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Un capriccio del destino
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Un capriccio del destino

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About this ebook

Brenda lavora come guida turistica a Londra. Il suo passato non è stato facile e ha dovuto fare molti sacrifici, specialmente nella sua vita sentimentale. Una sera, la sorte le sorride e diventa l'assistente personale di una delle più temute imprenditrici alberghiere dell'Inghilterra. Il suo incarico più difficile sarà dover trattare con un uomo, bello e arrogante, che lavora alla ristrutturazione di uno degli hotel della catena Wuflton nel Surrey.

Luke Blackward è annoiato dalla vita notturna di Londra, dallo sperpero di denaro, dalle esigenze sociali e dalla frivolezza delle donne. Quando una responsabile, sfuggente e autoritaria, lo confonde per un impiegato dell'hotel che appartiene alla sua famiglia, lui non la smentisce. Al contrario, approfitterà della novità dell'anonimato per conquistarla. Ha deciso che sarà un'avventura passeggera. Ma quando scopre l'alto prezzo che deve pagare per la sua finzione, forse sarà troppo tardi per cercare di riparare al danno.

LanguageEspañol
Release dateDec 25, 2019
ISBN9781393556503
Un capriccio del destino

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Un capriccio del destino - Kristel Ralston

Indice

CAPITOLO 1

CAPITOLO 2

CAPITOLO 3

CAPITOLO 4

CAPITOLO 5

CAPITOLO 6

CAPITOLO 7

CAPITOLO 8

CAPITOLO 9

CAPITOLO 10

CAPITOLO 11

CAPITOLO 12

CAPITOLO 13

CAPITOLO 14

CAPITOLO 15

CAPITOLO 16

CAPITOLO 17

CAPITOLO 18

CAPITOLO 19

CAPITOLO 20

CAPITOLO 21

CAPITOLO 22

EPILOGO

SULL’AUTRICE

Un capriccio del destino è dedicato a tutte quelle persone che lottano per i propri sogni, che si alzano ogni giorno con la volontà di superare le avversità e che credono che il lieto fine, nonostante le difficoltà, non sia un’utopia.

CAPITOLO 1

—Mi ricordi perché stiamo facendo questa pantomina, Tom?— domandò Brenda a malincuore, infilandosi sotto le ruvide lenzuola.

—Per il bene dell’agenzia— borbottò lui, sistemandosi sul lato sinistro del materasso.

Brenda cercava di riscaldarsi i piedi sul lato esterno del letto.

—Se non avessi aperto la tua boccaccia, ora non dovremmo subirne le conseguenze— mormorò, sprimacciando il cuscino con i pugni.

Il fresco della notte sembrava filtrare dalle finestre chiuse del bed and breakfast, situato accanto alla stazione di Holland Park, a Londra. L’inverno prometteva di fare onore alla fama dell’inclemente clima britannico.

—Spero che non russi, Bree— le disse chiamandola con il tenero nomignolo che era solito darle. Tom la conosceva da quando era piccola, e adesso lavoravano insieme in un’agenzia turistica, Green Road, ed erano finiti in quel garbuglio per colpa di lui. —Smettila di piagnucolare. Ho messo il riscaldamento al massimo.

Lei tremava.

—Io non russo!

—Shhh. Dovremmo valutare la qualità di questo bed and breakfast.

—Pufff— sbuffò, girandosi per mettersi di fronte a lui. —Allora prendi nota che bisognerà cancellarlo dalla lista. Come si possono pagare quaranta sterline a notte per questo congelatore? Solo tu potevi dire a Robert che eri disposto a sperimentare di persona le comodità dei B&B che raccomandiamo. Adesso lasciami in pace, e smettila di muoverti come un lombrico.

—Tu russi— accusò ridendo, proprio nel momento in cui i denti cominciarono a battere.

—No.

—Sì.

—Oh, Tom Fawller, cresci un po’!— rimproverò il suo amico, dandogli una cuscinata, e lui rispose senza indugio.

Scoppiarono a ridere.

—Punto primo. Quando abbiamo fatto la riunione quella mattina, si supponeva che venissi a salvarmi.— Lei alzò gli occhial cielo. —Punto secondo. Robert ha chiesto che idee avevamo per iniziare la settimana di lavoro, e ho detto la prima cosa che mi è venuta in mente. Perché non sei intervenuta per dire che era una cattiva idea?

Lei lo guardò accigliata.

—Facile. Ero occupata a controllare il mio cellulare, nella speranza che mi rispondessero da un provino per modelle. Ho chiesto in vari posti. In uno fanno foto per indumenti sportivi. E l’altro è la migliore agenzia di modelle per pubblicità. Sicché, vedremo. Una qualunque di queste sarà perfetta.

Tom la osservò pensieroso.

—Adesso ti metti a fare la modella?

A Brenda, gli dei avevano donato una bellezza eccezionale. I lucenti capelli biondi ricadevano in onde fin sotto le spalle. I suoi occhi verdi risplendevano quando sorrideva. Il corpo, neanche a parlarne, era perfetto, e quando camminava si muoveva con una grazia innata. Se davvero le fosse interessato fare la modella, avrebbe guadagnato milioni. L’unico problema era che lei non sembrava essere consapevole del suo fascino disarmante, né le interessava metterlo in mostra, se per caso vi ricorreva. Fare la modella era la sua ultima risorsa quando le cose andavano molto male in casa, come adesso. Quei mesi si stavano trasformando in un calvario.

Lei si mise supina sul materasso e guardò il soffitto.

—Ho bisogno di guadagnare. Conosci bene la storia— sussurrò con tristezza. Lei e Tom avevano vissuto insieme fasi importanti di transizione, e adesso, che avevano ventisette anni tutti e due, continuavano a sostenersi a vicenda.

Tom si girò e le mise la mano sulla guancia, attirando lo sguardo color smeraldo verso il suo, che aveva il colore del petrolio.

—Io ho il denaro, Bree. Lascia che ti aiuti.

Lui aveva un’abilità impressionante per gli investimenti in borsa. Se a questo, si sommavano le diverse attività che possedeva, il risultato era un giovane milionario, la cui lotta per il rispetto dei diritti umani occupava una fetta altrettanto grande del suo tempo.

Bree sospirò.

—Non posso— scosse la testa sopra il soffice cuscino. —Mi hai fatto avere il posto di guida qui a Londra. Mi salvi quando finisco il credito sulla carta Oyster per la metro, accompagnandomi con la tua auto, e, cosa più importante, mi fai ridere. È tutto quello che mi serve, Tom. Davvero— affermò, abbozzando un sorriso.

Lui la contemplò con i suoi occhi neri, scuri come ossidiana. Nonostante fosse inglese, i suoi antenati erano un misto di greco e spagnolo. Aveva ereditato un’interessante combinazione di tratti forti, duri come quelli di un pugile, con il naso un po’ ammaccato. La sua risata facile addolciva l’espressione, che in principio poteva sembrare intimidatoria. Lavorava nell’agenzia turistica solo per hobby, anche se la Green Road gli apportava un valore aggiunto: gli permetteva di conoscere gente di tutto il mondo, e questo gli piaceva.

—Peccato che non mi piacciano le donne— sussurrò Tom, ridendo sottovoce.

Anche Brenda rise, lasciando all’amico un po’ della coperta per mettersi comodo

—Puoi dirlo forte, in azienda credono che abbiamo una relazione— sogghignò.

—Suppongo sia per questo che Scott nemmeno mi guarda— sospirò con finta rassegnazione.

Lei gli accarezzò con la mano i corti capelli color cioccolato.

—Sciocchezze, quello del marketing sì che ti guarda— gli fece un occhiolino scherzoso. —Il fatto che tu mi abbia coinvolta come tua compagna per questa pagliacciata di provare bed and breakfast a destra e a manca non ti aiuterà. Ecco qui il tuo castigo. D’ora in avanti dovrai trovare il modo per coinvolgere Scott nel tuo programma di lavoro nei B&B.— Entrambi risero. —Motivo in più per rimpiazzarmi in questa tua idea folle.

Di colpo, lui divenne serio.

—Bree.

—Sì?— disse con un sorriso.

Tom sembrò dubbioso.

—Quanto vanno male le cose a casa tua?

L’espressione allegra di lei si attenuò.

—Siamo stati all’ospedale almeno due volte... in un mese. Ma me la caverò. Spero davvero che mi chiamino dalle agenzie. Anche se posare davanti a una fotocamera non è di mio gradimento. Però qualcuno deve pur farlo. Vero?— cercò di tornare allegra.

Tom la osservò senza dire parola e anche Bree rimase in silenzio.

—E il bambino...?— indagò.

Per Bree, era una questione complicata. Sua madre, Marianne, amava particolarmente bere. Quando si era scolata una quantità di bottiglie, se ne andava con uno dei suoi fidanzati di turno, finché non finivano in uno scandalo. Botte e insulti erano gli ingredienti abituali, sommati a conti da pagare che uscivano dai miseri fondi che suo padre aveva lasciato loro quando era morto, anni prima.

Ricordava quando sua madre era rimasta incinta. Lei aveva circa ventun'anni, a quell’epoca. Il suo fratellino era, miracolosamente, nato sano. Durante quel periodo, Marianne aveva smesso un po’ di bere, ma solo finché non aveva partorito; tuttavia, non sapeva chi fosse il padre della creatura. Un giorno, quando Bree era tornata dall’accademia, aveva trovato sua madre stesa a terra, incosciente, e il piccolo Harvey che piangeva disperato. Il trambusto e lo stress in ospedale erano stati un caos, e ancora adesso le risultava traumatico ricordare tutto l’inferno che aveva vissuto da che aveva memoria.

Da quell’incidente, aveva smesso di studiare e si era dedicata al lavoro. Non poteva permettere che suo fratello avesse un incidente, o qualcosa di peggio, per mano di sua madre.

Marianne ripagava i sacrifici della figlia maggiore con affronti e offese verbali, specie se non trovava la quantità di alcol quotidiana; a volte la picchiava, anche. Brenda aveva sopportato troppo. Ma continuava a lottare, perché le sembrava ingiusto che il suo fratellino finisse ai servizi sociali, se questi fossero arrivati a sapere che tipo di madre era Marianne.

La disintossicazione di sua madre era come la storia infinita. Entrava e usciva dai centri specializzati, ma non recuperava mai del tutto. Nei suoi momenti di lucidità, Brenda poteva quasi trovare la madre di cui aveva bisogno. Ma capitava rare volte, e a questo punto si sentiva piuttosto demotivata sull’argomento.

D’altra parte, era grata che i vicini che aveva fossero una benedizione. Eloise e Oswald Quinn. Due pensionati che si erano innamorati di Harvey. Il bambino era bellissimo: aveva dei profondi occhi azzurri e i capelli biondissimi. La coppia si era offerta di accudirlo, mentre lei lavorava al centro di Londra, alla Green Road. Grata alla coppia di anziani, cucinava per loro nei fine settimana, dopo aver visitato musei, palazzi e monumenti, mostrandoli a turisti di tutto il mondo che visitavano la città.

Cucinare era una delle passioni di Brenda. Prima di iniziare a lavorare, la sua idea era di studiare per diventare chef e specializzarsi in pasticceria. «Sogni e desideri del passato», pensava sempre, ma almeno poteva mettere in pratica le sue prelibatezze con i Quinn, che erano dei commensali entusiasti.

Il rumore della goccia che usciva dal lavabo della piccola camera del bed and breakfast la tirò fuori dai suoi ricordi.

—Sai?— disse a Tom. —Grazie a Dio, ho i Quinn. Harvey ha già sei anni... e loro gli offrono la figura materna e paterna che non ha in casa— sospirò. —La vita non è stata facile per me. Farò in modo che lo sia per lui. È così piccolo, Tom...

—Lo so, lo so, mia cara Bree. Comunque, anche se hai detto di no... se qualche volta capita qualcosa che non puoi gestire, mi permetterai di aiutarti economicamente?

—Solo se fossi proprio disperata. E, anche in quel caso, non credo che...— sospirò, vedendo l’ombra di impotenza nello sguardo di Tom. —Va bene. Può darsi, immagino.

Di fuori, i fiocchi di neve cadevano incessantemente sulle strade; non poteva essere altrimenti, a gennaio inoltrato.

—Mi accontento di questo— Tom sorrise. —Ora vediamo di provare a dormire, prima che la goccia del lavandino vinca la battaglia e non ci faccia dormire. E, a proposito...—

Bree rimase a guardarlo, prima di spegnere la luce sul comodino.

—Che valutazione diamo a questo posto?

Brenda spense la luce. Rimasero totalmente al buio, e Tom iniziò a tremare con violenza.

—Che fai? Dammi la coperta!— ordinò tremando.

—Immagino che tu stesso sia capace di dare una valutazione, ora che hai un esempio concreto.

—D’accordo, d’accordo. Non ti romperò più. Pace! Pace!— batté i denti. —Sottozero. La valutazione è sottozero. Così come la temperatura esterna. Dai, dammi la coperta, non essere perfida.

Con una risata, Bree si mise a dormire, permettendogli di coprirsi.

***

Il resoconto della storia di Buckingham Palace, le sue tradizioni e l’architettura, di solito prendevano a Bree quarantacinque minuti nel tour breve, perché includeva anche i dintorni: Clarence House e St. James Park, tra gli altri. Quando la quantità di gente era più numerosa, poteva soffermarcisi per un’ora e mezza, perché solitamente riceveva più domande dai clienti del tour. Non tutti i turisti ne facevano, ma quelli che le facevano erano più che generosi e lei lo gradiva, perché con questo ci pagava la metro e la mensa scolastica di Harvey.

Dopo la ridicola prova di Tom, si era liberata dell’incarico di sperimentare i B&B, perché Robert, il dirigente e titolare della ditta per cui lavorava, aveva inviato il suo amico a unirsi ad un gruppo di turisti di Berlino, a Brighton. Solitamente, questo tipo di servizi non venivano offerti, dato che la Green Road copriva solo l’area di Londra fino al Surrey. Senza dubbio, il trasferimento momentaneo di Tom dipendeva dall’amicizia del suo capo con qualche conoscente che richiedeva un favore speciale. Le sarebbe piaciuto che avessero scelto lei per quell’incarico, perché la paga a giornata era doppia. «Pazienza.»

—E, pertanto, quando un evento lo merita, la Regina— continuò a spiegare ai turisti olandesi, che osservavano i dintorni —può richiedere che la bandiera venga issata a mezz’asta. Come accadde con la morte della Lady di Ferro. A volte, non si tratta necessariamente di un’occasione speciale, o tragica, ma anche solo per comunicare, per esempio se la Regina è o no a palazzo...

Dopo questo, fecero il tragitto in metro, fino all’Hampton Court Palace. La stazione portava il nome del palazzo preferito del monarca Enrico VIII, del quale era stata residenza nel 1536. L’ambiente era quasi magico. E c’era un piccolo ponte da cui era possibile osservare i dintorni dell’immensa proprietà del controverso Re.

Scendendo dalla stazione, l’ingresso al palazzo era diviso in tre parti, protette da cancelli neri. L’entrata centrale, per il passaggio di automobili autorizzate, era fiancheggiata da due colonne, una con in cima un leone e l’altra un unicorno; entrambi gli animali sostenevano gli scudi di Re Giorgio II. Su ciascun lato di questo ingresso per i veicoli, c’erano altri due passaggi per il transito dei pedoni; sui lati di questi, c’era una colonna con in cima un soldato di pietra. In totale, quattro figure imponenti.

—Questa entrata è nota come Trophy Gates— li informò, mentre i turisti facevano fotografie.

Brenda percorse insieme a loro il palazzo, in un giro che durò fino a sera. Dopo una foto di gruppo, diede loro le indicazioni necessarie per raggiungere i due cortili principali: quelli dell’Orologio e della Fontana. La Great Hall e la Cappella Reale erano due spazi illustri della magnifica proprietà.

—Bree— la chiamò una ragazzina di circa quindici anni, Wallys, da quanto Brenda ricordava tra i nomi della lista.

—Sì?— prese un sorso dalla sua bottiglia d’acqua. Ne consumava almeno tre, durante le escursioni.

—È vero che la Great Hall è stata progettata dal cardinale Wolsey? È che ho visto la serie sui Tudor, è favolosa— sorrise, dando un morsetto alla merendina. —E ho questa curiosità, anche perché, prima di venire, mi sono letta almeno quindici guide turistiche.— Brenda avrebbe voluto dirle di mettersi a parlare al suo posto. Era fine serata ed era stanca. —Tu che dici, Bree?

Gli altri partecipanti al giro turistico la osservavano.

Lei sospirò, senza smettere di sorridere.

—No, non è vero. Quella grande sala fu commissionata da Enrico VIII, e venne finita nell’anno in cui decapitarono la sua seconda moglie, Anna Bolena. Era il 1536. Le persone di solito sono molto colpite dalla sala che hai menzionato, come di certo è capitato anche a voi un momento fa— tutti annuirono —specialmente per l’arazzo che abbiamo visto. Come ho spiegato durante il giro, la Storia di Abramo è uno degli arazzi più sontuosi che esistano in Inghilterra, e abbiamo il piacere di esporlo nella Great Hall di questo splendido palazzo. E adesso— si rivolse a Wallys che la ascoltava con molta attenzione e prendeva appunti su un vecchio taccuino —riguardo al cardinale Wolsey— la ragazza spalancò gli occhi in attesa, —lui fu il primo proprietario del palazzo, e fece costruire la residenza nel 1515. Prima che vi risiedesse Enrico VIII.

Dopo un paio di altre domande, a cui rispose con tutta la buona volontà, diede per conclusa la lunga, ma pur sempre piacevole, visita. Quando Brenda andava in questo palazzo, situato a venti chilometri da Londra, provava una strana e gratificante sensazione di calma. Forse si trattava del fiume o della natura, o forse della storia e dei miti che riguardavano quel luogo, ma le risultava sempre meraviglioso visitare Hampton Palace.

—Avete quindici minuti per gustare lo spuntino che vi offre Gretel— indicò la sua compagna, scura di capelli, che arrivò con il minibus del tour. Lei aveva preso la metro, perché i turisti vivessero l’esperienza della famosa Tube di Londra. —Vi aspetto vicino a quel recinto— indicò verso un punto posto tra due alberi, che al momento non avevano né foglie né colore, solo brina. Nonostante il clima freddo, il posto continuava ad apparire attraente ed imponente.

Mentre si preparava a bersi un caffè dal suo termos, le arrivò una chiamata al cellulare.

—Sono Brenda— salutò come al solito. La chiamavano spesso dalla sede della ditta per sapere come stava andando il giro turistico, o se aveva bisogno di qualcosa.

—Signorina Russell— disse una voce cupa e seria, a lei totalmente sconosciuta. —La chiamiamo in merito al suo book fotografico. È disponibile per venire in agenzia?

La felicità di Bree non avrebbe potuto essere più grande. Aspettava quella chiamata da almeno tre settimane, e solo per le ristrettezze economiche in cui si trovava, aveva dovuto accettare l’aiuto offertole da Tom. «Lo avrebbe ripagato con il denaro che le davano per il servizio fotografico.»

—Certo— si annotò l’ora e l’indirizzo che le dettò la donna, nella sua agendina. —Per quale tipo di indumento devo posare?

—Biancheria intima.

Lei deglutì.

Bianch...

—Ha qualche problema a riguardo?— indagò impaziente la donna al telefono, sentendola insicura. —Dolce & Gabbana non è una marca che ammette dubbi. O può o non può.

«Harvey. Devo pensare ad Harvey. Basta vergogna.» Anche se era la sua prima volta, come modella di biancheria intima.

—Io, ehm... no, nessuno. Sarà un piacere fare quelle foto.

—A domani, allora— chiuse la comunicazione.

«Perfetto», pensò Bree con una smorfia.

***

Quello che più imbarazzava Brenda, era mostrarsi in biancheria intima davanti alle venti persone che lavoravano nello studio del servizio fotografico. Per fortuna, il riscaldamento era perfetto, e l’agenzia alla quale aveva fatto domanda aveva una reputazione intaccabile. Si sentì fortunata. Se non fosse stata una marca di indumenti rinomata, non le sarebbe passato nemmeno per la testa di posare in lingerie; ma, se non l’avesse fatto, avrebbe dovuto far ricorso a un prestito bancario.

Gli indumenti non erano affatto scomodi, salvo per la piccola quantità di tessuto che avevano. «Rischi del mestiere.»

—Dai, tesoro, girati alla mia destra.— Il fotografo fece dieci scatti. —Perfetta, raddrizza un po’ la schiena... ecco, così. Bene. Adesso, piegati in avanti. Mostra quei seni perfetti. Così... mmmh, vediamo, apri un po’ la bocca. Esattamente! Ottimo!— Cambiò l’angolazione della fotocamera. —Sei la donna più bella di questo catalogo.— Fece altri dieci scatti. —Sei stata favolosa!— Iniziò a scorrere le foto sul visore, controllandole, e la guardò con interesse.

—Da quanto tempo posi, Bree?

Marlo era francese e durante le cinque ore, tempo trascorso per la preparazione e il trucco, aveva raccontato a Bree, tra uno scatto e l’altro, la sua vita di giramondo. Aveva iniziato come fotografo della National Geographic, finché non aveva sentito la necessità di vivere in un luogo fisso. Aveva avuto la fortuna di essere preso da Dolce & Gabbana per i loro uffici di Londra. Questo, quindici anni prima. Da allora, collaborava con l’agenzia di modelle più prestigiosa della città, Prime Gain, che era la società alla quale Brenda aveva inviato le sue fotografie, e grazie alla quale aveva un impiego che consisteva nel posare davanti alle macchine fotografiche professionali più quotate d’Inghilterra.

—Questa è la seconda volta che lo faccio— mormorò, quando tutti lì intorno smisero di prestarle attenzione. Il servizio era concluso. Nemmeno si riconosceva, con la quantità di trucco che portava, la chioma bionda raccolta in modo eccentrico e sensuale, oltre agli slip e al reggiseno in varie tonalità di azzurro. «Quasi quasi direi che sono sexy», pensò scherzando.

—Credo che dovresti dedicartici completamente.

—Ma dai, Marlo! Ho già un lavoro— gridò da dietro un grande paravento, mentre si cambiava. —Questo è un discorso... diciamo sporadico.

—Sì? Perché lo fai?

Rimase in silenzio, sistemandosi i jeans. L’assegno glielo avrebbero inviato il giorno dopo. Con quello, avrebbe pagato la scuola di Harvey per i successivi sette mesi, e quello che rimaneva sarebbe servito a far aggiustare i tubi di casa e a restituire il prestito a Tom.

—Necessità. Ho un fratello da mantenere— rispose sinceramente.

Marlo, con i suoi sessant’anni, conosceva a sufficienza il mondo per capire che quella ragazza era un diamante grezzo. Ma non poteva costringere la gente a fare cose che non voleva. Così, in cambio, le propose di tornare quando voleva. La ragazza era bellissima, e davvero fotogenica.

—Quando ti sentirai più a tuo agio con il tuo corpo, sicuramente potrai esprimerti meglio e avere una carriera di successo come modella. Non aspettare troppo a deciderti, nel caso lo facessi— dichiar, con la mano sulla maniglia della porta dello studio fotografico, situato al decimo piano di uno degli edifici più affascinanti della City, il centro imprenditoriale di Londra. —Il tempo passa in fretta, specie per le modelle. Non dimenticarlo. È stato un piacere conoscerti, Brenda Russell.

Brenda tir fuori la testa da un lato del paravento nero con disegni cinesi.

—Il piacere è stato mio! Quando escono le foto?

Non ci fu risposta, perché Marlo era già uscito.

A lei non importava, in realtà, quando pubblicassero gli scatti. Quello che contava era che avrebbe avuto la sua paga il giorno seguente. Prese la borsetta. Si infilò i leggins color ocra, la gonna nera in tinta con la camicetta, felpa, sciarpa e una giacca pesante sopra. L’unico inconveniente dell’inverno era la quantità di roba che bisognava indossare.

Decise di lasciarsi il trucco e la pettinatura. Un vantaggio gratuito come questo era davvero un lusso, quindi lo avrebbe sfruttato. Di sicuro, Harvey sarebbe stato più che contento di vederla e le avrebbe fatto molte domande. Era un bimbo adorabile, con un’incredibile propensione per la natura. Conosceva i nomi di varie specie di animali, le loro caratteristiche fondamentali e l’ambiente ideale in cui dovevano vivere. La inteneriva ascoltarlo raccontare le sue scoperte infantili.

Con passo rapido, raggiunse gli ascensori e premette il bottone di chiamata.

Quando le porte si aprirono al settimo piano, entrò accanto a lei una donna di circa sessant’anni. Molto elegante. I capelli neri, con venature argento, erano perfettamente acconciati, come per resistere a un vento forte. Il soprabito sicuramente costava quello che Brenda poteva risparmiare in cinque anni. E il profumo, anche se molto dolce, Bree avrebbe quasi potuto giurare che emanava potere.

Persa nei suoi pensieri, Brenda non si accorse che la donna si stava avvicinando a lei. Secondi dopo la chiusura delle porte grigie dell’ascensore, la signora la toccò con disperazione sulla spalla, indicandole freneticamente la gola. Gesticolava in modo molto rapido.

—Signora! Cosa...? Oddio— gemette preoccupata, quando l’ascensore si fermò di botto. «Non può essere! Dannato servizio», pensò nervosa.

Gli occhi della donna iniziarono ad aprirsi e chiudersi. Brenda ringraziò che alla Green Road le avessero insegnato il primo soccorso. Si avvicinò e le tolse gli indumenti dal viso: sciarpa, cappotto, collana, per farla respirare meglio.

—Co... ma— riuscì a balbettare la sconosciuta con difficoltà.

Mai come in quell’istante le era sembrato tanto utile il lavoro di guida turistica. Tirò rapidamente fuori dalla borsa il kit d’emergenza, aiutò la signora a sedersi e poi le mise in mano lo spray per l’asma. Con sollievo, vide che, a poco a poco, dopo averlo usato, la sconosciuta ricominciava a respirare normalmente.

Bree prese dalla borsa una bottiglia d’acqua sigillata e gliela offrì. Anche se sul momento la signora la guardò stranita, non esitò a bere. Quando si rese conto che la donna si era ormai ripresa, Bree si alzò in piedi e premette il tasto dell’ascensore. Non ci fu risposta, nemmeno dopo sei tentativi.

Bree si adattò alla luce di emergenza.

—Caspita— iniziò a parlare la signora. La voce era dolce, molto in contrasto con il portamento freddo e altero. —Almeno, è la prima volta che incontro una modella che non abbia la testa vuota— borbottò. —Grazie. Mi hai salvato la vita, ragazza. Come ti chiami?

—Brenda Russell. Beh, i miei amici mi chiamano Bree— le sorrise. —Signora...?— Lasciò la domanda in sospeso.

La donna dagli occhi azzurri non rispose al suo sorriso. La osservò un momento, prima di parlare.

—Dunque, non sai chi sono io?— sollevò un sopracciglio. Brenda scosse la testa, sorpresa nel vedere il rapido cambiamento che si era di colpo verificato nella signora, che conservava una figura molto decente, per l’età che doveva avere. La vide sistemarsi gli indumenti, poi ripulirsi da una polvere inesistente. —Per quale agenzia lavori?

Brenda la guardò sorpresa.

—Nes... nessuna, signora. Non lavoro qui. Sono di passaggio.

Quella donna metteva in soggezione, pensò Bree. Da quello che indossava, sembrava tutto tranne che una modella da sfilata. In realtà, pensava di avere un po’ grandi quelle parti che di solito le modelle professioniste hanno estremamente piccole. Per questo, si era sorpresa di essere stata chiamata proprio da Prime Gain, che era l’agenzia più prestigiosa di Londra, abituata a mostrare donne quasi pelle ed ossa. «Esuberanza», le aveva detto Marlo, assicurandole che la catalogava in questo concetto; per questo l’avevano chiamata, perché, secondo il fotografo, le curve erano di moda.E dato che le avevano dato il lavoro di cui aveva tanto bisogno, Bree non lo aveva messo in discussione.

—Sono Alice Blackward.

«La magnate alberghiera? Certo che ne aveva sentito parlare!» venne in mente a Brenda, che finalmente la riconobbe. Non aveva tempo per leggere le riviste economiche, ma aveva comunque visto un paio di foto della donna in qualche guida dei migliori hotel della regione. E sicuramente, dall’espressione sul suo viso, Alice aveva capito che ora l’aveva identificata.

—Porti il trucco da fotografia— non domandava, né suggeriva. Affermava e basta.

—Io... ho fatto un paio di scatti per Prime Gain. È la seconda volta che faccio delle foto. Non è da me— confessò, come se fosse necessario giustificarsi. Ridicolo.

Nell’ascensore continuavano ad esserci le tenui luci di emergenza. Una voce le interruppe, per avvisare che in pochi minuti avrebbero ripristinato l’elettricità e che l’avaria era dovuta a un fusibile bruciato.

—Lavori occasionalmente come modella, allora?

Anche se non aveva nessun pregiudizio verso le modelle, senza dubbio, tra un impiego in cui ci si doveva ritoccare il trucco cinque volte l’ora, e un altro in cui non le importava cosa indossava o se le uscivano le occhiaie, preferiva quest’ultima opzione.

—Mmm... diciamo di sì. In realtà, sono guida turistica della città.

Alice arricciò il naso, come se avesse inspirato una polvere strana.

—Non mi piace avere debiti con la gente. Oggi penso di licenziare quell’inetta della mia assistente.— Nel vedere l’espressione inquieta di Brenda, sorrise. —Sono stata sul punto di morire di asma in un attimo. Se non fossi stata nell’ascensore con il tuo kit d’emergenza, probabilmente...— Fece un gesto con la mano, togliendo importanza all’episodio, cosa che sorprese Bree. Era stata sul punto di morire e quasi sembrava che, invece di soffocare, avesse bevuto un tè senza zucchero! —Ad ogni modo. Il posto di assistente personale è libero.

«Le stava proponendo...?» lo sguardo di Bree si illuminò.

—Tutto bene lì sotto?— gridarono da qualche parte, interrompendole.

—Sì! — disse Brenda gridando a sua volta.

—Bene! Tra pochi secondi sarete liberi.

—Sarà meglio, perché altrimenti andrò a protestare— brontolò Alice.

Le luci si accesero e l’ascensore riprese a scendere.

—Se vuoi guadagnare un salario migliore di quello che hai come guida turistica, chiama questo numero— le passò un biglietto con rilievi bianchi e oro. —Il posto di assistente esecutiva è disponibile.

Bree la osservò con la bocca spalancata. Lavorare per la fondatrice di un impero alberghiero? Era il sogno di qualsiasi persona che avesse un po’ di cervello. E lei non era stupida. In tutto il paese, la storia di Alice Blackward era nota: la ragazza che, con solo venti sterline in tasca, aveva creato un colosso imprenditoriale che dava ingenti benefici ai suoi impiegati. Dieci anni dopo aver avviato il suo lavoro titanico da sola, si era guadagnata il rispetto di importanti magnati dell’attività alberghiera, e adesso era una delle donne più ricche della Gran Bretagna.

Quando Alice le disse l’ammontare del suo salario, Bree strinse le dita dei piedi negli stivali. «Con quella cifra, avrebbe potuto non solo pagare l’educazione di Harvey, ma anche mettere sua madre in una clinica privata per la disintossicazione, e magari portare il suo fratellino in vacanza al mare. Era uno stipendio favoloso!»

—Io...

—Non devi ringraziarmi— disse la signora con voce stanca. Odiava gli adulatori, e quella ragazza, per fortuna, non sembrava essere incline a trasformarsi in uno di quelli. —Ti ho già detto che non voglio debiti con nessuno. Tu mi hai salvato la vita, io ti offro un impiego ben remunerato. Se non lo vuoi, io ho fatto la mia parte avendotelo proposto— dichiarò spassionatamente.

«Implacabile, forte e fredda. Di sicuro è così che si arriva in alto», pensò Bree.

Prima che potesse dire altro, le porte dell’ascensore si aprirono al piano terra e Alice uscì senza guardarsi indietro.

Bree si fece strada attraverso la città congestionata, e, nonostante il vento freddo che la colpì uscendo dall’edificio, il suo bel viso era illuminato da un sorriso smagliante.

***

Portare l’agenda di Alice non era affatto semplice. Quattro mesi di lavoro con lei, e ancora le provocava l’emicrania, quando cancellava appuntamenti di affari all’improvviso. La sua titolare era estremamente esigente, ma sapeva anche essere giusta e coscienziosa. Le era grata per quella opportunità e per tutto quello che imparava ogni giorno in azienda.

Bree aveva ricevuto una copia delle fotografie che Marlo le aveva fatto, e, a dire la verità, non si riconosceva nella donna sensuale che appariva nel catalogo. «Un lavoro grafico magnifico.» Essere sulla pagina web di Dolce & Gabbana era un onore, ma non pensava di posare di nuovo. Il lavoro di modella poteva essere bellissimo e ben pagato, ma facendolo non si sentiva nel suo elemento.

Nonostante il suo lavoro con Alice le piacesse e occupasse gran parte del suo tempo, quasi non vedeva più Tom, perché lui viaggiava più di prima per Brighton, e lei usciva molto tardi dall’ufficio. Non appena arrivava a casa, andava direttamente a occuparsi di Harvey. Poi, crollava dal sonno. Le loro giornate e ore libere ormai non coincidevano, e il suo migliore amico le mancava.

Per fortuna, in quel momento, la sua vita sentimentale era inesistente. I fidanzati che aveva avuto, anche se non erano stati molti, non erano durati nemmeno sei settimane ciascuno. Quando sapevano dell’esistenza di Harvey, e tutto quello che lui implicava nella sua vita, cercavano una scusa per lasciarla. La vedevano come un peso, perché si poteva quasi dire che fosse una madre single per il suo fratellino.

In un’occasione, uno dei suoi accompagnatori era stato presente mentre sua madre vomitava sullo zerbino all’ingresso di casa, in una delle sue serate etiliche, quando l’aveva vista arrivare con il suo appuntamento della serata. Il ragazzo non l’aveva nemmeno salutata, si era limitato a fuggire a tutta velocità, e di lui non aveva saputo più niente. Forse lei avrebbe fatto lo stesso, se si fosse trovata al suo posto... o forse no. L’unico ricordo agrodolce era Ryan, ma era qualcosa di talmente lontano e doloroso, che preferiva non riportarlo alla memoria.

—Brenda!— chiamò Alice dall’ufficio, tirandola fuori dalle sue elucubrazioni.

L’ufficio della presidenza di Wulfton Hotels e Resorts era situato nel magnifico hotel centrale della catena, il famoso Wulfton di Mayfair. Nonostante i milioni che Alice poteva avere in banca, il suo ufficio era piuttosto austero. Elegante, senza dubbio, ma semplice. Niente a confronto con le vistose fotografie che si pubblicavano di lei in una sontuosa casa a poca distanza dall’hotel.

—Salve, Alice.— La sua titolare non le permetteva di chiamarla come gli altri: signora Blackward. Forse era un modo per dimostrarle gratitudine per averle salvato la vita, ma non andava oltre questo. Alice era una donna che manteneva le distanze.

—Siediti, Brenda.

Lei si rifiutava di chiamarla Bree; solo Brenda, e basta. Davanti allo sguardo impaziente della sua titolare, procedette con la routine giornaliera che ormai conosceva bene.

—Hai un tè al Ritz con Maya Ratyer, la produttrice televisiva che vuole utilizzare l’hotel come set per la nuova serie della BBC. Poi un’intervista al Telegraph. E l’ultima riunione della serata, alle sei e mezza, con Spencer Ellis, il funzionario della Scotland Bank. Quest’ultimo chiede di fare un ricevimento qui, nell’hotel principale...— Continuò a leggerle altri punti nella sua agenda. Una volta la mattina, una la sera; due riunioni obbligatorie con la sua titolare, per coordinare le attività.

Alice riservava alla sua assistente un atteggiamento monotono, anche se era contenta di aver incontrato quella ragazza. Brenda era un gioiello di impiegata: onesta, efficiente e discreta. Preferiva essere dura e severa, perché era un modo per modellare il carattere dei suoi impiegati, anche se con Brenda Russell ̶ forse lei non lo avrebbe mai saputo ̶ era di solito più flessibile. Riteneva triste la storia della giovane. Nei suoi occhi poteva vedere una grande pena, che lei dissimulava con un sorriso professionale e l’entusiasmo di imparare. Alice era a conoscenza della sua vita familiare, anche se la ragazza non lo sapeva.

Il posto di assistente esecutiva implicava conoscere i fatti personali e i dati confidenziali, e a lei non piaceva rischiare, per cui aveva un dipartimento che indagava e verificava i dati. Anche se con Brenda, fin all’inizio, aveva avuto una buona impressione. Non si era sbagliata. Il rapporto delle Risorse Umane, che controllava molto a fondo ogni impiegato, lo aveva semplicemente confermato. Sapendo che la madre di Brenda era costantemente in cura per liberarsi dall’alcolismo e dalle droghe, ed essendo a conoscenza del fratellino, unito al fatto che le aveva salvato la vita, mesi prima, si era sentita motivata a fare sì che lo stipendio della ragazza fosse il triplo di quello che era solita pagare alla sua assistente precedente. E, ad essere sincera, se lo meritava ampiamente.

—Cancella gli appuntamenti della sera, tranne quello con Ellis.— Bree prese nota. —Di’ agli altri che starò fuori tre giorni.

Brenda la guardò, aspettando qualche indicazione. Non ne ottenne alcuna.

—Bene. C’è altro, Alice?

—Sì. Hai chiamato Luke? Ne ho bisogno per la festa di anniversario dei trentacinque anni della catena. È importante che sia presente.

«Il nipote che causava mal di testa ad Alice», pensò irritata, perché lo causava anche a lei. Anche se non conosceva il suddetto, né le interessava farlo,

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