Un amore speciale
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Un amore speciale - Denny Tomasino
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Tanto tempo prima
Come tutte le mattine d’estate Nick e Cait stavano giocando nella piccola piscina di plastica che James aveva comprato l’anno prima. Chris era ancora troppo piccolo per giocare con loro perciò si accontentava di stare fra le braccia di James e fare tanto baccano, Joe era un po’ in disparte a leggere un giornale mentre Catherine e Madeleine in cucina sistemavano dei sandwich su un piatto.
Nella piscina i due bambini giocavano ai pirati, avevano battibeccato un po’ nel decidere i ruoli da interpretare, Cait non voleva essere la fanciulla in pericolo da salvare.
«Non è divertente stare ferma ad aspettare che mi salvi», aveva urlato con voce squillante la piccola Cait.
«Ma se non c’è nessuno da salvare a cosa giochiamo?», aveva risposto dubbioso Nick che doveva ancora scoprire che contro Cait difficilmente l’avrebbe mai spuntata.
«Io sono il corsaro cattivo che vuole rubare il tuo tesoro!».
Cosi avevano preso a darsi battaglia con le palettine che erano diventate le loro sciabole e i secchielli che ora erano i cannoni.
Dopo aver mangiato tutti insieme i sandwich si sarebbero riposati un poco sulle sedie a sdraio, ma prima che la giornata fosse finita sarebbero tornati per qualche altra ora nella piccola piscina.
Nick e Cait erano praticamente inseparabili sin da quando si erano incontrati la prima volta ancora in fasce. Le loro madri, Catherine e Madeleine, qualsiasi cosa decidessero di fare, dovevano portarsi anche l’altro marmocchio, venivano perciò scambiati per fratello e sorella da tutte le anziane signore che si fermavano ad osservare e giocare con i due bambini. Per fortuna le due famiglie andavano molto d’accordo, non lo avrebbero ammesso mai, ma a volte lasciare che l’amica si occupasse del proprio figlio, permettendo loro di fare pulizie o ad esempio la spesa in assoluta tranquillità, era un vero e proprio sollievo.
le due famiglie segretamente pensavano che una volta cresciuti i due avrebbero finito per innamorarsi e guardando i loro figli mentre ignari continuavano a fare i loro giochi, progettavano il loro futuro di coppia nelle loro teste.
La giornata era quasi finita e Nick e Cait erano sfiniti e stanchi, il piccolo Chris dormiva già da qualche minuto tra le braccia della madre, così Madeleine l’aiutò a preparare la cena. Mangiarono tutti insieme nel giardino, era sempre meglio approfittare delle belle giornate. Dopo cena i grandi si misero a chiacchierare mentre i due pirati riposero le armi e la guerra e stesi su una coperta cominciarono a giocare guardando semplicemente le stelle.
«Vedi quelle stelle lì? Ci abitano degli alieni tutti rossi che respirano veleno», diceva uno.
«Sono in guerra con gli abitanti di quella stella più in basso perché respirando avvelenano le loro banane», rispondeva l’altra.
Presto l’estate sarebbe finita e i due bambini sarebbero andati al primo anno di scuola, erano eccitatissimi all’idea, anche se avevano un po’ paura di conoscere nuovi bambini, la loro amicizia sarebbe sopravvissuta se avessero trovato degli amici migliori?
Quando finalmente andarono a letto esausti entrambi sorrisero pensando che nessuno poteva rompere la loro amicizia, e a quel pensiero si addormentarono serenamente.
Uno
Da quando Cait aveva deciso di trasferirsi in zona tre¹ a Londra dopo il tentativo fallimentare della convivenza con Gavin, la sua vita si era trasformata in una corsa contro il tempo, la situazione era peggiorata da quando aveva proposto a Ruby di dividere l’affitto.
L’aveva conosciuta quasi un anno prima, quando per ripararsi da un temporale improvviso era entrata in un minuscolo negozio di dischi in vinile che non aveva mai notato prima. Lei era lì, tanto minuta che si riusciva a intravedere a malapena da dietro il bancone che per una strana ironia era anche più alto del normale. Varcata la soglia di quel negozio era rimasta per un attimo spaesata, come trovarsi in un posto inesplorato. Bruciava in un angolo un bastoncino di incenso e in sottofondo c’era una musica Indie quasi ipnotizzante, Ruby con i suoi capelli verdi e il suo trucco estremamente dark era intenta a far facce davanti uno specchietto. Caitlyn aveva cercato di girare fra i vinili sembrando interessata mentre aspettava che il temporale si calmasse un po’, ma fu investita da quell’uragano di ragazza e finì con il chiacchierare con lei di concerti e tatuaggi. Nonostante il suo aspetto tetro e le sue facce da dura era in realtà una gran chiacchierona e quando dopo ore era uscita da lì aveva due dischi e un’amica in più rispetto a quando qualche ora prima era entrata lì dentro.
Mesi dopo, quando Gavin, il suo compagno da tre anni, le aveva confessato di essere innamorato della vicina e Cait aveva dovuto cercare un’altra casa in cui vivere aveva dovuto anche cercare una coinquilina con cui dividere le spese e Ruby si era offerta, magari il fatto che la volessero buttare fuori da dove viveva le doveva far capire qualcosa, ma in fondo le voleva bene e ogni sua nuova stranezza veniva accolta con stoicità e giusto qualche sospiro ogni tanto.
Quella mattina, mentre in ritardo come al solito, cercava gli occhiali, la investì un odore pungente quasi da far lacrimare gli occhi. «Cosa diamine stai combinando?», le disse mentre cercava per l’ennesima volta nella borsa, per tutta risposta Ruby le sorrise e continuò a mescolare qualunque cosa ci fosse nella pentola davanti a lei «Io sto facendo un vino aromatico al muschio, il blog di Selenella lo consiglia come ottimo rimedio al mal d’auto».
«Sarebbe perfetto se tu avessi un’auto, hai visto i miei occhiali?», si mise a cercare nel frigorifero, dove l’ultima volta Ruby le aveva messo il cellulare.
«Sì, li ho visti» e senza scomporsi continuò a mescolare «Sai? Selenella dice che bisogna mescolare una volta in senso orario e due antiorario, ma credo di averne saltato qualcuno, perché nelle sue foto non era marroncino come il mio».
Cai sempre più impaziente quasi le urlò per sapere dove aveva visto i suoi benedetti occhiali.
«Pff! Sul tuo naso».
Mentre si dava uno schiaffo in fronte ecco arrivare il secondo grande motivo dei suoi innumerevoli ritardi, il cellulare nella sua borsa suonava la marcia imperiale, quella di Star Wars. Quando l’aveva assegnata a suo padre le era parsa una cosa molto divertente, ma ben presto era diventata il suo peggior incubo. Suo padre era quasi più temibile di Darth Vader quando esasperato dall’ex moglie chiamava la figlia per sfogarsi.
Rassegnata rispose mentre usciva da casa correndo per cercare di recuperare minuti preziosi. «Cosa è successo, papà? Ci siamo già sentiti stamattina», la voce urlante di suo padre la fece trasalire e quasi inciampò su un ragazzino che si unì alle urla di suo padre, cercò di calmare entrambi ma il ragazzino continuava usando espressioni molto creative, unendo per farle capire meglio, dei gestacci e suo padre si lamentava di qualcosa che riguardava una torta al limone, si allontanò dal ragazzino e usando il suo miglior tono zen chiese a suo padre di ripetere il discorso ma con calma, giusto per capire di cosa stesse parlando.
«Tua madre», disse con fare teatrale.
Cait ci avrebbe scommesso, quasi tutte le chiamate urlanti di suo padre riguardavano qualcosa che la sua ex moglie aveva o non aveva fatto o alle volte entrambe le opzioni in una volta «Ok, dimmi cos’ha fatto stavolta», e si mise pronta a far mormorii e versi di stupore mentre con la mano libera cercava la oyster² in borsa.
Il resoconto riprese «Tua madre, ha mandato una torta al limone a mia sorella per il suo compleanno!».
«E non è una cosa buona?».
«Tua zia è allergica al limone», disse tutto d’un fiato riprendendo ad urlare, cercò di capire ma erano espressioni ancora più creative e colorite di quelle usate dal ragazzino di poco prima e rinunciò limitandosi a mugugnare ogni tanto. Arrivando al binario chiuse la chiamata fingendo di non riuscire a sentirlo più tanto bene. Ecco davanti a lei pochi minuti di calma e silenzio prima di arrivare a lavoro, forse la calma prima della tempesta, ma pur sempre qualche minuto di calma.
Caitlyn era la proprietaria di un pub ad Haringey³ che aveva comprato tre anni prima.
Quando appena laureata Cait passava davanti quel pub ogni volta che tornata da un colloquio di lavoro e andava a trovare suo padre. Un giorno aveva visto un piccolo cartello appeso alla vetrata che informava che il pub era in vendita, Cait in quel periodo era un po’ scoraggiata perché il suo primo lavoro in un’azienda di import/export non era quello che si aspettava, l’avevano messa subito a fare fotocopie e portare caffè ai colleghi. D’impulso era entrata nel pub e aveva informato il proprietario che, costi quel che costi, quel pub sarebbe diventato suo, e così fu. Nel giro di qualche mese e un prestito chiesto ai nonni, finalmente il pub era suo.
L’insegna aveva attirato sempre il suo sguardo, era stata ridipinta pochi anni prima per attirare una clientela più giovane, il nome del pub, Three Peacocks
era scritto in un arancione vivo su campo blu elettrico al posto dei colori scuri e rassicuranti dei classici pub e per completare l’opera c’erano disegnati ai lati tre pavoni assolutamente raccapriccianti, era come un pugno in un occhio, ma stranamente la vista di quell’orrore di insegna le tirava su il morale ogni volta che all’uscita dalla metro la vedeva in lontananza. Ovviamente quando lo prese, il primo cambiamento fu smorzare proprio l’insegna con i colori originali, un più tenue blu pavone con la scritta dorata, i disegni dei tre pavoni erano stati i primi ad esser fatti fuori.
All’interno invece, aveva deciso di lasciare tutto per com’era, trovava divertente che non ci fossero nemmeno due sedie o due tavoli uguali. Ognuno con uno stile diverso e soprattutto con colori diversi, per fortuna il vecchio bancone del bar era sopravvissuto a quel maldestro tentativo di svecchiarne la clientela.
Cait amava quel posto, il suo colpo di testa si era rivelato un ottimo investimento e le cose andavano così bene che aveva dovuto cominciare a prendere qualche cameriera e barista in più.
Scorgere l’insegna del suo pub all’uscita della metro continuava a metterla di buonumore, era il suo porto sicuro, la sensazione rassicurante che quel posto era sempre lì per lei.
Finalmente era arrivata al pub, prese un attimo di respiro e aprì la porta.
«Se provassi almeno una volta ad arrivare in orario, scopriresti che sarebbe un’esperienza piuttosto eccitante! … forse più per me che per te, ma ti consiglio in ogni caso di provarci».
A parlare era stata la tempesta dopo la calma e più precisamente Dominic il suo dipendente, per poter farle anche lo sguardo ammonitore era riuscito a staccare gli occhi per ben dieci secondi dalla bella rossa che lo fissava adorante.
«Ti licenzio!», gli urlò mentre prendeva la chiave dell’armadietto, non si era nemmeno girata a guardarlo, già sapeva che Dominic non si era mosso e continuava ad asciugare il bicchiere che aveva in mano e ad ammiccare in direzione della ragazza sempre più innamorata, Cait lo aveva urlato con non molta convinzione in effetti, forse il fatto che glielo dicesse almeno tre volte al giorno aveva reso meno efficace la minaccia. Dirigendosi allo spogliatoio salutò Chloe che stava pulendo un tavolo dove sembrava essere passato un uragano.
Quando Cait alla fine raggiunse la sua postazione dietro il bancone, Dominic la aggiornò su tutto, la parte dei fornitori e dei pagamenti era per lei la parte più noiosa dell’essere proprietaria di un pub, dopo il resoconto sui fornitori e sulla richiesta di Alexander, l’altro barista, di due giorni di permesso passò alla parte che evidentemente aveva lasciato apposta per ultimo. A quanto sembrava c’era stata qualche ora prima un inizio di rissa che lui eroicamente aveva fermato sul nascere, sottolineò l’eroicamente gonfiando i pettorali e facendo un occhiolino alla rossa, perdendosi in quello stesso istante gli occhi al cielo di Cait.
Era sempre cosi con lui, quando c’era una ragazza nel raggio di dieci metri, il suo obiettivo principale era sedurla, non importava l’aspetto fisico della malcapitata, non importava se era single o impegnata o ancora peggio sposata, e nei limiti della decenza non importava nemmeno l’età. Gli bastava fare uno sguardo seduttore con i suoi occhioni azzurri e magari passarsi anche le dita fra i capelli biondi per fingere nervosismo ed erano già tutte ai suoi piedi.
Di tutto quel racconto di vero Cai era sicura ci fosse ben poco, più probabile che qualcuno avesse alzato un po’ il tono di voce ed Ethan il cuoco gli avesse intimato di calmarsi. Dom era più un tipo che si nascondeva in cucina quando cominciavano i problemi.
Dopo che ebbe finito il resoconto Dominic andò nel retro per prendere le sue cose, salutò tutti e lanciò a Cait un bacio con la mano e uscì con la sua camminata dondolante con la rossa che gli trottava a pochi passi di distanza. Cait si preparò ad una serata tranquilla come ogni martedì sera.
In effetti dopo poco più di un’ora si stava già annoiando, a parte qualche birra spillata e un po’ di