanto a lui sedeva Peppe Praticò, che si era portato dietro la quarta bottiglia di vino. Nella panca era adagiato anche per il borsalino di Loricchio, che sembrava essere il terzo convenuto invisibile e silenzioso.

    «Forse oggi abbiamo mangiato troppo» mormorò Loricchio. Praticò non rispose: emise un suono simile ad un grugnito.

    «E abbiamo bevuto anche tanto» continuò Loricchio. Altro grugnito di Praticò.

    «La nostra età non ci consente di mangiare così tanto e, soprattutto, di bere quanto abbiamo fatto oggi» ribadì Loricchio fissando sempre la Sicilia e senza mai staccare il mento dalle mani incrociate.

    «A me il vino serve per parlare. È terapeutico per la mia balbuzie» rispose finalmente Praticò.

    «Uuhh» mugugnò, a sua volta, Loricchio.

    «Tu dovresti guardarti dall’abbondanza del cibo. Se prendi chili, la tua gamba matta faticherà e ti procurerà sempre più fastidi. E poi avrai difficoltà a dormire.»

    Calò il silenzio tra i due, che ripresero a scrutare il paesaggio di fronte. Passarono cinque minuti e Loricchio, sempre con il mento appoggiato sulle mani incrociate, riprese a parlare.

    «Sai, Praticò, questa mattina ho fatto un sogno intenso.»

    «Uuhhh??!??» il consigliere balbuziente girò il viso verso l’amico.

    «C’era tanta gente e il Consiglio regionale era di ottanta persone, fra cui molte giovani donne. Ma nel sogno c’era una Calabria diversa, con strade efficienti, ferrovie funzionanti, porti, aeroporti; la gente viveva nella concordia ed era stimata da tutte le regioni italiane.»

    «Uuhhhhh», altro grugnito di Praticò, che nel frattempo infilava la mano nella tasca interna della giacca per tirare fuori la fiaschetta di cognac.

    «E stavi anche tu nel sogno. Tu, io, i miei collaboratori Battista e Tastone. E tante belle donne. Due mi hanno pure corteggiato!».

    «Uuuhhh, uuhhh» sospirò Peppe Praticò mentre sorseggiava la fiaschetta.

    «E cosa hai sognato?» domandò dopo aver tracannato un lungo sorso.

    «Il trasferimento del consiglio regionale a Lamezia Terme.»

    «Sempre la solita minchiata che non ti togli mai dalla testa.»

    «Proprio così» ribadì Loricchio mentre pressava il mento sulle mani ancora incrociate.

    Tornò il silenzio. Lontano si videro entrare nelle acque dello stretto tre enormi navi portacontainer che risalivano verso Gioia Tauro.

    Passò qualche minuto e poi Loricchio riprese:

    «Lo sai, Peppe, è una vita che vengo a Reggio Calabria eppure non riesco mai a osservare questo scenario su un piano orizzontale. Mi sembra di vederlo sempre in posizione obliqua, come dentro una grande carta geografica appesa al muro. In alto Scilla e Bagnara, più in alto ancora la costa vibonese e in basso la costa sicula che inizia a girare, l’Etna, la distesa del mare verso l’Africa» disse con sofferenza descrivendo un semicerchio con il suo bastone. «Ohh, Peppe, ma ti sei mai chiesto quanti popoli hanno attraversato queste due sponde e quante civiltà hanno conosciuto queste coste? Quante persone hanno guardato la nostra Calabria: artisti, poeti, filosofi, generali e soldati, marinai e semplici naviganti, uomini di fede e uomini di guerra!»

    «E ladri e puttane, imbroglioni, traditori, bastardi, padroni, assassini» aggiunse Praticò.

    «Predicatori di pace, donne disperate, principi e tiranni, giovani e vecchi, assassini e innocenti, uomini giusti e uomini avidi. Uomini ansiosi di conoscenza e uomini accecati dal dominio del potere» proseguì Loricchio.

    «Io penso ai poveri cadaveri dei migranti annegati, senza più il colore della pelle e con le ossa bianche spolpate dai

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