Una vita da non dimenticare
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Book preview
Una vita da non dimenticare - Bernardino Orlando
BERNARDINO ORLANDO
UNA VITA DA NON DIMENTICARE
COLLANA CINABRO - VISUAL | CULTURA E SOCIETÀ
NARRATIVA/BIOGRAFIA
© 2017 TraccePerLaMeta Edizioni
ISBN 978-88-98643-89-9
Associazione Culturale TraccePerLaMeta
www.tracceperlameta.org
info@tracceperlameta.org
Collana Cinabro - Visual | Cultura e Società
I Edizione digitale gennaio 2017
Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.
Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dall’Editore.
Art Director: Laura Dalzini
Graphic Designer: Stefano Dalzini
"La malattia ha limitato il tuo corpo,
ma non il tuo Cuore.
Solo un grande Uomo come te,
nonostante le difficoltà,
può dare coraggio e serenità.
Grazie Dino"
Bruno Esposito
PREFAZIONE
Questo libro racconta una vita. Già solo per questo merita il massimo rispetto. Ma se si leggono, una per una, tutte le vicissitudini dell’autore, a poco a poco si entra in un mondo che spalanca le porte del cuore. Si dice, come amava ricordare il principe De Curtis, che il denaro fa l’uomo ricco, ma è l’educazione che lo rende signore.
Ebbene, Dino non è un uomo qualsiasi: per il coraggio di andare avanti e di affrontare qualunque difficoltà, sia di lavoro, sia familiare, sia di salute, sempre senza mai nulla chiedere, senza recriminare, sempre preoccupandosi di non far mancare nulla né alla famiglia, né agli amici, o ai colleghi, o ai vicini e per la generosità con cui guarda gli altri, tutti gli altri, a prescindere dalla loro condizione sociale o dal fatto che lo meritino o meno, egli è un signore.
Nel Medioevo, al tempo di Dante Alighieri, si usava, nell’ambiente dei poeti e degli scrittori, fare lunghissime dissertazioni su quale fosse la vera nobiltà: se quella di nascita, oppure quella del cuore.
Leggendo questo testo, come ai tempi di Dante, si arriva immediatamente e senza ombra di dubbio alla medesima risposta dei nostri predecessori: la vera nobiltà è nel cuore.
Si possono avere contee, feudi, o, in senso moderno, industrie, quote societarie, visibilità mediatica e ogni altro status-symbol del successo, ma se manca quella capacità di avvicinarsi al prossimo, chiunque esso sia, in quanto essere umano, a prescindere da qualsivoglia condizione, con stima e rispetto, con generosità e amore disinteressato, non si è nulla, si ha vissuto invano e, anzi, forse, non si ha neppure vissuto.
Le cronache sono piene di famiglie dove regnano l’odio, il terrore, la disperazione e spesso si tratta di contesti non degradati in senso economico, ma benestanti; i nostri giovani spesso cadono vittime della droga, della violenza crudele e gratuita, dello sfogo abietto su cose, animali innocenti e persone. Siamo spesso vittime di una povertà morale.
Dino è stato un figlio devoto, è un marito e padre meraviglioso, un collega leale, un lavoratore eccellente e stimato, un amico sincero: egli sul piano morale è ricchissimo, è veramente un essere umano che possiamo definire di successo, di quel successo del cuore che si vive nei rapporti umani e nella difficile ma straordinaria avventura della vita quotidiana.
Commuove l’anima e davvero qui il critico letterario sente il bisogno d’inchinarsi davanti al racconto della fame, della fatica del lavoro, delle prove che incessantemente hanno martoriato e forgiato l’anima di un uomo che, anche in mezzo a ogni tipo di dolore, ha saputo mantenere la capacità di uno sguardo buono.
Dino avrebbe avuto non uno, ma mille motivi per recriminare e maledire il destino, la sorte, la vita; e invece benedice.
Nel senso etimologico del termine, egli ‘dice bene’ di tutto e di tutti, senza falsità, senza ingannevoli abbellimenti della realtà, ma raccontando con onestà e anche un pizzico di sana, generosa e preziosa ironia, vicende e situazioni.
Non si è lasciato abbruttire dalla vita; in psicologia, la capacità di reagire costruttivamente alle avversità è definita ‘resilienza’: in questo senso, egli è realmente un campione della resilienza.
Anche la sua capacità di narrare è notevole: le sue parole sono ben calibrate, misurate e coinvolgenti; è un autore che possiede la rara capacità di ricreare atmosfere e immagini che accolgono e accompagnano il lettore alla scoperta della propria realtà esistenziale, dall’età giovanile alla maturità, ricostruendo nel contempo le memorie di un’epoca e di una società.
La lettura di questo testo offre molti spunti di riflessione, anche sul piano sociologico: come eravamo, negli anni Settanta e Ottanta?
Dino ce lo ricorda con grazia e vivacità: era il tempo delle compagnie di amici, delle tavolate di parenti, degli scambi di auguri, della schiettezza di un bicchiere di vino e di un pasto consumato in semplicità e allegria.
Quanto è prezioso, il cibo, per chi, come l’autore del libro, ha sperimentato di persona cosa sia l’avere fame.
Oggi c’è una maggiore agiatezza, dal punto di vista materiale; ma quanta fame abbiamo tutti, noi figli del benessere, di affetti veri, di amicizie sincere, di rapporti umani dove ci si possa fidare e confidare senza temere pugnalate!
La vita di Dino ha un valore esemplare. Tutti, giovani e adulti, possono imparare molto da quello che racconta, e dal modo sereno, limpido e sincero con cui, con umiltà e saggezza, lo descrive. Onestà, rettitudine, carità: queste sono le virtù che si apprendono da questo libro, che rappresenta una testimonianza e un inno alla vita, anche quando questa diviene fisicamente debole, le forze vengono meno e ogni minimo movimento diventa un dolore.
E allora diviene ancora più importante la dimensione degli affetti, vissuti con l’intensità e il calore che caratterizza in modo peculiare la gente del Sud, il cui grande cuore non fa mai sentire abbandonato nessuno.
Tutti quelli che hanno il privilegio di conoscere Dino e la sua meravigliosa famiglia li amano, per la loro lealtà, per la loro onestà, per la loro straordinaria e al tempo stesso semplice e genuina umanità, che li rende in grado di aiutarsi a vicenda e anche di aiutare chi condivide la vita con loro.
Dino, nell’epilogo, accenna al fatto che potrebbe ritenersi un fallito, ma questo pensiero è in realtà la tentazione crudele a cui è sottoposto ogni uomo moderno: nella società dell’immagine, se non si appare perfetti, sempre in piena efficienza e smaglianti per la corsa a chi è più visibile, a chi urla più forte, a chi corre verso traguardi sempre più alti di livello, ma sempre più miseri a livello morale, si è quasi costretti a servirsi dei propri talenti per manipolare e usare gli altri a proprio vantaggio, per poi lanciarsi verso nuovi traguardi, nuove sfide insensate e nuovi obiettivi falsamente grandiosi.
Ma tutti noi, che crediamo nei valori dell’Uomo e della sua Dignità, nel nome di quel Dio che, come giustamente Dino ci ricorda, è con noi, e non ci abbandona, siamo certi che la vita vera, già su questa Terra, prima ancora che nei cieli, è fatta di amore, di piccoli gesti di premura e tenerezza condivisi, di stupore e gratitudine; non di odio, di ambizione e di livore.
E come credenti, come lettori, e soprattutto come uomini, diciamo GRAZIE a Dino per il dono di questa sua testimonianza, e ci stringiamo commossi in un abbraccio, per tutto quello che ci ricorda e c’insegna.
Ilaria Celestini
(critico letterario, specialista in Lingua e Letteratura Italiana,
Direttore Editoriale di TraccePerLaMeta Edizioni,
sezione Narrativa e Spiritualità)
DEDICA
«La perla rara,
quella che non ha prezzo,
non la trovi in fondo al mare,
ma la trovi... nel cuore
di chi ha un battito speciale!»
i tuoi amici
UNA VITA DA NON DIMENTICARE
Primo Capitolo
La mia autobiografia: racconti e ricordi della mia infanzia a Bernalda (MT). Il racconto ha inizio nel 1963, quando avevo 4 anni, prima di allora non ho ricordi.
Mia mamma
Mio papà
Mi chiamo Bernardino. Mia mamma raccontava che mi aveva dato questo nome perché i miei nonni paterni obbligavano i figli a mettere i propri nomi, ma i miei genitori li avevano già messi ai miei fratelli, quindi lei, dopo aver fatto un voto a San Bernardino, decise di chiamarmi così. Se avessero scelto i miei nonni, mi avrebbero sicuramente chiamato Domenico.
Mia mamma, mia sorella, Vita e io
Mia mamma, mia nonna e io vestito da S. Antonio
Sapete, per un anno mi hanno vestito da S. Antonio
, perché i miei genitori avevano fatto un voto, del quale io non so nulla. La mia famiglia era composta da sei persone più una sorella di latte, che io ho sempre considerato più di una sorella di sangue a tutti gli effetti, perché lei faceva e fa ancora tutt’ora, per me, più di quanto facessero gli altri miei fratelli e sorelle. Poi c’erano i miei nonni, che convivevano con noi. Quando ci sedevamo a tavola, specialmente la domenica, eravamo al completo, era una festa. Non doveva assolutamente mancare la pastasciutta con la carne al sugo, ovviamente abbondante, per non parlare poi delle polpette, una vera delizia! Era tutto squisito, e se mancava tutto ciò, non era domenica. Figuratevi che tutti facevano la scarpetta
; anche il sedano non doveva mancare e lo si mangiava con la pasta, oppure c’era chi lo metteva nel bicchiere del vino, io lo bucavo con uno stuzzicadenti e lo facevo diventare come una cannuccia e con questa succhiavo la bibita.
C’erano anche le noccioline miste con noci e spagnolette; per noi meridionali, facevano parte delle nostre abitudini.
Immaginatevi che gli ambulanti si mettevano sul corso a vendere la frutta secca, le pasticcerie erano sempre piene, e noi facevamo la coda.
Pasticceria
La bancarella di frutta secca
La domenica, ancora adesso, nel paese vengono mantenute queste belle tradizioni.
Avevamo una casa grande che da un lato si affacciava sulla via principale, mentre nel retro c’era la stalla, c’era anche un pezzo di terra ed un rustico nel quale mio padre lasciava gli animali in libertà. Guai se a mio padre mancava il cavallo! Lui piuttosto faceva la fame, ma doveva avere il suo cavallo: pover’uomo, non aveva vizi, il suo hobby erano i cavalli; oltre alla cavalla aveva anche una capretta. A proposito della capretta: era il periodo di Pasqua, mia madre mi aveva vestito come un principino e ci aveva informati che la capretta aveva partorito i piccolini. Io appena appresa la bella notizia ho subito fatto di corsa il giro della casa per andare a trovare i nuovi arrivati; purtroppo caddi in una pozzanghera, imbrattando il mio abitino, pertanto tutto il lavoro di mia mamma era andato in fumo.
Mia mamma, mia sorella Via e io
Mio papà e mio fratello Salvatore
Devo ammettere che da piccolo ero già testardo. Andai a vedere i capretti, erano tre, tutti bianchi; appena mio padre vide come mi ero ridotto, lì per lì non sapeva se sgridarmi o ridere, anche perché vedeva la passione e l’amore che avevo per gli animali. Ricordava quando era piccolo lui, perché aveva il mio stesso entusiasmo e dedizione per gli animali: così mi prese in braccio, mi portò a casa e mi cambiò. Se mi avesse visto la mamma, sicuramente mi avrebbe sgridato!
Povera donna, era sempre indaffarata e aveva il tempo contato. In casa eravamo in sette e mia nonna malata ormai non si alzava più dal letto: aveva una gamba malata che era andata in cancrena, se ne andò dopo qualche anno.
Io ero molto legato a mia nonna e tutti i giorni mi recavo al cimitero. Abitavamo a circa un paio di chilometri da lì. Un giorno, vicino alla lapide di mia nonna, mi apparve lei su un dondolo che mi diceva: Adesso vai a casa, quando verrò ti comprerò un paio di pantaloncini rossi
. Per me lei voleva dire: Vai a casa, è mezzogiorno e il cimitero sta chiudendo
, ma io, che ero concentrato sulla sua foto, non mi accorgevo del tempo che passava e da quella volta non andai più al cimitero.
Ero un bambino un po’ birichino, vispo e vivace; ero molto bravo a usare la fionda, con i miei amici quanti vetri abbiamo rotto, avevamo una mira infallibile
! Miravamo i barattoli e il sasso andava ovunque tranne che sui barattoli: tante persone ci sgridavano e ci rincorrevano, ma noi con destrezza ci nascondevamo. Eravamo proprio dei bischeri!
Fionda
Ci divertivamo a giocare in strada alla campana
: si tracciava con un gesso un rettangolo, vi si disegnavano sette caselle, sulle quali si tirava un sassolino e per andare a recuperarlo bisognava saltellare con uno o due piedi.
La campana
Noi maschietti con l’aiuto dei più grandi costruivamo il carrettone
: era composto da un’asse larga 40 cm e lunga 60 cm, poi due altre assi strette, per poter applicare 3 sfere; sull’asse davanti si applicava un’altra asse che faceva da manubrio, e alè, si sfrecciava sulle strade, specialmente in discesa, che velocità! Oppure ci spingevamo a turno, quante ginocchia sbucciate
sull’asfalto! C’era da piangere, che dolore!
Il carrettone
Allora si potevano percorrere le strade perché c’erano pochi mezzi, più che altro c’erano i carretti trainati da muli, asini o cavalli.
C’erano pochi mezzi
I miei, vedendo la mia vivacità, sicuramente per rabbonirmi, mi mandarono all’asilo. Mi comprarono il grembiulino e il cestino, ma ci andai per soli due giorni. Il terzo giorno mi nascosi sotto il letto. Non mi piaceva andare all’asilo, perché mi facevano dormire.
Quello che mi piaceva e che mi è rimasto impresso del mio paese è che al mattino mi svegliavo al suono della campanella del pastore che vendeva il latte appena munto e che urlava Un quinto di latte, 5 lire!!!
. Poi passava il tizio che vendeva la carbonella.
Avevamo i bracieri in mezzo alla casa per riscaldarci ed era bello quando ci sedevamo tutti insieme, perché ognuno aveva una storia da raccontare, passava anche il tizio del pesce e della verdura, insomma ci tenevano tutti svegli e questa era la vita del paese.
Il braciere
Ricordo mia mamma, era capace di fare tutto (mi sembra di vedere ora, mia cugina Concetta) non si tirava indietro su nulla, faceva i dolci così buoni che mio fratello maggiore, Pinuccio, mi ricattava dicendomi: Se mi dai le pastarelle ti porto in moto, oppure ti insegno a ballare
.
Poi sulla casa avevamo fatto una bella terrazza e una cuccia per la cagnetta, che nel frattempo aveva fatto una bella cucciolata. La cagnetta era gelosa dei suoi cuccioli e quando mia sorella Vita portò delle amiche per far vedere i cuccioli, la cagnetta le morsicò. Mia madre le portò immediatamente dal dottore; nel frattempo anch’io portai i miei amici a vedere i cuccioli, ma anche loro subirono lo stesso trattamento. Mia madre, faceva avanti e indietro dal dottore, quante sgridate e sculacciate. Lei era buona e cara, ma quando si innervosiva suonava
con rami di salice e cinture noi e chiunque le capitasse a tiro, ma tutto questo solo ed esclusivamente per insegnarci l’educazione.
Quel giorno fu un dramma.
Io con la moto di mio fratello Pinuccio
Secondo Capitolo
Un giorno mio padre andò a piedi a lavorare perché la moto non funzionava, e mentre camminava incontrò il direttore dell’ente riforma (colui che assegnava i poderi - case coloniche), gli diede un passaggio, parlarono e gli fece fare domanda per la richiesta del podere.
La casa con 4 ettari di terreno che venivano assegnate dall’ente riforma
Venne accettata e dopo qualche tempo ci trasferimmo a Terzo Cavone, podere 611, che poi diventò via Taranto, 3 - frazione di Scanzano Jonico.
Quando l’ente riforma ci ha assegnato
la casa,