La Mano dell'Ingannatore
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Dopo la Guerra degli Dei, le alte divinità sono divenute silenziose e distanti. L’Ingannatore, però, si muove ancora libero per il mondo, a umiliare gli esaltati ed esaltare gli umili. E la Mano dell’Ingannatore è il ladro chiamato Adesso No.
Lui e la sua nuova squadra sono pronti ad affrontare ogni sfida, che si tratti di rubare un libro dalla biblioteca della Saggezza, occuparsi di un oscuro manufatto risalente alla Guerra degli Dei, o rimettere la Feroce Lancia dell’Inesorabile Mano della Giustizia nel sorvegliatissimo Tempio della Giustizia prima che la sua assenza venga notata.
Ma possono davvero fidarsi l’uno dell’altro? O un tragico segreto metterà a rischio il loro colpo più pericoloso?
Include due racconti, “Serratura e Chiave”, e “Il cappello in testa”, pubblicati in precedenza in The Sockdolager.
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La Mano dell'Ingannatore - Mike Reeves-McMillan
LA MANO DELL’INGANNATORE
Mike Reeves-McMillan
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Capitolo 1
Avevo appena sgraffignato una prugna da un banco del mercato quando la donna incappucciata mi si fece accanto e disse: Adesso No?
Feci un passo indietro e mi guardai attorno, chiedendomi se facesse parte di una squadra di cacciatori di ladri; chi altro mi avrebbe chiamato col mio soprannome nel bel mezzo del mercato?
Non sono la legge,
mormorò lei sottovoce, muovendo solo un angolo della bocca. Tutto il contrario, se mai. Ma non parliamo qui.
Inclinò la testa, indicandomi di seguirla, e si incamminò.
Sicura di sé, pensai. Con un’ombra d’arroganza.
Poteva essere interessante.
La seguii con discrezione fuori dalla piazza del mercato e giù per una stradina, dove una porta era stata lasciata socchiusa. All’interno, un corridoio spoglio conduceva a un’angusta stanzetta e alla donna, che adesso sedeva su una di quattro sedie di legno consunto, l’unico mobilio presente. Si era abbassata il cappuccio, e anche se il suo volto non dimostrava più di trent’anni, i suoi capelli erano completamente grigi ed erano legati in una crocchia sulla nuca. Portava un paio d’occhiali e sotto il mantello scuro indossava semplici abiti modesti dai colori pallidi.
Presi un’altra sedia, la girai e mi ci sedetti a cavalcioni, poi feci ricomparire la prugna e vi diedi un morso, assaporando la combinazione di dolce e aspro. Il succo mi colò lungo la mano, facendomi imprecare.
La donna strinse le labbra. Siete voi il ladro conosciuto come Adesso No?
E se lo fossi?
Potrei avere un lavoro per voi.
E voi sareste?
Chiamatemi...
Si interruppe. Chiamatemi Sophia.
Studiai il suo aspetto, i capelli grigi raccolti sulla nuca, gli abiti, gli occhiali. Siete una sacerdotessa della Saggezza.
"Ex sacerdotessa."
Come si fa a diventare ex sacerdotesse della Saggezza?
le domandai, sinceramente interessato.
Compiendo azioni poco sagge,
rispose lei, distogliendo lo sguardo. Sul suo volto danzò per un momento un’espressione malinconica, che però si indurì di nuovo subito dopo, come se quell’attimo di debolezza non ci fosse mai stato. "È un’informazione che non ho alcuna intenzione di condividere con voi. Ma se siete Adesso No, condividerò qualcos’altro, con voi, qualcosa che va a vostro vantaggio." Mi scoccò un’occhiata, in attesa.
Le mostrai il nocciolo della prugna. Osservate,
le dissi. Adesso c’è.
Feci un rapido movimento con le dita, nascondendo il nocciolo, e poi aprii la mano. Adesso no.
Lei mi guardò da sopra gli occhiali, affatto colpita. È un giochetto da prestigiatori da strapazzo.
Mi alzai e iniziai a togliermi la camicia.
Che state facendo?
mi chiese in tono scandalizzato.
Vi do una dimostrazione.
Gettai da parte l’indumento, quasi aspettandomi che lei evitasse di guardare il mio torso nudo, che non è certamente un dipinto: peloso, non muscoloso, e con diverse cicatrici non proprio piacevoli, testimonianza dei rischi del mestiere; Sophia, invece, mi percorse con lo sguardo, con espressione distaccata. Girai le mani da una parte e dall’altra, avvicinandomi a lei per mostrarle che non avevo niente addosso.
Ecco,
le dissi, ed evocai il nocciolo della prugna, sollevandolo e gettandolo a lei. Sophia lo esaminò per un momento, soppesandolo tra le dita prima di lanciarmelo di nuovo, e io lo presi, lo feci scomparire, e di nuovo le mostrai che non lo nascondevo da nessuna parte.
Molto bene,
riprese lei. Sono sufficientemente convinta per il momento. Riappropriatevi dei vostri abiti, per favore, signor No.
Di solito la gente mi chiama Adesso, se vuole una versione più corta del mio nome,
le risposi. Mi rimisi la camicia e tornai a sedermi. Allora, cos’è il lavoro?
Ve lo spiegherò quando arriveranno i nostri colleghi, non desidero ripetermi.
Sedemmo in silenzio. Evocai un paio di pepite d’oro e iniziai a giocarci agli aliossi, facendole tintinnare, ma Sophia mi guardò torva da sopra gli occhiali fino a che non smisi.
Mi alzai in piedi e percorsi l’intera stanza. Mi sedetti di nuovo.
Sophia mi fulminò ancora con lo sguardo.
Alla fine la porta si aprì e ne entrò zoppicando una vecchietta, che guardò prima me e poi Sophia, prese la sedia alla mia sinistra e si sedette senza dire una parola.
Non riuscivo a smettere di muovermi. Evocai un piccolo rompicapo fatto di filo d’oro con infilate perline cloisonné rosse, blu e verdi, un giocattolo che era stato realizzato per il principe di Everstem, che era già grande quando glielo rubai. Non arrivo al punto di rubare i giocattoli ai bambini.
Ignorai Sophia, che mi stava di nuovo guardando malissimo, e l’anziana donna, e mi concentrai sul risolvere il rompicapo. È difficile, e il principe non è mai riuscito a risolverlo, ma non brillava per intelligenza. Ero completamente assorto quando una voce ricca e vibrante di donna parlò alla mia sinistra.
Che cos’è?
disse.
Mi voltai. La vecchietta era diventata una giovane bellezza con lunghi capelli dai riflessi verdi che indossava un abito azzurro e fluente al posto degli strati di vestiti marroni e pesanti da vecchia con cui era entrata. Sbattei le palpebre.
È un rompicapo,
risposi gettandoglielo.
Lei lo esaminò, e io esaminai lei, un’attività piuttosto gratificante se ignoravo le occhiate fulminanti di Sophia, che ancora sedeva di fronte a me.
Ah,
disse infine la giovane. Così.
Maneggiò le perle, che finirono nella corretta posizione finale.
Esatto,
le dissi. Molto bene.
In quel momento la porta si aprì di nuovo. Apparentemente i miei nuovi colleghi non avevano l’abitudine di bussare. Un uomo altissimo in cui tutto era enorme entrò, chinandosi per evitare la bassa architrave, poi osservò la quarta sedia pericolante e decise di appoggiarsi cautamente al muro. A giudicare dalla pelle pallida e dai capelli castano chiaro, l’uomo, o almeno i suoi antenati, proveniva dalle province a nord, dove la luce di Padre Sole brilla meno forte; lì la gente tende a essere più grossa rispetto a noi che abbiamo origini nelle zone centrali dell’impero, ma non avevo mai visto una persona tanto gigantesca quanto lui.
Ora che siamo tutti presenti,
disse Sophia, sedendosi più diritta, possiamo cominciare.
Estrasse una pergamena arrotolata da sotto il mantello e la spiegò attentamente sopra la quarta sedia. L’uomo torreggiante si spostò per poter vedere, controllando di nuovo che il muro lo reggesse prima di appoggiarvisi.
Il Tempio della Saggezza,
disse la giovane alla mia sinistra dopo aver dato un’occhiata al progetto.
Esattamente,
rispose Sophia.
Immagino che dovremo rubare un libro,
intervenni io. Il Tempio della Saggezza, naturalmente, è una biblioteca.
Sophia mi fulminò. Ho indetto io questa riunione,
disse. Prego tutti gli altri di rimanere in silenzio fino a quando non avrò concluso.
Inspirò. Il compito che ci si prospetta dinanzi è, ehm, estrarre uno dei volumi della biblioteca.
No, davvero?
chiesi io. Quanto grande?
Scusate?
Un libro quanto grande? Posso evocare soltanto oggetti più piccoli delle mie mani, e anche se ho...
Sollevai un sopracciglio maliziosamente verso la bella giovane accanto a me. ... mani molto grandi, i libri di solito sono più grossi.
Questo non lo è.
Annuii e feci cenno a Sophia di proseguire, beccandomi un’occhiataccia gelida da parte sua.
Questo libro è uno di quelli non ufficialmente approvati, il che vuol dire che si trova nel sotterraneo centrale, qui.
Picchiettò con un dito sulla mappa.
Perché il Tempio tiene libri che non approva?
domandai io. Perché non se ne sbarazza?
"Sono libri, disse Sophia nello stesso tono in cui avrebbe parlato a un bambino idiota.
Vi rivelerò il titolo quando avremo raggiunto un accordo sul se sia possibile e quando estrarlo."
Rubarlo,
tradussi io.
Signor Adesso, volete essere voi a tenere questo incontro?
Va bene,
dissi balzando in piedi ed evocando una bacchetta, che potevo usare solo per indicare sulla mappa – conosco solo un trucchetto magico – ma brillava in modo molto vistoso, e sapevo già che Sophia avrebbe disapprovato.
Per prima cosa,
ripresi, presentiamoci. Tutti mi chiamano Adesso No, e posso evocare oggetti, cose piccole, grandi come le mie mani o meno, dentro e fuori da un lontano magazzino nel tempio del mio mecenate, l’Ingannatore.
La giovane annuì. È un’abilità molto utile,
disse. Entrate in un edificio, e le guardie possono perquisirvi quanto vogliono, ma non troveranno niente.
Niente grimaldelli, armi, corde, niente del genere,
confermai io.
Potete avvicinarvi all’obiettivo tanto da tenerlo in mano, e potreste persino sostituirlo con un duplicato che non avevate con voi quando siete entrato.
L’ho già fatto una volta o due.
Poi uscite, e vi perquisiscono di nuovo. Non avete niente addosso.
Niente, come dite voi, addosso. Fino a che non rientriamo nel nostro nascondiglio, e allora...
Evocai una rosa di seta bianca e gliela offrii con un inchino. Lei rise, la prese e se la mise tra i capelli; avevo scelto una rosa bianca proprio perché il rosso avrebbe stonato con la sfumatura verde della sua chioma. Alle mie spalle sentii Sophia che si schiariva la gola in segno di disapprovazione.
E voi siete?
domandai alla giovane.
La gente mi chiama Narratrice,
rispose lei. Posso vestirmi di illusioni, o fare lo stesso con altre persone se le tocco. Posso anche tessere illusioni su oggetti che una volta erano vivi, ma durano solo per qualche minuto dopo che ho smesso di toccarli.
Molto bene,
commentai io. Quindi, siete voi a narrare la storia? Imbrogliate un pochino?
Lei, da seduta, piegò il busto in un inchino.
A voi non serve che chieda cosa fate,
dissi all’omaccione. Se dovessi pensare a una persona il cui lavoro è picchiare la gente, penserei proprio a voi.
Io picchio la gente,
confermò lui con un grugnito. Mi chiamano Scorpione d’Acciaio. Ho questo.
Si sollevò la camicia, e io sussultai: il suo omonimo era aggrappato al suo petto, sei zampe d’acciaio conficcate a fondo nella sua carne, apparentemente tra le sue costole. Non riuscivo a vedere le tenaglie, che erano ancora nascoste dalla stoffa; la coda era appiattita il più possibile, con il pungiglione annidato nel suo ombelico ma con l’aculeo ricurvo che puntava verso l’esterno. A nessuno sarebbe piaciuto ricevere un abbraccio da quell’omone con quelle braccia enormi. Lo scorpione non sembrava una creatura vivente, solo una scultura, ma avrei scommesso che possedesse qualche sorta di oscuro potere, o forse persino una volontà tutta sua.
Ha un aspetto... spiacevole,
dissi io.
Ogni respiro è doloroso,
confermò lui, nello stesso tono piatto e roboante. Ancora di più quando combatto, ma lo Scorpione mi protegge dalle ferite, come un’armatura mistica. Mi rende forte e potente.
Velenoso?
Lui scosse la testa. Solo forte.
Ma dove l’avete preso quell’affare?
Antico tempio abbandonato, sulla strada di Skeelis. Piccola divinità del deserto.
Fa qualcos’altro?
Dà solo forza.
La forza è già abbastanza. Specialmente quando uno, tanto per cominciare, è già della tua stazza.
Non sono sempre stato così grosso,
disse a denti stretti. Ma non credo che diventerò più grande di così.
Buono a sapersi. Bene,
mi rivolsi a Sophia. Allora qual è il piano, signora della Saggezza?
Mi stavo abituando alle sue occhiatacce. Narratrice vi farà entrare,
rispose lei, mettendo ovviamente da parte la dettagliata spiegazione che aveva preparato. Scorpione vi farà uscire.
È un buon piano,
confermai io. Ma del resto non mi sarei aspettato niente di meno.
Le scoccai un sorriso affascinante, o almeno ci provai, ma apparentemente Sophia non era disposta a essere affascinata.
Chi è il cliente?
domandò Narratrice.
La bocca di Sophia si mosse, ma non ne uscì alcun suono. Deglutì a fatica e disse: Non serve che lo sappiate.
Invece sì.
Sophia provò di nuovo a dire qualcosa, ma le uscì dalle labbra solo un leggero suono strozzato, come se un gatto molto educato stesse vomitando una palla di pelo.
Siete sotto un giuramento di silenzio, vero?
le domandai. Sophia annuì. Sembrava proprio un brutto giuramento: in qualità di sacerdotessa della Saggezza, avrebbe dovuto essere vincolata a rispondere con precisione a domande dirette, se conosceva la risposta; se quel giuramento aveva prevalso su quell’obbligo, allora doveva essere proprio potente.
Va bene,
intervenne Narratrice, non dovete dircelo.
Sophia era diventata