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Un pò per soldi e un pò per amore
Un pò per soldi e un pò per amore
Un pò per soldi e un pò per amore
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Un pò per soldi e un pò per amore

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About this ebook

Stefano De Santis, imprenditore italo - elvetico dai loschi affari,è assassinato nel suo ufficio romano; l’omicidio sarà scoperto dall’avvenente figlia Moana. Intanto un revolver sarà ritrovato nell’automobile del noto commercialista Modestini; al commissario Perni coadiuvato dai suoi collaboratori l’incarico di risolvere il caso mentre è già impegnato sulle tracce di una delle tante rotte dei trafficanti di droga. Cosa si nasconde dietro questo omicidio, al di là della mano che ha premuto il grilletto?
LanguageItaliano
PublisherEDIZIONI EVE
Release dateOct 13, 2015
ISBN9788899394257
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    Un pò per soldi e un pò per amore - Gregorio Nino Luzio

    Gregorio Nino Luzio

    UN PO’ PER SOLDI

    e

    UN PO’ PER AMORE

    EDIZIONI EVE

    Gregorio Nino Luzio

    Un po’ per soldi e un po’ per amore

    ©Edizioni Eve

    TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

    Edizioni Eve è un marchio editoriale

    Di Editrice GDS

    Via G.Matteotti 23

    20069 Vaprio D’adda-Mi

    Ogni riferimento a luoghi, cose o persone è da ritenersi del tutto casuale

    Dedicato

    alla mia famiglia,

    ai colleghi vecchi e nuovi

    e ai personaggi del racconto

    che hanno cercato in me la voce narrante

    PREFAZIONE

    Quasi tutti gli autori, normalmente spendono una o più pagine per ringraziare coloro che hanno apportato in qualche modo un aiuto alla stesura dell’opera oppure chiedono ad una firma famosa di scrivere quattro righe ma, con una firma autorevole. Spesso chi si cimenta all’opera prima, gravita attorno a salotti letterari vicini al mondo dell’editoria e, ciò è una parte sostanziale nella riuscita di un buon libro. Io queste conoscenze non le ho.

    Mi sono semplicemente cimentato, forse anche con presunzione, in una cosa più grande di me. Ho scritto queste pagine senza avere precise nozioni di quello ho raccontato. Leggendo potrete facilmente capire che non ho mai noleggiato una macchina e, capirete altresì che non sono mai entrato in un carcere, né come inquilino, né come visitatore. Tutto quello che ho raccontato sono reminiscenze di telefilm proposti alla tivù e tanta fantasia. Non pensavo nemmeno di poter mettere insieme così tante pagine: ora sono veramente contento.

    Ho voluto scrivere questa pagina per farvi sapere che non ho corrotto o adulato nessuno, la storia me la sono inventata io, il mio italiano, decisamente, incerto, è quello che vedrete, pertanto non aspettatevi il gran romanzo ma, quello che un uomo semplice come me è riuscito a mettere sulla carta. Insomma: più di tanto non potevo fare!

    Detto questo, vi auguro una buona lettura.

    1. Preludio

    (Roma, maggio, martedì ore 9,00)

    Era una bella giornata di sole, ma le nubi in lontananza non promettevano nulla di buono. L’automobile accostò e si fermò nel parcheggio riservato alla palazzina 2/a di un residence molto elegante al centro di Roma. La palazzina di tre appartamenti era stata appena ristrutturata ed aveva un unico proprietario che ci abitava solo pochi mesi l’anno, infatti, se ne serviva solo quando veniva in Italia per affari.

    Moana scese dalla sua spider rossa con la targa straniera. Prima si stiracchiò e poi si aggiustò quello che per lei doveva essere una gonna: una specie di scialle color turchese legato in vita che la copriva a malapena, lasciando in bella vista due lunghe gambe mozzafiato che avrebbero fatto invidia anche a Miss Mondo. La t-shirt variopinta ed aderente, mostrava tutto il ben d’Iddio che madre natura aveva voluto concentrare su quella bellissima creatura.

    Era uno vero schianto, se l’avesse vista suo marito così vestita, avrebbe avuto sicuramente da dire. Pensò che forse Mario non avrebbe spiccato i salti di gioia se avesse saputo che lei andava dal padre. Chissà perché quei due non vanno d’accordo, dopotutto trattano gli stessi affari pensava tra se. Sicuramente il padre non era stato contento che sua figlia sposasse uno spiantato senza un soldo (così lo chiamava, quando parlava con lei)

    Mario non le aveva fatto mai mancare nulla, anzi, da quando si erano sposati l’azienda aveva cominciato ad andare sempre meglio. Certo, Mario non trascorreva molto tempo a casa, e questo era pesato nel loro rapporto i primi anni, poi, con il tempo, Moana era riuscita ad organizzare al meglio il suo tempo libero dedicandolo a se stessa e al perfetto arredamento della casa.

    Mario era partito il giorno prima di mattina molto presto. Non sarebbe tornato prima di giovedì e lei aveva deciso quindi di andare a trovare l’amato padre. Erano dieci giorni che non vedeva Papà Stefano. Era il suo modo di chiamare il padre, quando parlava con gli altri. Tutta intenta a cercare le chiavi del portone nella borsetta, già immagina la contentezza del padre non appena vista: l’avrebbe squadrata da capo a piedi e poi abbracciata affettuosamente, compiacendosi di avere messo al mondo tanta bellezza.

    Dopo aver rovistato qualche secondo tra le cianfrusaglie che erano nella sua borsetta, tirò fuori due chiavi, ne scelse una e la infilò nella toppa della serratura del portone. Quando si era sposata era andata ad abitare in un altro quartiere, ma il padre aveva preteso assolutamente che lei tenesse quelle chiavi in quanto, lui le diceva sempre che era lei era la sua padrona.

    Il portone si aprì e, subito un forte odore di pittura murale, rimaneggiata da poco, pervase le sue narici, quindi decise di lasciare il portone aperto, un po’ di corrente avrebbe arieggiato eliminando quella puzza. Sbamm!!!

    Salendo il terzo scalino, il portone si richiuse alle sue spalle sbattendo e facendo un fragore simile ad uno sparo di cannone.

    Moana si voltò e rassegnata al portone chiuso, decise che alla fine non era poi così importante. Alzò le spalle e continuò a salire gli altri tre scalini che la dividevano dall’uscio di casa. Con l’altra chiave apri la porta spalancandola e chiama: - Papà …sono io!

    Nessuna risposta echeggiò nell’appartamento. Pensò subito che il padre fosse nel suo studio, con la porta-vetrata chiusa non poteva sicuramente sentire. Posò la borsetta sul sofà dell’entrata e si diresse alla porta dello studio che era la prima a destra del corridoio.

    Aprì la porta con veemenza e senza bussare: - Mah… Papà perché non mi risp… - la domanda rimase a mezz’aria.

    Un grido strozzato le uscì dalla bocca e poi svenne.

    2. Chi ha ucciso Stefano De Santis?

    (Castenuovo Basso, ore 8,30)

    Quella mattina si era alzato tardissimo e di pessimo umore, con un terribile mal di testa, forse dovuto alla sbronza della sera prima. Aveva lo stomaco a pezzi e la bocca impastata. A malapena raggiunse il lavandino del bagnetto accanto alla camera da letto, si era attaccato al rubinetto tentando di prosciugarlo. Intanto che l’acqua passando dalla gola ed entrava nello stomaco, sentiva che le fiamme che gli ardevano dentro cominciavano a spegnersi lasciando una sensazione di benessere che lo faceva sentire meglio.

    Bevve così avidamente che quando si staccò dal rubinetto aveva il cuore in gola e le tempie che gli pulsavano, come se avesse due martelli che battevano, facendogli fischiare le orecchie. Non connetteva ancora; infilò la testa sotto l’acqua fredda e quasi subito cominciò a diradarsi la fitta nebbia che avvolgeva il suo cervello. Non ricordava bene quello della sera prima, ma a giudicare dalla faccia che vedeva riflessa allo specchio, doveva essere stata una bella festa.

    Intanto che cercava di vestirsi dopo essersi sciacquato il viso, rivide nella sua mente uno ad uno i personaggi che avevano partecipato alla festicciola: l’avvocato Biaggini con i suoi modi molto ambigui; sua moglie, un po’ zoccola ma, sempre una bellissima donna; anche la moglie del dottor Ciotti non era male, e non si era nemmeno formalizzata, quando ballando le aveva palpato il fondoschiena.

    Si arrabbiò con se stesso per essersi lasciato coinvolgere cosi stupidamente dal loro modo di rendere allegra la serata. In realtà l’aveva voluto lui. Ogni tanto gli piaceva esagerare, ed a volte, provava schifo per se stesso per quanto esagerava.

    Erano quasi le nove ed a malincuore Roberto Modestini uscì da casa per andare al lavoro. L’aria fresca del mattino gli dava un po’ di sollievo, ma la testa ancora gli ronzava. Mise in moto la sua automobile parcheggiata davanti al portone di casa e, dopo aver inserito la freccia, partì senza guardare nemmeno lo specchietto retrovisore.

    Non c’era traffico, non c’era mai traffico a quell’ora, però, la solita testa di cazzo che non rispetta la precedenza c’era sempre: aveva tirato diritto a tutta birra, probabilmente non se n’era neanche accorto.

    L’automobile correva silenziosa sul viale che portava da Castelnuovo Basso all’autostrada e, mentre gli alberi in fila gli sfrecciavano davanti, dallo specchio retrovisore vedeva le montagne che si allontanavano, sebbene giugno fosse vicino, i monti circostanti portavano ancora qualche traccia di neve sui crinali meno assolati.

    Aveva appena messo la freccia a destra per girare per l’autostrada che portava a Roma, quando vide il poliziotto di una pattuglia della Polizia di Stato che gli intimava l’alt. Uffa! Cominciamo bene stamattina. Aveva pensato ad alta voce Roberto.

    Non era spaventato, ma sicuramente non si trovava a suo agio e, dopo un veloce esame di coscienza, Roberto decise che non aveva nulla da nascondere e quindi si fermò.

    - Buongiorno – Disse il poliziotto, con un indefinibile accento meridionale, portandosi la mano all’altezza della visiera. - Mi favorisca libretto e patente per favore.

    Con calma, aprì lo sportello sotto il cruscotto dove teneva i documenti e glieli porse.

    L’agente guardò la patente, poi andò verso volante, trenta metri più avanti e si attaccò alla radio.

    Roberto si fece un altro esame di coscienza… Si trattava di un normale controllo e in dieci minuti si sarebbe risolto, com’era accaduto altre tre o quattro volte da quando era andato ad abitare fuori Roma.

    Il poliziotto parlava pacatamente, lo osservò e poi guardando la patente, riguardò Roberto e decise di chiudere con la centrale. Si avvicinò con calma ma, non gli restituì subito la patente e gli disse: - Apra il cofano per favore!

    Roberto tirò la leva che apre il cofano posteriore.

    Il poliziotto diede un’occhiata molto superficiale, quasi annoiata, appoggiandosi con una mano al cofano aperto, poi gli restituì i documenti e disse che poteva rimetterli in macchina, cosa che fece prontamente. Non aveva paura della Polizia, però nutriva un prudente rispetto, non si sa mai…

    Finalmente Roberto stava per uscire dall’abitacolo, il poliziotto chiuse il cofano delicatamente e salutandolo con la mano alla visiera sentenziò: - Va bene, può andare.

    Non se lo fece ripetere due volte, si sistemò ben bene sul sedile, accese la freccia sinistra e dando una breve occhiata allo specchietto retrovisore, partì dolcemente.

    Intanto il sole si era alzato nel cielo azzurro, mettendo in risalto tutti i colori delle colline circostanti. Una calda brezza proveniente da sud si faceva seguire da grosse nuvole scure, ma ancora lontane, il suo tepore gli rinfrancava l’animo ed anche l’umore e, quasi quasi, si sentiva anche meglio.

    Aveva imboccato l’autostrada e da poco aveva passato il casello, a circa cinquecento metri c’era la solita pattuglia di polizia, che normalmente soleva controllare il traffico ed al massimo fermava qualche camion.

    Quella mattina era cominciata proprio male. Un poliziotto gli agitò la paletta, Roberto sapeva che cosa voleva e, imprecando mentalmente, accese la freccia a destra, ed accostò.

    - Libretto e patente per favore – gli disse un appuntato con modo alquanto scortese.

    - Guardi agente che mi hanno già fermato i suoi colleghi dell’altra pattuglia che sta prima dell’imbocco.

    - A sì? – gli rispose accigliando gli occhi – Non mi risulta che dovrebbe esserci… – allungando il collo e guardando in quella direzione, aggiunse – anzi non c’è…. Io non vedo nessuno!

    Roberto cominciò ad innervosirsi e mentre gli consegnava i documenti disse: - Forse saranno andati via.

    L’ appuntato annuì e non gli rispose, si spostò verso il retro della macchina e lo invitò di aprire il cofano. Ripeté l’operazione che aveva fatto poco prima ed il poliziotto, tenendosi sempre ad una certa distanza da lui, sempre più scortesemente gli diceva di alzare anche il tappeto che copre la ruota di scorta sul fondo del bagagliaio.

    Non credeva ai suoi occhi per quello che vedeva, le gambe gli s’irrigidirono ed un leggero tremore s’impadroniva del suo corpo. Il guaio è, che anche il poliziotto vide la pistola che stava incastrata tra la ruota di scorta e la sua sede nel cofano.

    - Si scosti! - l’agente allarmato tenendosi a debita distanza posò la mano sulla fondina.

    - Si scosti! - gli ripeté con la voce alterata, mentre faceva cenno ai colleghi di avvicinarsi.

    - Suppongo che lei abbia il permesso per portare un’arma in macchina – disse l’appuntato che nel frattempo tirò fuori dalla tasca un guanto di lattice e prese la pistola.

    Roberto rispose che non aveva mai posseduto una pistola e che non aveva la più pallida idea di come poteva essere capitata lì dentro il cofano. Un’ondata di calore pervase il suo corpo ed un tremore alle ginocchia rese precario il suo equilibrio.

    Era nella disperazione più completa. L’agitazione non gli permetteva di ragionare e, non essendo credente, non aveva nemmeno un santo a cui raccomandarsi.

    In men che non si dica lo portarono in commissariato e l’appuntato, che nel tragitto lo precedeva, parlava a bassa voce con un tizio in abiti civili, questo alzò lo sguardo su di lui poi annuì ed a passo veloce sparì dietro una porta.

    Cominciò a vergognarsi e, girando la testa da una parte e l’altra, guardava se ci fosse stato qualcuno che potesse riconoscerlo. Fu guidato dal giovane poliziotto che lo reggeva delicatamente per un braccio, in un ufficio poco illuminato che gli disse di sedersi sulla sedia di fronte alla scrivania e di aspettare, che il commissario sarebbe arrivato a momenti.

    Non riusciva a capire quello che gli succedeva. Si chiese chi poteva aver messo quella pistola nel bagagliaio della sua macchina ed a che pro. Strani pensieri gli frullavano nel cervello.

    Che qualcuno ce l’abbia con me? ... è possibile! Forse più di uno ma, non fino a questo punto…. I miei concorrenti??? Forse ho sbagliato qualcosa! No, no, non è possibile! – pensò - Chi...

    La puzza di chiuso e di fumo gli trafiggeva le narici, ebbe la sensazione che le finestre non venissero aperte da chissà quanto tempo.

    Già! Il tempo. Quel tempo che non passava mai: erano già passati venti minuti e nessuno si fece vivo.

    Il rumore lontano della strada gli fece ricordare che a quell'ora avrebbe dovuto trovarsi in ufficio, o almeno, fare una telefonata per avvisare la sua segretaria dell’accaduto.

    E, che le dico? Che sono stato portato al commissariato? No, meglio di no Pensò lì per lì Roberto.

    Finalmente sentì che qualcuno stava arrivando, con un passo molto marcato, sembrava quasi che stesse marciando. La porta si spalancò creando una corrente d’aria che scosse Roberto Modestini dai suoi pensieri.

    - Mi deve scusare signor Modestini … Mi deve scusare per tutto il tempo che l’ho fatta aspettare, ma ho dovuto raccogliere alcune informazioni su di lei e, quindi, fare il punto della situazione – Chi parlava era un uomo molto alto e magro, fresco di rasatura ed un sorriso che esprimeva subito un certa simpatia. Gli strinse la mano vigorosamente, avvolgendola con la sua che doveva essere più lunga di almeno cinque centimetri.

    - Sono il commissario Francesco Perni… –

    Lo faceva sentire veramente piccolo perché lo guardava, dall’alto in basso, sembrava che Roberto non si fosse mai alzato dalla sedia.

    – Si rilassi, la vedo molto preoccupato... Quando io le dirò perché lei è ancora qua, lo sarà ancora di più. Vedrà! – Scherzando cercava di mitigare la situazione.

    Con tre lunghi passi raggiunse la sua poltrona e con una smorfia di soddisfazione si sedette.

    - Allora! – gli disse puntandogli il suo sguardo.

    – Veniamo al punto.

    Perni portava occhiali da vista molto grandi e spessi che ingrandivano talmente i suoi occhi celesti, da farli sembrare sproporzionati.

    Prese con la mano scarna uno dei fogli di carta che aveva davanti a se e lesse - Lei è il signor Modestini Roberto, nato a Roma il dieci novembre millenovecentocinquantotto, residente a Castelnuovo Basso, professione commercialista in quel di Roma Giusto?

    Roberto annuì.

    - Bene! … Lei e sposato signor Modestini? –

    - No!

    Il commissario incalzò ancora: - Qualche delusione? …. Lei non mi sembra di primo pelo! - Aveva un sorriso a mezza bocca ed alludeva alla sua età.

    - Non ho molto tempo, e poi sa … la mia professione ha i suoi pregi e, i suoi difetti. Ogni tanto trovo qualche momento piacevole, ma, alla fine, inevitabilmente mi ritrovo sempre solo e sinceramente non riesco a vedermi legato ad una donna per tutta la vita, credo di poter sparare ancora molte cartucce prima di fare quel passo.

    L’ espressione di Roberto Modestini era di complicità. Perni contraccambiò annuendo, per far vedere che aveva capito perfettamente la situazione.

    - Il suo lavoro! Come va il suo lavoro?

    Gli chiese bruscamente, quasi si fosse

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