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Una voce nel vento
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Una voce nel vento

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Una storia come tante … di quelle che non hanno la forza di imporsi e scivolano tra la disattenzione o l’indifferenza.
Ma è la storia di una vita piena di ansie, timori, aspirazioni giuste o sbagliate. L’autore con levità e rispetto tenta di trattenere una voce perché non si disperda nel vento.
LanguageItaliano
Release dateJul 25, 2018
ISBN9788868227111
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    Una voce nel vento - Gianluca Sapio

    Calabria")

    Prefazione

    A volte ci portiamo dentro quasi allo stato magmatico dei ricordi e delle storie che è difficile tirare fuori e tradurre su carta; forse si deve aspettare che, attraverso le esperienze della vita, maturino e si chiariscano e se ne abbia una corretta consapevolezza; solo allora arriva il momento di raccontarli.

    Così è stato per me.

    Un vortice di emozioni e di sentimenti che si sono accavallati per tanto tempo attraverso eventi ed episodi, una matassa informe che solo con grande fatica e dopo tanto tempo è stato possibile dipanare.

    Perché effettivamente non è facile esternare un’esperienza: sono troppe le sfumature che si vorrebbero mettere in evidenza e solo la vita, se la si sa ascoltare, riesce a dare una mano in questo esercizio.

    In questo groviglio di esperienze, forse, una delle poche costanti resta quella della necessaria ed eterna lotta dell’uomo con la vita per provare a costruire un futuro migliore. A me sembra che tutti i multiformi intrecci dell’esistenza ruotino indiscutibilmente attorno a questa … necessità!

    Un’esigenza che per il meridionale ed in particolare per il calabrese assume dimensioni sproporzionatamente grandi rispetto alle cose del vissuto. E ciò non è certo sempre un privilegio perché la necessità obbliga a fare di tutto per vivere come e meglio degli altri, per il dovere di recuperare quello che la vita, per mille motivi e per i suoi mille intrecci, sembra non aver mai dato.

    E allora si parte per cercare fortuna, così come storicamente è sempre stato per il meridionale; si intraprende il viaggio per fuggire dalle esigenze che opprimono la quotidianità della propria terra, ma ad ogni passo ritorna comunque prepotente la necessità.

    Essa è costante quando costante diventa lo stare con gli altri, può essere una molla, una spinta decisiva verso una condizione migliore, ma allo stesso tempo può diventare un trampolino aperto sull’abisso.

    La storia che ho portato dentro per tanto tempo spinge il mio pensiero verso i ragazzi che, con me e come me, hanno vissuto e vivono il loro viaggio e le loro esigenze nella propria terra.

    Spero che il loro animo non sia mai stato troppo turbato dalla necessità; spero che il loro respiro sia stato libero e non appannato dall’angoscia di qualcosa che continuamente avrebbe potuto essere, ma non è stato.

    Il rischio più grande per un ragazzo, specialmente in Calabria, è forse proprio quello di diventare troppo sensibile alla necessità; anche perché è fin troppo facile trovare chi, per interesse personale, se ne approfitta.

    Allora, in brevissimo tempo, lungo un confine sfumato ed intangibile, quel viaggio intrapreso può diventare un incubo; perché per uccidere un uomo non servono le pallottole, ma a volte basta solo essere abili a trasformare i sogni in necessità ed angosce.

    Esistenze di questo tipo si riconducono spesso a dimensioni di vita ancora arcaiche, tribali, a questioni di mentalità, ma la verità è che spesso di alternative non ne esistono: la necessaria lotta per la vita diventa un unico stretto e lungo sentiero, che a volte magari può somigliare ad una comoda strada, ma che certo non presenta diramazioni o alternative valide.

    Dai giornali ed attraverso i media si apprende spesso di gente che ha portato a termine trionfalmente il suo percorso, che ha vinto la sua battaglia con la necessità ed alla fine ha la possibilità di gridare forte, di essere sentito, ascoltato e riverito per come è giusto che sia.

    Ma in realtà sono molti quelli che non riescono ad urlare, che non hanno la forza o la possibilità di esternare quella che è stata la loro difficile battaglia.

    E anche chi usa la penna, i microfoni, gli altoparlanti, o regge le redini dell’attenzione mediatica non dà voce a quelle persone, non per cattiveria, ma più semplicemente perché è esso stesso una vittima della necessità.

    Quella necessità che è la stessa di chi vuole arrivare in fondo e gridare più forte degli altri, tanto che, a quel punto, diventa superfluo fermarsi per un attimo e provare ad ascoltare una voce che è troppo debole per essere sentita, una voce che è quasi un sussurro che si disperde nel vento.

    Prologo

    Una sera a Chianciano

    Fuori dall’albergo una leggera pioggerellina rinfrescava la serata di fine aprile, le luci nel viale illuminavano un paese quasi deserto. Anche nel grande salone c’erano pochissimi clienti, i tavoli e gli arredi in legno, illuminati da semplici lampade a muro, davano una piacevole sensazione di intimità.

    Al tavolo d’angolo sulla destra, proprio accanto alla finestra sulla quale la pioggia disegnava strane geometrie puntiformi, stava seduto l’anziano professore calabrese che aveva appena finito di sorseggiare il suo solito amaro e faceva girare il bicchiere vuoto tra le dita fissando, assorto, il mondo oltre la finestra.

    Mi avvicinai e chiesi al professore se potevo sedermi al suo tavolo; lo avevo conosciuto solo da pochi giorni, ma mi piaceva la sua affabilità e la sua predisposizione al dialogo, era uno di quei calabresi un po’ rudi ma schietti che si incontrano spesso nei paesini nell’entroterra del reggino.

    Come ha trascorso la giornata, professore?; questa fu la prima domanda che gli rivolsi per rompere il ghiaccio ed intavolare una conversazione.

    Mah, sai, a mia moglie piace molto questa parte della Toscana ed abbiamo approfittato del tempo non bellissimo per andare a visitare Montepulciano, ma da domani mi auguro si possa tornare alle terme per godersi quel bel parco all’aria aperta.

    La discussione proseguì piacevole nella serata un po’ anomala per quella che, fino a quel giorno, era stata una bella primavera toscana; parlavamo di argomenti leggeri, delle comuni passioni, come l’arte, l’archeologia e lo sport.

    Il professore rivelava una grande esperienza, frutto anche dei lunghi anni di insegnamento passati tra i paesi della piana di Rosarno-Gioia Tauro e dell’area pre aspromontana; i suoi discorsi mi affascinavano ed incuriosivano allo stesso tempo, perché in fondo anche io provenivo da una realtà simile alla sua.

    Fu quasi inevitabile passare presto agli argomenti di casa nostra ed ebbi subito l’impressione che il professore fosse impaziente di affrontarli, di trovare qualcuno con cui condividere le sue storie, qualcuno che potesse comprendere le logiche paesane o anche semplicemente un linguaggio un po’più rilassato e qualche termine dialettale un po’ più colorito.

    "Sai, di recente al mio paese ho collaborato col parroco e con quel citrullo dell’assessore per allestire il nuovo campo di calcetto e la nuova sede per le riunioni associative; da quando sono in pensione cerco di rendermi utile anche per avere qualcosa da fare… e per scappare dalla tirannia di mugghierima". Diceva queste cose in tono scherzoso, prendendosi poco sul serio e sorridendo compiaciuto della sua vita da professore in pensione.

    I suoi modi gioviali erano coinvolgenti e cominciarono a farmi tornare alla mente i ricordi felici di quando io, studente di scuola media, passavo i pomeriggi a giocare con i miei amici, costruendo porte da calcio improvvisate e giocando fino a che la luce del giorno lo consentiva. Bastava un pallone, anche mezzo bucato, ed almeno tre amici per una partitella due contro due e per sentirsi veramente liberi e spensierati.

    Penso sia molto importante quello che lei fa, – cominciai a dire – è bello che nelle nostre piccole realtà le persone più grandi, ormai realizzate, si interessino ai problemi dei giovani; a volte basta davvero poco, come costruire anche alla buona un campo di calcetto, per rendere felici tanti ragazzini e fare un servizio alla comunità.

    Mi parve per un attimo di vedere brillare gli occhi dell’anziano di fronte a me, certamente inorgoglito da quello che avevo appena detto e contento che qualcuno apprezzasse una cosa di cui lui andava evidentemente fiero.

    Questo scambio di battute rese il tono del discorso più confidenziale ed il professore si sciolse in una confessione che probabilmente in un’altra occasione non avrebbe fatto, forse perché troppo intima o perché egli riteneva che dovesse essere affrontata con la dovuta serietà.

    "In realtà mi sono impegnato tanto soprattutto per il mio nuovo nipotino, per dargli un posto in più dove giocare; sai, mia figlia lo ha adottato appena un anno fa dalla Colombia, o da unu i chidi paisi del sud America … non mi ricordo, ma non importa! Lui mi ha dato tanta gioia ed è bello vederlo sorridere alla sua età, cotraredu! Soprattutto dopo aver saputo di tutte le sofferenze ed i patimenti ch’eppi a supportari ‘o paisi soi… Vedi… è importante offrire ai bambini affetto ed opportunità di scelta".

    A quest’ultima battuta gli occhi ed il volto dell’anziano si velarono per un attimo di tristezza, il bene che provava per quel bambino era evidentemente così profondo che lo legava a lui anche nelle sofferenze passate, e l’immedesimarsi in quella sofferenza era testimonianza di affetto al pari del sorriso gioioso di pochi istanti prima.

    Provai a dissipare quel velo di tristezza dal volto del professore: Professore, io penso che il bene, quando è dato nel modo giusto, sia in grado di impregnare l’animo delle persone e distribuire capillarmente i suoi positivi effetti per lungo tempo in tutti i momenti della vita, restando impresso in modo indelebile; … il suo nipotino è stato davvero fortunato a capitare in una famiglia in cui è circondato di affetto, tanti altri suoi coetanei purtroppo non avranno la stessa fortuna!.

    Vedi, – disse incalzandomi e destandosi finalmente da quel momento di malinconia – ho imparato che nella vita ognuno insegue una propria necessità"! L’uomo è un animale che segue l’istinto, da cotraru fino a quando mbecchia comu a mmia! … ma il tipo di necessità, caro ragazzo, dipende anche da come si cresce; … se la pianta capita in un terreno difficile, cresce storta ed il suo istinto sarà sempre quello di cercare lo storto, non il diritto!

    Certo, poi le famiglie noi non ce le scegliamo, ma la necessità di vivere e vivere in mezzo agli altri ci porta pe fforza a crescere..., per strada, a scuola, in Calabria, in Toscana ed allora diventiamo per forza noi i giudici delle nostre cose, e scegliamo la nostra necessità decidendo se è giusta o sbagliata!".

    Il discorso affrontava argomenti impegnativi, spesso avevo riflettuto sui modi di vivere dei ragazzi leggendo quei romanzi impegnati che descrivono la realtà dei giovani emarginati, o che sono liberamente ispirati alle avventurose vite di chi li scrive, ma quelle parole mi avevano spiazzato, indicandomi un punto di vista che, fino a quel giorno, non avevo mai considerato.

    Lei quindi è convinto – dissi, cercando di riagganciarmi ai binari del suo discorso – che la necessità da un certo momento della vita in poi sia determinata esclusivamente dalla nostra coscienza?.

    Non proprio – rispose lui inarcando leggermente le sopracciglia – si tratta di una specie di necessità autoreferenziale", che dipende dal tipo di vita vissuta e dalla volontà che ognuno ha maturato; pensa per esempio e paisi nostri, lì, soprattutto ai miei tempi e fino a pochi anni fa, c’era gente che in tutta la vita non abbandonava mai il paesello e cresceva con l’unica necessità di sapere come andavano le piccole cose quotidiane del paese, dei suoi conoscenti, e tutto finiva lì."

    Dopo

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