Ops, Mi Sono Innamorata del Mio Capo - Parte 1
By Sierra Rose
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Questo è il primo libro di una trilogia.
Jenna Harks ha lasciato la Goldman Sachs e uno stipendo da duecentomila dollari l'anno. Era andata via per farsi un nome. Anche se voleva dire cominciare da capo come assistente. Ma quando per uno scambio di identità le viene offerto il lavoro dei suoi sogni, Jenna non sa che fare. Tuttavia, alla fine accetta la sfida.
Michael Larchwood, il più giovane dei figli di Abe Larchwood e secondo erede della chiave del castello, è un noto playboy che prova a sedurre Jenna. Il problema è che la compagnia ha una tolleranza zero per le relazioni tra dipendenti, ma Michael è conosciuto per non essere un amante delle regole.
E poi c'è il fratello più serio, Thomas Larchwood, una mente brillante e una delle persone più influenti secondo Forbes.
Più Michael flirta con Jenna, più Thomas ne è infastidito. Entrambi i fratelli, tuttavia, sono off limit. Ma uno dei due, ruscirà a vincere il cuore di Jenna.
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Ops, Mi Sono Innamorata del Mio Capo - Parte 1 - Sierra Rose
Sommario
Capitolo1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
A.A.A. Cercasi Finta Fidanzata per Miliardario
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo1
«Taxi!»
Feci un passo indietro per evitare che l’acqua mi finisse addosso quando il taxi sfrecciò verso di me, poi m’immersi tra la folla per fermare il prossimo.
Vivere a New York comportava una serie di compromessi—dare e ricevere. Il tuo appartamento si allaga e ti trasferiscono all’Hilton, dove puoi tranquillamente fare causa per danni provocati dall’acqua. Una bufera ricopre il terreno; indossi il tuo nuovissimo trench Bloomingdales per combattere il freddo alla vecchia maniera. Non riesci a fermare il taxi; aspetti il prossimo. E fortunatamente, il mio arsenale era più fornito di quello dell’agente di borsa al mio fianco.
Con un sorriso seducente, allungai la gamba nuda che spuntava dalla mia gonna a tubino fino agli stivaletti con il tacco a punta. Il tipo accanto a me osservò compiaciuto, ma i suoi occhi si restrinsero quando incrociarono i miei—aveva capito il mio gioco. Facendo finta di controllare la strada, mi piegai in avanti, lasciando che un paio di bottoni della mia pudica camicetta si aprisse. Si sentirono degli pneumatici stridere, seguiti da un burbero, «Dove la porto signorina?»
Lanciando un sorrisino vittorioso all’agente di cambio, salii in auto. «Wall Street. Angolo tra Pearl e Pine.»
E così, con qualcosa in più di un sorriso, mi diressi al primo giorno di quello che speravo, sarebbe diventato il mio nuovo lavoro.
Mi appoggiai alla fredda pelle dei sedili e abbottonai la camicia mentre recitavo il mio curriculum a bassa voce. «Laureata con il massimo dei voti, Università di Princeton. Master in Business a Harvard. Presidente per due anni di fila della Women’s Student Association. Junior Editor presso l’Harvard Business Review. Tirocinio di diciotto mesi con Goldman Sachs.»
Nonostante la remunerativa offerta di Sachs alla fine del tirocinio, non avevo accettato la loro proposta, ma avevo puntato più in alto. Esisteva una compagnia d’investimenti con una reputazione più immacolata di quella della Goldman Sachs. Una compagnia al top in ogni settore.
Larchwood.
Non la Larchwood Company. Non la Larchwood Investment Firm.
Solamente Larchwood. Come Madonna o Cher. Questa società non aveva bisogno di ulteriori spiegazioni. Quando si trattava dell’élite di Manhattan—loro erano i re. Non c’era bisogno di altre domande.
Così avevo lasciato la Goldman Sachs. Lasciato lo stipendio da duecentomila l’anno sul tavolo. Rifiutato l’offerta per farmi un nome con una società più grande, migliore. Anche se questo avrebbe significato iniziare dalla posizione di assistente senza riconoscimenti o l’assicurazione per il dentista.
Ero pronta. Ero troppo qualificata. C’ero dentro.
«Mi scusi, signore?» Chiamai l’autista. «Potrebbe accostare solo un momento?»
Non appena il taxi si avvicinò al marciapiede, aprii lo sportello per vomitare sul cordolo. Il tassista mi fissò mentre cercavo di asciugare discretamente la bocca con un fazzoletto e poi mi appoggiai contro i sedili in pelle.
«Tutto qui,» dissi debolmente. «Grazie.»
I suoi occhi nello specchietto si addolcirono. «Deve fare un colloquio per un tirocinio in centro?» chiese, comprensivo.
«Un lavoro come assistente, in realtà.» Lo corressi automaticamente. Ma il mio cuore iniziò a battere all’impazzata. «Perché lo chiede?»
Lui ridacchiò. «Ne ho visti parecchi come lei.»
Considerai quelle parole per un momento prima che la competitrice in me si risvegliasse e riflettei sulle possibili implicazioni. «Aspetti—molti come me, intende molti come me oggi? Li ha già lasciati in centro?!»
Ero uscita trenta minuti in anticipo per arrivare prima, ma forse gli altri mi avevano battuto di un’ora.
Senza dargli la possibilità di rispondere, indicai con sicurezza verso destra. «Eviti Lexington a tutti i costi! Prenda FDR Drive—accorceremo di quindici minuti.»
Precisamente dieci minuti più tardi, accostammo di fronte a un’infinita distesa di grattacieli cromati che, almeno speravo, sarebbero diventati casa mia. Nonostante la fretta, mi fermai per un attimo dentro il taxi, fissando le nuvole. All’improvviso, la mia notevole educazione e impressionante curriculum non valevano niente. Questa era Larchwood. Sarei stata fortunata se mi avessero permesso di lavorare nello smistamento della posta...
«Ha intenzione di entrare? Oppure rimarrà seduta a fissare?»
Gli porsi la mia carta di credito e sistemai la camicetta con mani tremanti. Sarebbe andata bene. Mi avrebbero assunto. Dovevano assumermi.
Mi ridiede la carta e sollevò i pollici in modo quasi comico. «Vai e stendili, tigre.»
«Grazie.»
Questa volta, tenendo le gambe perfettamente coperte sotto il cappotto, scesi dal taxi. L’aria era pungente. C’era una sorta di energia che non aveva niente a che vedere con le nuvole sopra di me. Erano le persone. La vibrazione proveniente da un gruppo di persone proprio come me—pronte a tutto per entrare nell’edificio e salire quelle scale. Un sorrisino nervoso si formò sul mio viso, ma lo nascosi velocemente. Solo espressioni serie qui.
Poi, senza ulteriore indugio, sistemai la camicia, raddrizzai le spalle e mi misi in fila con gli altri.
Dopo aver attraversato la complicata lobby, firmai e presi l’ascensore fino al tredicesimo piano. Sembrava che il mio tassista mi avesse fatto spaventare per nulla. Non c’era nessuno in sala d’aspetto. Sospirai sollevata e mi avvicinai al bancone. Sorridendo stranamente in maniera affettuosa alla receptionist, firmai anche la sua lista.
«Salve, sono Jenna Harks. Ho un appuntamento con Patti Macer alle nove.»
La receptionist mi osservò e poi sorrise prima di controllare l’orologio. «Di sicuro è in anticipo, non è vero?»
Annuii. «Sì signora.» Meglio accontentarla un po’.
«Bene,» i suoi occhi s’illuminarono da dietro gli occhiali, «è così che facciamo le cose qui. Prego, si accomodi.» Indicò una fila di poltrone nascoste sotto copie di Forbes e Time. «Ms. Macer è stata convocata per una riunione d’urgenza al piano di sopra, ne avrà almeno per altri venti minuti.»
«Va bene.» Fissai le sedie, prima di spostare lo sguardo sull’orologio. «Potrebbe indicarmi la toilette?»
«In fondo al corridoio, quarta porta sulla destra.»
«Grazie.»
L’ufficio era tutto ciò che avevo sognato e anche di più. Oltre le vetrate, potevo vedere la costruzione di un impero. Le fondazioni finanziarie—gli impiegati, il caffè—che reggevano la costruzione. Era qui che avrei faticato. I piani sotto il cinquantesimo, dove avrei lottato per conquistare il mio posto. Lo avevo fatto da Goldman and Sachs, e qui sarebbe stato lo stesso. Il trucco era farlo nel minor tempo possibile.
Ero entrata presto nel gioco. Non avevo perso tempo. Avevo iniziato a lavorare con uno stage. La scorsa settimana, avevo festeggiato il mio venticinquesimo compleanno. Ero giovane. Ero affamata. Ero qui.
Aprii la porta del bagno, compiaciuta nel costatare che fossi da sola. Dopo alcuni respiri meditativi, osservando attentamente il mio riflesso allo specchio, presi il mio nuovo rossetto dal colore professionale e lo applicai. Avevo appena truccato il mio labbro superiore quando sentii qualcuno singhiozzare da una delle cabine. La mia mano rimase paralizzata mentre i miei occhi si spostarono sulle porte chiuse. Stavo per uscire in modo discreto quando la porta si aprì, e una ragazza dall’aspetto triste e disordinato si precipitò verso lo specchio.
Era impossibile ignorarla. Troppo sconvolta per non fare qualcosa. Mentre cercavo di esprimere compassione con i miei occhi, presi una salvietta dalla borsa e gliela porsi.
«Gr-grazie.» Rispose con voce strozzata, prendendola e asciugando il mascara sbavato. I nostri sguardi s’incrociarono per caso sullo specchio e mi sorrise tristemente. «Devo essere un vero casino, huh?»
Abbassai subito gli occhi, afferrando la mia borsa. «No, stai bene.»
«Non ero così,» continuò alla svelta come se sentisse il bisogno di giustificarsi, «Ero la prima della classe—studiavo legge a Stanford.»
Si voltò di nuovo verso di me, ed io le sorrisi debolmente. «Harvard. Economia.»
Annuì, irrigidendosi non appena nuove lacrime cominciarono a rigarle il viso. «Sono stata preparata per questo lavoro, in California. Mi sono trasferita la settimana scorsa. L’amministratore delegato aveva bisogno di aiuto per una nuova fusione, ed io ero la loro prima scelta.»
Dovevo ammetterlo, la guardai con occhi diversi dopo la sua confessione. Questa piccola bambina smarrita in lacrime era il mio nuovo capo? Avrei dovuto offrirle un altro fazzoletto?
«Ma non posso farlo,» sussurrò. «Non posso stare qui.»
«Perché no?» domandai prima di potermi fermare. Fu più forte di me—ero curiosa. Avrei fatto di tutto per essere nei panni di questa ragazza. L’amministratore delegato di una compagnia non chiede il tuo trasferimento senza un curriculum ancora più sorprendente del mio. E adesso sta crollando nel bagno del tredicesimo piano? Senza aggiungere che...
Mi sorrise ancora. «Il mio fidanzato mi ha lasciato.»
Rimasi sbalordita. Non era la risposta che mi aspettavo. Non la risposta che potevo rispettare.
I suoi occhi divennero freddi non appena vide il cambiamento sul mio viso. «Non mi aspetto che capisca. Una ragazza come te che ha appena finito il tirocinio. Deve essere la cosa più stupida del mondo per te.»
«No, no.» Farfugliai, «per nien—»
«Il fatto è... non mi piace nemmeno la finanza. Mi piace il genere di vita. Adoro la competizione. Ma non me ne frega niente dei numeri.» Mi pugnalò di nuovo con gli occhi. «E adesso, trasferendomi qui, ho perso l’unica cosa importante per me. Jeff.»
Nota per me stessa—stare alla larga dagli uomini chiamati Jeff. Ti fanno impazzire.
«Quindi, me ne vado, torno a casa. Il ragazzo che frequentavo al liceo mi prenderà all’aeroporto.» Fissò con fiera determinazione nello specchio, sfidando se stessa a contraddirla. «Posso arrivare in California questo pomeriggio e tutto tornerà alla normalità. Ma questo... » I suoi occhi osservarono il tetto, e compresi che come me, stesse immaginando il grattacielo sopra di noi. «Non posso più farlo. Odio questa città con tutta me stessa. Devo andarmene da qui finché sono in tempo.»
Con un movimento improvviso, lanciò il fazzoletto nel cestino e corse verso la porta. Non so che cosa mi spinse—forse l’incredulità per l’occasione d’oro che stava gettando—ma andai verso di lei.
«Aspetta!» Urlai. Si voltò, e con difficoltà trovai le parole. «Cioè... almeno mi dirai che cosa sta succedendo? Ho sentito che questa nuova fusione sta preoccupando tutti—hanno bisogno di sapere che tu—»
Sollevò la mano ed io mi zittii. «Sono sicura che ce la faranno anche