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Un grosso equivoco
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Un grosso equivoco

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About this ebook

Eva se ne è andata, è partita, senza lasciare traccia, senza dire niente a nessuno, sentenziando in questo modo e in maniera decisamente plateale di non voler più avere nulla a che fare con Federico. Ma Federico è un uomo determinato, che sa bene ciò che vuole. E lui, alla storia con Eva non ha assolutamente intenzione di rinunciare, per nessuna ragione. Ecco perché, con l'aiuto degli amici più cari, decide di cercarla, trovarla e raggiungerla, ignorando che Eva sia dal padre, quel padre che l'ha abbandonata più di vent'anni fa, e che non è affatto la persona che tutti credono che sia. Federico convince ognuno degli affetti di Eva ad accompagnarlo in Turchia, per persuaderla a tornare a casa. Con lui. Con loro. E così i ragazzi partono per Istanbul. Senza sapere che cosa davvero li aspetti in quella città. Senza nemmeno lontanamente immaginare quali saranno le conseguenze della loro incursione nella nuova vita di Eva. Ignorando di innescare in questo modo una bomba destinata a portare la vita di ognuno di loro a cambiare per sempre.
LanguageItaliano
Release dateDec 20, 2017
ISBN9788827538937
Un grosso equivoco

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    Un grosso equivoco - Valentina Gift

    NOTE DI COPERTINA

    Eva se ne è andata, è partita, senza lasciare traccia, senza dire niente a nessuno, sentenziando in questo modo e in maniera decisamente plateale di non voler più avere nulla a che fare con Federico.

    Ma Federico è un uomo determinato, che sa bene ciò che vuole. E lui, alla storia con Eva non ha assolutamente intenzione di rinunciare, per nessuna ragione.

    Ecco perché, con l'aiuto degli amici più cari, decide di cercarla, trovarla e raggiungerla, ignorando che Eva sia dal padre, quel padre che l'ha abbandonata più di vent'anni fa, e che non è affatto la persona che tutti credono che sia. Federico convince ognuno degli affetti di Eva ad accompagnarlo in Turchia, per persuaderla a tornare a casa. Con lui. Con loro.

    E così i ragazzi partono per Istanbul. Senza sapere che cosa davvero aspetterà loro in quella città. Senza nemmeno lontanamente immaginare quali saranno le conseguenze della loro incursione nella nuova vita di Eva. Ignorando di innescare, in questo modo, una bomba destinata a portare la vita di ognuno di loro a cambiare per sempre.

    Eva prese la mela perché sapeva, aveva capito che se le era proibito c’era di meglio del Paradiso

    PROLOGO

    Fabio Conti termina di spiegare ogni minimo dettaglio dell’azione. Accende la luce e clicca sul simbolo della X per chiudere la schermata di slide susseguitesi ad una ad una per più di un’ora sulla parete alle sue spalle. Nella stanza cala un silenzio di tomba.

    «Domande?», chiede agli uomini presenti in sala. Nessuno di loro apre bocca per dire alcunché. «Allora questo è quanto», decreta squadrandoli uno ad uno. Spegne il pc e si affretta a congedare tre dei quattro uomini fidati seduti in fronte a lui. «Preparatevi», li esorta con durezza prima che abbandonino la stanza. Osserva poi attentamente l’unico uomo rimasto. Se ne sta immobile di fronte a lui. Il volto severo che, come al solito, non trasmette emozione alcuna, la mandibola contratta, lo sguardo impenetrabile. E' uno degli elementi più validi del suo ristretto staff di infiltrati.

    Per nulla assertivo, scontroso, sagace, astuto e dannatamente temerario.

    Poliedrico, mentalmente eclettico e versatile.

    Non c’è stata situazione al mondo che non sia stato in grado di affrontare. Fino ad ora almeno.

    E' questo ciò su cui è focalizzato Fabio Conti da giorni oramai.

    «Come stai?», domanda per rompere il ghiaccio.

    «Bene», si limita a rispondere l’altro.

    Conti emette un lungo sospiro: «Sarò sincero con te. Alla luce dei fatti non sono per niente convinto che tu debba prendere parte alla missione».

    L’altro lo fissa con occhi gelidi. «Non capisco a quali fatti tu ti riferisca», sibila tra i denti.

    Fabio Conti non è una persona dalle mille parole. Perciò risponde semplicemente: un nome e un cognome.

    L’uomo che ha davanti contrae con rabbia la mascella: «Non dire cazzate».

    «Temo tu sia troppo coinvolto».

    «Non lo sono», si affretta a rispondere il suo sottoposto con convinzione. «Non tagliarmi fuori dall’azione».

    Fabio Conti non dice nulla. Si limita a guardare la persona sedutagli di fronte. Di tutta la squadra, è il migliore. Non può negarlo. E' questo che gli impedisce di prendere una decisione definitiva a riguardo di una partecipazione o meno dell'infiltrato all’azione che sta coordinando.

    «Se non vi prendo parte manderai a monte l’intera missione, Fabio», aggiunge questi con fermezza. «Anni e anni di lavoro finirebbero così nel cesso». Dato che Conti non risponde, l'infiltrato lascia trascorrere qualche minuto prima di giocare il suo asso nella manica: «E metteresti in pericolo la vita di una persona innocente».

    Ancora nessun segno di cedimento da parte del suo superiore.

    Allora l’uomo tenta il tutto per tutto, avvicinando il volto al suo e parlando quasi sottovoce: «Andiamo Fabio, so che sono molti i motivi che ti lasciano perplesso e che ti inducono a pensare che forse sarebbe meglio estromettermi dall’operazione, ma sappiamo bene entrambi che ce n’è uno che ti impedirà di farlo ed è l’unico che ti chiedo di considerare ora», l'infiltrato fissa il suo superiore con determinatezza e una punta di dolcezza, indice di quanto il buon risultato dell’operazione gli stia a cuore. «La conosco bene e si fida di me. Sono l’unico che può salvarla da tutta quella merda».

    E' solo in quel momento che Fabio Conti pensa veramente a lei.

    Non come ad una foto.

    Non come una storia da tracciare.

    Non come un elemento chiave da pedinare.

    Ma come una persona vera, in carne e ossa, con una realtà tutta da scoprire.

    La rivede nel suo ufficio, seduta dall’altra parte della scrivania, risente la sua voce e ricorda la determinazione e la luce che sprigionava lo sguardo di quella giovane donna mentre, dando prova di astuzia e intelligenza, spiegava ogni dettaglio del piano che aveva elaborato.

    E' solo allora che Fabio Conti capisce ogni cosa.

    E diviene dannatamente chiaro cosa abbia indotto suo fratello Damiano ad innamorarsene follemente. Mandando tutto a puttane, cazzo.

    ​PARTE PRIMA

    CAPITOLO 1

    Per quanto sia difficile spiegare non è importante dove, conta solamente andare

    EVA

    «Eva, piccola, cos’hai deciso?», la voce all’altro capo del filo è speranzosa.

    Prima di stasera ci siamo sentiti lo scorso venerdì, quando, a sorpresa, ho ricevuto una telefonata con prefisso internazionale e la persona con cui sto comunicando ora mi ha avanzato una proposta inaspettata. «Per favore Eva», ha detto, «ci terrei veramente molto che passassimo questo Natale insieme». Davanti alla mia sconcertata titubanza ha aggiunto: «Pensaci. Non annullo la prenotazione. Spetta a te decidere se vuoi o meno raggiungermi. Io ti aspetterò e se non verrai, capirò».

    Da allora io non mi sono più fatta sentire. E adesso mi richiama, per sapere se ho preso una decisione in merito. Sinceramente? No, non l’ho ancora fatto.

    Guardo ancora una volta il letto sfatto e poi stabilisco che sì, da qui io me ne voglio andare. «Va bene», rispondo.

    Sento la persona all’altro capo del telefono esultare. E’ incredula. Quando parla ancora, la sua voce è gioiosa: «Sono così contento che tu abbia deciso di raggiungermi!!!».

    Afferro una valigia qualsiasi, la apro sopra al letto e caccio dentro, alla rinfusa e alla svelta, dei vestiti. «A che ora è il volo?», chiedo.

    Lo sento parlottare con qualcuno, farsi passare un foglio e riprendere la comunicazione con me: «Partenza da Venezia alle 10.20. Arrivo previsto per le 13:45».

    Apro in sequenza i cassetti a lato della mia scrivania, fino a quando non trovo il passaporto. Lo apro al volo e, con un sospiro di sollievo, mi accorgo che non è scaduto. «D’accordo allora…», non so che cazzo dire. «A domani?», improvviso.

    La persona ride. «A domani, piccola».

    «Se mi invii l’indirizzo…»

    «Non sarà necessario», mi interrompe lui. «Verrò io a prenderti, e se mi sarà impossibile per motivi lavorativi, manderò qualcuno a farlo».

    «D’accordo».

    «A domani piccola; se ci sono problemi telefona».

    «Certo», infilo dei soldi in tasca. «A domani».

    Abbandono la mia camera in fretta e furia, come una fuggiasca. Il volo è domani, è vero, ma non riesco a stare tra queste mura un minuto di più. Troppi ricordi.

    Devo uscire.

    Scarabocchio in velocità un biglietto per le mie migliori amiche. Dico loro solo che mi farò viva io e che voglio ad entrambe molto bene. Domani le chiamerò e spiegherò ogni cosa. Promesso.

    Ora come ora ho solo bisogno di starmene da sola.

    Accarezzo Mafalda, la micia di Magda e poi esco di casa. Prendo la macchina e lascio il quartiere dove vivo, sperando di non sbagliare di nuovo. E, più di ogni cosa, che la persona che sto per raggiungere non faccia a pezzi ulteriormente il mio cuore così maledettamente malandato.

    *************************************************************

    Quando ho bisogno di quiete vengo sempre in questo posto. Da qui si gode di una vista fantastica. Se la serata è particolarmente limpida, si riesce a scorgere perfino il mare. Stasera piove a dirotto, e l’unica cosa che mi è dato vedere sono le luci dei lampioni 400 metri più a valle, eppure non vorrei essere in nessun altro posto che qui.

    E’ un luogo magico.

    E molto frequentato anche, dove si può trovare di tutto: da chi si gode semplicemente il panorama, a chi fuma una canna, alle coppiette che si appartano per avere un po’ di privacy, a chi è in passeggiata con il proprio cane.

    In verità non è nulla di che, solo un parcheggio. Il parcheggio di un cimitero di provincia, ad essere sinceri…

    Trovo un posticino libero e posteggio. Metto in folle e lascio la macchina accesa, con il motore al minimo, primo perché fa freddo e non voglio spegnere il riscaldamento e secondo perché al mondo di gente strana ce n’è parecchia e io sono sola, parcheggiata davanti alle mura di un cimitero dislocato sulla curva di una strada secondaria dei colli euganei, con il nulla davanti, il nulla accanto e il nulla dietro. Meglio essere pronti ad andarsene alla svelta. Già che ci sono, premo il pulsante della chiusura centralizzata. Giusto per essere più sicura. Non si sa mai.

    Tolgo le scarpe e incrocio i piedi sul sedile. Per un tempo incalcolabile osservo imbambolata la pioggia cadere sul vetro davanti ai miei occhi. Il tergicristallo che oscilla avanti e indietro emette un leggero cigolio. E’ l’unico rumore che avverto.

    Per un po’ i miei pensieri rimangono in silenzio.

    «Ha fregato anche me, sai?», Trudi, la mia coscienza, interrompe la quiete.

    Fingo di non essere assolutamente interessata al dialogo, ma lei non è di certo una che molla. «Senti Trudi, non è serata», cerco di frenare il confronto.

    Ma, ovviamente, come da cliché, lei non mi considera. «Federico», rimarca. «Ha fregato anche me. Alla grande. Gli avevo creduto anch’io, Eva».

    Mi stringo nelle spalle. «Cercheremo di stare più attente», valuto.

    «Come abbiamo fatto ad essere tanto stupide??», Trudi non riesce a farsene una ragione.

    Sbuffo e apro il porta oggetti in cerca del cavo per caricare il telefono. Mi sono accorta che è spento. Sul tappettino del passeggero, rotola un pacchetto di Philip Morris. Sigarette? Nelle mia macchina? Ma se io non fumo…aspetta, Mattia. Devono essere sue perché Filippo non è mai salito qui, e sono gli unici due amici che ho ad avere questo insano vizietto. Raccolgo il pacchetto e mi viene un’idea. Nello specchietto retrovisore, scorgo il mio ghigno beffardo. Potrei fumare, penso tra me e me. Chi fuma lo fa per calmarsi, no? Beh, potrei provarci anch’io. Dai, perché no? Sì, ora lo faccio. Apro il pacchetto e resto delusa. Non c’è nemmeno l’accendino. Con che cavolo accendo ’sta cosa? Metto la testa fuori dal finestrino e aspetto un lampo?

    Sbuffo e rimetto la sigaretta che ho appena estratto al suo posto. Meglio mettere in carica il telefono. Mi piego cercando di infilare lo spinotto e poi mi raddrizzo subito. Eh, ma quanto sono tonta!!! Non ho l’accendino ma ho un accendisigari nella macchina, no?? Che idiota!! Adesso F-U-M-O dico a me stessa. Sì, adesso lo faccio!!

    «Eva?», Trudi è seduta su di un tavolino minimalista. Una gamba sotto il sedere e una che ciondola verso il pavimento, il mento posato su di una mano e l’espressione annoiata. «Devo ricordarti com’è andata la tua carriera da fumatrice?».

    Resto in silenzio.

    «Perché vorrei rammentarti come la prima volta ti sei limitata a trattenere il fumo in bocca e ti ha fatto parecchio schifo, la seconda hai aspirato e per un pelo non hai soffocato e la terza ti ha fatto così senso anche solo tenere in mano una sigaretta spenta sapendo che cosa ti avrebbe atteso, che hai abbandonato l’idea nell’istante stesso in cui l’hai formulata…»

    «Madonna, Trudi, sei insopportabile cazzo!!!». sottolineo snervata.

    Ma lei non è per nulla turbata dal mio commento e si limita ad osservarmi con la sua espressione più saccente. Mi torna in mente la favola Pinocchio di Collodi, l’ho letta da bambina e ricordo di come non mi fosse piaciuta particolarmente. Trovai il protagonista antipatico, sciocco, ingrato, facilone e superficiale. A lui ora, invece, va tutta la mia solidarietà: comprendo bene come si dovesse sentire nell’avere sempre accanto quel cazzo di grillo parlante.

    *************************************************************

    Sento picchiettare al vetro del finestrino del passeggero e per poco non ci resto secca. Ma che cavolo…

    Poi lo vedo. La sua testa è coperta dal cappuccio di un piumino scuro e il viso è un connubio gocciolante di acqua, pelle chiara e barba appena accennata. Ciò nonostante mi è impossibile non capire al volo chi sia.

    Alza la mano sinistra per accennare un saluto nella mia direzione mentre con la destra tenta invano di aprire la portiera. Mi rendo conto che lo sto lasciando deliberatamente sotto una pioggia torrenziale perciò mi affretto a disinserire la chiusura centralizzata. Il comando viene recepito subito dalla mia auto, infatti sento il clic che conferma l’apertura di tutte le serrature.

    La persona davanti a me si affretta a salire in auto, richiudendo dietro di sé la portiera. «Con ’sta pioggia e con ’sto vento, chi è che bussa al mio convento?», recita sfilando il cappuccio.

    «Ma il confessore non dovrei essere io, in questo caso?», ironizzo stringendomi nelle spalle. «Se non erro, sei tu ad essere venuto al mio di convento…»

    Lui ride, di gusto e buttando indietro la testa: «Solo tu puoi menzionare una filastrocca tanto volgare senza esserne scandalizzata!!».

    Stavolta a ridere sono io.

    Sfila il piumino e lo piega facendo in modo che la parte bagnata stia verso l’interno, prima di lanciarlo sul sedile posteriore. «Allora principessa», porta una mano sui capelli e li scuote fino a che piccole goccioline non smettono di cadere qui e là intorno a lui. «Giornata pesante, eh?».

    Poi sorride, e io non posso fare a meno di riflettere il suo gesto, tant’è contagioso. Sospiro e appoggio il mento sulle mie ginocchia alzate, prima di fornirgli alcuna risposta. Non gli chiedo come mai sia qui, né come facesse a sapere che mi avrebbe trovata proprio in questo posto.

    Non serve.

    Perché è lui.

    E lui saprà sempre dove trovarmi, dove cercarmi e anche dove venirmi a prendere per riportarmi indietro.

    CAPITOLO 2

    Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola

    FEDERICO

    E’ la Vigilia di Natale.

    L’ultima azione che compie Filippo prima di salire sull’aereo è telefonare alla sorella: di Eva ancora nessuna notizia. Quando sbarchiamo a Venezia, la prima cosa che fa Filippo è chiamare di nuovo Altea.

    Eva ha inviato un whatsapp telegrafico nella chat che condivide con le sue amiche: Arrivata, tutto bene, vi chiamo appena posso. Vi voglio bene emoticon che soffia un bacio.

    Nulla più.

    Che cazzo sta succedendo??

    Non ne abbiamo idea, c’è solo una gran confusione. Provo a telefonare ad Eva ma il telefono è staccato. Porca puttana, appena riuscirò a sentirla la alzerò da terra: ma che cazzo sta combinando? Dio, non ho a che fare con una ragazza normale, ma con una folle bella e buona!! Si può sapere perché cazzo tutte le persone disturbate presenti sulla faccia della terra incrocino il loro cammino con il mio??

    Io e Filippo recuperiamo alla svelta l’auto che abbiamo abbandonato in sosta al parcheggio e ci dirigiamo verso la città. Tra noi vige il silenzio più assoluto. Ognuno è completamente assorto nei propri pensieri. Tutte le congetture e le supposizioni possibili e immaginabili le abbiamo scandagliate nelle ultime ore. C’è una sola persona che potrebbe mettere freno a tutta la nostra perplessità. Peccato che si celi dietro un silenzio ermetico e oscuro.

    «Se ha scritto, significa che sta bene, no?», constata il mio amico con lo sguardo fisso sulla strada.

    Non so se il suo bisogno di esternare il pensiero si annidi in un personale bisogno di credere che ad Eva non sia accaduto nulla o se sia veramente convinto che non ci sia alcun problema. Non rispondo. Perché non so che cazzo dire. E mi è stato insegnato che se non si ha nulla di importante da enunciare è saggio rimanere zitti. Posteggiamo dopo tre quarti d’ora eterni davanti al palazzo dove vivono Altea, Magda ed Eva. Suoniamo il campanello e il cancello scatta quasi in simultanea. Quando saliamo al quarto piano, Magda è pallida come un fantasma e Altea ha gli occhi arrossati. Appena vede il fratello, lo abbraccia e inizia a piangere.

    «Novità?», chiedo con il cuore in gola.

    «No!!», sbotta lei. «Quella stronza non è raggiungibile, cazzo!!».

    «Appena ci parliamo, giuro che gliene dico quattro!!», Magda è incazzata nera. «E non appena la vedo, la prendo a calci in culo da qui a…Roma», gesticola. «Andata e ritorno per…innumerevoli volte!! Deve essere impazzita, cazzo!!!».

    «Okay, facciamo il punto della situazione?», Filippo lascia andare la sorella e punta al divano, sedendo accanto a Magda.

    Altea prende posto in poltrona e io afferro una sedia dalla cucina e la porto in salotto, davanti a loro tre.

    «Eva è tornata verso le sei ieri sera», ricorda Altea. «E’ entrata in casa e dopo poco io sono uscita perché dovevo accompagnare in hotel la vostra collega», mi lancia un’occhiataccia. «Pilar», sottolinea.

    «Pilar era qui??», chiedo con stupore.

    Altea annuisce: «E’ arrivata ieri pomeriggio. Ha detto che il nostro era l’ultimo indirizzo di voi due che le era noto e vi cercava», mi spiega.

    «Sì, l’abbiamo sentita», conferma Filippo.

    «Oh, lo so bene!!», ribatte con rabbia Altea. «La voce di quel coglione», indica me, «ha rimbombato per tutto l’appartamento durante la loro chiamata su Skype!!».

    «Perché cazzo ti scaldi, Tea?», Filippo rivolge alla sorella un’occhiata interrogativa.

    Lei non risponde. Si limita a fissare me. Poi, stando ben attenta a non farsi vedere dagli altri due, porta una mano sul ventre e simula una linea convessa. Chiudo gli occhi. Oh, merda.

    La guardo e scuoto la testa, sperando che lei colga la mia implicita richiesta: non è il caso di parlarne ora, davanti a tutti. Altea capisce al volo e, fortunatamente, non prosegue. Si limita a inchiodarmi alla sedia, stringendo gli occhi a fessura e poi solleva il dito medio, per indicare chiaramente in quale luogo mi invita ad andare.

    «Per farla breve, quando Altea è ritornata a casa dopo aver accompagnato la vostra amica all’hotel, Eva non c’era più. Abbiamo pensato che fosse uscita a fare un giro, e non ci siamo preoccupate più di tanto perché Eva è», a Magda scappa un mezzo sorriso, «uno spirito libero, una persona che segue le sue sensazioni e che fa quello che le pare», guarda me e Filippo. «Immagino l’abbiate ben capito, no?».

    Io e Filippo accenniamo un consenso servendoci di un piccolo cenno del capo.

    «Stamattina ci siamo svegliate e abbiamo visto che la sua stanza era esattamente come l’avevamo lasciata ieri sera e di Eva nessun segno», Magda incrocia le braccia al petto. «E ci è sembrato molto strano perché per quanto sia estrosamente ribelle, lei avverte sempre se non torna, se sta fuori la notte, se nella sua vita è in atto qualche cambiamento, Eva lo comunica», fissa la tv spenta. «E’ una delle regole che vige immutata tra noi da anni ormai: se si dorme fuori o se le nostre abitudini subiscono un mutamento, ce lo comunichiamo. Non è importante fornire dettagli o motivazioni, ma è doveroso avvertire le altre perché non si preoccupino. Perciò nel vedere che non era rientrata e nel constatare che non si fosse fatta viva, abbiamo cominciato ad allarmarci. Per prima cosa Tea ha provato a chiamarla, infinite volte, ma il suo telefono risulta sempre staccato», la voce di Magda ha un cedimento. «E non è da Eva».

    «Abbiamo provato a chiamare tutte le persone che è solita frequentare ma niente, nessuno di loro aveva sue notizie. E poi mi telefona Tamara, per chiedere se ho letto il giornale. Io e Magda accediamo ad internet e scopriamo quello che vi ho inviato perciò contatto Mirca, una collega di Eva, e lei mi spiega per filo e per segno che cazzo è successo. Lo sapete?», Altea ci fissa.

    Filippo mi lancia un’occhiata prima di rispondere al plurale: «Lo immaginiamo».

    «Tu lo sapevi che Gianmaria aveva provato a…», Altea si rivolge a me.

    La interrompo subito, scuotendo la testa.

    «Beh, cazzo, nemmeno noi!!», puntualizza Magda battendo un pugno sul bracciolo del divano. «Mirca ci ha informate di come ieri mattina Aprisco abbia licenziato Eva e che poi lei si sia messa in moto per sollevare tutto il polverone che avete letto!! Ha filmato Gianmaria mentre faceva il marpione con Mirca, ha contattato le ragazze passate prima di loro tra le mura di quello studio per indagare se avessero subito lo stesso trattamento, e poi l’ha denunciato fornendo prove e testimonianze, senza dire neanche una parola a noi!! E dopo questo cos’ha fatto??», Magda ora sta urlando. «Puff!! E’ sparita!!», prende il volto tra le mani. «Giuro che appena la vedo, io la ammazzo con le mie mani quella stronza!!».

    «Stamattina Gioia ci ha detto di averla vista nel parcheggio di fronte, verso l’una. Ha posteggiato l’auto e poi è salita su una macchina bianca», Altea sbatte più volte le palpebre. «Tipo sportiva…costosa…», riporta parola per parola la titubante descrizione fornitale da Gioia.

    «Bianca?», pronuncio. «Sportiva? Costosa?».

    Altea arriccia le labbra e annuisce.

    «Ce ne saranno a dozzine di auto di quel genere», valuta Filippo. «Non vi ha dato una marca?».

    Magda e Altea scuotono la testa.

    Cristo, vorrei urlare. Perché so chi cazzo è il proprietario della macchina.

    «Manca qualcosa dalla camera di Eva?», domanda Filippo.

    Magda si alza dal divano e va verso la stanza della sua amica. «Non lo possiamo dire con certezza. Posso solo affermare che è strana rispetto al solito. Il letto sfatto, tutta in disordine…»

    Lascio che lei e Filippo mi precedano prima di prendere per un braccio Altea e tirarla di nuovo verso il salotto. «Che rapporto c’è tra Eva e Damiano Conti?», domando sottovoce parecchio alterato.

    «Ehi, ma che modi!!», Altea ritira il braccio con uno strattone. «Senti, ma che cazzo vuoi? Parli tu? Proprio tu? Vogliamo affrontare il discorso Pilar, razza di scopatore incallito??», i suoi occhi lanciano fiamme.

    «Pilar è…», vorrei difendermi ma in questo momento ritengo più importante trovare Eva. «E’ complicato, d’accordo? E ora mi pare che abbiamo altre priorità!», ribatto tra i denti.

    Altea mi fissa con sguardo truce.

    «Senti Tea, ascoltami bene. Conosco una persona che possiede l’auto descritta da Gioia, ed è Damiano Conti. Perciò ora ti riformulerò la domanda: è possibile che Eva ieri a tarda notte fosse con quel professore?».

    Altea deglutisce prima di decidere che è giusto darmi una risposta positiva. Con il capo annuisce impercettibilmente.

    «Okay, puoi contattarlo?».

    Lei scuote la testa.

    «Non hai un suo contatto?».

    Ripete il gesto.

    Chiudo gli occhi e colpisco il muro. «Porca puttana!!».

    Sto per urlare ma lei mi copre la bocca con le sue mani. «Shhhhh!! Fa’ silenzio!!!», intima prendendo lo smartphone e pigiando con foga sui tasti. «Mi è venuta un’idea».

    *************************************************************

    Entro nella camera di Eva e il mio stomaco si serra in un nano secondo. E’ esattamente come l’ho lasciata, ieri mattina. Solo ieri mattina, ripeto a me stesso infinite volte. Il letto è ancora sfatto e tutto stropicciato. La bottiglia d’acqua giace fedelmente nel punto dove l’ho posata quando lei, ad un certo punto, ha detto di avere sete e io sono andato in cucina per tornare poco dopo con qualcosa che avrebbe esaudito il suo desiderio. Il suo pigiama è sotto il cuscino.

    Quella notte non le è mai servito.

    Rivedo lei in ogni punto che ha attraversato. Il sorriso sul suo volto, gli occhi chiusi, i vestiti sparsi qua e là. Risento i suoi sospiri, il suo respiro su di me, il rumore del battito del suo cuore.

    Dove cazzo sei finita, Eva?

    L’occhio mi cade sull’anta accostata dell’armadio. La apro e scorgo dei trolley abbandonati a casaccio e in disordine. Sembra che ne manchi uno, perché gli altri due sono piegati di lato, come se mancasse loro il sostegno per rimanere perfettamente in verticale.

    «Può essere che abbia preso uno di questi?», chiedo a Magda e Altea.

    Magda si avvicina e scruta lo spazio avanti a me. Si acciglia un momento prima di confermare che manca all’appello il bagaglio a mano più piccolo. «Quello arancione», asserisce in direzione di Altea.

    Altea ci affianca, corruga la fronte e poi va spedita verso la scrivania a fianco del letto. Apre i cassetti e ad uno ad uno, vi rovista all’interno, spostando tutto ciò che contengono. «Non c’è nemmeno il suo passaporto», sancisce richiudendo l’ultimo con un colpo secco. Poi fissa Magda. «Dove cazzo è andata??», domanda stupita.

    «Non è che forse è a Cuba con Iris?», Filippo tamburella le dita sullo stipite della porta.

    Magda esce di corsa e raggiunge il suo telefono in salotto: «Glielo chiedo subito».

    Filippo la segue mentre il cellulare di Altea emette un suono. Sto per raggiungere Magda e Filippo di là ma Altea mi afferra il polso. «Ho contattato Damiano via Facebook, attraverso Messenger», mi guarda. «Mi ha risposto», gira il telefono verso di me. «Questo è il suo numero personale», dichiara premendoci sopra per far partire la chiamata.

    Altea apre la conversazione con Damiano con assoluta cordialità. Gli domanda come sta, si scusa per il disturbo e lo ringrazia per averle risposto al volo su msn. Nel frattempo, io soffio fuori l’aria come una caffettiera. E che cazzo!! Bando ai convenevoli!! Altea non ne vuole sapere di essere spiccia, e si perde in chiacchiere. Dal tono di voce e dalla totale informalità della conversazione che sto udendo, mi è subito chiaro di come tra i due non scorra un rapporto di estraneità.

    Altea e Damiano si conoscono. Anche abbastanza bene oserei affermare. Talmente bene, che lui si rivolge a lei appellandola con il vezzeggiativo che si usa di norma tra amici: Tea. Perciò i miei sospetti erano fondati: tra Eva e Damiano c’è stato qualcosa. E se ci fosse ancora adesso? Il pensiero mi fa imbestialire.

    Mi fermo un istante e realizzo come ci sia qualcosa di inaspettato che mi scorre nelle vene in questo momento: gelosia.

    Sono GELOSO di Eva.

    Dio, ho bisogno di parlare con lei quanto prima.

    Imbufalito sollevo una mano e faccio ad Altea il segno della forbice che taglia, per dirle di stringere i tempi. Lei, di rimando, mi schiaffeggia con forza le dita, obbligandole a puntare verso il basso. Cambio strategia e provo con l’immagine dell’orologio. Vediamo se questa le è più congeniale. Porto il polso davanti la sua faccia e picchietto il quadrante con le dita. Altea alza gli occhi al cielo e smorza un sorriso. Sembra che io sia riuscito nell’intento. Altea infatti smette di ciarlare di nulla e intavola finalmente l’argomento Eva.

    «Damiano mi sono permessa di disturbarti la Vigilia di Natale perché volevo notizie di Eva. Non la vediamo da ieri e siamo preoccupate», Altea guarda me, come per cercare un sostegno su quanto pronuncerà. «So che ieri sera eravate insieme», lascia cadere a bassa voce. Poi chiude gli occhi e si morde il labbro.

    Le accarezzo l’avambraccio e appena li riapre annuisco per dirle che ha fatto la mossa giusta.

    Lei sembra riflettere, poi si avvicina a me, seleziona il vivavoce e abbassa il volume del microfono, in modo che ciò che esce dalla bocca di Conti, sia unicamente a portata delle nostre orecchie. Senza rumore alcuno, socchiude la porta alle mie spalle.

    «Cosa vuoi sapere, Tea?», chiede lui con voce profonda.

    «Dov’è Eva», si limita a rispondere lei.

    Damiano sospira: «Altea, se non ve l’ha comunicato lei direttamente, non è proprio il caso che lo faccia io, non credi?», il suo tono è irremovibile. «La conosci meglio di me».

    «Appunto per questo io e Mag siamo preoccupate!! Il suo comportamento è assolutamente fuori dagli schemi!!!», ribatte Altea.

    Damiano rimane in silenzio. «Sono state giornate molto impegnative per lei quelle appena passate, Tea. Lasciale il tempo di sbollire un po’ di tensione. Vedrai che si farà viva quanto prima».

    Altea stringe i pugni e le sue guance si colorano di un rosso acceso. Poi arrivano le lacrime. «Vogliamo solo sapere se sta bene cazzo!! Non ti ho mica chiesto i numeri per vincere la lotteria!!», sbotta.

    Damiano non dice nulla.

    «Damiano, per favore, ho bisogno assoluto di sapere dov’è Eva!!!», Altea inizia a piangere. «Se hai un po’ di cuore dovresti…»

    «Dal padre, Altea», la interrompe risoluto. «Eva ha deciso di trascorrere il Natale ad Istanbul con il padre», aggiunge con dolcezza.

    Altea sgrana gli occhi e spalanca la bocca: «Alessio si è fatto vivo?? Dopo tutti questi anni??», è sbalordita.

    «E’ quanto mi ha rivelato Eva ieri sera. La decisione di partire per raggiungerlo è stata presa all’improvviso, ieri pomeriggio. Lei è rientrata a casa, lui le ha telefonato e lei ha fatto la valigia. Non so nulla di più», Damiano riflette. «E ora, se la tua prossima domanda è quali siano stati i motivi che l’hanno indotta ad accettare al volo la proposta, ti avverto già che li ignoro».

    Altea mi fissa con occhi minacciosi prima di rispondere velenosamente al suo interlocutore: «Credo di saperlo io perché se n’è andata», mette le mani sulle mie spalle e mi urta con rabbia verso la porta. «Sei un fottuto coglione», mima con le labbra. Poi ringrazia Damiano e interrompe la conversazione.

    «Si può sapere che cazzo ti prende?», la aggredisco.

    «A me??», Altea strabuzza gli occhi. «A te piuttosto!! Che cazzo ti è venuto in mente di fare con Eva!!».

    Sono scioccato. «Perché lei cos’ha detto?»; Eva ha già spifferato tutto alle sue amiche?

    «Niente, pezzo di idiota!!», sibila Altea. «Non ha detto nulla!!». Abbassa gli occhi e, continuando a guardare a terra, aggiunge: «Vi ho sentiti…». Nel pronunciare le ultime tre parole il suo volto diviene rosso come una maglietta con su impressa la faccia di Che Guevara. «I muri sono molto sottili…», enuncia, «e voi siete stati molto…rumorosi…»

    Cazzo. Ora sono io quello in imbarazzo. «Tea, io e Eva abbiamo…», poi mi blocco. «Porca puttana, mi stai trattando come fossi uno stupratore!!», prorompo. Mi passo le mani tra i capelli, arrabbiato. «Sappi che quanto hai sentito era qualcosa che volevamo entrambi», ammetto con una lucidità che stupisce anche me. «Insomma, la mattina seguente era tutto okay», mi lascio cadere le braccia lungo i fianchi. «Non so perché se ne sia andata senza dire una parola», considero a bassa voce.

    Altea mi fulmina con lo sguardo: «Ah no??».

    «Cavolo, MAFALDA!!!», sentiamo Magda brontolare dal salotto. «Stupida micia, sei stata tu a fare questo??».

    Il rumore di un mobile che viene spostato. E poi di nuovo Magda, che chiama a gran voce me e Altea.

    La raggiungiamo in salotto, dove la troviamo ritta accanto al mobile d’entrata, mentre stringe un foglio tra le dita.

    «Fatemi indovinare, Eva non è a Cuba», decreta Altea con sarcasmo. «Ma ad Istanbul, da Alessio», dichiara agitando il cellulare davanti a Magda e Filippo. «Me l’ha appena detto Damiano».

    Magda fissa il foglio e annuisce all’amica. Poi legge ad alta voce quanto è scritto.

    Care Mag e Tea,

    non ci crederete ma mi ha contattato Alessio.

    Dice che gli piacerebbe trascorrere questo Natale con me.

    E sapete una cosa? Anch’io voglio passare le feste con lui.

    So che vi sembrerà folle, ma lo raggiungerò ad Istanbul.

    Parto domattina, vi chiamo appena atterro.

    Vi amo di bene

    Eva

    P.S. Il mio cell non ha molta carica

    Filippo sorride: «Svelato l’arcano».

    Anche Magda e Altea sorridono adesso.

    «Questa sì che è proprio una cosa da Eva», considera Magda. «Prendere una decisione folle ma avvertire», sventola il biglietto davanti ai nostri occhi. «Se Mafalda non avesse fatto svolazzare dietro il mobile questo stramaledetto pezzo di carta, ci saremmo risparmiati tutta questa tensione!!».

    Dopo il ritrovamento, infatti, l’atmosfera ha abbandonato i toni nevrotici e pesanti che aleggiavano in casa, dirigendosi verso sfumature più distese e serene.

    «Ora che il mistero è svelato, possiamo cenare?», Filippo si volta e punta alla cucina. «Sto morendo di fame».

    Magda si stringe nelle spalle, prende Altea a braccetto e segue Filippo. Allora anch’io mi dirigo verso la cucina. Appena metto piede all’interno, Altea si abbassa e recupera una tovaglia pulita dal cassetto presente sotto al forno.

    Con la scusa di porgermela perché sia io a riporla sul tavolo, mi si avvicina e la spinge con forza contro il mio torace. «Non ti credere che il discorso Pilar tra noi sia finito, playboy del cazzo!!», mormora acidamente tra i denti.

    CAPITOLO 3

    La gente cerca la felicità come un ubriaco cerca casa sua: non riesce a trovarla ma sa che esiste

    EVA

    L’aeroporto di Istanbul-Atatürk è mastodontico. Giuro che in vita mia non ho mai visto nulla di così enorme. E organizzato. Ci sono indicazioni ovunque e una voce, in sottofondo, guida ogni mossa che è opportuno compiere per raggiungere ciò che si cerca. Facile e sicuro trovarla, basta seguire le istruzioni. Eh, già. E’ sempre tutto semplice. Se conosci una lingua straniera…

    Cavolo! Non capisco nulla di quanto dicono gli altoparlanti e non so dove devo dirigermi per recuperare i bagagli ed uscire. Decido di accodarmi ad un gruppo di turisti stranieri presenti nel mio stesso volo. Non mi è ben chiaro da che parte del mondo provengano ma non sembrano avere alcun problema con l’inglese, perciò, al momento, la mossa più sensata mi appare questa. E si rivela anche l'intuizione più corretta, perché arrivo di fronte all’area assegnata al ritiro dei bagagli. E dopo poco, quando vedo la mia sgargiante valigia arancione comparire sul nastro trasportatore, capisco di aver compiuto una scelta saggia. E brava Eva!!

    Sto per avviarmi verso l’esterno quando vengo placata da un agente della sicurezza. Si esprime in un idioma che, per quanto mi riguarda, potrebbe benissimo essere aramaico antico, tant’è che non comprendo una sola parola, perciò gli chiedo, in un inglese maccheronico e infinite volte se, cortesemente, può ripetermi la domanda.

    Poi ho una folgorazione e tutto mi è chiaro. Ma non perché improvvisamente io sia divenuta una navigata poliglotta, ma perché, per mia fortuna, ho seguito così tante puntate del programma Airport Security da elaborare che quanto mi stanno richiedendo sia un formale controllo al mio bagaglio e alle carte per l’ingresso nello stato turco che ho compilato in aereo.

    Sorrido sentendomi parecchio in balia degli eventi e allungo al paziente agente che ho di fronte, tutto ciò che possiedo. Lui controlla minuziosamente ogni cosa, poi mi fa cenno di allargare le braccia e passa una carta assorbente sulle tasche dei pantaloni che indosso, sulle mie mani, sui vestiti, sulla borsa a tracolla, e sulla valigia.

    Ah, ok. Mi sta sottoponendo ad un test per vedere se risulto positiva a qualche sostanza stupefacente. Dovrò ricordarmi di ringraziare Christian la prossima volta che ci vedremo, è merito suo se so che cosa sta succedendo. Allora non è un essere tanto tanto inutile!! E’ lui il patito di quei programmi alla tv, e quando sta nell’appartamento mio, di Magda e Altea, ci ritroviamo anche noi a doverci sorbire quelle noiose puntate. E io che pensavo fosse tutta finzione!! Pare proprio di no cavolo…

    Beh, non ho niente da nascondere, mica faccio uso di droga. Poi ripenso alla mia adolescenza e mi viene male. Ok, ora mi sto agitando. Nella mia vita, anch’io ho provato l’ebbrezza del fumare della marijuana. L’ultima volta risale a..boh, cinque, sei anni fa? Con Magda e Altea, durante un soggiorno ad Amsterdam. Mamma che esperienza, ragazzi!! Per cinque giorni le nostre pupille sono state perennemente dilatate…ma quanto abbiamo riso durante quella vacanza?? C’era anche Christian. E Magda continuava a ripetere: «Spero di non tornare a casa incinta, spero di non tornare a casa incinta, spero di non tornare a casa incinta», e poi giù a ridere. Beh, eravamo giovani, smaniose di fare nuove esperienze e nel bel mezzo di un’acuta fase sperimentale che ci obbligava a testare sconosciuti input!!! Per quanto tempo un corpo umano conserva le tracce di un suo contatto con la droga? E se dovessi risultare positiva?

    Sai che figura!! Che cazzo dirò ad Alessio?? Giuro che se vado di nuovo in Olanda, starò lontana da qualsiasi Coffee Shop!!

    L’agente della sicurezza pone fine a tutte le mie paure. Osserva soddisfatto il risultato ottenuto, mi rende tutti i miei averi e mi ringrazia, augurandomi buon soggiorno in Turchia. Suppongo. In realtà non ci ho capito granché, a parte: «It’s all okay».

    Giuro su Dio che appena racimolo un po’ di soldi, mi iscrivo ad un corso accelerato e intensivo di inglese!!

    *************************************************************

    Alessio, mio padre, o meglio, colui che da una vita considero unicamente come: Il donatore di sperma, ha detto che mi sarebbe venuto a prendere. Quando passo oltre le porte scorrevoli che mi conducono all’uscita, il cuore mi martella nel petto. Sono anni che non lo vedo, come riuscirò a riconoscerlo? Fuori c’è una calca immensa e io cerco tra loro un viso che mi possa essere familiare, con scarsi risultati.

    La verità è che io non so chi sia mio padre. L’ultima volta che l’ho incontrato, avrò avuto all’incirca sei anni e abbiamo trascorso insieme sì e no, un’ora, seduti attorno al tavolo della cucina a casa di Iris, in assoluto silenzio e imbarazzo, con lui e mia mamma che facevano a gara a chi si e mi ignorasse di più.

    Non proprio un quadretto familiare da pubblicità del Mulino Bianco insomma.

    La volta seguente, qualche anno più tardi, è stata ancora più tragica. Perché lui, all’appuntamento che mi aveva dato, non si è proprio presentato e io sono rimasta a scuola, davanti al cancello, ad aspettarlo per più di due ore, fino a quando la bidella non ha chiuso le porte e, alquanto a disagio per l'imbarazzo, mi ha accompagnata in una casa dove, come fuori dalla scuola, ad attendermi non c’era comunque nessuno. Iris era in palestra e io non avevo le chiavi per entrare.

    Il paese dove ho vissuto da bambina era piccolo, uno di quei borghi dove tutti conoscono tutti. Infatti, non servì neppure che parlassi per dire alla bidella da chi avrei potuto andare nell’attesa di vedere ritornare a casa mia mamma, perché lei già lo sapeva. Citofonò quattro campanelli sopra il mio ed io andai da Altea. Lei e Magda stavano giocando nella sua stanza e quando sentirono pronunciare il mio nome, corsero in salotto, felici che fossi lì. Sentimmo la bidella parlottare con Luisa, la mamma di Altea, e poi Luisa ci chiese se per merenda avremmo voluto della cioccolata calda. Le mie amiche esultarono ma io non dissi una parola.

    Ero maledettamente mortificata.

    E ferita.

    E arrabbiata.

    E

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