Una casa per cinque
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About this ebook
Una sera, Matteo rientrando a casa porta con sé un cucciolo simpatico e birichino, Catone, che ben presto diviene uno di famiglia e soprattutto compagno di avventure per i ragazzi. Qualche tempo dopo però, è di nuovo trasferito e si pone il problema di trovare una soluzione abitativa consona anche per Catone. Se la realtà spesso ci costringe a venire a patti con i nostri sentimenti, mai deve impedirci di prenderci cura dei nostri cari siano essi persone o animali.
Un romanzo breve d’atmosfera, garbato e molto piacevole in nuova veste editoriale.
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Book preview
Una casa per cinque - Marisa Cecchetti
dell’Autrice
Prima parte
Una casa per cinque
1. Il più bellino
Non volevo più un cane, l’avevo detto quando avevo dovuto riportare il cucciolo di cocker all’allevatore che me lo aveva venduto. Lui, appoggiato a me, ritto sulle zampe posteriori, chiedeva che non lo abbandonassi, io piangevo insieme ai ragazzi.
York, da quando si era fatto grandicello, aveva cominciato a fare strage di polli intorno a tutti i casolari e i contadini scendevano a reclamare i danni con i morticini ancora caldi in mano.
Basta con i cani, ragazzi, cercate di capire, così non si può andare avanti!
Avevano taciuto, consapevoli.
Ma cos’era quell’esserino scuro tra le braccia di Matteo, se non un cane? Era passato un po’ di tempo e York era diventato già un eroe nei racconti dei miei figli.
Mamma, i miei amici hanno un cagnolino!
L’ho visto, Laura, ma ne abbiamo già parlato, ricordi?
Sì mamma!
E chinava la testa.
Credevo di avere chiarito tutto, invece era proprio un cane quello che Matteo portò a casa una sera.
La cagna di mio cugino ne ha avuti due... li ho visti giocare nell’erba e uno non sapeva a chi farlo allevare... la nostra casa è grande.
Guardava i miei occhi grandi e terrorizzati, guardava gli occhi dei ragazzi grandi grandi e luminosi
Ma ho preso il più bellino, credimi!
I ragazzi gli furono intorno, noncuranti dei richiami minacciosi del mio sguardo. Matteo posò il fardellino sui mattoni del focolare, il fardellino tirò su un musetto scuro con una macchia bianca sul naso, occhi mobilissimi, orecchie aguzze, dritte, all’erta. Il corpo lungo e magro era percorso da un brivido che non era di freddo.
La coda rimaneva tesa mentre lui dava le prime occhiate intorno.
Nicola corse al cesto della biancheria da stirare e tirò fuori un panno vecchio, glielo sistemarono a mo’ di cuccia e ve lo depositarono.
Matteo mi guardò abbozzando un sorriso, io scossi la testa ma sorrisi.
2. Notti insonni
La prima notte nessuno dormì. Quando le luci si spensero insieme alle voci dei ragazzi, si sentirono i primi lamenti del cane.
Zitto, dormi!
gli andava a dire Laura sgusciando fuori dal letto, e il cane si zittiva.
Laura rientrava nel letto e il pianto del cagnolino continuava.
Avrà fame, mamma?
chiedeva Nicola dalla sua camera.
Ragazzi, voglio dormire, non vi preoccupate per lui, ha mangiato, non gli manca nulla!
Era Matteo.
Ma piange ancora!
Ci giungeva di lì a poco la voce di Laura attraverso il corridoio.
Anche i bimbi piangono prima di addormentarsi, quando sono piccolini,
cercavo di rassicurarli. La nonna dice che è il pianto del sonno!
Altro che pianto del sonno, a quel batuffolo il sonno non arrivava mai.
Fummo costretti ad ammettere davanti ai ragazzi che il cane cercava la mamma, ma che si sarebbe presto tranquillizzato e abituato a noi se si fosse sentito circondato d’amore.
Forse Laura e Nicola fecero qualche pisolino pensando a tutto l’amore che gli avrebbero saputo dare fin dal giorno dopo. Noi tendevamo l’orecchio e sottolineavamo gli improvvisi silenzi.
Ora dorme.
Poi il lamento si faceva d’un tratto più forte.
Il nostro pensiero andava alla signora di sotto che doveva sopportare le esuberanze della nostra famiglia, le corse dei bambini nel corridoio dalle assi scricchiolanti, il rumore delle poltrone smosse, della lavapiatti che disturbava il sonno della sua figliola. Ci mancava proprio il cane!
Domani dovremo trovargli una cuccia fuori casa,
disse Matteo spazientito nel cuore della notte.
A tavola se ne è parlato a lungo.
Si sentirà solo, avrà paura,
dicevano i bambini preoccupati.
Non potrà diventare un cane da salotto,
spiegava Matteo. È bene che capisca subito che deve diventare autonomo. C’è tanto spazio fuori che qualsiasi cane gli invidierebbe.
Si ottenne il rinvio di una notte ancora per dargli un’altra possibilità, ma la terza notte il cane fu allontanato dopo che il signore dell’appartamento di sotto aveva avvisato Matteo che non poteva svolgere il turno di mattina a causa di una notte insonne.
3. Il lavatoio
Il forno col lavatoio fu ritenuto il posto migliore: era una costruzione bassa a fianco della casa, con una finestra luminosa dai vetri ancora intatti e una porta robusta che si chiudeva con una spranga.
Gli faremo lì la cuccia per la notte, finché non sarà grande e avrà la sua bella cuccia fuori come un cane che si rispetti.
La soluzione di Matteo sembrò buona, i ragazzi non avevano da temere alcun pericolo, il lavatoio era riparato e abbastanza caldo per un cane.
La terza notte dormimmo tranquilli con la coscienza acquietata ma la sveglia fu data presto da Nicola che voleva controllare le condizioni del cucciolo. Laura gli sgambettò dietro. Non lo trovarono e cominciarono a chiamarmi disperati.
Scesi le scale di corsa.
Non può essere uscito,
dissi per consolarli.
E se qualcuno è entrato nel forno e intanto il cane è scappato?
chiese Laura.
Cerchiamo,
e cominciai a rovistare, lo troveremo.
Cane, cagnolino, qua... vieni,
ripetevano loro.
Canino,
andava ripetendo Laura, la piccolina, ora ti portiamo la colazione, vieni!
Lo trovammo rannicchiato sotto un fornello grande su cui le massaie appoggiavano i grossi paioli della conserva di pomodoro. Era sporco di cenere e di carbone, anche la macchia bianca sul muso non si distingueva quasi più.
Poverino!
fecero in coro i bimbi che lo spolverarono bene e se lo riportarono in casa.
Laura avrebbe voluto lavarlo e fu difficile farle capire che era meglio di no, che era troppo piccolino. A forza di abbracciarlo e di strofinarselo contro il vestito lo fecero tornare del suo colore naturale.
Era assolutamente necessario trovargli un nome, dargli una identità, così ognuno fece la