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200 giorni: La dislessia tra i banchi di scuola e nella vita
200 giorni: La dislessia tra i banchi di scuola e nella vita
200 giorni: La dislessia tra i banchi di scuola e nella vita
Ebook441 pages6 hours

200 giorni: La dislessia tra i banchi di scuola e nella vita

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About this ebook

Questo non è un romanzo che parla di dislessia, sarebbe troppo riduttivo dire che l’argomento principale è una storia che racconta delle difficoltà di chi vive questo problema.
In realtà è uno sguardo attento e preciso, un taglio di visione molto particolare sul mondo attraverso gli occhi e le capacità creative di una ragazza che usa quella particolare modalità di apprendimento.
É attraverso il suo filtro positivo che il mondo viene visto, studiato, compreso e anche cambiato.
Il mondo della scuola, rigido, bloccato negli stereotipi, impotente, incapace di comprendere le difficoltà, di fronteggiare le diversità, tutto preso a giudicare e stigmatizzare e non a dare chiavi di lettura del fattibile per rendere la vita vivibile, lo studio un’impresa possibile.
Lo sguardo penetra il mondo degli adulti, così inquieto e spaventoso, fonte di contraddizioni così forti da far vacillare qualunque certezza; in cui comprendere cosa sia l’amore è un percorso difficile e pieno di accidenti.
L’occhio attento scruta con consapevolezza l’adolescenza e il mondo in cui si relaziona e ne mette a nudo la fragilità, la forza, le tensioni, i pericoli, le gioie e il perenne stato di sorpresa che il vivere procura in quei giovani animi.
La gioventù non è tutta sciatta, insignificante, priva di rispetto o di ideali, i protagonisti di “200 giorni” sono giovani con doti particolari, sanno empatizzare con gli altri, sanno donarsi e pensano che per ogni ostacolo c’è una soluzione, che bisogna cercarla e non arrendersi mai, che se la si cerca in tanti è più facile trovarla.
Sono tantissimi i problemi che bisogna guardare in faccia e affrontare con un bagaglio di esperienze piccolo piccolo, la paura che l’ignoto ti procura, la confusione che nasce dal silenzio degli adulti.
Non si può superare ogni cosa da soli, ma bisogna poter contare sulla famiglia, sugli amici, sui professori in aiuto, bisogna essere fonte di cambiamento e lottare perché le cose difficili da vivere diventando condivise possano essere addomesticate. A volte solo una risposta molto creativa, fuori dalle righe, non convenzionale è la soluzione, a volte basta una sola persona che abbia il coraggio di tendere la mano per fare la differenza, a volte basta credere che solo l’amore conta perché tutto cambi e ciò che sembrerebbe invivibile diviene fonte di novità e di strutturazione positiva del reale.
Essere capaci di questo è una dote, un dono per il quale non serve conoscere le tabelline, o non fare errori di ortografia o avere una bella grafia, spesso ciò che conta è quello che si ha nel cuore, quello che ti spinge verso l’altro, a condividere, a impegnarsi perché nessuno soffra, nessuno si senta solo.
Bisogna andare oltre l’apparenza e mettere in discussione i vecchi schemi per trovare nuove soluzioni, per sopravvivere alla separazione dei genitori, alla morte di un padre, all’anoressia, ad un handicap totalmente invalidante a 16 anni, al bullismo, alla violenza sulle donne, all’alcolismo, ad una gravidanza indesiderata, alla leucemia, alla violenza, all’intolleranza razziale e sessuale, all’ignoranza, alla grettezza di una scuola che non accoglie e non sa proteggere la diversità, all’adolescenza in un mondo confuso e devastato.
Forse bisogna proprio essere dislessici per farcela, per trasformare le difficoltà, gli ostacoli, la paura, il dolore in capacità di donare, in rispetto, in unità, in progresso, in atti d’amore che leniscono la sofferenza del vivere e aprono le porte all’amore-dono che può cambiare ogni cosa.
 
LanguageItaliano
Release dateAug 7, 2018
ISBN9788828370826
200 giorni: La dislessia tra i banchi di scuola e nella vita

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    Book preview

    200 giorni - Lucia Maria Collerone

    Copyright © 2016

    Proprietà letteraria riservata www.luciamariacollerone.it

    Immagini di copertina: Francesco Fonti Photographer

    I edizione e-book: Maggio 2016

    Titolo

    Lucia Maria Collerone

    200 Giorni

    A Marta, Elisabetta , Corrado

    e alla mia piccola Gioia

    ♥♥♥

    It’s hard to tell the nigh time from the day Desperado (Eagles)

    It’s hard to tell the nigh time from the day

    Desperado (Eagles)

    - Come è andata oggi, Lorena?

    - Bene, mamma.

    - Solo… bene?

    Le è suonato il campanello d’allarme, anche lei era tesa stamattina. Non ho voglia di parlarne ora, ho bisogno di stare sola.

    - Sì, mamma, solo bene. A te come è andata?

    - Solo bene, mamma?

    - Sì, Lorena, solo bene.

    Pure per lei è il primo giorno di scuola, poverina, è una prof. Stamattina stava anche peggio di me. Ci siamo capite, come sempre.

    Mi devo sfogare, devo eliminare un poco di questa rabbia che mi soffoca. Ho gli spasimi allo stomaco, mi fa ancora male la pancia. Devo tirare fuori le parole, raccontarle, farle diventare altro da me, solo così potrò prendere le distanze e liberarmi di loro.

    Il primo giorno di scuola elementare non mi faceva male la pancia, anzi ero felicissima, stavo per diventare grande: avrei imparato a leggere e scrivere, finalmente, come mia sorella Costanza. Non stavo nella pelle. Mi sono vestita in fretta veloce, ho messo le calzine con i merletti e la gonna leggera bianca. Faceva ancora un gran caldo. Indossavo una molletta nuova che mi aveva regalato la zia Paola per il primo giorno di scuola: mi teneva fermi i ricci, così non mi finivano sugli occhi, quando avrei dovuto scrivere o leggere. Finalmente avrei potuto leggere Alice nel paese delle meraviglie ogni volta che mi andava e i titoli dei cartoni e i giornalini, i nomi delle vie e le insegne sulla strada che mi accompagnavano sulla via del ritorno a casa. Non dovevo più chiedere nulla a Costanza. Il nonno mi aveva anche regalato due libri nuovi, da leggere da sola.

    Lo ricordo benissimo quel mio primo giorno alla Capuana, la mia prima scuola.

    Ciao mamma.

    Ciao amore, mi raccomando fai la brava. Aspetta, non scappare, dammi un bacio.

    Avevo fretta, fretta, non vedevo l’ora d’iniziare. Però un bacio a mamma bisognava darglielo. Aveva gli occhi grandi e il naso rosso. Era un po’ triste, non voleva lasciarmi andare.

    Non preoccuparti mamma, ci vediamo quando finisce la scuola. Mi vieni a prendere e stiamo insieme tutto il pomeriggio. Va bene, mamma?

    Va bene amore. Ah, di’ a papà di fermarsi un attimo a prendere le uova da Toni mentre ti accompagna a scuola, le si aprì un sorriso. E divertiti nella tua nuova classe.

    Era sicuro che mi sarei divertita: avrei imparato a leggere, a scrivere e avreri avuto tanti compagni.

    A di… ape. A di…? Albero.

    Bravo, Simone!

    A di…?

    Angelo.

    Bravo, come il tuo nome! A di…?

    A di casa.

    "No, Lorena, no. Non va bene. A di casa, è sbagliato.

    A non CA.

    Ma la A non assomigliava per niente a un’ape. La A sembra più una casa con il tetto a punta.

    Perché non va bene A di casa?, mi chiedevo. Perché la maestra mi dice che non sono stata brava e ha detto brava a Debora che ha detto A di arancia? L’arancia è una O. Non lo so. Gli altri lo sanno, io non lo so.

    La maestra scriveva alla lavagna: A a A a. Dovevo copiare quei disegnini, uno vicino all’altro, sulle righe del quaderno nuovo. Era bello il mio quaderno nuovo con Pocahontas, aveva un odore buonissimo.

    Ora lo faccio quello che ha detto la maestra, copio le letterine, così quando lo porto a casa, tutti mi diranno brava, fantastica, amore, mi dicevo entusiasta. Ma mi si muoveva tutto. Le righe sembravano onde del mare, le lettere si spostavano, sparivano, ritornavano e andavano su e giù per il foglio. Mi veniva la nausea, come sul traghetto, e mi bruciavano gli occhi come quando ci entra il sapone.

    Dovevo farlo anche io: tutti scrivevano e dovevo finire pure io la pagina, tutta. Alla fine, ricordo, ero stanca, mi faceva male la mano, il collo e gli occhi mi lacrimavano. Però ero soddisfatta: avevo finito tutta la pagina… era piena di letterine.

    Poi sono andata dalla maestra.

    In un attimo la mia pagina era diventata brutta, l’aveva tutta scarabocchiata e riempita di croci: sembrava un cimitero.

    − Non va bene così Lorena, ti sei voluta spicciare e hai fatto malissimo, devi stare più attenta e metterci cura nel copiare le letterine. Prova a rifarlo a casa: due paginette.

    Esercitati a scrivere e guarda bene come sono le lettere. Copiale bene. Rifalle tutte, Lorena, perché così non vanno. Rifalle e domani me le riporti a vedere.

    Come, rifalle?

    Non riuscivo neanche a respirare. Era già stata un’impresa difficilissima copiarle una volta, figuriamoci riscriverle tutte di nuovo. E poi, per quale motivo?

    Non potevo più farlo vedere a nessuno il mio primo compitino ora che l’aveva scarabocchiato tutto: era bruttissimo.

    A casa, però, mi avrebbe aiutato la mamma così l’avrei rifatto bene.

    Ma la mamma si arrabbiava e mi cancellava ogni letterina che scrivevo. Mi sgridava perché mi fermavo sempre, ma mi bruciavano gli occhi e mi faceva male la mano. Mi stufavo e avrei voluto vedere la Tv o andare da nonna. Mi diceva di stare attenta, mamma, ma io ero attenta. Non sapevo perché mi uscissero quegli sgorbi dalla mano. Ero una brava bambina, non avevo mai fatto capricci, e anche quella volta non volevo farli, solo che non ce la facevo a fare due pagine. Non ci riuscivo proprio!

    Anche oggi, al mio undicesimo primo giorno di scuola, avevo mal di pancia, mi veniva da vomitare, volevo restare a casa. Non l’ho detto a mamma, perché non ho più sei anni, ma il mal di pancia era lì, a squartarmi in due. Inconsciamente sapevo cosa sarebbe potuto accadere, per questo avevo mal di pancia.

    Non riesco mai a salvarmi da queste situazioni non riesco mai a proteggermi a evitarle, MAI. Dopo tanti anni non sono capace di controllare questa situazione, dovrei essere pronta e invece come al solito io le ho dato il fianco perché mi trattasse in quel modo. Sono stata bedole, no bebole, insomma mi sono fatta prendere dal panico ho perso il controllo e lei mi ha massacrato. Di nuovo alla gogna, di nuovo rasa al suolo e davanti a tutti.

    PUNTO N. 5

    CARA PROFESSORESSA BUTTAFUOCO, NON HAI ANCORA AVUTO IL PIACERE DI VEDERE, SE NON IN MODO MINIMO, I MIEI STRABILIANTI E INNERVOSENTI ERRORI ORTOGRAFICI. PREPARATI, NE VEDRAI DELLE BELLE, ALLORA SÌ CHE T’INCAVOLERAI, CHE TI USCIRANNO GLI OCCHI DALLE ORBITE, DALLE TUE TRUCCATISSIME PALPEBRE AZZURRINE. I MIEI BELLISSIMI ERRORACCI NON SONO DOVUTI ALLA DISTRAZIONE O AL FATTO CHE IO SONO IDIOTA, MA SONO LA DIRETTA CONSEGUENZA DELLA MIA MIRABILE DISLESSIA, SI CHIAMA DISORTOGRAFIA NIENTE AUTOMATISMI PER LE REGOLE GRAMMATICALI CHE CONOSCO PERFETTAMENTE: NIENTE ACCENTI, DOPPIE, APOSTROFI DOVE NON VANNO, NIENTE APOSTROFI DOVE VANNO, LE H CI SONO DOVE NON DEVONO ESSERCI E NON CI SONO DOVE SERVONO. UNA PAROLA SCRITTA IN TRE MODI DIVERSI NEL GIRO DI CINQUE RIGHE. AGGIUNGIAMO ANCHE LA STESSA TIPOLOGIA DI ERRORI CHE FACCIO QUANDO LEGGO O PARLO E CI SOMMIAMO ANCHE GLI SCAMBI DI FONEMI SIMILI (F,V…T,D) E IL GIOCO… È FATTO!!!

    POSSO FARE ERRORI SEMANTICI, CIOÈ POTREI LEGGERE NON LA PAROLA SCRITTA, MA UNA CON LO STESSO SIGNIFICATO, PER ESEMPIO: CONCLUSIONI PER CONSEGUENZE.

    UN ALTRO BEL CASINO SONO LE PAROLE GEMELLE SINISTRA/ DESTRA, VOCALI/CONSONANTI, OTTUSO/ACUTO. PER ME DISTINGUERE L’USO DI QUESTE PAROLE È PROPRIO COME QUANDO INCONTRI DUE GEMELLI CHE SI DISTINGUONO SOLO PER UN PICCOLO E SFUGGENTE PARTICOLARE. QUANTO TEMPO CI IMPIEGHI A CAPIRE CHI È L’UNO O CHI È L’ALTRO? MARCO O MARIO?

    L’INCUBO PEGGIORE PER OGNI PROF D’ITALIANO:UNA DISORTOGRAFICA! DOVE ANDREMO A FINIRE, POVERA LINGUA ITALIANA!

    LONTANO DA TE, PROF IN QUALUNQUE POSTO, BASTA CHE SONO LONTANA DA TE!

    Ma proprio me doveva interrogare? Certo che sono anche sfigata.

    Diciamo che ho aperto bene la prima giornata di scuola e che l’intero anno scolastico è cominciato alla grande con la Buttafuoco.

    Quando è entrata in classe lei, anche se fa un caldo boia, ho sentito quasi freddo. Sembrava che la luce del Sole che spaccava le pietre si fosse smorzata.

    Mi ha raggelato la pelle.

    Buttafuoco… il fuoco l’hai usato solo per ustionarmi dentro.

    Dov’è finita la professoressa Talarico?

    Noi pensavamo che lei fosse da panico, ma questa… questa è… non lo so. Come la definisco senza dire parolacce? Ce ne sarebbero tante che potrebbero andare bene, ma io preferisco non dirle: sono inutili, coloriscono il discorso, ma sono inutili.

    Ha detto che dobbiamo stare zitti, se non ci dà lei il permesso di aprire bocca. Anche gli uccelli lo sanno che non devono cinguettare quando parla lei. Ci credo, è peggio di uno spaventapasseri. Dove passa lei, tutto diventa triste. Ha seminato morte in ogni cuore. Ha fatto sentire malissimo tutti. Vuole che le rispondiamo in coro: Sì, professoressa Buttafuoco.

    Vai a quel paese professoressa Buttafuoco! "Come mai siete pochi in classe… meglio. Siete la créme, il risultato dell’epurazione." Ma che termini usa?! Epurazione… Ma chi è, Hitler?

    Anche Mariella Picari è rabbrividita, quando ha sentito dire quella frase. Sembrava quasi che facesse fatica a parlare, quando rispondeva alla prof. Mamma mia, accanto a lei sembrava ancora più secca e magra di quanto non sia già. Sta sempre a dieta, Mariella. Va bene che vuole fare la modella, ma sembra quasi malata, peggio di Maletto. È bella, una discendente della casata sveva: capelli come un incendio, occhi verdi, pelle bianca, altissima, una stangona, la più alta della classe, anche dei maschi, ma pare una filinia sul tetto con tanto di ragno. Se la vedesse nonna, la smetterebbe di dire a me che sembro un manico di scopa.

    La prof è stata terribile anche con quello nuovo.

    − La erre sta per ripetente? – gli ha chiesto tentando di infilzarlo con la sua lingua talgiente come una lama. − Lo sai o non lo sai se sei ripetente?

    Le ha tenuto testa, quello nuovo, alla Buttafuoco.

    Ma Carroccio è stato ancora più un mito. Lui è il nostro rappresentante di classe dalla prima, perché si fa valere, educatamente, e si sa fare ascoltare. L’ha chiamato l’avvocato difensore la prof, c’appizza, è proprio vero, un avvocato e dei migliori anche. L’ha messa al posto suo, l’ha stesa. Ci voleva qualcuno che difendesse Michela. Bravo Totò! Non voleva farla uscire: Le regole sono regole e valgono per tutti. Anche per Zappulla che, poverina, ha un problema di salute. Ha ceduto alla fine, l’ha fatta uscire, perché Carroccio l’ha obbligata a guardare il certificato nel registro. Ma non si è data sotto: ha detto a Michela di non farla diventare una scusa per perdere tempo.

    Miii, è insopportabile!

    Il diabete è una malattia terribile, come puoi dire che può essere motivo per perdere tempo? Michela ci perde la vita, non il tempo, bestia! Intollerante! Razzista! Stupida! Troppo? No, non lo è. Tutti aggettivi che le calzano a pennello.

    Meno male che non ci sono H sul registro, così non perdiamo tempo.

    Si riferiva ai ragazzi portatori di handicap...

    Non sono d’accordo con te, Buttafuoco del cavolo. Io sarò anche una che si intenerisce per qualunque cosa e che le spuntano le lacrime di commozione anche per i cartoni animati; una che pensa sempre che tutti sono buoni o possono esserlo; che il bicchiere è sempre mezzo pieno; che c’è sempre un motivo per essere contenti; che si può sempre trovare una soluzione che tutto si può aggiustare… ma cavolo usare una H per definire un essere umano fa proprio schifo!

    Ora posso prendere il respiro…

    Ha chiamato extracomunitaria la nostra compagna Fatma leggendo il suo cognome. E ho detto tutto. Non l’ha nemmeno ancora vista in faccia, perché oggi è assente: non ha neanche idea di chi sia e di quello che la sua famiglia ha vissuto. Non lo sa, ma noi sì, Fatma è una di noi. Ci sono ragazzi davvero superficiali in classe, ma nessuna intolleranza nei confronti di Fatma, nessuna veramente, perché la conosciamo ed è una ragazza davvero dolce. Nessuno guarda il suo aspetto così diverso dal nostro, il suo velo: conosciamo la sua gentilezza e l’allegria che, nonostante tutto, ha dentro. Sappiamo quello che ha vissuto.

    Lo porta il velo?

    Certo che lo porta, e allora?

    La città è piena di gente diversa. Il centro della Sicilia è diventato un porto di mare senza mare, arrivano persone da tutte le parti del mondo. I grandi non sono pronti a questa diversità, si sentono invasi, ma io sono curiosa, spaventata a volte, ma curiosa.

    Ci manderei lei cara prof e la sua bella faccia ad affrontare le scorribande dei soldati del regime che rubano, violentano, uccidono. La vorrei vedere, fuori dal suo mondo perfettino, ordinato, preciso. Vorrei vederla ad affrontare sul serio una sola delle esperienze spaventose che hanno vissuto il padre e la mamma di Fatma.

    Ma a lei che gliene importa?! Non le interessa di niente e di nessuno.

    Non Mi Interessa, con tutte le parole staccate e maiuscole, senza apostrofo, così si capisce meglio che a lei non gliene frega un tubo di nessuno. Che tristezza!

    Ha risposto in un modo osceno anche a Paolino Nicosia, quando le ha detto, con il suo accento da lord inglese, che può capitare che si ritardi per colpa degli autobus stracolmi. Nessuno entra nella sua classe dopo le 8,30, nessuno, neanche se ha il permesso di chicchessia!

    Su di lei nessuno ha potere: né preside, né vicepreside, ma chi è? La principessa sul pisello?

    Nicosia si alza ogni mattina alle 5, prende il treno, fa un’ora e un quarto di viaggio, cammina a piedi per venti minuti buoni dalla stazione alla scuola, con qualunque tempo e lo stesso fa per il ritorno e tutti i santi santissimi giorni. Arriva a casa alle 5 del pomeriggio e non manca mai, studia e non nega mai aiuto a nessuno. Non parlava neanche a nome suo, ma per i ragazzi che prendono l’autobus e vengono dai paesi vicini, percorrendo strade im- monde, tutte curve curve e buche e deviazioni. Parlava a nome di ragazzi come Cataldo La Mattina o Liria Galiano, Calogera all’anagrafe, ma Liria per chiunque altro… il suo nome non le piace, però ha ragione: Calogera è pesante da portare, è il nome di un Santo vecchio, vecchissimo. Certo meglio che Crocifissa o Addolorata però, mii veeero!

    Il mio nome mi piace: lo ha scelto papà, perché a quanto pare Lorena è il nome del luogo dove mi hanno concepita… mi vergogno pure a pensarlo. Dovevano farlo spesso e volentieri prima, quando erano giovani e all’inizio della loro storia: andavano sempre a trovare nonna Fanny in Provenza e, mentre visitavano luoghi incantevoli, hanno pensato di fare me. Testuali parole det- te dai miei con lo scopo di farmi comprendere quanto sono importante per loro. Se ce l’avevano in testa, come ce l’ho io da un poco di tempo a questa parte che ho gli ormoni sparati a mille, allora mi chiedo: come può essere che siamo solo due figlie? Va bene basta! La storia del sesso tra i miei genitori un si po’ seentiri, mi fa angoscia, peggio che ripensare alla Buttafuoco in azione!

    Paolino Nicosia si fa un mazzo per arrivare puntuale, ci tiene, perché è onesto e rispettoso, ma agli altri capita di arrivare in ritardo, d’altronde, non è che ci possono fare niente se l’autobus è pieno e li lascia a piedi. A lei, però, non importa di loro, le regole sono più importanti degli esseri umani… ohhh, ma che ci possono fare Paolino, Liria, Cataldo se gli autobus o i treni non rispettano le regole, a chi dovrebbe vietare di entrare dopo le 8,30? A chi? Agli autisti? Al Comune? All’ANANAS o come cavolo si chiama quell’ente che aggiusta le strade?!!!

    Sono furiosa come Orlando, il pupo. :-(

    Capisco che non giustifichi chi abita a due passi e arriva tardi e ce ne sono: Attardo arriva sempre in ritardo, perché si ferma al bar a bere il caffè con gli amici, sarà il cognome... Calabrese fa sempre tardi la sera, non sente la sveglia e arriva in ritardo, anche se abita dietro l’ angolo. Ma i ragazzi pendolari fanno una vita da schifo e un poco di considerazione la meriterebbero!

    Magari fa tutta la dura ed è una di quelle che arriva in ritardo pure lei. Vedremo. La tengo d’occhio. Peppuccio Maletto è stato bravo, fantastico, tritolissimo. L’ha presa per i fondelli alla grande. Non è vero che è allergico come le ha fatto credere: è perennemente malato mischinino, raffreddato, influenzato. Se le becca tutte lui. Ce le porta tutte lui le influenze in classe. Non ci può fare niente, è cagionevole di salute. Oggi era vestito come se ci fossero -2 gradi, magari è per quello che è sempre malato. Aveva la felpa pesante e io, con le maniche corte, sudavo.

    Tutti allergici, è di moda. Meglio, così non sei contagioso, gli ha detto la prof.

    Grande Peppe! Gracilino, ma ha un cervello per le prese per i fondelli, che è imbattibile.

    Non è così difficile prenderla in giro la professoressa Buttafuoco, anche se è nata prima lei e se capisce prima ancora che noi capiamo, come dice lei. Puviredda, lasciamola vivere nei sui sogni di gloria, la realtà è un’altra e Maletto è la prova che si può prenderla per il naso e se ci è riuscito lui, chiunque potrà farlo, se vuole. Primo punto debole della generalessa. Fa un poco meno paura.

    Anche con Marika, la biondina, è stata fetente, ma non ho provato dispiacere per lei, ci scorniamo sempre e se lo merita un poco quel trattamento... così le passa la voglia di sfottere e di farlo soprattutto con me. Le faccio antipatia a pelle.

    - Signorina Marika con la K, ma questa ragazzina straniera la sa parlare la lingua italiana? O abbiamo anche questo problema?

    - Fatma parla benissimo l’italiano e c’ha pure l’accento siciliano, se è per quello, professoressa.

    Le ha dato dell’ingnorante… Certo, le è andata meglio che a me.

    Appena ho visto entrare quella prof sconosciuta, ho pensato oddio una nuova, speriamo che vada bene. Cara prof Buttafuoco, qui sei solo prof, prof e basta, un piccolissimo, nicu nicu, minuscolo, abbreviato prof, te lo puoi scordare che ti chiamo con il sontuoso Professoressa But- tafuoco, ti do pure del tu, solo qui però, dove non lo saprai mai che l’ho fatto. Qui non ci sono regole, soprattutto le tue. Non mi è andata per niente bene, non sono stata in grado di tenere a bada nessuno dei miei problemi, li ho tirati fuori tutti, ma tutti tutti quelli che potevo tirare fuori, glieli ho sbattuti sulla faccia e lei ha seguito la prassi: si è sentita presa in giro, mi ha dato della distratta, della menefreghista, della disattenta, dell’incapace, dell’idiota.

    Sono un elefante, un furbo elefante.

    Meno male che gli altri erano stati inceneriti dalla Buttafuoco, o sai le risate, se le sarebbero fatte quattro sghignazzate, Marika con la K per prima, magari con la sua amica del cuore Carla Vitale, avrebbe riso anche Rosa Maria Costantino la saputella e quel lumacone di Pirrello per compiacere la professoressa Buttafuoco. Non mi fa usare lo stampatello maiuscolo… e che dirà quando porterò il computer con il correttore ortografico o userò il Reader per i compiti, quando le chiederò di programmare le interrogazioni, di usare le mappe concettuali per studiare e per farmi interrogare? Non glielo avranno detto che io sarei stata un altro problema nella classe, insieme alla erre che sta per ripetente, alla extracomunitaria musulmana con il velo, ai pendolari ritardatari, alla ragazza malata che esce nella sua ora, contro tutte le regole.

    Non mi aspetto che sia facile, non lo è mai stato, mai. Leggi, leggi. Esercitati a casa. Invece di pensare solo a truccarti e a uscire con il motorino per fumare e bere, resta a casa e esercitati con la lettura. Mi ha detto proprio così. Non si è neanche fatta un dubbio che potessi essere una che ha un disturbo di letto scrittura, neanche uno piccolo piccolo.

    Se non sa nemmeno che esiste! E poi, che antica: motorino. Scooter, e che cavolo, scooter!

    Oddio, bedda matri, come sopravvivo? Come posso fare per non ucciderla e finire al minorile, che sembra quasi più bello che andare a scuola. Quando poi le dirò che sono dislessica penserà schifata che è tutta una scusa per coprire la mia stupidaggine. Classico. Già successo.

    Signora, glielo dico io qual è il problema. Sua figlia non ha voglia d’imparare, è svagata, non le interessa, ha altro per la testa, è immatura e lei, lei signora, mi scusi se glielo dico, ma lei la vizia sua figlia, la copre, non vuole vedere i problemi veri, accettare che non è pronta… insomma non ce la fa. La giustifica, dice che ce la mette tutta, che si impegna, ma non è così e lei lo sa. Non fa il suo bene signora, no… no. Non fa il suo bene così. Così la rovina.

    Una maestra voleva bocciarmi in prima elementare, perché non riuscivo a leggere e a scrivere e l’altra voleva bocciarmi in prima media. Ad ogni santo passaggio di classe o insegnante ignorante succede sempre la stessa cosa, sempre, sempre, sempre, sempre, sempre. Adesso mi sta succedendo di nuovo, con la Buttafuoco, un’altra volta e so che mi potrebbe succedere ancora e ancora.

    Oddio! Come mi salvo da questa angoscia? Mi fa male la pancia, mi fa un male che non lo sopporto più!

    Concita Ferrauto è stata molto dolce con me, si è avvicinata e mi ha detto: Non te la prendere Lorena, lei non sa quanto sei brava anche tu, non ti conosce ancora. Vedrai che si metterà tutto a posto, appena impara a conoscerti.

    Concita è la più brava della classe, è da dieci, ma nessu- no di loro glielo darà mai, perché il dieci lo meritava solo il prof del prof. Il nove era il voto massimo che poteva prendere il prof e quindi Concita, come sua alunna, posta al livello più basso del sapere, può al massimo aspirare a un otto. Mi piace Concita perché è buona come il pane, semplice ed è una dei pochi, tra i miei compagni, che non mi fa sentire un’aliena. Anche Stefano Fradella mi piace, il gigante buono, meglio non farlo incavolare però… con una manata ti stronca. È affettuoso con me, mi vede come una da proteggere. Oggi friggeva, lo vedevo con la coda dell’occhio, si girava e rigirava le mani, spingeva un pugno contro l’altro. Ha spezzato una matita in due con una mano, quando mi ha dato dell’elefante. Anche lui mi ha detto una cosa dolcissima: "Lorè, ma quale elefante, tu una farfallina sei, è lei che sembra un pachiderma, s’ invidia che sei secca come una signa e lei è ponchia".

    Mi ha fatto ridere e non era impresa facile.

    La Buttafuoco mi ha disintegrato, letteralmente. Le sue due ore di lezione sono state infinite, interminabili. A un certo punto ci ha ignorato tutti, per fortuna, perché ha iniziato a dare sfoggio della sua cultura. Ci ha spiegato il primo canto dell’Inferno della Divina Commedia. Ti pareva, l’Inferno. Perfetta ambientazione per lei. Come Tenebra, la morte amica di Billy e Mandy, che però è simpatica, quasi indifesa, mentre la Buttafuoco è solo tenebrosa. Ho deciso, la chiamerò Tenebra.

    Con la sua voce succo di limone.

    Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura che la retta via era smarrita…

    Ha assunto un che di sinistro tra le sue labbra colme di rossetto ciliegia, ma corrisponde esattamente a come mi sento ora: smarrita in una selva oscura.

    Noiosa, noiosissima. Continuavo a distrarmi, non riuscivo a controllare i miei pensieri che vagolavano… esiste? sì, esiste da vagolare. Pensavo fosse uno dei miei neologismi e invece no, parola morta è, vintage letterario. Adoro il vintage una cosa del passato in un contesto nuovo, come quan- do s’inventa qualcosa, insieme di vecchio e nuovo.

    Mentre spiegava, non riuscivo proprio a stare attenta a quello che diceva. Bastava davvero una fesseria per distrarmi, per portarmi lontano con i miei pensieri ad altri momenti terribili, simili a quelli che ho vissuto oggi o indietro nella mattinata, al momento in cui mi ha distrutta davanti a tutti. Cercavo di seguirla perché sapevo che ci avrei messo un milione di anni a casa, per studiare, se non riuscivo ad ascoltarla almeno un po’. Ha parlato per un’ora, senza interrom- persi, seduta, immobile ha parlato, senza muovere un solo muscolo, solo le labbra, monotono. Lei parlava e lei si sentiva, ha perso anche la cognizione di quello che le succedeva intorno. Era così concentrata a fare sfoggio di sé, che non si è nemmeno accorta che Laurino giocava con Rivella con la Play Station sotto il banco. Rivella è soprannominato Il commenda: è iper ricco e ha pure la evve moscia da vicco- ne. Porta a scuola tutte le più aggiornate tecnologie, che con- divide generosamente soprattutto con Laurino, perché si conoscono dall’asilo e Chicco, come lo chiama lui, è come un fratello per Rivella, che è figlio unico. Fa proprio da ricco che Federico, nome altisonante da imperatore, diventi un vezzoso e striminzito Chicco, soprattutto perché Chicco, in realtà è un colosso, enorme. Dopo le vacanze Il commenda è tornato con un look nuovo da Emo: ciuffone nero, due anelli nel labbro inferiore e la matita nera sugli occhi! Poca, ma l’aveva. Com’è che la Buttafuoco non l’ha incenerito?! Non mi sembra per niente il tipo da apprezzare queste stra- nezze, non se ne sarà resa conto.

    Pirrello ha chiesto alla prof se poteva portarle i libri, alla fine della lezione: non si smentisce mai, untuoso. Mentre la prof spiegava, faceva ciondolare la testa come per assentire: ha sempre detto che la cosa importante è dare fumo negli occhi e lui ne fa di fumo, una ciminiera delle raffinerie di Gela! In verità, stava organizzandosi per il fantacalcio e non gliene importava un fico secco di quello che lei blaterava.

    Ognuno alla fine è riuscito a farsi i fatti suoi. Attardo ha pure avuto la faccia tosta di ascoltare musica dall’iPod, con il filo degli auricolari che gli passava tra i capelli lunghi e neri che gli penzolavano sulle orecchie come un cocker.

    Non sono riuscita a tenerli a bada neanche per un secondo i miei pensieri incasinati, mi hanno frullato il cervello fino allo spappolamento. Non ho ascoltato una sola parola uscita dalle labbra infernali di Tenebra.

    Suona la campana, finalmente!

    Ci fulmina sulla sedia con altri ordini incredibili. A raffica detta i compiti. Non concede spazio a nessuna for-a di recriminazione. Nessuno assegna così tanti compiti il primo giorno di scuola, solo lei. Se avesse dato solo un secondo di spazio, sicuramente quel contestatore di Angelo Sciascia glielo avrebbe fatto notare, come ha sempre fatto, che erano assurdi tutti quei compiti. È fissa- to con gli sport, gioca in una squadra di calcio semi professionistica… professionale? Professionista? Mamma mia, ma certe volte dire le cose diventa un’impresa da infarto. Corre anche con lo Zip in pista e con la motocross sullo sterrato. Ogni pomeriggio ha una partita e non vuole avere tanti compiti da fare, quindi, si lamenta sempre. Stavolta con Tenebra non è riuscito neanche a respirare, figurarsi se poteva lamentarsi per i compiti.

    Come al solito non mi ricordavo quello che aveva detto e non c’era una sola riga sul diario che mi dicesse cosa avrei dovuto fare a casa. Non potevo cominciare dal primo giorno di scuola a chiedere i compiti a destra e a manca, eppure mi è toccato farlo. Anche questo mi è capitato di nuovo. Ho dovuto chiederli a Rosa Maria Costantino, perché lei li scrive sempre i compiti, sempre ed è attendibilissima. Mi ha sorriso di traverso, attraverso le ciglia lunghe, nere di mascara e avrà detto tra sé… hai ricominciato anche quest’anno, ma sei proprio scema! Non lo ha detto, ma io l’ho capito lo stesso.

    Ho sempre avuto bisogno di una Rosa Maria Costantino in qualunque momento della mia vita scolastica.

    Sempre il diario in bianco o con delle scritte incomprensibili, bisogna telefonare di nuovo, ogni santo giorno a un compagno o a una compagna, a turno se no le mamme si rompono e pensano che sei scema. Domani se non hai i compiti, non telefoniamo a nessuno, vai a scuola sen- za avere fatto quello che vuole la maestra e ti prendi la nota che ti meriti. Se non vuoi che succeda, stai attenta!

    Ma la maestra è veloce e io non ci riesco.

    No, tu perdi tempo. Tu vuoi prendere i brutti voti. Ecco cosa sei, una che vuole fare brutta figura.

    Svogliata, distratta, disattenta, disinteressata, menefreghista, idiota.

    Niente cambia, tutto resta uguale e io sono sempre spiazzata. Mi sento disperata. Sì, senza alcuna speranza. Sto male. Uno schifo, MALEEEMALEEE! Vorei mettermi a cridare come una pazza e scapare i pazi possono fare quello che vogliono e sopratuto non vanno a scuola non ci voglio stare a scuola la scuola e un assillo pieno d’angosca e il luogo dove in ogni momento devo tenere alta la cuardia e protegermi non posso rilassarmi mai non posso mai smettere di tenere tutto sotto controlo a scuola e il luogo dove ce sempre unemergenza che devo affrontare vorrei restare a casa mettermi seduta in un ancolo e sparire nel buio vorrei tanto sveliarmi alla fine della scuola. Ho tirato fuori tutto, tutto di fila, senza prendere fiato, in apnea, e senza controllare. Lorena agitata, Lorena nuda e cruda, senza riletture, senza correzioni, una serie interminabile di errori. Io, la dislessica, senza aggiustamenti.

    Però io voglio essere una scrittrice.

    Un dislessica può anche solo pensare di diventare una scrittrice?

    Se fa la revisione sì, se controlla, rilegge, cerca e corregge gli errori sì.

    Non basta un’ortografia perfetta per essere una scrittrice, ma non bastano neanche solo inattese capacità di narrazione per esserlo.

    A proposito di fortuna, una cosa che si possa definire bella a scuola c’è: la R di ripetente, è carino!

    Non lo so come è successo, ma me lo sono trovato come compagno di banco. Mancava Fatma, ecco cosa è stato, per questo: ero dispari… questo sicuro non si può dire così, va beh. Il banco era vuoto e lui si è seduto, non ha potuto scegliere perché è entrata Tenebra proprio dopo di lui. Non ci siamo detti molto, dopo lo shock dell’esperienza Buttafuoco, facevo fatica a parlare. Appena è uscita il ripetente mi ha detto, alzando appena lo sguardo: Non te la prendere. È proprio stronza ’sta prof. Fottitene!

    Lapidario, ma efficace, però non credo che riuscirò a farlo, a fottermene come ha detto lui. È stata dura per me. Mi ha lasciato tramortita e ha riaperto vecchie ferite. Devo affrontarla questa cosa e risolverla. Non le permetterò di farmi ripiombare nella paura e poi, l’ignoranza si combatte con la conoscenza. Troverò una soluzione. Voglio vedere il bicchiere mezzo pieno anche questa volta, così almeno avrò uno spiraglio nella disperazione in cui sono finita. Troverò il modo di affrontare la cosa e risolverla. Un modo c’è, devo solo trovarlo.

    Se non ci riesco, perché può succedere, ci sono sempre mamma e papà a cui chiedere aiuto, per fortuna, non mi hanno mai lasciata sola, davanti a questo problema.

    Se per quello, c’è pure lo zio Carlo.

    Ti voglio bene zio Carlo. Sei il o lo, che si usa qui?, il mio zio preferito, il mio primo amore. Sono orgogliosa di avere uno zio fighettone come te, bello, dolce, simpatico, un cardiochirurgo pediatrico bravissimissimissimo, che scrive con le zampe di gallina e che sembra sempre scollegato.

    Zio Carlo non ha ceduto: è diventato quello che voleva, lui è un mito.

    Il mio adorabile, unico, splendidoso mito ZIO CARLO.

    Ce la farò anche io, lui lo dice sempre: "Ranocchia, se ci sono riuscito io, che sono mezzo babbo a fare quello che desideravo, perché non ci devi riuscire tu, che sei nata sperta!"

    Voglio fare la scrittrice… una scrittrice dislessica, disgrafia, disortografica… Vuoi fare la scrittrice, allora non cedere neanche un attimo all’idea che non lo sarai, capito? È così che si fa. Capito Ranocchia? Intanto per cominciare tieni un bel libro della poetessa premio Nobel del 1996 Wislawa Szymborska, imparerai un sacco di cose importanti. Me lo ha consigliato una mia amica che gestisce una bella libreria in centro, una intellettuale, con due gambe lunghe e un paio di…

    Zio Carlo!

    …di occhi blu, bluissimi… Sarai una scrittrice, come io sono un cardiochirurgo pediatrico, ok?

    Ho deciso. Nessuno mi impedirà di essere quello che voglio essere. Nemmeno la Buttafuoco. Tanto meno lei.

    Come dice Siddharta a Kamala: Tutti possono fare delle magie, tutti possono raggiungere le loro mete se sanno pensare, aspettare e digiunare.

    PENSERÒ. ASPETTERÒ. DIGIUNERÒ.

    E FARÒ LA MAGIA.

    Ce la posso fare. Ce la farò! Punto e basta.

    Se mamma sapesse quello che è successo andrebbe a scuola e la farebbe carbone alla Buttafuoco, le spegnerebbe l’incendio per sempre, per sempre. Lo farebbe, come ha gia fatto tante altre volte.

    Mi piacerebbe dare a Tenebra il Vademecum che sto scrivendo.

    Però, pensandoci bene, forse è meglio stampare

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