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Open Innovation: la rivoluzione
Open Innovation: la rivoluzione
Open Innovation: la rivoluzione
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Open Innovation: la rivoluzione

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L'Open Innovation è il vero driver dello sviluppo economico dei nostri giorni. Essa scaturisce dalla sovrapposizione virtuosa di due paradigmi: da una parte l'Innovazione Tecnologica, che lega il mondo della ricerca scientifica al mondo del business e dall'altra lo sviluppo di internet, che ha reso possibile l'inversione dei costi marginali di transazione, con il trasferimento di gran parte delle attività tradizionali legate all'innovazione dall'interno delle aziende tradizionali al mondo delle start up, della ricerca universitaria ed accademica, di piccoli imprenditori di altissima specializzazione professionale.

L'Open Innovation si realizza con strumenti nuovi, non sempre conosciuti, che mettono in comunicazione il mondo del business, degli affari, con quello della ricerca scientifica e tecnologica, spesso mettendo in crisi strutture organizzative e vecchi modi di pensare in un'opera di selezione dei più adatti al cambiamento che sta ridisegnando la mappa del potere economico a livello globale.

Capire questi meccanismi permette di affrontare al meglio il tema cruciale dell'innovazione, che resta alla base dello sviluppo economico sostenibile di un Paese che voglia davvero crescere, al di là delle chiacchiere e della mera conservazione del potere.

Un libro che offre spunti di riflessione e suggerimenti concreti a chi, nelle aziende, vuole utilizzare queste nuove modalità di fare innovazione per restare sul mercato o aprirsi a nuovi mercati ma anche a chi, nel mondo della ricerca e sviluppo, ha la costante necessità di trovare i finanziamenti per sostenere i propri progetti o renderli realmente interessanti agli occhi di chi vuole investire nel futuro.

LanguageItaliano
Release dateNov 29, 2016
ISBN9788822871855
Open Innovation: la rivoluzione

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    Book preview

    Open Innovation - Gianluigi Storto

    APPENDICE

    INTRODUZIONE

    La produttività è stata il driver del boom economico del dopoguerra. Da metà degli anni '70 del novecento il ruolo guida è quindi passato alla qualità totale , di origine nipponica, che ha rivoluzionato il modo di intendere i sistemi produttivi in tutto il mondo. Poi è stata l’ora della flessibilità , che ha imperversato dalla fine degli anni '90 e che ancora fa sentire i suoi effetti.

    Ma l'inizio del nuovo millennio è stato caratterizzato dall’esplosione di internet e dalla possibilità per un numero enorme di utenti di condividere, a costi bassissimi, informazioni, opinioni, critiche, idee, consigli e suggerimenti su una varietà di contenuti praticamente illimitata. Le persone hanno iniziato a raggrupparsi in comunità virtuali secondo interessi comuni, scambiandosi in tempo reale e praticamente gratis, tutte le informazioni che volevano. Inizialmente questa nuova realtà ha avuto come oggetto il divertimento, il tempo libero, le chat, il giornalismo di cronaca, la pornografia. Roba che ha indubbiamente generato denaro ma in modo indiretto attraverso la pubblicità, con spot e inserzioni messe un po’ dappertutto. Con il passare del tempo, tuttavia, questa enorme possibilità di condivisione, così estesa e così a basso costo, è diventata uno strumento per generare profitto in modo diretto. Da contenitore di siti passatempo in cui aziende tradizionali infilavano semplicemente pubblicità, un po' alla vecchia maniera della tv, internet sta diventando il motore centrale e diretto della creazione di valore nella nostra economia. Il passaggio è avvenuto nel campo del mercato del lavoro intellettuale in un modo che soltanto la condivisione globale, a bassissimo costo, senza intermediazione e perennemente in diretta di internet poteva operare.

    Internet sta favorendo l’inversione di quelli che un grande economista aveva chiamato, già nel lontano 1937, i costi marginali di transazione. Ne parleremo diffusamente più avanti ma da subito possiamo anticipare che in questo modo internet è diventata una delle due componenti del nuovo paradigma che guida lo sviluppo economico dei nostri anni, l'Open Innovation. Paradigma che segna forse il punto più alto della lotta alla scarsità delle risorse che la Tecnica sta conducendo e che, come vedremo più avanti, innesca una profonda ed estrema battaglia con i principi stessi su cui si regge il nostro mondo, visto che l'Economia, come la concepiamo storicamente, ha senso soltanto in presenza di scarsità di risorse. Un driver dell'economia, dunque, che però ne mina i fondamenti, mettendo in crisi la sua stessa possibilità di poter continuare ad esistere come finora l'abbiamo conosciuta. Pochi se ne accorgono, alcuni intuiscono qualcosa ed operano di conseguenza -la deriva finanziaria dell'economia ne è un sintomo- ma questa battaglia che divampando sotto i nostri occhi, determinerà la struttura del lavoro e quindi i rapporti fra individui nel futuro in un modo che risulta tuttavia ancora oscuro ma che lentamente sta disvelandosi ai più attenti. Ed è davvero curioso che questi cambiamenti, pur così importanti e sotto gli occhi di tutti, appaiano come inavvertiti: probabilmente la mancanza di una chiara coscienza del valore profondamente rivoluzionario del processo in atto è dovuta a una sorta di rimozione psicologica, di timore di voler guardare in faccia ciò che avviene. Perché ogni rivoluzione porta inevitabilmente con sé la perdita di ruoli tradizionali, di sicurezze consolidate ma soprattutto la cessione ad altri del potere e delle ricchezze sin qui accumulate.

    Come dicevamo, Internet è soltanto una delle due componenti di questo nuovo driver che guida lo sviluppo dei nostri giorni. Infatti internet da solo non basta perché esso è soltanto un vettore, uno strumento di condivisione che può raggiungere un numero enorme di utenti a basso costo ma il cui contenuto deve provenire da altrove. E l’altrove, l’altra componente necessaria a stabilizzare il nuovo paradigma, è l’Innovazione Tecnologica, ovvero il ponte fra i risultati della scienza e della tecnica da una parte e i mercati, il mondo dei soldi, dall'altra.

    Dalla fusione di queste due realtà, l’interconnessione globale resa possibile da internet e l’Innovazione Tecnologica classica, è nato il nuovo paradigma dell’economia contemporanea, che sta delineando nuovi rapporti di forza, nuove figure professionali, un nuovo modo di lavorare e di distribuire la ricchezza: l’Open Innovation.

    Ciascuna delle sue due componenti esce rafforzata dall’unione: l’Innovazione Tecnologica ha trovato finalmente nella condivisione globale sempre on line di internet quell’accelerazione dei tempi così ben apprezzata dal mercato dei capitali. D’altra parte internet ha trovato nella sua applicazione all’Innovazione Tecnologica una modalità di esistenza ben più solida e sostenibile nel tempo di quella originaria di grande passatempo social. La rete di interconnessione globale, nel suo matrimonio con l’Innovazione Tecnologica si è infatti trasformata, da realtà attinente per lo più la sfera del divertimento personale, in un potentissimo strumento di lavoro che sta cambiando il modo di intendere le attività produttive, in specie quelle più intellettuali, e di conseguenza il modo di organizzarsi delle grandi aziende strutturate e delle attività lavorative a più alto contenuto professionale.

    L’Open Innovation ha così modificato il modo di organizzare alcune importantissime funzioni dentro le grandi imprese. Ha permesso di incrociare la richiesta di validi progetti capaci di generare profitti da parte di Fondi di investimento con la richiesta di risorse economiche da parte di piccole realtà imprenditoriali o start-up. Ha dato l'opportunità a singoli ricercatori, professori universitari, professionisti, giovani di talento che hanno nuove idee capaci di generare valore di lavorare in maniera non tradizionale allo sviluppo delle loro idee. Il mondo del lavoro intellettuale capace di generare profitto, sia esso quello interno alle grandi aziende strutturate che quello di piccole realtà nascenti o di singoli imprenditori in pectore, si sta riposizionando, rimodulando, intrecciando attorno alle nuove possibilità offerte dall'Open Innovation. Perché, è bene notarlo immediatamente, i profitti di queste nuove attività reggono assai bene la competizione con quelli basati sul vecchio modello industriale e oggi alcune grandi aziende che applicano i principi dell'Open Innovation ovvero operano su piattaforme che ne sono l'applicazione più evidente, spesso mostrano risultati molto più attraenti, come fatturato e profitti, di quelli tipici di grandi marchi che invece continuano ad operare come nel (recente) passato.

    Ovviamente perché l'Open Innovation funzioni, è necessario che le sue due componenti, l’Innovazione Tecnologica, con la sua storia antica e orgogliosa e il mondo di internet, ancora in una fase di effervescenza indefinita, ci sia un grado di sovrapponibilità molto alto e questo è possibile soltanto se il loro incontro è impostato e gestito in modo intelligente.

    Ma andiamo con ordine perché sui termini di Innovazione, Innovazione Tecnologica ed Open Innovation c’è tanta confusione. Soprattutto l'Innovazione sembra essere diventata la panacea di tutti i mali: politici, industriali, ricercatori, massaie, amministratori delegati non fanno che riempirsi la bocca di questa parola, a volte associandola alla tecnologia, altre volte no, a significare così tutto e niente. È diventata l'invocazione che risolve tutti i problemi dell’umanità perché, si sottintende, ha a che fare con la visione scientifica del mondo e la scienza è ormai l'unica preghiera esaudibile dell'uomo moderno.

    L'Innovazione non è semplice cambiamento. La storia è piena di cambiamenti di ogni tipo ed anzi è definita proprio come la successione dei cambiamenti perché, ovviamente, senza cambiamenti non ci sarebbe storia. Ma non tutti i cambiamenti sono Innovazione. La riforma luterana fu un cambiamento, un grande cambiamento di paradigmi e di modi di pensare, come d'altra parte lo fu la Controriforma, ma nessuno si sognerebbe di considerarle Innovazioni. Il concetto moderno di innovazione è infatti legato strettamente alla scienza e alla tecnica, pur non essendone, come vedremo, un semplice derivato. L’Innovazione non è un particolare carattere, un modo particolare di vedere la realtà, qualcosa che resta quindi generico ed impalpabile ma non è nemmeno fatta dai risultati puri e semplici della ricerca scientifica o degli sviluppi tecnologici. L'Innovazione Tecnologica è ciò che lega i risultati della scienza, della tecnica e dell’ingegneria al mercato, al profitto, al capitalismo, ai soldi.

    Come dicevamo, l’Open Innovation è qualcosa di ancora diverso e più generale ma che della scienza e della tecnica, del loro modo di guardare la realtà, dei loro metodi, conserva il segno distintivo apportatogli dalla sua componente di Innovazione Tecnologica. Oltre che rivolgersi al mondo dell’R&D e dell'ingegneria, essa infatti utilizza, sia per cercare nuove idee che per promuovere e vendere quelle già esistenti o i prodotti e i processi applicazione concreta di nuove idee, la rete di interconnessione ormai pervasiva di internet e, per essere più precisi, le tante opportunità di mettere a frutto dati, esperienze, idee, risorse che le tante comunità virtuali presenti sulle infinite piattaforme di condivisione di interessi mettono a disposizione di tutti noi a costi irrisori.

    Un tempo per Innovazione Tecnologica si intendeva semplicemente il cambiamento apportato dalla ricerca scientifica e tecnologica. Edison, con la sua lampadina o con il fonografo, fece certamente grande e profonda Innovazione Tecnologica e così fecero Watt con la macchina a vapore, Marconi con la radio o Meucci-Bell con il telefono. Le loro invenzioni tecniche comportarono certamente innovazioni profonde nell’organizzazione della vita, cambiarono le relazioni umane e la stessa possibilità di avere ulteriori e più proficue relazioni, insomma agirono sui rapporti fra persone. In genere migliorarono il benessere collettivo, la piacevolezza della vita, ci fecero sentire meglio di prima (che poi lo fossimo veramente è un altro discorso). Soprattutto furono un potentissimo booster allo sviluppo dell’economia, sia in fase di accumulo di capitali che di diffusione della ricchezza. Il capitalismo moderno non sarebbe nato senza Innovazione Tecnologica. Ma all'inizio l’inventore poteva essere anche imprenditore, commerciante, uomo di business. Oggi questo non è più possibile.

    Dopo la fine della seconda guerra mondiale e soprattutto in Europa, nacquero molti dubbi sulla scienza e sulla tecnica e soprattutto sul loro reale potere di migliorare il mondo. Se ne evidenziarono criticità e rischi: l’inquinamento ambientale, il riscaldamento atmosferico, il diffondersi di malattie legate a questi effetti di uno sviluppo industriale troppo violento e altre cose che conosciamo bene. Tutto ciò ha fatto sì che all’entusiasmo iniziale ma un po’ ingenuo subentrasse una sorta di ritiro della fiducia iniziale e anche, in qualche caso, vera e plateale avversione. Se ne respira l'odore nella lotta alle vaccinazioni, nei tanti avversari della medicina tradizionale (ovvero scientifica), nell’avversione umorale alle genetica applicata alla botanica e all'agricoltura (leggi OGM), nella paura diffusa della chimica e delle sue industrie che pure ci vestono, ci curano, riempiono di mobili e tessuti le nostre case.

    Ma l'Innovazione Tecnologica, curiosamente, non è stata toccata da questo rifiuto antiscientifico generalizzato e anzi, come dicevamo all'inizio, essa appare sempre più come la panacea di ogni male. Perché?

    La ragione è semplice: l'Innovazione Tecnologica lega la scienza al mercato, ai soldi. Con l’Innovazione Tecnologica scienza e tecnologia si fanno business, diventando motori dell'economia. E dei soldi oggi si fidano tutti, nessuno se ne tiene volontariamente lontano. Ecco spiegato perché in un'epoca antiscientifica come la nostra, l'Innovazione Tecnologica mantiene e anzi accresce il suo fascino: perché fa fare soldi.

    Molte forme di finanziamento delle idee innovative sono praticamente sconosciute ai più, che restano convinti che per avere soldi occorra andare in banca, dove poi si sbatte la testa contro una mentalità che definire borbonica sarebbe eufemistico. Tuttavia esse esistono e possono permettere a chi ha una buona idea di farne un business profittevole. A certe condizioni. In buona parte anche queste nuove forme di finanziamento sono innovative e quindi si trovano bene nel mondo ancora giovanissimo dell'Open Innovation.

    Oggi con l’Open Innovation il ponte dell’Innovazione Tecnologica fra risultati dell'R&D e mercati, si può aprire a tutti coloro che, attraverso i nuovi sistemi di partecipazione e condivisione su scala globale, hanno la voglia di diventare attori attivi del processo economico, non soltanto come clienti che acquistano merci di grandi aziende ma come inventori, come finanziatori, come critici, miglioratori, sperimentatori, utenti, addirittura soci.

    Così oggi l’Open Innovation è in grado di aprire le porte del business a un numero prima inimmaginabile di persone, giovani imprenditori con ottime idee, ricercatori scientifici, ingegneri, professori universitari, professionisti, startupper e così via, purché le loro idee siano nuove e abbiano la capacità di soddisfare bisogni. Ovviamente anche le grandi e grandissime aziende si adeguano al nuovo paradigma, avendo capito che da questa interazione fra Innovazione Tecnologica e il mondo dell’interconnessione globale perennemente on line, possono trarre grandi benefici.

    Tutto questo non è un sogno. Come abbiamo anticipato, il boom dell’Open Innovation è l'effetto pratico di quell'inversione dei costi di transazione marginali esposti da un economista premio Nobel in un articolo, pensate un po', del 1937, nel quale egli descrisse la teoria da cui anche noi partiremo per capire a fondo questo nuovo fenomeno che guida, quasi un secolo dopo, le trasformazioni globali che interessano ormai ogni aspetto della nostra vita.

    D’altra parte che l'Open Innovation non sia una chimera ma una cosa molto concreta, le aziende, grandi o piccole ma con un serio bagaglio culturale e adeguata vision, l'hanno capito da un pezzo, anche senza ricorso alla teoria economica di Coase –questo il nome del nostro economista- così come l'hanno ormai ben chiaro in mente migliaia di giovani ricercatori, professionisti o startupper che si sono messi in gioco e creano ogni giorno nuove opportunità di business in Open Innovation.

    Ma, come capita a chi voglia avventurarsi in nuovi territori, occorre prima studiare bene la geografia e i rischi dei percorsi meno agevoli. Insomma, è necessario sapersi orientare in questo nuovo mondo estremamente variegato. Innovare serve a mettersi in prima fila sui nuovi mercati dei prodotti e delle idee e quindi, in definitiva, è il necessario presupposto per generare profitto all'interno di un sistema ormai globale nel quale tuttavia la concorrenza è sempre più forte.

    Il nostro sarà un viaggio che ci porterà a usare termini nuovi, per lo più in inglese perché molti concetti e quindi molte parole nascono in ambiente anglosassone e perché a volte la loro mera traduzione in italiano non rende la ricchezza originale dei contenuti, concetti che davvero possono offrire una visione del mondo alquanto diversa da quella tradizionale, aiutandoci a migliorare le aziende e le strutture organizzate in genere, con una ricaduta evidente sulla vita di tutti i giorni. 

    PARTE I - Fondamento economico dell'Open Innovation

    Le nuove forme dell'Innovazione

    Nel 1937 Ronald Harry Coase scrisse un saggio sui costi di transazione nella società moderna. Parecchi anni dopo fu insignito del premio Nobel con la seguente motivazione: "per la scoperta e la spiegazione dell'importanza che i costi di transazione e i diritti di proprietà hanno nella struttura istituzionale e nel funzionamento dell'economia".

    Secondo Coase l'ambiente economico si dispone lungo un percorso che ha due limiti: da una parte il mercato e dall'altra la gerarchia. Il mercato è la forma più libera di interazione economica ma ha degli alti costi perché ai costi degli scambi economici si sommano dei costi intangibili che lui definisce costi di transazione. Sono costi legati alla unicità e alla temporaneità dello scambio che ha bisogno di procedure e di contratti fra venditore ed acquirente del bene scambiato.

    La gerarchia, che in qualche modo si contrappone al libero mercato, impone invece pratiche standardizzate, burocratiche, definendo posizioni perpetue secondo autorità. Nell'ambito gerarchico, lo scambio non necessita più di contratti specifici per ogni transazione e quindi la gerarchia abbatte decisamente i costi delle transazioni economiche. L'azienda moderna, l'impresa economica moderna (attenzione: Coase scriveva nel 1937), si basa sull'esistenza della gerarchia.

    Questo è il motivo, secondo la teoria di Coase, per cui l'impresa moderna ha avuto uno sviluppo di costante crescita durante l'800 e poi ancora nel '900, fino a raggiungere in alcuni casi dimensioni gigantesche. Vediamo di spiegarlo con un esempio: per un'azienda farsi dare un parere legale su ogni singolo contratto di compravendita o atto di rilevanza giuridica da un avvocato esterno costerebbe troppo e così l'azienda preferisce assumere un avvocato come impiegato, cui elargisce sempre lo stesso stipendio, indipendentemente dal numero di pareri che dà. Così le imprese hanno assunto sempre più personale e questo vale non solo, ovviamente per gli avvocati ma per gli amministrativi, i tecnici, gli scienziati e così via. Verso gli anni '70 del '900 le grandi multinazionali avevano migliaia se non centinaia di migliaia di dipendenti e questo ha garantito di contro la distribuzione

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