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Una notte per non morire
Una notte per non morire
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Una notte per non morire

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About this ebook

Un portachiavi a forma di ippopotamo strabico e una chiavetta USB, oggetti misteriosi e, a loro modo, magici, sono i protagonisti delle vicende di questo noir italiano. Magici perché, nel momento in cui vengono in contatto con i personaggi del romanzo, ne cambiano definitivamente la vita, fino alle più estreme e fatali conseguenze.
Ne sanno qualcosa Alice, una bruna intraprendente che ama giocare col destino, che diventa l’inconsapevole burattinaia dell’intera vicenda, e Diego, veterinario sfigato, ma di bell’aspetto, col terrore di essere piantato dalle donne, che è costretto a lasciare da parte le sue ansie e a trasformarsi in un eroe alla James Bond.
Subiranno l’influenza di questi oggetti anche Josefine, alias Sabine, una ragazza giovane e ricca di sogni che, fuggita di casa a causa di un litigio, viene ingannata e costretta a prostituirsi, e il cattivo di turno, un malavitoso alla caccia della chiavetta USB e del segreto in essa contenuto.
Ma il vero eroe consapevole è l’aspirante suicida, che agisce come deus ex machina del romanzo: seduto sul cornicione di un palazzo, con i piedi a penzoloni nel vuoto, svela al lettore, in virtù della distanza non solo fisica che lo separa dalle umane vicissitudini, il segreto del romanzo, e cioè che il mondo, visto dal quindicesimo piano, appare molto più logico, ordinato e coerente di quanto non sembri ai suoi abitanti.
LanguageItaliano
Release dateJun 11, 2018
ISBN9788866904397
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    Una notte per non morire - Roberto Capocristi

    Roberto Capocristi

    Una notte per non morire

    EEE-book

    Roberto Capocristi, Una notte per non morire

    © EEE-book

    Prima edizione: giugno 2018

    ISBN: 9788866904397

    Tutti i diritti riservati, per tutti i Paesi.

    Cover: ufficio grafica EEE-book

    A mia moglie

    1 - Il mondo dal quindicesimo piano

    Il mondo visto dal quindicesimo piano appare molto più logico, ordinato e coerente.

    Le strade sono veramente diritte, e se curvano lo fanno obbedendo a una geometria chiara e con un’intenzione precisa.

    Da lassù non si notano la sporcizia sui marciapiedi, le bottiglie vuote o i pacchi di sigarette. Solo un colore dominante: il grigio dell’asfalto e tante formichine operose. Sono gli uomini e le donne (ma che importa dal quindicesimo piano) che si affannano per arrivare alle loro destinazioni.

    Visto dal cornicione, tutto quel movimento di persone, che da terra appare confuso e un po’ folle, ha una precisione meccanica, funzionale al raggiungimento di uno scopo preciso; lo scopo che il destino ha fissato per loro.

    Non so se sia davvero necessario affacciarsi a un cornicione e lasciare penzolare le gambe nel vuoto per rendersi conto di tutto questo. Di sicuro, le persone più intuitive lo avranno capito ugualmente, pur preferendo rimanere al livello del suolo.

    A quarantacinque metri dal piano stradale i veicoli assumono le fattezze di insetti: scarafaggi, blatte, maggiolini, e quest’ultima sensazione forse spiega molte cose. Si agitano e si muovono sincopati, secondo degli scatti che guidatori e passeggeri non avvertono in maniera evidente, ma che dimostrano un’intenzione precisa, e infine disegnano delle traiettorie sensate. I rumori, invece, acquistano nel salire maggiore veemenza e divengono oltremodo fastidiosi. Si sussulta al suono di un clacson o allo stridere di una frenata. Sembra che le voci non perdano la loro nettezza e che salgano, fino a portare segreti inconfessabili a orecchie che non avrebbero voluto ascoltarli.

    Tutto sommato, dopo quello che ho visto, il mondo guardato dal quindicesimo piano appare migliore, e andargli incontro a peso morto sembra davvero il modo perfetto per morire.

    2 - Diego e Alice

    Diego Del Monaco aveva scelto di fare il veterinario, una passione maturata nell’adolescenza e che gli era costata tanto denaro e applicazione. Sbarcava il lunario con un piccolo ambulatorio in periferia e una clientela modesta, stimato da tanti amanti degli animali per la sua abnegazione che lo portava a essere sempre reperibile, notti e festivi compresi. A trentaquattro anni aveva soddisfatto più o meno tutte le sue aspettative: un piccolo appartamento all’interno di una palazzina storica poco lontana dal luogo di lavoro, una station wagon e un conto in banca che, se non lo rassicurava, perlomeno gli dava la sensazione di non essere completamente in mutande.

    Pulito, ordinato e piacevole nell’aspetto, non lasciava del tutto indifferenti le rappresentanti del gentil sesso. Nonostante questo era spesso solo, dimenticato nelle liste degli inviti, escluso dalle occasioni mondane e sistematicamente battuto nelle volate per apparire simpatico.

    Quella sera aveva fatto tardi.

    Un setter si era azzuffato con un lupo italiano, che gli aveva lasciato in ricordo l’impronta della sua dentatura sulla coscia e una ferita piuttosto profonda sulla spalla destra. Diego aveva suturato le ferite del cane, somministrato un antibiotico e raccomandato al padrone – un sessantenne con l’aria da alcolizzato, per via del viso attraversato da una fitta rete di capillari dilatati – di tornare l’indomani per un controllo.

    Tolti i guanti di lattice e disinfettato il tavolo, diede un’occhiata all’orologio e si apprestò a uscire, dopo aver acceso l’insegna dell’ambulatorio, che rappresentava un gatto a fianco di un pastore tedesco, con la scritta MicioEr, sotto il classico simbolo del caduceo.

    Erano le sette e un quarto, aveva giusto il tempo di fiondarsi al supermercato a comperare qualcosa per cena; a casa non lo aspettava nessuno, dopo che la sua fidanzata, Valeria, lo aveva lasciato qualche mese prima, senza un vero motivo.

    «Non ti sopporto più! Sai di cane, di cavallo o di vacca. Addio Diego. Fra noi è finita!»

    Parcheggiò malamente sul marciapiedi, con due ruote sul posto riservato agli handicappati ed entrò nel supermercato che già l’impianto di diffusione interna sollecitava i clienti ad abbandonare il negozio.

    Si diresse al reparto surgelati e Alice sbucò proprio da dietro l’espositore del pesce, con un carrellino rosso al traino. Gli elargì un sorriso cordiale e lo superò, lasciando una scia di profumo di pulito e di shampoo all’aloe.

    Per qualche motivo che non sapeva spiegarsi, Diego si sentì incoraggiato dallo sguardo della ragazza, ma fu colto dal terrore di puzzare di cane; si annusò la maglietta e percepì un odore misto di detersivo e di sudore, con una netta prevalenza del primo.

    Alice, intanto, si era fermata al banco dei libri, sfogliando un testo di James Rollins, guarda caso anche lui un veterinario. Diego volle attribuire alla cosa un segnale del destino, di quelli da non trascurare.

    Arrivò da dietro, con un calzone surgelato sotto il braccio e una bottiglia di birra tedesca.

    «Amazzonia! Divertente dall’inizio alla fine…» esordì, mantenendo una distanza non confidenziale e sperando di non essersi giocato tutte le carte nella mano sbagliata.

    Lei si girò.

    Occhi da cerbiatta, bocca a forma di cuore, lunghi capelli scuri a sfiorare le spalle nude.

    Il sorriso, il secondo in pochi minuti, mise in evidenza dei denti perfetti. Per un attimo il suo sguardo tornò sulla copertina del libro, che venne soppesato per poi ritornare sullo scaffale. Fece un paio di passi e prese in mano la riedizione economica di un romanzo di Tom Clancy. Diego non perse l’occasione.

    «Ti piacciono le letture d’azione, a quanto vedo!»

    Alice scosse la testa. Abituata a essere abbordata dagli uomini, sapeva che i convenevoli iniziali si potevano tranquillamente saltare e, in particolare, il soggetto che aveva davanti gli sembrava davvero un imbranato senza speranze. Porse la mano e si presentò:

    «Sono Alice, ho ventotto anni e tu mi vuoi portare a letto. Sappi che questo non succederà. Comunque lode alla buona volontà…»

    Lui notò la borsetta lasciata aperta, da cui spuntava un appariscente portachiavi, un peluche verde a forma di ippopotamo strabico, e la cosa lo mise di buon umore. «Sono Diego. Piacere di conoscerti e scusa la faccia tosta, ma così, volevo fare due parole…»

    Rise. «Certo, come no!»

    «Davvero! Io…»

    «Tu più o meno, sei come tutti gli altri. Se non altro, leggi…»

    «Ah, sì, appena ho due minuti. Leggo e faccio sport.»

    «Sempre in due minuti?»

    L’altoparlante ripeté nuovamente che era orario di chiusura e che quello era l’ultimo annuncio. Si diressero entrambi alla cassa ed uscirono con i loro acquisti.

    «Non ti ho mai vista da queste parti, sarai mica di passaggio?»

    «Non mi hai mai vista perché sei distratto. Abito in questo quartiere da ventotto anni, più o meno da quando sono uscita dal reparto nascite. Tu invece, scommetto che ti sei trasferito, perché si risparmia qualcosa a farsi una casetta da queste parti e perché magari volevi aprirti un ambulatorio veterinario tutto tuo…» commentò, mentre infilava la spesa nella borsa di juta portata da casa.

    Diego rimase di stucco, temendo che fosse stato riconosciuto dall’odore di disinfettante.

    «Si sente?»

    Rise. «Ma no! Ti ho visto qualche volta uscire dall’ambulatorio. Sempre con quell’aria serissima, un portantino per mano e la borsa con gli attrezzi tenuta a tracolla…»

    «Be’, non sono attrezzi…» si giustificò, piacevolmente sorpreso dall’essere in qualche modo rimasto impresso alla brunetta. Il cuore, intanto, aveva messo il turbo.

    «Ah no?» Lasciando che l’arco delle sopracciglia creasse una perfetta sinergia con la frangia sbarazzina.

    «C’è un fonendoscopio, delle siringhe, un paio di bisturi sterili, lacci emostatici e medicine.»

    «Quindi attrezzi!»

    «Sì... attrezzi» dovette ammettere un po’ imbarazzato.

    «Vedi, ho sempre ragione!»

    Accettò di buon grado di avere perso la disputa e attinse nella banalità pur di continuare la conversazione.

    «Cosa fai di bello nella vita?»

    «La maestra…»

    «Di scuola?»

    «No guarda, arti marziali e meditazione zen… Sei sempre così imbranato con le ragazze?»

    Un po’ sfiduciato, pensò di rispondere, ma tacque.

    «Quel signore là sta facendo la multa a te?»

    Diego notò un vigile urbano intento a fare il periplo della sua Toyota, con il blocchetto delle contravvenzioni in mano e l’aria di non volere fare prigionieri. Portava i capelli ben rasati sulla nuca, le spalle dritte e sembrava dotato di determinazione teutonica. Quando arrivò sul posto il verbale era già completamente compilato e si ritrovò in mano un conto di trentasei euro, scritto in cifre appena sopra una serie di prescrizioni per il pagamento.

    Alice lo raggiunse.

    «Non ti buttare giù, è anche un po’ colpa mia» rise. «Parcheggiati meglio, e quando dico meglio, intendo almeno tre ruote su quattro nei limiti del posto auto. Poi, se vuoi, andiamo al Big Bang a berci una cosa…» propose, indicando un piccolo bar dalla parte opposta del viale.

    Quando furono seduti a un tavolino, uno di fronte all’altra, a Diego sembrò davvero il perfetto principio di una storia, mentre il calzone surgelato aveva già cominciato a rammollirsi nel sacchetto.

    3 - Kevin

    Fece uscire il fumo dalle narici e in breve una spessa nuvola azzurrognola invase la stanza, finendo per schiacciarsi contro il soffitto.

    Nelle mani affusolate un piccolo oggetto nero.

    Picchiettò con le lunghe unghie sul piano in ebano del tavolo e l’anello intarsiato brillò per un attimo alla luce della lampada alogena.

    Faceva molto caldo in quell’ambiente, e pareva che il ragazzo di fronte si fosse scordato di respirare. Contratto e pallido, sembrava stesse attendendo un cenno che almeno permettesse al suo sangue di circolare nelle vene. Soprattutto, si sentiva tanto piccolo e insignificante.

    «Allora ascoltami bene…»

    Deglutì.

    «Domani questa cosa deve essere consegnata a chi sai tu.»

    Una penna USB con un coperchietto nero incernierato e un paio di finiture rosse e sottili sui bordi cadde sul tavolo, rotolò su se stessa e si fermò con la punta rivolta al petto del ragazzo.

    Sei, nero, pari, pensò il giovane, abituato a giocarsi tutti i suoi risparmi alla roulette.

    «Hai capito?»

    La voce sembrò uscire da un pozzo. «Domani pomeriggio questa cosa deve arrivare a chi so io…»

    «Bravo, ma stai attento! Non te lo devo spiegare che questa cosa fa gola a tanta gente cattiva…»

    Il ragazzo fece una smorfia infantile e puntò lo sguardo in basso, sui pantaloni. D’istinto si diede una spolverata non necessaria alla maglietta, all’altezza dell’ombelico. Prese la penna USB e, cercando conferma nello sguardo del suo interlocutore, la infilò nella tasca stretta dei jeans, controllando bene che sul fondo non ci fosse un buco.

    Rimise il sigaro tra le labbra e fece un lungo tiro. Soffiò fuori il fumo e riprese a parlare. «Devi solo farti una passeggiata, spensierato e leggero, per non dare nell’occhio. Prenditi tutta la notte per riposare e domani parti quando vuoi. Ricordati, devi sembrare un idiota qualunque, ti dovrebbe riuscire facile.» Increspò le labbra in una specie di sorriso.

    Il ragazzo annuì. Asciugò il sudore dalla fronte con il polso e con l’altra mano afferrò i venti biglietti da cento dispiegati sul tavolo come carte da gioco e uscì.

    L’uomo scrollò la cenere del sigaro con l’unghia del mignolo. Nell’ambiente il ragazzo non era conosciuto. Un insospettabile idiota a cui nessuno avrebbe mai affidato un compito tanto importante. La sua faccia non avrebbe detto nulla al Sentenza, che si sarebbe fottuto con le sue stesse mani.

    4 - La prima notte con Alice

    Le luci rimasero accese tutta la notte e gli occhi di Diego spalancati sulla bellezza imbarazzante di quella ragazza con cui aveva appena fatto l’amore.

    Al supermercato Alice aveva detto che non si sarebbe concessa, ma evidentemente aveva cambiato idea.

    Il ghiaccio si era rotto subito, appena dopo l’aperitivo con gli stuzzichini al Big Bang e poi alla trattoria dell’angolo, dove due piatti di profumatissime trenette al sugo erano state annaffiate con dell’ottimo Barbera barricato, alla faccia del calzone surgelato. La fame appena placata aveva subito ceduto il passo a un desiderio sincero. Lui la invitò a entrare e diede da mangiare ai pesci nell’acquario; una vasca da centocinquanta litri con mezza dozzina di scalari, quattro coppie di sbaciucchioni e una serie operosa di pulitori di fondo, tutti immersi in un’atmosfera sospesa fra il viola e l’azzurro.

    Si vergognò un po’ del suo letto sfatto, di quella coppia di calzini dimenticati sudati ai piedi della cyclette e soprattutto di quei portantini per gatti, impilati a torre proprio nell’angolo della stanza.

    Si perse negli occhi grandi e scuri che quella ragazza sapeva riempire passione e poi, quando la libidine sciolse il morso dei freni, apprezzò la pelle vellutata e le proporzioni perfette di quel corpo, fino ai particolari più nascosti. La sua intenzione di resistere venne disintegrata presto da quel terremoto ondulatorio e sussultorio che si era scatenato sopra di lui.

    Fu talmente felice, che si sforzò di trattenere il pianto.

    Prima di addormentarsi, Alice aveva piegato il vestito e lo aveva appeso al servo muto, assieme ai due pezzi dell’intimo. Le All Star ordinate sul pavimento facevano compagnia alla borsetta, con il cellulare spento e sistemato nella tasca esterna. I vestiti di lui, invece, formavano un ammasso arruffato, con la maglietta sudata, i pantaloni macchiati di sangue sulla gamba e le mutande assenti, probabilmente prese in ostaggio dalla polvere sotto il letto.

    Alle sei del mattino Alice si svegliò e sorprese Diego in uno stato a metà fra il sonno e la veglia, il lenzuolo tirato oltre il petto e un ciuffo di capelli ribelli. La barba nera delineava un’ombra sulle guance e una collana in oro col segno zodiacale del Leone penzolava dal collo. Sembrava più giovane della sua età, e anche le piacquero quegli zigomi pronunciati con il mento delicato, la pelle lievemente abbronzata e senza nemmeno l’avvisaglia di una ruga. Lui l’accolse con un sorriso:

    «Te ne vai?»

    «A lavorare, stallone. Te che fai? Lasci gli amici a quattro zampe senza assistenza oggi?»

    Scosse la testa. «No, questo non succederà mai.»

    Lui si alzò, dimostrando di non preoccuparsi di ostentare le sue nudità. Si rifiutò di cercare le mutande, preoccupato di gettare una rete nel mare di disordine che regnava in camera sua, e mise addosso direttamente i pantaloni. La anticipò, andando in cucina a rovistare nei mobili.

    «Aspetta, ti faccio qualcosa di colazione…»

    «Hai uno spazzolino da prestarmi, piuttosto?»

    Ci pensò un attimo. «Sì, nell’armadietto del bagno, sotto il rasoio c’è una scatola e…»

    L’aveva già trovato e lo stava scartando.

    «Naturalmente te lo rimborserò.» Almeno fu quello che parve di capire, mentre i denti venivano spazzolati energicamente.

    «Tè verde o nero?»

    «Uguale…»

    Arrivò in cucina, dove un paio di tazze fumavano sul tavolo e un sacchetto di biscotti da discount invitava a cacciare una mano dentro. Due tovagliolini verdi di carta e una tovaglia ripiegata in due facevano il resto. Venne incontro a lui in mutandine e reggiseno, lo baciò e si prese ancora un attimo: «Vado a vestirmi, altrimenti penserai che sia un po’ zoccola…» Sorridendo sotto la frangia ribelle. Diego mise un piattino sulla tazza di lei e si sedette. Guardò la data sul calendario digitale: dieci giugno.

    Da oggi avrebbe cominciato a contare i giorni.

    5 - Oltre soltanto buio

    Per Kevin la notte era passata così, seduto di fronte al suo lavoro: qualche grammo di plastica e metallo da recapitare in giornata dalla parte opposta della città.

    La luce della cappa accesa, insieme a dieci sigarette fumate e buttate nel lavandino in compagnia dei piatti da lavare, dipingeva il quadro deprimente della sua esistenza. Solo la mazzetta di banconote, destinata a essere alleggerita in qualche bisca clandestina, lo aveva aiutato a coltivare un minimo di ottimismo per il futuro.

    Il sole tardava a sorgere, come se una mano forte lo stesse schiacciando dietro l’orizzonte e il freddo, residuo di una primavera piovosa, stava stagnando fra quei muri: ventiquattro metri quadrati di tristezza, uno scaldabagno che si era dimenticato a cosa servisse e un letto sfatto, da ricacciare nell’armadio ogni mattina.

    Si affacciò alla finestra e tracciò mentalmente il percorso che avrebbe compiuto quel giorno: la direttrice del corso che divideva in due la città con i lampioni giallo sporco ancora accesi e le prime auto del mattino che già ammorbavano l’aria; al fondo, la rotonda con l’obelisco, poi la teoria di strade e stradine che l’avrebbe condotto alla sua destinazione finale. Dietro alle antenne il parco che ricordava il tavolo verde del Black Jack.

    Oltre, soltanto buio.

    6 - L’odore di lei

    «Mi stai giudicando male?» domandò lei.

    Si girò e le diede un casto bacio sulla fronte. «No! Perché?»

    «Perché dai, ammettilo, hai frantumato il tuo record fra il momento dell’incontro e quello in cui hai pucciato il biscotto…»

    Lui contrasse le sopracciglia e la bocca in una smorfia. «No!»

    «Non mi stai giudicando male?»

    «No. Non è il mio record! Una volta al mare ho conosciuto una che me l’ha data dopo venti minuti. Va be’, forse ho esagerato, mezz’ora, ma mezz’ora scarsa…»

    Scosse la testa, di fronte a tanto candore. «Quindi mi stai giudicando male?»

    «No Alice, cosa dici! Tu sei un tesoro, e anzi, ti voglio rivedere… Tu mi vuoi rivedere, no?» domandò, preoccupato. Una ragazza così non la voleva perdere.

    Lei si scostò, andò verso la sua borsetta appesa allo schienale della sedia, accese il cellulare e controllò l’ora. «Devo andare…»

    «Ma sono le sette! Non si va mica a scuola a quest’ora. Fermati ancora un po’, ti prego!»

    Lei si mise sulle spalle una felpa di cotone, la stessa indossata la sera prima all’uscita della trattoria. Chinò la testa e fece due passi nella sua direzione. Gli occhi da cerbiatta, gli stessi che lo avevano fatto perdere in un sogno, lo inquadrarono. Notò un sottile strato di rossetto color porpora.

    Lei non parlò, gli prese la mano e l’accarezzò. Diego diede una sua interpretazione a quel gesto, e non fu delle più ottimistiche:

    «Mi stai liquidando, Alice?» chiese, mentre gli spettri delle decine di ragazze andate via dalla sua vita senza prima chiedere il permesso si stavano allineando dietro a lei, come la fila al catasto. La prima in ordine di apparizione era Cassiopea, una bionda piena di efelidi che lui aveva sorpreso a scopare con un francese nella loro tenda di un campeggio in Liguria, piazzata sotto un pino marittimo e rivolta verso un campo di insalata.

    «Non esattamente. Direi che mi piaci un sacco, Diego.»

    La cosa non gli scaldò il cuore. Mise in tavola una carta pesante. «Allora ci possiamo rivedere questa sera? Magari andiamo al cinema…»

    «Non questa sera.»

    «Domani sera! Mangiamo cena fuori e poi ci guardiamo un film qui da me…»

    «Direi proprio di no.»

    «Allora mi molli?» I ripetuti abbandoni delle sue ex si affollarono all’istante nella sua mente.

    Alice rise, e lo fece sonoramente.

    «Ma no, però dobbiamo fare passare qualche giorno…»

    «E perché mai?»

    «Perché non è da me» disse lei, cancellando in un attimo l’espressione rilassata che si era appena disegnata sul viso di Diego. Si sentì in dovere di dare una risposta più completa.

    «Vedi Diego, ieri ho esagerato. Non è da me essere così facile» mimando le virgolette con le dita.

    «Non ti ho giudicata male, se è questo che pensi!»

    Annuì.

    «In ogni caso, un po’ di compensazione farà bene a tutti e due. Facciamo così: oggi è martedì. Sabato sono invitata a una festa in piscina; degli amici ricchi in collina, figli di industriali, per intenderci. Tu, se lo vorrai, mi accompagnerai in qualità di mio fidanzato, diciamo.»

    Lui indugiò, lasciando intuire che il suo cervello stava facendo una rapida valutazione di tutti i pro e contro di quella situazione, compresi gli amici ricchi figli di industriali che lo preoccupavano molto in qualità di contendenti delle grazie di Alice.

    «Va bene. Sabato sera. A che ora e dove?» si decise alla fine.

    «Ti chiamo, bello!» rispose, mentre giocherellava con quello strano portachiavi di pezza, fatto a forma di ippopotamo strabico. Poi prese la porta in direzione dell’uscita.

    Lui rientrò in casa. C’era ancora l’odore di lei, ovunque.

    Dopo poco, la ventata di energia che quella ragazza aveva portato dentro si stava già affievolendo e, lentamente, il vuoto di tutti i giorni l’avrebbe sostituito.

    A qualche chilometro di distanza, intanto, un gatto rosso di nome Trump aveva le vie urinarie otturate dai calcoli di struvite, e il suo proprietario avrebbe presto chiamato per chiedere un disperato aiuto.

    Cominciava così un altro lungo e logorante periodo di prova.

    7 - L’ippopotamo di pezza

    La prima volta che Alice lo aveva visto, l’ippopotamo di pezza strabico era appoggiato sul tavolo del telefono, attaccato al mazzo di chiavi dell’auto di suo nonno. Adesso ciondolava appeso al suo dito come il pendolo di un ipnotista.

    Uscì sulla piazzetta con giardino alla quale si affacciava la palazzina in cui abitava Diego. Si voltò con aria indifferente e sbirciò la finestra del quarto piano. Lui non la stava guardando dai vetri. Bene. Attraversò la piazza e andò a sedersi su una panchina del giardino. Era troppo presto per fare qualsiasi cosa.

    Aveva fatto fatica ad andarsene, ma aveva dovuto calarsi nel personaggio che la commedia richiedeva.

    Dopo una storia d’amore affondata da un fulmine improvviso qualche anno prima, che con la sua fine si era trascinata nel fango buona parte della sua serenità, era sola, ma in attesa di incontrare la persona giusta e forse l’aveva incontrata.

    Il veterinario del MicioEr era uno degli uomini che, fra i possibili candidati per ricominciare, sembrava essere il più adatto. Il giorno che era apparso al supermercato, il suo giro fra gli scaffali era stato riprogrammato, e il doppio incontro pianificato.

    Si riscosse; doveva andare,

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