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Uomini senza Mercedes
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Uomini senza Mercedes

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Una bizzarra ironia lega strettamente i venticinque racconti che vedono come protagonista un non meglio precisato "Signor Mammi". L'adozione a distanza di un maiale biologico, un immigrato cileno con la vescica troppo piccola, cavalli palindromi e macumbe contro vicini troppo rumorosi; queste e altre vicende si riversano in uno strambo universo padano nel quale si riflettono le contraddizioni dello stile di vita del mondo occidentale.
LanguageItaliano
Release dateDec 17, 2016
ISBN9788822878397
Uomini senza Mercedes

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    Uomini senza Mercedes - Gianfranco Mammi

    alternativo

    La voce

    Se a un ipotetico gatto spaccate tutte le vibrisse in un colpo solo, gli fate lo stesso piacere che fate a me se mi telefonate a casa verso le due del pomeriggio. Tutti quanti sanno che io, a quell’ora, sono molto impegnato in una più che ragionevole e a volte strameritata pennichella; solo le banche sembrano ignorare questo importantissimo dato di fatto – proprio loro che di solito sono così bene informate su qualsiasi argomento degno di nota.

    Un giorno che stavo sognando che ero una sequoia (vita lunga e tranquilla, in generale, quella delle sequoie), di colpo mi sento squassare fin nelle radici più profonde da un ruggito feroce e disumano – che ogni tanto mi dimentico di staccare la cornetta prima di svenire sull’ottomana; e insisteva, quella bestia del telefono, e scoreggiava al mondo intero i suoi barriti da tromba del giudizio universale e non c’era verso di tacitare quel cataclisma cosmico. Era talmente insistente che a un certo punto mi sono persino spaventato.

    «Vuoi vedere che è successo qualcosa di grave?» pensavo. «Che mio fratello si sia tagliata la testa con la motosega?» mi sono detto, poiché proprio in quel periodo mio fratello stava sfoltendo il bosco ceduo dietro la casa del nonno, su in montagna.

    «Che mia cognata si sia decespugliata un piede?» mi chiedevo ancora – che lei ama il decespugliatore al di là di ogni possibile immaginazione.

    Niente. Il muggito terrificante non cessa ancora. A questo punto decido di affrontare di petto quella tempesta acustica e striscio come una medusa verso la mensola del telefono. Chissà che cos’è successo. Chissà a chi è che è successo che cosa, continuo a chiedermi in preda all’angoscia.

    Be’, era la banca Pinco Pallo, che mi comunicava tutta contenta che aveva appena aperto un’agenzia qui in città. Dal profondo Nordest, dove fino ad allora aveva asfissiato l’asfissiabile con i suoi stramaledetti rulli di tamburo e squilli di telefono, aveva invaso anche la mia regione – e ora muoveva all’assalto della mia abitazione privata. Quando le chele dell’alta finanza cominciano a inseguire te e il tuo potenziale patrimonio con tanta foga, non rimane che una sola via di scampo: dichiarare che sei disoccupato da tre anni.

    «Ma lei vuole scherzare, signor Mammi!» fa quella voce dall’altro capo del filo – ed è una voce appositamente selezionata per sedurre proprio te, calda, amichevole, sensuale – un poco erotica, persino. «Sappiamo bene che lei lavora presso la ditta Peverini, che ha appena aperto un conto presso di noi», incalza quella voce sensuale e persino un poco erotica. Peverini è effettivamente il mio datore di lavoro, ed è anche uno spione di prima categoria, che gli venga un colpo.

    «Eh, sì, scherzavo, be’, così… Peverini non le ha detto che sono un gran giocherellone?» cerco di scusarmi in qualche modo.

    «Il dottor Peverini ci ha parlato molto bene di lei», afferma la Voce con tono perentorio.

    Dottore! Si è fatto passare per dottore! E ha pure parlato bene di me! Baro e bugiardo, Peverini maledetto! Spergiuro! La forca, ci vorrebbe, per costui – e per tutti quelli che vanno in giro a parlare bene dei propri dipendenti con le banche. Sì, perché alle banche bisogna invece candidamente confessare che i propri dipendenti sono tutti dei truffatori espertissimi, degli assassini mancati per un niente, dal primo all’ultimo senza eccezione alcuna; che hanno già sfregiato tre o quattro bancari ambosessi a colpi di cutter, e per futili motivi per di più. Roba da legione straniera e oltre. Questo bisogna dire alle banche – soprattutto a quelle del Nordest. E invece, niente da fare! Quel delatore di Peverini ha spifferato tutto, e adesso la banca Pinco Pallo mi vuole accalappiare, me e i miei sudatissimi risparmi.

    «Ho voluto raggiungerLa a casa per non disturbarLa sul lavoro», continua la voce sensuale, dando il dovuto rilievo alle maiuscole. Dunque, Peverini ha propalato ai quattro venti anche il mio orario di lavoro! Bene, perdio, così lo cito per violazione della privacy, quel brutto furetto di Peverini! Lo concio io, lo concio, altro che maiuscole!

    «Ma io sono perfettamente soddisfatto della mia banca», riesco infine a balbettare; «sono dieci anni che…»

    «Sì, capisco benissimo, si figuri, ma noi abbiamo il nuovo pacchetto Ermete che assicura al cliente alcuni vantaggi veramente straordinari». Ma come fa la Voce Sensuale e Persino un Poco Erotica a parlare in corsivo? Bah, le avranno fatto fare un master in America, tutte quelle banche. Perché si sente che è una voce che ha attraversato milioni di banche, questa qui. E’ una voce giovanile ma esperta – e giovanile non significa per forza giovane, tutt’altro. Esattamente il contrario, anzi, di regola.

    Insomma, non c’è stato verso; ho dovuto per forza accettare di fare un salto nella loro bella agenzia nuova di pacca – altrimenti sarei ancora qui attaccato al telefono a discettare con un’entità astratta. Era una voce molto adesiva, quella, che non avrebbe mai mollato la presa per niente al mondo – questo l’ho capito subito. Inutile sprecare il proprio tempo con le voci adesive – sappiatelo – tanto vale farla finita in fretta, che i màrtiri non vanno più di moda.

    Una volta alzata la bandiera bianca, mi è stato concesso di ritornare al mio pisolino rituale; questa volta ho staccato la cornetta, poi mi sono fiondato sull’ottomana – ma ormai lo sciame sismico di quella telefonata aveva gravemente danneggiato il mio aplomb; prima era perfetto, il mio aplomb, modestia a parte – che avrei anche potuto mandarlo alle olimpiadi – e adesso invece faceva acqua da tutte le parti. Allora ho tirato qualche accidente di nuovo conio alla banca in astratto e a Peverini in concreto – che era lui l’epicentro della catastrofe, ovviamente. Siccome a questo punto avevo tempo da vendere e anzi da regalare, mi sono fatto un bel caffè con la moca e volevo proprio godermelo sfogliando con comodo il giornale; quest’ultimo però mi ha vigliaccamente aggredito con un’intera, immensa pagina di pubblicità della banca Pinco Pallo e del suo famoso pacchetto Ermete. Allora sono rientrato in ufficio con mezz’ora di anticipo, fanculo, che tanto valeva mettersi avanti col lavoro. Peverini non c’era, per sua fortuna – che c’ha sempre un culo inspiegabile, costui.

    Due giorni dopo sono andato all’appuntamento presso la banca del Nordest e al solo vedere la loro palazzina sono rimasto basito; era un edificio di fresca costruzione, concepito in quello stile più o meno postmoderno che riesce a coniugare enormi colonne di cemento armato con tetti a guglia e giardini pensili, e ci mancava soltanto il cavallone di bronzo della RAI nell’aiuola. Che però era troppo piccola e stentata, e dunque avevano fatto bene a non mettercelo. Entro, e mi ritrovo congelato all’istante da un sistema di condizionamento dell’aria sparato a manetta; che sia un nuovo ritrovato antirapina? Uno fa una bella irruzione con le migliori intenzioni di svaligiare a sangue una famosa banca del Nordest, e si ritrova mummificato dalla bassa temperatura. Può darsi, perbacco, può darsi. Questi nordestini!

    Io, intanto, che sfortunatamente non ho una faccia da bandito, vengo subito riscaldato da un fuoco di fila di smaglianti sorrisi impiegatizi; un’impressionante serie di signorine abbronzantissime e vestite all’ultima moda – griffes molto costose su corpi perfettamente palestrati. Ma dove sono capitato?

    Vabbe’, spiego chi sono e perché mi trovo lì – vale a dire faccio un breve sunto delle mie disgrazie – e vengo subito pilotato al secondo piano, dove mi aspetta la Voce in persona. Attualmente la Voce soggiorna all’interno di una signora sulla quarantina, fascinosa, attraente, vestita con gusto. Abbronzata, ma non troppo. Anche l’aria condizionata, qui, è okay. Madonna, qui è tutto esageratamente gradevole; bisogna assolutamente escogitare qualche cosa, uscire dalla trappola prima che sia troppo tardi. Ma mi hanno già insediato su un trono girevole e la Voce mi sorride con molta calma e consumata perizia. Oddio, ci siamo, adesso incomincia la solita manfrina; vuole illustrarmi niente meno che la filosofia della banca Pinco Pallo; il ritratto aziendale, sai che bello!

    Dopo tre minuti non ne posso più e la interrompo in modo un po’ brusco: «Mi scusi, dottoressa», proclamo con la forza della disperazione, «ma volevo avvertirla subito che io sono un permaloso anticapitalista, un ateo della peggior specie (ex cattolico praticante, per intenderci), libertario e terzomondista». Ah, però, sono riuscito a sorprenderla; non si aspettava di essere interrotta – non ci è abituata.

    «Mi piacciono molto gli zapatisti», continuo, «e simpatizzo con quasi tutto il popolo di Porto Alegre. Inoltre, come può constatare di persona, faccio largo uso di un dopobarba da irresponsabile».

    La Voce mi guarda con aria interrogativa e non favella. Brutto colpo, per la Voce Sensuale e Persino un Poco Erotica.

    «Lei pensa che tutto questo possa conciliarsi con il profilo della sua azienda?» le chiedo infine. «Gli azionisti della banca Pinco Pallo sarebbero contenti di incontrarmi per strada? Resisterebbero all’impatto con il mio dopobarba?» Oh, mi sto riscaldando veramente, perbacco! Chi l’avrebbe detto, questa mattina?

    Alcuni centesimi di secondo, e la Voce è di nuovo in carreggiata. Ottimo addestramento, si vede. «La nostra clientela è molto eterogenea, signor Mammi; non deve pensare che…»

    «Puah! Eterogenea!» e a questo punto mi faccio addirittura spavaldo e arrivo ad accendermi un toscano fetentissimo che mi ero portato dietro appositamente, anche se dubitavo che avrei avuto il coraggio di incendiarlo là dentro. Il fumo sale allegro e azzurrino nella rarefatta atmosfera dell’ufficio – ed è una gran bella vista, che scalda l’anima, anche se l’odore dà un po’ fastidio pure a me. Proprio sul più bello, però, quando già sentivo che avrei potuto strigliare ben bene la Voce e tutto il suo apparato aziendale a colpi di toscano, il fumo mi va per traverso e comincio a tossire e a sputacchiare lapilli tutt’intorno, e la Voce appare sinceramente nauseata – le ho strappato la maschera, finalmente! Le faccio schifo, io, le fa ribrezzo, la mia saliva, sono solo i miei soldi che le interessano, è chiaro! Bella eterogeneità, la sua banca!

    Ormai anche lei è convinta che non abbiamo più niente da confidarci e mi rimette in libertà senza ulteriori torture. A mai più rivederci, signora Voce! Sul marciapiede, appoggiato con un braccio al muro della banca postmoderna, finisco di sputare i polmoni sotto lo sguardo severo di una guardia giurata; che c’è, non si può tossire sul marciapiede di una banca? Bisogna pagare, per caso? Bisogna pulire per terra, dopo? Tutto questo non gliel’ho detto, alla guardia, ma era chiaramente implicito nel mio sguardo nonviolentemente iniettato di sangue.

    La mattina seguente, verso le undici, quando Peverini il Delatore è arrivato, è venuto apposta nel mio ufficio per

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