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Disconnessi
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Disconnessi

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About this ebook

Narrativa - romanzo (263 pagine) - Quando qualcuno ti toglie tutto ciò che ti resta, non hai altra scelta che distruggerlo. Non importa con quali mezzi. Non importa se sei solo una disconnessa.


Il mondo, un insieme di terre spezzate per sempre. Persone divise tra Vincitori e Vinti. Qualcuno aveva cercato di invertire la rotta, ma era stato fermato.

Adesso tocca a Riley Whyedow, una Vinta, provare a cambiare le sorti del suo Paese e vendicarsi per tutto il male che le hanno fatto senza nemmeno accorgersene. Suo fratello è stato infettato, i suoi genitori sono spariti. Un incubo che la perseguita fin da quando aveva sette anni sembra avere dentro di sé le risposte che cerca.

Toney, il capo dell’Esercito Libero, l’ha trovata e non se la lascerà scappare.

La sua buona stella le ha fatto un dono speciale e Riley lo userà senza pietà.

Per una volta, forse, smetterà di essere sola.


Carolina Gervasio, nata nel 2002, vive e studia a Torino. Scrive fin da piccola, per lo più racconti brevi in ambientazioni fantastiche. La sua passione è narrare le avventure che prendono vita nella sua mente in seguito a sogni notturni. Disconnessi, ideato e scritto dopo un viaggio a Londra, è il suo romanzo d’esordio.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateApr 30, 2019
ISBN9788825408836
Disconnessi

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    Disconnessi - Carolina Gervasio

    d’esordio.

    ANNUNCIO UFFICIALE A TUTTI I CITTADINI DELLE TERRE SUPERSTITI

    LA GUERRA È FINITA

    Dopo dieci giorni di indispensabile guerra che ha fermato lo spaventoso incremento della popolazione, la Terra ha finalmente raggiunto i cento milioni di abitanti dopo i quindici miliardi degli anni precedenti.

    La ripresa può finalmente avere inizio!

    I Generali KELLARD BENEDICT e MIJEV MINOPRED hanno firmato l’armistizio.

    BENEDICT è stato incoronato re di Costal, la penisola al centro dell’Occidente.

    MINOPRED, dopo la guerra civile, ha riacquistato il potere di South Eagle, la cui geografia è stata modificata irreversibilmente proprio ieri in seguito alla scossa di assestamento causata dall’ultimo bombardamento.

    I VINTI SARANNO RELEGATI A MIDDLE ISLAND, L’ISOLA AL CENTRO DEL MEDITERRANEO SOTTO DIRETTA SORVEGLIANZA DI RE BENEDICT

    Benedict annuncia: vi ho dato la pace e vi prometto che nessuno ve la toglierà mai più. Gli anni della fame, della sete e del cannibalismo sono finiti. Tutte le risorse sono a nostra disposizione, ma alcuni sacrifici sono indispensabili per mantenere l’ordine. Il vostro salvatore non vi abbandonerà. I Vinti pagheranno per sempre per aver causato questa conflagrazione e i Vincitori saranno ricordati per averli fermati.

    CONFERMATO LO SPOPOLAMENTO DELLA VECCHIA GHIACCIAIA

    Tutti gli abitanti della grande isola nordica di ghiaccio sono stati dichiarati deceduti.

    Come concordato nell’armistizio, seppure sfiancata dai bombardamenti, la Vecchia Ghiacciaia fornirà acqua a tutte le terre superstiti e farà ufficialmente parte del regno di Costal.

    CHE IL MONDO RINASCA DALLE SUE CENERI!

    1

    Angeline

    Il venticello fresco che si insinuava tra le foglie rosse degli alberi al di là della finestra mi rendeva ancora più insopportabile restare appoggiata allo schienale della sedia. Come una soffice tentazione proibita che ti solletica il palato, i miei cuginetti giocavano in giardino, quasi avessero avuto l’intento di farmi sentire in colpa per il desiderio di correre a raggiungerli. Mi capitava spesso in quel periodo di sentirmi in quel modo. Io non volevo. Non avevo la benché minima intenzione di fare ciò che mi volevano imporre e questo, per quanto cercassi di evitarlo, mi faceva sentire terribilmente colpevole, quasi come un sovvertitore.

    – Angie. Abbi pazienza, tuo fratello ti sta cercando – disse Elias, il migliore amico che si potesse desiderare. Alto, biondo e bello come un raggio di sole primaverile. Dalla morte di mio padre, Kellard, non mi aveva lasciata un attimo, preoccupato che potessi avere una crisi. Ma il tanto atteso crollo non si era verificato e temevo che ciò non sarebbe mai avvenuto. Un’altra ottima ragione per sentirsi in colpa. Kellard non aveva smesso di tormentarmi nemmeno da morto. Il saggio re di Costal aveva lasciato il trono senza aver precedentemente detto a quale dei suoi due figli sarebbe spettato l’incarico di governare la nazione. Di conseguenza, era il primogenito ad avere il diritto di ereditare, come la tradizione prevedeva. Mio fratello, Aubert, dopo aver pianto tutte le sue lacrime per circa due minuti, si era attrezzato con i migliori collaboratori per rendere le procedure della sua successione le più semplici e rapide possibili.

    – Cosa vuole ancora?

    Per tutta la mattina non aveva fatto altro che farmi parlare con un Supremo dopo l’altro, richiedendo la mia approvazione – quando l’unico che non approvavo era proprio lui – e imponendomi di adempiere ai miei doveri reali. A causa sua non avevo potuto rispettare il mio impegno di visitare un ospedale allestito per fronteggiare l’emergenza dell’epidemia di Sayrtan. Il focolaio si era sviluppato nelle montagne del Settore Nord, ma ora si riscontravano casi fino al Settore Sud e a Middle Island. Per fortuna, sembrava che i ricercatori del Settore Principale avessero trovato un antidoto per il morbo, che loro stessi avevano creato. La cura avrebbe impedito la morte di migliaia di persone, soprattutto bambini, che non avevano nulla a che fare con la pazzia messa in atto: sterminare gli Inventori. Che sciocchezza!

    – Un’altra riunione. Lui e il Consiglio al completo vogliono presentarti il Supremo della Difesa, o dovrei dire Suprema. Non ne comprendo l’utilità, oramai è stata nominata.

    – È una donna? – A dispetto della parità di genere, una figura femminile scelta per ricoprire un ruolo di simile importanza non era così scontata.

    – Immagino di sì, ma lascio giudicare te. A me ricorda più un barracuda.

    – Magari potrebbe mangiare vivo mio fratello – ammiccai.

    – Di chi si tratta? – gli chiesi dopo una breve pausa per riprendere il controllo.

    – Mydride Stellan. – Non la conoscevo, ma di Elias mi fidavo più che di me stessa.

    – Quando desidera vedermi, Sua Maestà?

    – Non chiamarlo così, Angeline. Non ci siamo ancora arresi.

    – Non importa che mio padre sia morto. Non faranno nulla, Elias.

    – Allora fa’ qualcosa tu.

    Non riuscii a togliermi quella frase dalla mente nemmeno quando, dopo aver percorso il corridoio lunghissimo, salito le scale in compagnia di due guardie del corpo e pedinata da altre due che fingevo di ignorare, bussai alla porta della Sala del Consiglio. Presi un respiro profondo prima di entrare. Dovevo proprio vergognarmi, avevo solo venticinque anni, eppure dopo tutti quei gradini avevo il fiato corto. Mi trovai di fronte all’intera combriccola di consiglieri che il mio giovane fratello aveva scelto, perché lo sostenessero nel difficile compito di governare. La grande sala era sempre la stessa, vi ero entrata migliaia di volte per andare a trovare mio padre che ne usciva raramente, ma c’erano dei dettagli che la fecero apparire improvvisamente diversa. Impiegai un paio di secondi per rendermi conto di cosa era cambiato. Attaccate alle pareti, all’interno delle cornici di velluto non c’erano più le fotografie che rappresentavano la vita intera di mio padre. Erano state sostituite dai ritratti di mio fratello, Aubert. Un brivido di repulsione corse lungo la mia schiena.

    Riconobbi la maggior parte dei volti dei presenti e non mi sfuggì Lead Angros, il governatore di Middle Island, l’isola a sud di Costal che dopo l’Ultima Guerra era diventata parte del regno. Supposi fosse lì perché Aubert aveva scelto di rinnovargli la carica.

    – Angeline, ti aspettavamo – mi accolse mellifluo Aubert. Mi fece segno di accomodarmi attorno all’enorme tavolo ovale di mogano che si trovava al centro della sala e io ubbidii come una sciocca bambina messa in punizione. Molti Supremi fecero lo stesso, sedendo alla mia destra e alla mia sinistra e facendomi sentire in una tana piena di lupi affamati. Avrei voluto avere Elias al mio fianco per tranquillizzarmi, ma il protocollo non lo permetteva.

    – Ho ascoltato tutti i tuoi preziosi consigli e spero che sarai entusiasta delle scelte che ho compiuto riguardo le persone che desidero al mio fianco.

    Aubert, che era rimasto in piedi, prese il posto che fino a pochi giorni prima era appartenuto a mio padre. Alla sua destra, il posto che spettava al Supremo con grado più elevato, era seduta Mytride Stellan. Una donna alta e snella, con perforanti occhi verde bosco che mi scrutarono come quelli di un cacciatore, la sua preda. I suoi capelli erano castani e tagliati cortissimi. Il volto, segnato dagli anni passati nelle fila esercito, trasmetteva una durezza impressionante a dispetto della sua età, non così avanzata.

    – Bene, ora che ci siamo tutti, Maestà, ritengo sia il caso di incominciare – disse Clae Inver, il Supremo dell’Economia, un omiciattolo grassoccio e scorbutico, come avevo notato durante l’incontro precedente.

    – Vedi, sorellina – esordì Aubert, chiamandomi nella maniera che più detestavo.

    – C’è una ragione per cui ti abbiamo convocata qui. Ciò che i collaboratori di Edisi hanno potuto udire tra le vie di Kepoli non ci fa ben sperare. – Edisi Traple, la Suprema dei Servizi Segreti continuava a scuotere la testa in segno di rammarico.

    – I sudditi non si fidano del figlio di Kellard ed è comprensibile – aggiunse Niamh Roverd, Supremo della Felicità.

    Aubert gli schioccò un’occhiataccia irritata.

    – Forse non mi sono espresso correttamente, Maestà. Ciò che intendo dire è che dopo un operato esemplare come quello di vostro padre Kellard e dopo la sua morte così inaspettata, le genti si ritrovano in uno stato di disorientamento – si affrettò a spiegare e mio fratello gli lanciò uno sguardo carico di ostilità. Non mi ero mai accorta di quanto poco tollerante verso le critiche potesse essere.

    La malattia aveva colpito mio padre tanto in fretta da non lasciargli nemmeno il tempo di accorgersene. In meno di una giornata le sue condizioni si erano aggravate fino a costringerlo a letto per la prima volta nella sua vita, da quanto potevo ricordare.

    – Re Aubert deve conquistare il rispetto della sua gente – disse Los, come si faceva chiamare il Supremo della Propaganda di cui mai nessuno era venuto a conoscenza del vero nome.

    – No, ciò di cui abbiamo bisogno è di riportare nei cuori dei costieri il timore che re Kellard riusciva a suscitare – disse Elèna Suire, Suprema della Salute, con uno sguardo che esprimeva palese superiorità.

    – Stiamo discutendo del nulla: sull’isola tutti hanno manifestato la loro lealtà nei confronti di re Aubert – disse Lead Angros, grattandosi la barba folta e scura.

    – Dopo che le truppe di Appuratori inviate da Stellan hanno schiacciato quattro sommosse – lo rimbeccò Orfeo Karrol, lo smilzo e pallido Supremo della Giustizia.

    C’era solo un'altra persona oltre a me che non aveva ancora detto una parola nel battibecco generale e ciò era stato notato anche da Aubert.

    – E tu, Mytride, cosa mi suggerisci di fare?

    – Non posso certo definirmi un’esperta in materia, ma credo che Los abbia ragione. Se fronteggeremo le rivolte in modo violento, stermineremo la popolazione e allora sarai re solo di questa banda di leccapiedi.

    – Proprio a questo volevo arrivare! – disse Los. Il titolo di leccapiedi lo aveva ferito nell’orgoglio, era evidente, e ora voleva riscattarsi.

    – L’idea che avevo in mente di proporre prevede una sorta di promoter, se vogliamo chiamarlo in questo modo. Una persona che ha sempre vissuto al tuo fianco, che ti conosce meglio di quanto tu stesso ti conosca. Di conseguenza, qualcuno che possa garantire per te. Ma anche così non basterebbe. È necessario che questa persona rappresenti qualcosa per i tuoi sudditi, da una parte un ideale, un sogno e dall’altra qualcosa di vicino, raggiungibile, quasi un membro della loro famiglia. Soprattutto, una figura leale che si è mostrata buona e caritatevole nei loro confronti. In tre parole: Sua Altezza Angeline.

    Non avevo prestato molta attenzione a quel discorso e devo ammettere che mi ero persa più di una parola, perciò quando, alla fine del monologo, Los pronunciò con la sua voce acuta e squillante il mio nome, il mio cuore sobbalzò. A un tratto realizzai che tutti gli occhi dei Supremi all’interno di quell’ampia stanza, che ora si era fatta minuscola, mi stavano osservando in attesa che dicessi qualche cosa. Mi sforzai di scovare una risposta sensata, ma non ebbi il tempo di esprimerla perché Aubert rispose prima di me, come aveva sempre fatto d’altronde.

    – Quindi tu proponi di usarla come uno sponsor? Non credo di averne bisogno – chiuse la questione con un cenno della mano, come per scacciare via una mosca fastidiosa quanto la teoria di Los.

    – Odio contraddirti, Maestà, ma è chiaro che non stai valutando la questione approfonditamente.

    – Non sei tu a dovermi insegnare come governare. Mio padre ha più che provveduto in proposito – disse stizzito.

    La situazione era alquanto spiacevole, ma la voce irritata di mio fratello mi fece sorridere interiormente.

    – Sua Maestà ha ragione. Se la popolazione vedesse la principessa sotto questa luce, si chiederebbe perché non sia proprio lei la regina. – All’obiezione di Orfeo Karrol seguì l’approvazione generale degli altri Supremi.

    – Perché sarebbe lei stessa a dichiararsi inadatta a un ruolo tanto complesso e a schierarsi in favore del fratello – ribatté Los.

    – Io non lo farò mai – sussurrai e mi pentii immediatamente di averlo fatto. Per mia fortuna, la discussione aveva causato un baccano tale che era impossibile che qualcuno avesse potuto udirmi. Mi convinsi di ciò, finché non vidi gli occhi smeraldo di Stellan incontrare i miei. Capii perché Elias l’aveva paragonata a un barracuda, avevano lo stesso sguardo assassino.

    Continuarono a discutere di me come se non fossi presente per un paio di minuti fino a quando non fu il turno di Stellan e si zittirono come allocchi.

    – Sarai un buon sovrano, su questo chi ti conosce non ha dubbi, ma fai uno sforzo e mettiti nei panni del popolo. Una vasta quantità di loro è ignorante e affamata di lusinghe e bontà d’animo, sennonché è con la forza che si mantiene il comando.

    – Allora sei d’accordo con me – ribadì Aubert.

    – È con la forza che si mantiene il comando quando li hai già in pugno. Ora la situazione è fuori controllo e attaccare significherebbe invitarli a ribellarsi. Ci sono già state quattro rivolte in pochi giorni da quando re Kellard è morto, mentre quando lui era in vita, dopo l’Ultima Guerra, non se ne erano mai verificate. Vuoi essere presentato sui libri di storia come un re debole e impotente?

    – Verrà fucilato chi oserà anche solo pensare una cosa simile – minacciò sbigottito.

    – Dunque sii forte e saggio delegando a persone competenti ciò di cui tu sei incapace. La principessa è amata e benvoluta dal popolo per la sua carità e i numerosi atti di beneficienza che ha svolto. Hanno fiducia in lei e se vedono quanta lei ne ripone in te, seguiranno il suo esempio – concluse.

    Non compresi a che gioco stesse giocando, ma ammaliò Aubert come un incantatore di serpenti.

    – Così sarà fatto allora – affermò con tono solenne, del tutto inadatto alla sua voce languida.

    – Los, tu scriverai le domande che l’intervistatore porrà ad Angeline. Saranno semplici e dirette per raggiungere anche le menti dei più ottusi. Le consegnerai alla mia sorellina la principessa domani mattina, in modo che possa studiare le risposte. L’intervista verrà trasmessa in diretta durante l’edizione della sera del notiziario – annunciò Aubert.

    – Consideralo fatto – rispose il Supremo della Propaganda con un sorriso sardonico.

    Nessuno si era degnato di chiedere cosa ne pensassi, se davvero fossi stata disposta a mentire così spudoratamente. I sensi di colpa tornarono come una fiammata e bruciarono ogni brandello della determinazione che ero convinta di avere. Aubert era mio fratello, sangue del mio sangue e anche se non dovevo niente a mio padre, mia madre avrebbe voluto vederlo così, fiero e seduto sul trono. Caren però era morta troppo presto, quando Aubert era alla soglia della pubertà, per rendersi conto di cosa il suo amato figlioletto dai capelli rossi fosse diventato. Non avrebbe potuto riconoscere il ventottenne che ora avevo davanti, tanto diverso dal bambino che giocava con me e Toney in giro per la Reggia della Pace, la nostra casa. La voce cristallina e soave di mia madre risuonò nelle mie orecchie prima gentile e poi severa, tale e quale a quando mi rimproverava per tutte le monellerie e gli scherzetti che facevo a Aubert. Non combinarne una delle tue, Angie, la sentii dire. Intanto la sala si stava svuotando, mentre io, sovrappensiero, dovevo sembrare una perfetta imbecille agli occhi di mio fratello.

    – Dunque, Angeline – mi richiamò Aubert, quando fummo soli, facendo scivolare le sue dita affusolate lungo i miei capelli. Il suo tocco freddo mi fece accapponare la pelle, ma fui contenta che Toney non ci fosse, o avrei avuto un altro familiare da fingere di piangere.

    – Cosa stai aspettando, eh? Forza, va’ a prepararti. Domani devi essere splendida come gli angeli delle antiche religioni.

    Era il suo modo di congedarmi e io mi alzai, simile a un automa senza più la forza di contrattaccare perché tutti intorno a me avevano smesso di appoggiarmi, o forse non l’avevano mai fatto. Lui era il mio re e io avrei rispettato i Cinque Comandamenti, allo stesso modo in cui li avevo seguiti quando il mio re era Kellard.

    Uscii dalla stanza, svuotata e allo stesso tempo piena di disperazione. Mai mi ero sentita tanto inerme. I piedi e i polsi erano soffocati da fili, come quelli di una marionetta.

    Passeggiai per la Reggia della Pace per non ricordo quanto tempo, ma doveva essere stato per alcune ore, perché vidi il cielo passare dall’azzurro sbiadito del pomeriggio al nero della tarda sera. Percorsi parecchi corridoi vuoti, giunsi alle cucine dove venni accolta da tanti sorrisi e dalle offerte di gustosi manicaretti che cortesemente rifiutai. Attraversai gli ariosi saloni arredati personalmente da mia madre e salii un numero che mi parve infinito di gradini.

    Quando, spossata, decisi di aver riflettuto abbastanza, non ottenendo niente salvo uno sgradevole mal di testa, mi ritirai nei miei quartieri. Mi sdraiai e venni svegliata da quattro colpi contro la porta.

    Quando aprii vidi l’unico volto che sapevo non mi avrebbe mai delusa. I capelli arruffati, scuri quasi quanto gli occhi, neri come l’onice. Un velo di barba sulla mandibola squadrata, l’incarnato color sabbia, e poi il tocco finale, che l’avrebbe distinto da tutti i ragazzi che abitavano la Reggia della Pace, la sigaretta sottile tra le labbra. Toney, come lo chiamavo solo io, si avvicinò cautamente percependo il mio umore. Prese il mio volto con una mano, tolse la sigaretta e mi baciò. Il suo tocco fu così rapido e veloce che dovetti avvicinarmi prima che potesse sfuggirmi per continuare ad assaporare la tenerezza delle sue labbra. Mi aggrappai a lui con le poche forze che mi erano rimaste, cercando un appiglio per non perdermi, perché sapevo che se neanche lui fosse riuscito a sorreggermi, mi sarei smarrita per sempre. Non avevamo bisogno di parole, non dovevo dirgli niente. Mi strinse più forte a sé, dolcemente, senza lasciarmi vie d’uscita che sapeva non avrei cercato. Quando provò a sciogliere l’abbraccio, io non gliene diedi la possibilità e mi lasciò tenere la testa posata sul suo petto, mentre delicatamente mi faceva sedere sul letto.

    – Sono stato a cena con Aubert – sussurrò vicino al mio orecchio, sfiorando la pelle sensibile con le labbra.

    – Non nominarlo, non ne posso più.

    – Con il re. Va meglio? – cercò di farmi sorridere, ma non ci riuscì, nessuno avrebbe potuto.

    – Preferisco non parlare di lui.

    – Invece dobbiamo farlo – insisté.

    – Sembra che tu sia il suo fidanzato, invece del mio.

    – Abbiamo parlato di te – continuò a ignorare le mie proteste e alla fine mi arresi.

    – Mi ha raccontato della proposta di Los, di Stellan e del fatto che tu ti sia mostrata assolutamente elettrizzata all’idea dell’intervista. Gli ho risposto che ne ero sorpreso, ma lui mi ha assicurato il tuo totale benestare.

    Non mi stupii che Aubert avesse mentito, ero abituata alle sue bugie, e poi lui non sapeva che qualcuno avrebbe potuto contraddirlo. Il fatto che non si fosse ancora accorto della relazione tra me e quello che era stato il suo migliore amico d’infanzia la diceva lunga sulla sua perspicacia. E su quanto tenesse a me.

    – Se mio fratello ti ha già raccontato tutto, perché ti ostini con questa storia? – domandai sbadigliando e posando le mie labbra sul suo collo ambrato.

    – Perché non gli credo. – Non risposi.

    – Andiamo, Angie. Che ti sta succedendo? Perché non fai niente? – Un improvviso furore lo travolse e mi allontanò da lui costringendomi a guardarlo in faccia.

    – Ma cosa volete da me? Elias prima, ora tu! Non posso fare niente. Mio fratello sarà incoronato re e io non posso impedirlo, e non immagini quanto lo vorrei. So che re sarà, peggiore di mio padre, molto più infame e meschino di lui, ma io non posso fare niente! Niente!

    I miei occhi si riempirono di lacrime e i bei tratti di Toney si fecero confusi e indistinti. Mi riaccolse tra le sue braccia e asciugai le mie lacrime isteriche sulla sua camicia.

    – Tu puoi fare tutto. Tu sei forte. Non permettere a nessuno di pensare il contrario. Nemmeno a tuo fratello.

    – Questa volta no. Ha vinto lui.

    – Ti ha appena regalato la vittoria, invece – disse con un sorriso sghembo sulle labbra.

    – Cosa stai dicendo? – Mi scostai un po’ per poter sentire meglio.

    – L’intervista. Potrà anche darti le domande, in modo che tu studi bene con Los le risposte, ma non può controllare il tuo cervello né la tua bocca. Dirai ciò che è giusto e non potrà zittirti, sarà in diretta e quando chiuderà la trasmissione sarà troppo tardi.

    – Sembra troppo facile, non sono degli stupidi.

    – Tenta. Nessuno si aspetta questo proprio da te.

    – Non voglio tradirlo così – dissi ed era la verità.

    – Se non tradirai lui, rinnegherai tutto il tuo popolo.

    Aveva ragione, come sempre. Lo baciai di nuovo.

    Se tutto fosse andato male, se mi avessero torturata, uccisa, scuoiata viva non mi sarebbe importato. Tra le sue braccia nulla avrebbe potuto farmi del male.

    2

    Riley

    Il colpo della persiana contro la finestra ridestò Riley Sasha Whyedow dal suo solito sogno. Si risvegliò di soprassalto cercando di inspirare e espirare per riprendere fiato.

    Quasi fosse un riflesso involontario, si voltò verso l’altro lato della stanza. Contro il muro, a meno di un metro dal suo letto, c’era una brandina. Nell’ultimo periodo, sua nonna, da cui aveva preso il secondo nome, si era spostata nella camera da letto di Riley in modo che lei potesse assisterla durante la notte. Nonostante fossero passati poco più di otto mesi non si era ancora abituata alla sua assenza.

    Si alzò e posò i piedi sulla superficie dura del pavimento. Senza doversi sporgere dalla finestra, si accorse che il sole non era del tutto sorto. Il freddo della notte non aveva ancora lasciato spazio al caldo afoso e umido del giorno. Si diresse verso la stanza di Noah. Prima della morte della nonna dormivano nello stesso letto, ora lui si era trasferito nella camera di nonna Sasha. Talvolta le mancava stringere forte il suo corpicino contro il suo per proteggersi dagli incubi. Mentre attraversava il corridoio fece scricchiolare rumorosamente le assi del pavimento, evitando meccanicamente le macchie del legno marcio.

    Suo fratello minore abbracciava forte il cuscino e i capelli gli ricaddero sugli occhi, come una soffice tendina biondo cenere. Le guance arrossate e i tratti infantili tradivano i suoi undici anni appena compiuti o sarebbe sembrato molto più grande.

    Riley si inginocchiò cautamente accanto a lui e gli scostò le ciocche chiare degli occhi chiusi controllando che la sua temperatura non fosse troppo alta. Per fortuna, sembrava nella norma. Ogni mattina compiva quel gesto e la sua mano si era talmente abituata da diventare più precisa di un termometro. Il giorno precedente l’infermiere della Zona D era venuto a visitarlo, era stato molto ottimista e le aveva detto che avrebbe potuto godere della compagnia di Noah ancora per parecchi mesi, forse persino per anni.

    Il Sayrtan, la malattia di cui soffriva, era incurabile, ma Noah era forte come una roccia. Da un paio di mesi girava sui banchi delle farmacie un nuovo medicinale che, come gli altri creati da un decennio a quella parte, prometteva di essere l’antidoto. In pochi, tra le persone infette e i loro cari, ci avevano davvero creduto. Non sapevano l’origine dell’epidemia, né se ci fosse stata da sempre oppure dalla fine dell’Ultima Guerra o ancora se fosse stata creata contro gli Inventori, ma a nessuno importava. Ciò che contava erano i sintomi, che variavano con l’aggravarsi della malattia. Il più temibile era una febbre del

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