Un fiore speciale
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Quella che sembra dover essere mantenuta nei confini di una bella amicizia, visto che Will non fa mai entrare i sentimenti nelle proprie frequentazioni, sfocia inevitabilmente nella passione e ha tutte le carte in regola per diventare il grande Amore, ma deve fare i conti con svariati malintesi, presunti tradimenti e la paura di essersi persi per sempre.
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Un fiore speciale - Giorgia B. Walker
1
Margherita
Il lunedì mattina è una prova di coraggio. L’abbandono del piumone con annessa sfida contro il gelo artico creatosi in casa, l’ingestione di caffè bollente a mo’ di elettroshock e il disperato tentativo di rendersi presentabili con l’ausilio di artifici cosmetologici dovrebbero essere quantomeno accompagnati da un applauso. Eppure, nonostante anche questa mattina io abbia imprecato al suono della sveglia, ho un jolly che mi aiuta ad affrontare il dramma: ho appuntamento con il ragazzo più bello che abbia mai visto nei miei venticinque anni di vita. Con bello
non intendo dire gradevole da guardare, ma proprio O.Mio.Dio!
L’idea di uscire da casa diventa persino allettante al pensiero di rivedere quei perfetti lineamenti del viso dalla forma leggermente allungata, i suoi occhi chiari, i capelli biondi come anche la sua barba lunga ma curata. Ho appuntamento con l’unico essere in grado di farmi riappacificare con il mondo, e di lunedì ciò ha del sovrannaturale. In realtà non è un vero appuntamento, giacché mi serve una bella dose di fortuna per esserci, e, soprattutto, perché il ragazzo in questione neppure sa di averlo.
La prima volta in cui l’ho visto, qualche mese fa, sono rimasta folgorata. Ero sul mio scooter, ferma al semaforo rosso di uno dei grandi incroci di Via Cristoforo Colombo, non molto lontano dal Centro Medico in cui lavoro come analista di laboratorio, quando tra le macchine che sfrecciavano provenienti dalla strada perpendicolare alla mia, l’ho visto passare alla guida della sua auto bordeaux e l’ho seguito con lo sguardo, inebetita. A quel semaforo, il cui rosso dura una quaresima, mi sono sempre divertita, ferma in prima fila in sella al mio scooter, a osservare chi mi sfreccia davanti e a notare la differenza tra visi imbronciati o distesi, immaginando cosa facciano quei tizi nella vita. Che la gente fosse abitudinaria era ormai un dato appurato. Uscendo alla stessa ora per andare al lavoro, lungo il tragitto incontro spesso le stesse persone: un ragazzino con enormi cuffie alla fermata dell’autobus, una coppia su una moto di grossa cilindrata e una signora che porta a spasso, al guinzaglio, un pastore maremmano. Facevano parte della mia quotidianità, finché non ho incontrato l’adone dell’incrocio. Lui li ha fatti scomparire tutti. Bello come il sole, anche se, a dire il vero, solare non sembra, visto che appare sempre un po’ ombroso, almeno nell’espressione del viso. Bello da fare pensieri impuri, su questo non si discute. Bello da far ricredere qualunque ateo, perché uno splendore del genere non ha origine terrena. Praticamente è la prova tangibile dell’esistenza di Dio. Da quando l’ho notato sul mio cammino, le mie giornate iniziano bene o male a seconda che lo veda oppure no. Ahimè, le leggi tempistiche dell’universo non sempre mi consentono questo benefico incontro.
Stamattina la fortuna sembra essere dalla mia parte. Infatti, passando in mezzo alle auto già ferme al semaforo, mi posiziono in pole position e vedo incredibilmente in prima fila pure lui. Anche oggi i suoi capelli, che immagino lunghi almeno fino alle spalle, sono tenuti su con un elastico, in una specie di chignon malfatto. La sua barba è leggermente più corta del solito. Gesù, quant’è bello! Per qualche secondo in cui è rosso il semaforo di entrambi, in attesa che svoltino le auto provenienti dall’altra direzione, posso ammirarlo sperando che lui indirizzi verso di me i suoi occhi, che da lontano non ho ben capito se siano azzurri, verdi, grigi, o mixati in modo da dar vita a una tonalità che nemmeno un astrattista nei suoi esperimenti con i colori si è mai sognato di realizzare. Macché, sta armeggiando con lo smartphone. Ha la faccia assonnata, ma uno così non può farlo sembrare brutto neanche una settimana d’insonnia o la feroce influenza intestinale che sta mietendo vittime in questo periodo. Chissà che ha combinato nel fine settimana, se è stato in giro per locali o se si è divertito in camera da letto, chissà chi lo ha tenuto sveglio, se qualche donzella fortunata o un figlio neonato da tenere in braccio. Pagherei oro per avere qualche informazione su di lui e, a pensarci bene, non sarebbe una cattiva idea assumere un investigatore, considerando che potrei fornirgli il suo numero di targa, che ho imparato a memoria. Il maledetto disco verde lo fa allontanare dalla mia vista, lasciandomi ancora una volta con tutta la curiosità insoddisfatta. Un giorno di questi lo seguirò, per capire quantomeno dove lavora o dove va ogni mattina, per avere l’illusoria sensazione di stargli vicino un po’ più di una manciata di secondi. Per un esemplare del genere potrei, senza remore, diventare una pedinatrice stalker!
CAPITOLO 2
Margherita
«Mi stai facendo fare tardi con le tue discussioni inutili.»
«E da quando non vedi l’ora di andare a lavorare?» mi chiede Luigi con il solito sarcasmo irritante.
«Da quando uscire da questa casa è diventato liberatorio», rispondo prontamente.
«Puoi andare via definitivamente e fare, così, la prima cosa giusta da un sacco di tempo a questa parte.»
«Ti piacerebbe, ma sai bene che non ti lascerò campo libero prima della vendita della casa e della divisione del ricavato, quando finalmente non avrò più niente a che fare con te.»
«Non sei l’unica a sperare che accada presto.»
Esco da casa di corsa. Non voglio rischiare di saltare l’appuntamento mattutino con il ragazzo più bello del pianeta e dintorni, di certo non per colpa del mio ex compagno, diventato sempre più acido e litigioso. La situazione in casa è frustrante, il sarcasmo molesto che Luigi utilizza nei miei confronti è quasi peggiore delle aggressioni verbali che mi riserva di continuo.
Potrei tornare a casa dei miei genitori, che mi accoglierebbero di certo a braccia aperte, ma è una questione di principio. Una volta deciso di lasciare il nido familiare, sono convinta si debba continuare a volare con le proprie ali e cavarsela da soli, anche nel bel mezzo di una tempesta. E poi non ho intenzione di arrendermi di fronte all’arroganza di Luigi. È una battaglia faticosa, ma io non mi tiro indietro. Se anche non dovessi vincerla, conto comunque sul fatto di riuscire, nel frattempo, a procurargli il maggior fastidio possibile.
Quattro anni insieme, tutto sommato felici, ma l’acquisto congiunto della casa è stato l’inizio della fine. La convivenza ci è stata tragicamente fatale. Evidentemente ci siamo tolti le maschere dei fidanzatini felici ed è venuta fuori la nostra vera natura. Io sarò una disordinata cronica, come mi dice sempre, ma lui si è rivelato un pignolo maniacale con l’ossessione del controllo e del comando. Ogni volta in cui lasciavo qualcosa fuori posto (e, a onor del vero, succedeva piuttosto spesso), mi faceva un processo urlato privo di diritto di difesa, con condanna immediata e definitiva. Il suo atteggiamento dispotico, le sue urla continue, il suo sentirsi superiore tanto da guardarmi sempre con sufficienza, mi hanno portato alla decisione di mettere fine alla nostra storia. Non ha gradito quest’atto di insubordinazione e, da allora, si impegna a farmelo pagare caro ogni singolo giorno. Quando poi qualcuno, appartenente alla categoria di gente a cui i fatti propri non bastano, gli ha riferito di avermi visto baciare un altro ragazzo in un locale, apriti cielo! Sebbene accaduto mentre eravamo già separati in casa
, Luigi si è convinto che fosse una cosa iniziata quando stavamo ancora insieme. Tale offesa mortale al suo onore va lavata quotidianamente nel mio sangue di fedifraga. Fosse almeno successo davvero qualcosa di più del bacio estemporaneo di quella sera, porterei l’onta con un minimo di soddisfazione!
Eppure io ci credo ancora. Nell’amore, intendo. Con Luigi è stato un disastro, ma non rinuncio al sogno rosa del vissero felici e contenti
. Se fallisce un negozio, non vuol dire che l’economia nazionale non funzioni. Se chiudono molti piccoli esercizi commerciali c’è un problema generalizzato, ma è pur vero che ci sono i centri commerciali, giganti che viaggiano alla grande. Il colosso economico, ossia l’amore vero e la coppia ben assortita e consolidata, ha tutti i numeri e le carte in regola per durare nel tempo, di là da ogni possibile crisi. Il negozietto tirato su con l’improvvisazione e la buona volontà, ma senza un’ottima qualità di prodotti e servizi, alla lunga non riesce a sopravvivere sul mercato. La mia piccola bottega di quartiere non solo non ha fatto fortuna, ma è andata rapidamente e inesorabilmente in bancarotta. Beh, io aspiro ancora al centro commerciale!
Svicolo nel traffico senza tanta prudenza. Quell’idiota mi ha fatto fare tardi. Devo recuperare minuti preziosi se voglio sperare di vedere Adone o vattelapesca come si chiama davvero. Passo con un giallo diventato rosso, sperando che non ci siano vigili nelle vicinanze. Il semaforo del famoso incrocio è verde e quindi, come già fatto tante altre volte, rallento e accosto a un centinaio di metri in attesa del giallo. La gente fa di tutto per evitare di arrestarsi a quel semaforo eterno, mentre io cerco il rosso. Non mi sento tanto normale, ma in fondo non è una novità. Non appena mi fermo all’incrocio vedo arrivare la Clio bordeaux, che accelera perché il disco del suo semaforo è ormai giallo.
Fermati, che cavolo, la prudenza è la prima cosa e per di più a un incrocio del