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Una domenica di Febbraio (La grande festa)
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Una domenica di Febbraio (La grande festa)
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Una domenica di Febbraio (La grande festa)

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In una gelida e piovosa domenica di febbraio quattro personaggi si incontrano e insieme intraprendono un viaggio che non ha una vera meta. Un indirizzo trovato nel cappotto della più anziana del gruppo, che a seguito di un incidente ha perduto la memoria, sono l’unico indizio che li porterà a centinaia di chilometri dal luogo dell’incontro. Dove sono diretti? A chi appartiene quel recapito? Chi c’è ad attenderli? Questo è l’inizio di una storia fatta colpi di scena, racconti perduti, vita reale, incontri con personaggi strampalati, sognatori e disincantati. Una grande festa, con tanto di fuochi d’artificio, non farà altro che mettere definitivamente a nudo i nostri protagonisti, ognuno dei quali ha un piccolo segreto da rivelare.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateFeb 23, 2017
ISBN9788892650602
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    Una domenica di Febbraio (La grande festa) - Luca B. Blandino

    loro.

    PERSONAGGI

    UNO

    Aveva paura. O almeno era quello che provava. Paura. Non tanto per l’altezza, ma per quella sensazione che da qualche tempo stazionava in lui. Poche volte nella vita aveva sentito l’esigenza di scappare, di partire, di lasciare tutto. Non voleva più alzarsi tutte le mattine presto e attraversare la città per un lavoro in ufficio che detestava. Voleva alzarsi quando ne sentiva la necessità, come gli scrittori, pensava, che si alzano e quando ne hanno voglia scrivono, non sono vincolati ad una sveglia alle sei e quarantacinque tutte le mattine.

    E ora se ne stava lì, a guardare la bianca città dall’alto, con le sue piazze, le sue chiese e i suoi verdi parchi avvolti da quella leggera nebbia di una domenica di febbraio. Quella mattina aveva lasciato la sua camera del bed & breakfast e si era avviato verso Piazza Stradivari, per poi arrivare di fronte al Torrazzo e decidere di salire, di affrontare lentamente quei 502 gradini che lo separavano dalla vetta, osservare da ogni piccola feritoia il mondo che fuori si muoveva alzandosi e ogni tanto voltare la testa verso il basso dopo aver avuto quella strana sensazione che qualcuno potesse seguirlo. Ma era solo; l’unico che aveva deciso di non perdersi l’opportunità di avere anche solo per qualche minuto l’intera città ai suoi piedi.

    Si ricordò in quel momento di quando sua mamma da piccolo lo teneva stretto tra le sue braccia e poi lo portava alla finestra facendogli scorgere quel panorama innevato che per lui voleva semplicemente dire giochi, divertimento e vacanze. Che bei momenti! Ma cosa lo aveva ridotto in quello stato?

    Giovanni scrutava aldilà della nebbia, alla ricerca della strada che lo aveva condotto fino a lì. Sui muretti della torre erano indicati i paesi in lontananza che lui non conosceva, ma che avrebbe voluto attraversare in quel momento, magari volando più in alto di tutti. L’indomani era di nuovo lunedì, ma lui non lo soffriva. Soffriva molto di più l’attesa nel giorno di festa, di quella domenica in un paese non suo, ma che apposta aveva scelto per non incontrare niente e nessuno che lo riportasse a quella che lui definiva una mesta vita di poche speranze nel presente e forse anche nel passato. O forse no; nel passato lui era sempre stato un grande sognatore, un bacino di fantasia inesauribile che ora si era svuotato completamente.

    Un suo amico gli aveva dato anche il numero di un bravo psichiatra che aveva aiutato sua mamma, ma lui aveva preferito ascoltare i consigli di un altro suo amico, trovandosi così a trascorrere le serate tra qualcosa di forte da mandare giù e lunghe passeggiate nella ricerca della via di casa. Ma la ragione non l’aveva perduta: era una persona estremamente intelligente che aveva perso, forse solo nell’ultimo periodo, quella lucidità e spensieratezza che avevano contraddistinto il suo decennio precedente.

    Sentì un rumore provenire dal basso, forse dalla loggetta sottostante. Qualcuno stava salendo. Quei brevi istanti di solitudine sarebbero tutto ad un tratto svaniti. Già ne sentiva la mancanza, li voleva possedere; non erano bastati due giorni a zig-zagare per vie a lui estranee. Quello era stato l’apice della sua pausa di riflessione, il mondo dinnanzi a lui e lui da lassù lo possedeva. Si sentiva quasi come fosse morto e quella sensazione lo rincuorava. Adorava quell’attimo, quel posto, quella enorme campana che troneggiava sopra la sua testa. Le voci si avvicinavano, qualche minuto e poi non sarebbe stato più solo. Immaginava una famiglia sopraggiungere, papà, mamma e il figlioletto, quest’ultimo magari vestito da Zorro o Batman. Aveva visto parecchi bambini mascherati in piazza quella mattina giocare con i propri genitori, addirittura uno vestito da ape con un lungo pungiglione che poggiava quasi a terra. Quest’immagine lo faceva ridere, il primo sorriso della giornata. Buon segno, pensò.

    Fece ancora un giro tutto intorno. Chi stava per arrivare non doveva avere fretta e voleva godersi il panorama gradino dopo gradino. Il custode gli aveva detto che non avrebbe visto un granché con quel tempo, ma a lui non interessava, erano altri i pensieri che lo tormentavano e ora li stava raccogliendo in quel bacino svuotato della sua mente. Scattò ancora una foto, le voci erano sempre più vicine. Mi butto… ora! Non voglio più vedere alcun essere umano! Mi fa schifo il genere, lo odio, non ne voglio fare più parte, voglio diventare concime per piante, sarei più utile all’umanità, ne sono certo! Ma non ne ebbe coraggio: si aggrappò alle inferriate, fece un lungo sospiro, si voltò e una ragazza apparve davanti ai suoi occhi.

    DUE

    Rosalba Cantore all’età di 15 anni voleva fare l’attrice! Non aveva neanche mai fatto una recita scolastica, mai assistito ad uno spettacolo teatrale, visto pochissimi film all’oratorio del suo paese, eppure era convinta che quella sarebbe stata la sua strada. In fondo si era sempre sentita portata per trasformarsi ogni giorno in un’altra persona, immedesimarsi in personaggi che l’avrebbero condotta a calcare i palcoscenici di tutto il mondo, a posare per i più importanti fotografi, trascorrere le giornate a leggere le migliori sceneggiature che i suoi produttori le avrebbero proposto.

    Rosalba Cantore superati i settanta non aveva fatto nulla di tutto questo! Non era mai salita su un palcoscenico, se si esclude quella volta in cui aveva ritirato un premio in una gara di ballo alla festa di San Bartolomeo, non aveva mai letto un copione, né tantomeno un copione era finito anche solo per caso nelle sue mani. E la cosa che più odiava, era farsi fotografare. A sedici anni aveva iniziato la sua onesta carriera di sarta, che ancora ora nel tempo libero continuava. A diciannove aveva conosciuto durante il ballo di San Bartolomeo, sempre quello del premio, ma quarant’anni prima, il suo futuro marito e nei dieci anni successivi si era dedicata alla messa al mondo di tre piccole pesti di sesso maschile che l’avrebbero tenuta attiva per il resto della sua vita: Alfredo, di anni 52, Sergio, di 46, e Valentino di 43, nato proprio il giorno della festa degli innamorati. Ma soprattutto l’ultimo figlio per la famiglia Cantore, anche se a Rosalba un’altra donna in casa non sarebbe dispiaciuta. Ma forse era andata meglio così, dato che la vita l’aveva portata ad avere 4 nuore, (Sergio era già al secondo matrimonio) e due nipotine femmine, Giulia ed Eleonora. Così oltre alla sarta, alla mamma, alla moglie, alla casalinga e alla sognatrice di palcoscenici, si era con il tempo specializzata nel faticoso ruolo di suocera prima e di nonna poi.

    Purtroppo all’età di 66 anni si era dovuta immedesimare ancora in un altro ruolo, quello più drammatico, la vedova. Una breve e terribile malattia le aveva portato via suo marito, quel robusto uomo con cui aveva condiviso momenti belli e meno belli, ma soprattutto la costruzione di una famiglia.

    Rosalba adorava vivere, e di questo ne era certa. Le piacevano le piccole cose, quelle semplici, genuine, come il profumo della primavera e una domenica trascorsa in famiglia. Si era accontentata durante tutta la vita e sapeva amare chiunque l’avesse anche solo per un attimo degnata di una innocente attenzione. Adorava fare la nonna, accompagnare Giulia all’asilo, fermarsi al bar e prendere un caffè chiacchierando con Cristoforo, il barista di fiducia, passeggiare per le vie del centro storico o tra le bancarelle del mercato il venerdì mattina. E poi tornare a casa, prepararsi pranzo e trascorrere qualche ora davanti alla televisione, anche se con la bella stagione la maggior parte del suo tempo lo trascorreva all’aria aperta.

    Rosalba si era costruita con Giulio un’esistenza felice e soprattutto una casetta di tutto rispetto, con un giardino che curava in ogni suo dettaglio. Ogni settimana tagliava l’erba e parlava con le piante, cercando in qualche modo di coinvolgerle nella sua vita quotidiana. Quell’enorme prato verde stava diventando la sua principale attività, ma anche la sua preoccupazione, poiché gli anni passavano e l’idea di non potervi un giorno dedicare il tempo necessario la rendevano triste.

    Quell’inverno sarebbe presto passato. Rosalba amava la stagione invernale, fredda, buia e allo stesso tempo accogliente, ma voleva tornare a fare quello che più era alla sua portata: prendere in mano un paio di tenaglie, arrampicarsi su una scala e cominciare a potare l’acero, il pero e la siepe intorno alla cinta. Parlava spesso di questa sua passione con i figli e con la sua pettegola vicina di casa, Anna Maria, anche lei vedova, ma senza alcuna vera passione, se non quella di ficcare il naso nella vita degli altri. In paese nessuno la sopportava, a quanto si dice anche suo marito ai tempi che furono molte volte cercava di evitarla, rifugiandosi nella vicina bocciofila fino a sera tarda.

    Era domenica quel giorno. Rosalba e Anna Maria stavano chiacchierando, o meglio Anna Maria la stava intrattenendo con un lungo e insopportabile monologo sul futuro, giovane e bello Don Ugo che si sarebbe insediato nella piccola cappella del paese. Ancora non lo conosceva, eppure già sapeva quali erano tutti i suoi difetti e i suoi pregi… sicuramente più difetti, che avrebbero portato cattive sensazioni tra i fedeli della Parrocchia. Rosalba ascoltava per cortesia, non aveva molto tempo da perdere, doveva ancora prepararsi e raggiungere i suoi figli al Ristorante del Pilone. Quel giorno era il compleanno della piccola Eleonora che avrebbe festeggiato i suoi primi sette anni e non poteva far tardi.

    Proprio in quel momento il telefono squillò e mai momento fu più propizio! Rosalba si allontanò dalla donna che continuava ad osservarla dall’altra parte del recinto, dal cortile di casa sua. Anna Maria aveva ancora due argomenti da affrontare che non erano assolutamente da sottovalutare ed era pronta ad attendere, disposta a non muoversi neanche di un passo. Il suo pranzo della domenica consisteva in una pasta scotta con un po’ di conserva dell’estate precedente… aveva tutto il tempo a sua disposizione.

    Rosalba rientrò di corsa nel tinello dove teneva il telefono. Rispose. Passarono alcuni secondi, prima che la cornetta scivolasse dalla mano della donna, cadesse a terra e le sue mani appena in tempo riuscirono a coprirle il viso, fermando quelle lacrime pronte ad inondarle le guance. I primi tristi singhiozzi iniziarono a rimbombare nella casa. Anna Maria attese ancora qualche minuto, ma l’ultima cosa che Rosalba aveva in mente in quel momento era di riprendere quella inutile discussione con lei.

    TRE

    La giornata era splendida, anche se fresca. La decisione di sposarsi in quella data era ormai una tradizione di famiglia e non poteva essere interrotta. Così Teresa, non appena aveva saputo dell’intenzione di sposarsi di sua figlia Simona, non aveva perso tempo e si era subito data da fare nei preparativi, proprio come era accaduto con la sua primogenita. Simona le aveva dato un sacco di soddisfazioni: laureata in economia aziendale con 110 e lode, timida, sincera, a volte ancora troppo innocente e incosciente. Da poco aveva trovato lavoro presso un’azienda della zona come addetta acquisti. Non era la sua massima aspirazione, ma per farsi le ossa non c’era posto migliore. Trascorreva poi i fine settimana come volontaria della Croce Rossa, ed era lì che aveva conosciuto il suo futuro marito, Francesco, di tre anni più grande di lei.

    Non fu amore a prima vista, anzi come capita spesso, era stata Simona ad essersi presa una sbandata per quell’uomo, il quale era appena uscito da una lunga storia di otto anni e pensava a tutt’altro fuorché fidanzarsi. Ma non c’è nulla di più bello al mondo di una ragazza innamorata. Simona non appena ne aveva l’occasione, faceva di tutto per spostare i turni pur di stare accanto e soprattutto conoscere la persona che l’aveva incantata e che le faceva battere forte il cuore. Nemmeno lei riusciva a spiegare quel fenomeno che l’avvolgeva ogni volta che i suoi occhi incrociavano quelli di Francesco, quel forte battito che mai nella vita aveva sentito per altre storie più o meno lunghe che aveva vissuto. Una calamita, ecco cosa rappresentava il suo futuro marito per lei, qualcosa a cui si sentiva sempre costretta ad avvicinarsi. Amava sentire il suo odore di pulito, spiarlo da dietro un muretto mentre chiacchierava con altre persone. Il più delle volte si sentiva una stupida liceale alla sua prima cotta, ma sapeva che non era così; con lui sarebbe stato tutto diverso, sarebbe stata la persona con cui avrebbe condiviso il resto della sua vita e con cui avrebbe avuto due splendidi figli.

    Sapeva anche che a sua mamma Francesco non era mai piaciuto. Era sì un bravo ragazzo, sempre gentile, con una piccola azienda di famiglia da portare avanti, ma non il tipo di ragazzo che avrebbe voluto per Simona. Teresa sentiva di avere tutto il diritto di questo mondo nel dire a sua figlia che stava facendo una cazzata, sì, proprio una cazzata! Era ancora così giovane, aveva tutto il tempo davanti a sé! Ma ragionando con il cuore e guardando Simona, capiva che ogni parola, anche se detta da una mamma apprensiva e testarda come lei, non avrebbero sortito alcun effetto sperato.

    Andrea, il testimone, nonché il migliore amico di Francesco, stava fumando l’ennesima sigaretta, nell’attesa che i due sposi terminassero di fare quelle stupide foto, cosicché da accompagnarli a quel benedetto rinfresco, l’unico motivo che lo spingeva a presentarsi ai matrimoni. Ma come ci si poteva sposare in inverno? Tutti i matrimoni a cui aveva dovuto obbligatoriamente partecipare erano stati celebrati a maggio, giugno, settembre. Suo cugino aveva deciso di sposarsi il diciotto di agosto, così gli aveva fatto inviare un bel mazzo di fiori e sprecato un po’ di soldi nel telefonargli dalle Baleari per fargli auguri… tutto ha un limite!!! Adesso che ci pensava i suoi genitori si erano sposati l’8 di dicembre, sotto trenta centimetri di neve. Ma per fortuna a quei tempi lui non era ancora nei pensieri di mamma e papà.

    Il cielo si stava lentamente rannuvolando, il cappotto non bastava più. Spense con il piede la sigaretta a terra e decise di rientrare in macchina. Prima o poi i due piccioncini sarebbero tornati. Ma non pensavano a tutto quel popolo in rivolta che li attendeva al ristorante? Eppure Francesco sapeva tutto di lui e soprattutto che odiava attendere nel mangiare. Si guardò nello specchio retrovisore; pochi mesi e sarebbero arrivati i fatidici trenta anche per lui, ma neanche lo straccio di una ragazza. Che fortuna aveva avuto il suo amico! Dopo la rottura del suo lungo rapporto con Elisa avevano fatto tanti progetti insieme, un viaggio in Irlanda, un ritorno a dieci anni di distanza ad Amsterdam, e magari l’acquisto del London Pub che lo avrebbe finalmente tirato fuori da quel lavoro nella casa di cura che non odiava, ma neanche amava. E invece quella infame vita aveva portato Francesco verso un’altra strada, senza neanche dover faticare molto nel conquistare Simona che dopo una prima fase di studio era letteralmente caduta ai suoi piedi. Quale ingiustizia!

    Cosa aveva poi il suo amico in più di lui? Tutti dicevano che lui, Andrea, era di gran lunga più carino, simpatico e dannato. Aveva avuto sicuramente più storie di Francesco, ma a pensarci bene, a parte con Caterina, ma aveva 16 anni, con nessun’ altra aveva mai avuto la benché minima visione di un futuro eterno insieme. Eccoli. Finalmente! I due sposini stavano arrivando per il pranzo! Andrea scese dall’auto, almeno per aprire ai due innamorati la portiera, anche se non se lo meritavano. Ma una volta sceso si accorse che erano di nuovo fermi, per l’ennesima, inutile foto. Di dannato in quel momento c’era solo il fotografo! Avrebbe smesso prima o poi, ma mai come in quel momento, la cosa più naturale che gli in venne in mente di fare, fu accendersi una sigaretta.

    Francesco si era trovato sempre nel posto giusto al momento giusto. Lo sapeva anche lui che non aveva grandi doti. Non era fisicamente perfetto, non era di quei simpaticoni che tenevano una compagnia sull’attenti per tutta una serata. Se non avesse deciso un giorno, quasi per caso, di entrare in Croce Rossa avrebbe trascorso tutto il suo tempo libero a dilettarsi nel suo hobby preferito, fare il pantofolaio.

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