Un posto nel mondo. Donne e migranti e pratiche di scrittura
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About this ebook
La migrazione può configurarsi come esperienza di sradicamento e di solitudine, anche in ragione delle forme di esclusione attive nella società d’approdo. Ma la pratica della scrittura, nella nuova lingua, può essere strumento attraverso il quale costruire nuove appartenenze e sentire di poter avere, ancora, «un posto nel mondo», come afferma una delle donne intervistate.
Le biografie raccolte mettono in crisi l’immaginario egemonico sulle “donne migranti”, popolato da stereotipi in cui si intersecano assunti razzisti, sessisti ed eurocentrici. L’esperienza della scrittura in migrazione viene interpretata e discussa come una pratica di soggettivazione, una pratica cioè attraverso la quale le donne migranti cessano di essere soggetti narrati e si rendono soggetti narranti, potendo così contribuire a ri-nominare e ri-significare i processi di costruzione e reificazione dell’alterità.
«Questo è un libro in cui la sociologia è vivente. Promuove e articola la percezione di uno scarto fra le esperienze di chi questo mondo lo abita e i modi in cui le narrazioni più correnti le deformano. Promuove e articola curiosità e critica. È un libro molto bello. Io spero che lo leggano in tanti».
Dalla Prefazione di Paolo Jedlowski
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Book preview
Un posto nel mondo. Donne e migranti e pratiche di scrittura - Simona Miceli
Ossidiana
Teoria cultura e vita quotidiana
Collana diretta da Olimpia Affuso e Sonia Floriani
10
Comitato di Direzione:
Teresa Grande (Università della Calabria)
Paolo Jedlowski (Università della Calabria)
Ercole Giap Parini (Università della Calabria)
Giuseppina Pellegrino (Università della Calabria)
Comitato Scientifico:
Ilenya Camozzi (Università di Milano-Bicocca)
Luca Corchia (Università di Pisa)
Mariafrancesca D’Agostino (Università della Calabria)
Maria Grazia Gambardella (Università di Milano-Bicocca)
Simone Giusti (Associazione L’Altra Città)
Simona Isabella (Università della Calabria)
Fedele Paolo (Università della Calabria)
Angela Perulli (Università di Firenze)
Paola Rebughini (Università Statale di Milano)
Rocco Sciarrone (Università di Torino)
Redazione:
Adele Valeria Messina
Simona Miceli
Alberto Maria Rafele
Nella collana Ossidiana Pellegrini Editore pubblica esclusivamente testi originali valutati e approvati dal Comitato Scientifico.
I volumi sono sottoposti a double-blind peer review.
SIMONA MICELI
UN POSTO NEL MONDO
Donne migranti e pratiche di scrittura
Prefazione di
Paolo Jedlowski
Proprietà letteraria riservata
© by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy
Edozione eBook 2019
per conto di Pellegrini Editore
Via Camposano, 41 - 87100 Cosenza
Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672
Sito internet: www.pellegrinieditore.it
E-mail: info@pellegrinieditore.it
I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.
You may write me down in history
With your bitter, twisted lies,
You may tread me in the very dirt
But still, like dust, I’ll rise.
[…]
You may shoot me with your words,
You may cut me with your eyes,
You may kill me with your hatefulness,
But still, like air, I’ll rise.
Maya Angelou
, Still I Rise
Prefazione
Questo libro si occupa di narrazioni e migrazioni. È un dialogo fra l’autrice e venti donne provenienti da paesi diversi dall’Italia che hanno pubblicato romanzi e poesie in lingua italiana.
Non affronta – se non marginalmente – i libri che queste donne hanno scritto. I temi sono piuttosto l’esperienza di scrivere in se stessa e i suoi rapporti con l’insieme di processi che, in una parola, chiamiamo migrazioni.
Si tratta di una ricerca sociologica, ma parla a un pubblico potenziale molto ampio. Per certi versi è ricerca esemplare, per altri è una ricerca unica. Sono esemplari la chiarezza e il rigore della prima parte, dove le migrazioni contemporanee vengono collocate nei loro contesti e dove si lega la questione della migrazione a quella della narrazione, si spiegano i concetti utilizzati e si presenta il metodo seguito nel lavoro. Ed è unica la seconda parte: la ricerca si concentra su donne straniere o figlie di stranieri che hanno pubblicato in italiano, ma mentre sulle opere di scrittrici come queste vi è oramai una certa letteratura, qui a essere ricostruite sono le loro biografie, le loro storie. Storie diverse ma anche analoghe, specie nelle funzioni che la scrittura vi assume. A esperienze divise ed a dislocazioni, le pratiche di scrivere permettono ricomposizioni e offrono nuovi spazi.
Ad accomunare le persone intervistate sono l’appartenenza di genere, l’esperienza migratoria e il fatto di avere pubblicato in italiano. Per il resto le differenze sono molte. Le scrittrici intervistate provengono da Somalia, Eritrea, Tunisia, Albania, ex Jugoslavia, Russia, Georgia, Romania, Mozambico, Egitto, India, Argentina e Brasile. E si sono spostate per motivi differenti: studio, lavoro, amori, fughe da situazioni collettive insostenibili, guerre. Le donne intervistate non sono un campione rappresentativo in termini numerici, ma in se stesso questo ventaglio di storie è molto istruttivo: la nostra immaginazione impigrita da stereotipi e discorsi riduttivi si confronta con l’enorme varietà e complessità di ciò che costituisce migrazione
, ne mostra snodi imprevisti e a volte imprevedibili, la sua natura processuale, e la quantità di attori differenti che, a vario titolo, vi sono coinvolti.
In ogni caso, vi sono dimore abbandonate e altre trovate. A volte sembra che solo nello spazio in mezzo fra queste due dimore si possa essere in pace. Come dice la madre di una intervistata: Guarda, c’è un unico posto dove non ti lamenti, qui sul traghetto, in mezzo!
(p. 145). Ma c’è un altro spazio che si forma, quello del racconto. A suo modo, il racconto è dimora. Specialmente se si racconta di sé, è un modo di ricomporre l’esperienza.
È una dimora scrivere innanzitutto. La creazione di uno spazio di raccoglimento, di elaborazione. Non sempre di pacificazione, ma di una certa conciliazione con la propria storia almeno. Anche pubblicare mette capo a un far dimora: si scrive nella lingua del paese ospite, ci si fa conoscere, ti invitano, costruisci relazioni. E fa dimora infine raccontarsi a voce, dialogare con la ricercatrice: che non si nasconde, mette in gioco le proprie domande e le proprie riflessioni, e con ciò offre uno spazio di ascolto, di elaborazione ulteriore condivisa.
L’ascolto conta. Queste donne hanno scritto in italiano perché italiane si sentono, del tutto o in parte. Come ci si può sentire italiani oggi. L’Italia fatica a riconoscere nel proprio discorso pubblico la presenza di persone come loro, per le quali migrazione
non significa sbarchi, non ha niente neanche lontanamente a che fare con questioni di sicurezza (se non la loro), significa lacerazioni e speranze, memorie e aspirazioni, curiosità e sconcerto, situazioni obbligate e scelte, familiarità ed estraneità ad un tempo. L’Italia fatica a riconoscere un mondo sociale che è già, da tempo, abitato da persone come queste. E da noi con loro.
Colpisce nel leggere le storie che queste donne raccontano quanto siano colpite esse stesse. Da cosa? Dalla nostra ignoranza. Dei loro paesi d’origine innanzitutto. Anche di quelli europei. Come dice una di loro: Quando sono arrivata qui mi sono resa conto che a quell’epoca gli italiani avevano perfino difficoltà a riconoscere come europei i paesi dell’est, cioè l’Europa era l’Europa occidentale! E tuttora non è molto cambiato
(p. 63). Va peggio per paesi più lontani. Anche se si tratta di ex colonie italiane, rispetto alle quali l’ignoranza si accompagna alla rimozione di ciò che invadere altri paesi ha comportato. E sono colpite dal razzismo. Non quello eclatante, quello quotidiano. Formidabile a riguardo l’Intermezzo che l’autrice inserisce fra la prima e la seconda parte del libro: una breve raccolta di frasi scelte dalle varie interviste. Se vai in ospedale a trovare qualcuno sei per forza una badante. Se sei nera non puoi essere italiana (non importa che qui magari ci sei nata). Se sei straniera sei profuga, prostituta, vittima. Ma che fai qui? E scrivi?! Scrivere in italiano è un atto di cittadinanza culturale.
Perché scrivere? Scrivere è un atto solitario, ma ha chi ti affida il compito e ha dei destinatari. Capita che il mandante sia esplicito: come l’anziano amico del padre che a una delle scrittrici dice "Du must schreiben, devi scrivere. Capita che il compito si imponga come risposta a un’emicrania, o ad un dolore sordo, come il richiamo di un’ingiustizia o di un orrore.
È quasi una salvezza, raccontare. Quanto al destinatario, è sempre multiplo. È se stessi, una parte di se stessi da accudire. È qualcuno da cui si vuole essere riconosciuti. È l’insieme degli italiani:
Stare nel vuoto e parlare con delle persone che non sanno assolutamente niente mi sembra allucinante" (p. 119).
Non che queste donne abbiano scritto soltanto di migrazione. Quando alla presentazione di un libro o ad un convegno si sentono confinate a questo tema si ribellano. E nelle interviste lo ripetono. La migrazione è fonte, ma può restare sullo sfondo. Quello che rivendicano è il loro scrivere. In italiano, anche se per qualcuna non è stato ovvio, e con la consapevolezza di arricchirlo: Mi piace contaminare la lingua italiana, che trovo molto bella, con metafore e colori diversi. Perché secondo me… io vedo il mondo… con occhi diversi, vedo colori diversi da una persona che vive qua, se io vedo rosso, per me è un rosso vermiglione. Ci sono persone che non sanno neanche cos’è il vermiglione no? Se vedo il giallo, per me è il giallo curcuma
(p. 181).
Come scrive Miceli, ciò che qui è in gioco è la riattivazione della porosità delle culture
. E per noi anche l’occasione di riflettere sul valore di parole che usiamo abitualmente: Quando ho scoperto che in italiano ‘ospite’ vuole dire sia chi ospita sia chi viene ospitato, mi è sembrata una cosa geniale!
(p. 180). L’italiano è una lingua che sa ospitare. Diversamente da qualche italiano, vien da dire.
Il libro di Simona Miceli è ospitale. Ascolta, pensa, fa domande. E restituisce. I suoi destinatari sono per certi aspetti i suoi colleghi, quelli che fanno la sociologia in Italia, e per altri versi siamo tutti. Ma non c’è opposizione fra questi due destinatari. I concetti e i metodi della sociologia servono a rendere i racconti riportati più perspicui, a sottolinearne l’importanza, a illuminarne temi, risonanze, conseguenze, così come viceversa l’attenzione rivolta a lettori non specializzati fa sì che la sociologia si faccia partecipe del mondo. Questo è un libro in cui la sociologia è vivente. Promuove e articola la percezione di uno scarto fra le esperienze di chi questo mondo lo abita e i modi in cui le narrazioni più correnti le deformano. Promuove e articola curiosità e critica. È un libro molto bello. Io spero che lo leggano in tanti.
Paolo Jedlowski
Introduzione
Il locale
[…] emerge in molti luoghi, e uno dei più
significativi è quello della migrazione, pianificata
e non pianificata, forzata e volontaria, che ha portato
i margini al centro, che ha disseminato il particolare
multi-culturale nel cuore della città metropolitana occidentale.
È solo prendendo in considerazione un simile contesto che possiamo comprendere perché ciò che minaccia di diventare il momento della chiusura globale occidentale – l’apoteosi della sua missione globale universalizzante –
è allo stesso tempo il momento del lento,
incerto e prolungato decentramento dell’Occidente.
S. Hall, Il soggetto e la differenza. Per un’archeologia degli studi culturali e postcoloniali (2006)
L’Europa postcoloniale è oggi attraversata da una tensione ineliminabile tra il rischio della chiusura e l’opportunità del decentramento, due opzioni rispetto alle quali le migrazioni rappresentano un laboratorio cruciale e si configurano come cifra costitutiva della contemporaneità:
Più gente che mai considera normale immaginare la possibilità, per se stessi o per i propri figli, di vivere e lavorare in posti diversi da quelli in cui sono nati. […] Possiamo parlare di diaspore della speranza, diaspore del terrore e diaspore della disperazione. Ma in ogni caso queste diaspore si caricano della forza dell’immaginazione, sia come memoria che come desiderio, nelle vite di molta gente comune (Appadurai 1996, tr. it. 2001, pp. 19-20).
Nel legame tra immaginazione e migrazione, ovvero nel fatto che la migrazione sia immaginata da sempre più persone come potenzialità che può attraversare il proprio percorso biografico, Appadurai individua uno dei tratti essenziali del tempo presente e dello spazio globale. I fenomeni migratori, del resto, non sono soltanto esperienze individuali; sono anche un fatto sociale totale, in quanto modificano in modo sostanziale il volto delle società di origine e di destinazione (Sayad 1999), destrutturandone e riarticolandone costantemente elementi politici, economici, sociali e culturali.
E le migrazioni sono oggi un tema estremamente quotidiano. Se ne parla nei media tradizionali e nei social media: vengono raccontate storie, episodi, fatti di cronaca, accompagnati da opinioni e giudizi personali. Molte campagne elettorali in Europa si giocano intorno a questo tema. E sono anche, sempre più frequentemente, oggetto di conversazioni ordinarie. Il lessico prevalente attraverso il quale se ne parla sembra essere quello della problematicità e della conflittualità. Il tema è attraversato da una serie di pre-giudizi e narrazioni egemoniche che, pur costruendo immagini spesso agli antipodi, che spaziano dalla vittimizzazione alla minacciosità, portano ad un comune risultato: privano coloro che ne sono oggetto della singolarità della loro storia di vita.
In questo rumoroso confondersi di voci, opinioni e prese di posizione si avverte però un silenzio importante: la voce dei migranti appare assente. Si tratta di un silenzio effettivo? È possibile che il rumore
intorno alla questione migrazioni
riduca la capacità di ascoltare le storie di chi migra?
A partire da queste domande ho scelto di articolare la ricerca che questo volume presenta intorno al nesso tra migrazione e narrazione, nell’idea che sia urgente e necessario interrogarci in maniera sempre più approfondita sulle sfide sociali e politiche nonché epistemologiche e cognitive che i fenomeni migratori pongono alle società in cui viviamo.
Occorre, in un certo senso, continuare a immaginare sociologicamente le migrazioni. L’immaginazione sociologica è stata definita da Mills come quella qualità della mente che «ci permette di afferrare biografia e storia e il loro mutuo rapporto nell’ambito della società» (Mills 1959, tr. it. 2014, p. 16). Secondo questa definizione, il rapporto tra biografia e storia è sociologicamente rilevante ed è un rapporto di circolarità: le strutture storico-sociali rappresentano le coordinate entro le quali si svolgono le vite delle persone, ma le biografie a loro volta reagiscono a ciò che accade nella storia, non ne sono meccanicamente determinate. A partire da questa circolarità, rispetto alle modalità narrative che raccontano le migrazioni, praticare l’immaginazione sociologica suggerisce un cambio di scala, da cui discende il seguente quesito: quali altri tipi di narrazione possiamo individuare spostando l’attenzione sul piano biografico?
Esistono infatti narrazioni alternative a quelle dominanti che prendono forma anche all’interno dello stesso occidente.
Tra queste, la mia attenzione si è rivolta a una pratica specifica: l’azione dello scrivere e pubblicare testi letterari in lingua italiana da parte di alcune donne che negli ultimi decenni sono emigrate in Italia. Ho scelto di raccogliere le loro storie, attraverso il metodo dell’intervista narrativa, nell’idea che le loro biografie possano raccontare con altre modalità, rispetto a quelle egemoniche, il nesso tra migrazione e narrazione.
Laddove la chiusura sembra essere la cornice principale entro la quale narrare e raccontare le migrazioni contemporanee nelle società d’approdo, l’intento che questo libro persegue consiste nel sottolineare che altre modalità di coesistenza, e di conseguenza altre narrazioni, sono possibili perché, per quanto minoritarie, sono già in atto nelle società in cui viviamo.
Ai processi di esclusione di cui, tanto nelle forme più violente quanto in quelle più invisibili e quotidiane, sono destinatari, le donne e gli uomini migranti possono opporre pratiche attraverso le quali individuare un posto nel mondo. La scrittura, a cui le donne coinvolte in questa ricerca si dedicano, sarà presentata anche nell’ottica di questa possibilità.
I primi due capitoli del volume possono essere considerati come delle introduzioni ai materiali di ricerca, che saranno presentati e analizzati nel terzo e nel quarto capitolo.
Il primo capitolo intende fornire una cornice epistemologica e contestuale attraverso il riferimento agli approcci e alle categorie che mi sembrano necessari per una comprensione critica delle migrazioni contemporanee. Si proporrà in particolare di accogliere alcune riflessioni provenienti dagli approcci postcoloniali, che invitano a svelare e decostruire le relazioni di potere ereditate dal passato coloniale, ma anche a prestare attenzione alle pratiche di resistenza che a esse si oppongono. Il secondo capitolo vuole essere un racconto del processo di ricerca in chiave riflessiva, allo scopo di motivare le scelte fatte ed esplicitare i criteri utilizzati per costruirla. Nello specifico, presenterò le posizioni epistemologiche e le scelte metodologiche alla base del lavoro; ripercorrerò le fasi attraverso le quali la ricerca è stata costruita; discuterò, infine, le categorie interpretative di cui mi sono servita per l’analisi del materiale raccolto.
Il terzo capitolo ricostruisce, a partire dalle narrazioni ricevute, le vicende biografiche delle donne intervistate, con l’intento di sottolineare il complesso intreccio tra motivazioni soggettive e condizionamenti storico-sociali che sempre caratterizza le esperienze migratorie. Si tratta cioè di cogliere la complessa dialettica tra strutture sociali ed agency.
Il quarto capitolo, infine, affronta la relazione tra migrazione e scrittura attraverso l’individuazione di alcune esperienze di spaesamento cui corrispondono percorsi di ricomposizione.
Lo spaesamento, dovuto a una varietà di ragioni, assume diverse forme e si configura come esperienza di perdita: del paese d’origine, della quotidianità familiare, del riconoscimento altrui, della lingua madre. Queste perdite possono essere comprese in ottica posizionale e relazionale, nel senso che sono determinate dalla specifica posizione in cui si trova chi compie una migrazione – che è spesso una posizione di alterità – e acquisiscono senso in relazione agli altri dal cui sguardo il proprio posizionamento dipende.
La ricomposizione riguarda la capacità delle donne intervistate di non lasciare che le molteplici esperienze di spaesamento che le attraversano siano l’unico elemento che definisce la loro soggettività. Anche attraverso l’esercizio della scrittura letteraria in lingua italiana, si coglierà la loro capacità di rinominare e risignificare quanto viene loro attribuito, e di farlo nello spazio pubblico, attraverso forme di agire contronarrativo.
Uno dei miei obiettivi, nella scrittura di questo testo, è stato quello di veicolare la molteplicità, la pluralità e l’unicità di ciascuna delle storie che mi sono