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Le scelte cliniche tra indecidibili e indeterminabili Umberta Telfener

Pubblicato in Psicoterapia come etica a cura di Marco Bianciardi e Felipe Galvez Sanchez, Antigone Milano 2012

La cornice etica Il mio scritto si divider in due parti. Comincer esplicitando un punto di vista sulletica e, come riferimento teorico rispetto a questo tema, scelgo arbitrariamente Heinz von Foerster; costruir pertanto la cornice entro la quale parlare di clinica in maniera che letica venga rispettata senza cadere nellio devo-tu devi. La cibernetica di secondo ordine rappresenta un cambiamento fondamentale non solo nel modo di praticare la scienza ma anche rispetto a come percepiamo linsegnamento, lapprendimento, il processo terapeutico, il management, a come percepiamo le relazioni nella vita quotidiana e a come ci poniamo rispetto al mondo. Do per scontato che il lettore abbia familiarit con questa chiave di lettura, con questo habitus epistemico, che una mia scelta soggettiva, impossibile da imporre. Se in precedenza un osservatore indipendente osservava il mondo (oggettivo) dal luogo di osservazione scelto, oggi un attore partecipante al dramma delle reciproche interazioni - del dare e prendere nella circolarit delle relazioni umane - obbligato a scegliere cosa considerare figura e cosa sfondo. Sar pertanto responsabile delle mie scelte, nella consapevolezza che sono per principio indecidibili e indeterminabili. Nel 1990 lepistemologo Heinz von Foerster, colui che ha pi stimolato noi sistemici su questo argomento, e che considero il mio maestro, viene invitato a Parigi a un convegno di terapeuti sistemici sulletica della cura. Apre la sua relazione ringraziando gli organizzatori, poi, appena ha agganciato la platea nel suo modo abituale, fa presene lingenuit degli organizzatori per aver proposto un titolo secondo lui outrageous, incredibile: per averlo invitato a parlare di etica. Racconta che in America gli chiedevano di cosa andasse a parlare a Parigi. Di etica e cibernetica di secondo ordine, rispondeva immancabilmente, e tutti a quel punto gli chiedevano cosa fosse la cibernetica, come se sapessero esattamente cos letica. Che sollievo questa domanda - dichiara alla platea del convegno - facile parlare di cibernetica, ma impossibile parlare di etica! Nel suo intervento, dopo aver disquisito sulla cibernetica di secondo ordine, von Foerster dice che ora viene la parte difficile, riflettere sulletica. Come farlo? Da dove cominciare? Introduce Wittgenstein, per lui zio Ludwig, e cita due proposizioni del Tractatus, che vorrebbe ribattezzare Trattato etico-filosofico. Lenunciato 6.421 dice: chiaro che letica non pu essere articolata, non pu avere a che fare con premi e punizioni. Dimostra che le persone non rappresentano letica ma piuttosto la incorporano. Letto lenunciato 6.422,

prosegue: Quando una legge etica viene codificata nella forma dovresti..., il primo pensiero cosa succede se non la rispetto? tuttavia chiaro che letica non ha niente a che fare con punizioni e ricompense nel senso usuale del termine. Purtuttavia, vi deve essere una qualche forma di ricompensa e punizione etica, ma queste si devono trovare nelle azioni stesse. Di etica non si pu parlare senza scadere nel moralismo. Il problema diventa quello di essere capaci di far restare letica implicita, di agirla: la lingua e le azioni dovrebbero scorrere nel fiume sotterraneo delletica, in modo che il linguaggio non degeneri in moralizzazione. Come possiamo nascondere letica agli occhi di tutti e permetterle di determinare il nostro linguaggio e le nostre azioni? Fortunatamente letica ha due sorelle che le permettono di essere invisibile, in quanto creano un tessuto tangibile nel quale e sul quale possiamo tessere la trama della nostra vita. Le due sorelle sono la metafisica e la dialettica. La metafisica intesa come le scelte che ciascuno soggettivamente compie, cio le lenti attraverso le quali il singolo sceglie e decide di osservare (la necessit di scegliere rispetto a decisioni che sono per principio indecidibili). Diventiamo metafisici ogni volta che affrontiamo e prendiamo decisioni su questioni indecidibili in linea di principio. Se per esempio qualcuno si domanda se un numero qualsiasi (per esempio 24.356.865) divisibile per 5, la risposta affermativa gi decisa dal sistema binario della matematica occidentale. Se qualcuno si domanda come si sia venuto a formare il mondo, nel rispondere si pu scegliere quale teoria/ipotesi utilizzare. Solo su quelle questioni che sono indecidibili per principio possiamo decidere, non c nessuna necessit proveniente dallesterno che ci forzi a rispondere in un modo o in un altro. Siamo liberi! Lopposto di necessit non possibilit, lopposto di necessit scelta. Ma con questa libert di scelta siamo ora responsabili di quello che scegliamo. Nellottica della cibernetica di secondo ordine e del costruttivismo,1 ci viene restituita la libert di affrontare una situazione, e con essa ci viene restituita la nostra responsabilit. Letica diventa implicita, la responsabilit diventa esplicita; la libert di scelta diventa unopzione e, se la si assume, un regalo del cielo. A questo punto diventa importante riflettere sulle conseguenze operative, oltre che epistemologiche, di questa posizione. Il clinico costruttivista non pu non occuparsi di valori, non pu evitare di prendere una posizione politica e non pu esimersi dallassumersi la responsabilit delle sue azioni. Lavorando con la soggettivit dellaltro e con la propria, con le idee e con le emozioni presenti nella relazione, non si limita pi ad applicare delle tecniche sulle persone. La prima decisione indecidibile se faccio parte delluniverso o se ne sono apart, separato. Lontologia e, chiaramente, loggettivit sono usate come uscite demergenza per coloro che desiderano oscurare la loro libert di scelta e attraverso ci sfuggire alla responsabilit delle loro decisioni scrive von Foerster. - Separare losservatore da ci che osserva lo libera dalla responsabilit di ci che fa: viene cos ridotto a un ruolo passivo (e oggettivo) di macchina, un semplice registratore del processo che ha luogo al suo interno e fuori di lui. Linvenzione delloggettivit e delle gerarchie nelle organizzazioni ha
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Il costruttivismo una concezione integrata dellessere umano, considerato parte delluniverso e coinvolto nel processo di osservazione.

permesso di non localizzare la responsabilit. Per alcuni la responsabilit un peso intollerabile, mentre pi facile dire 'tu devi', 'tu non devi' e dare origine ai codici morali. Il secondo aspetto da prendere in considerazione per agire letica la dialogica, intesa come lo scambio linguistico che impegna almeno due persone (in un dialogo parlo con me attraverso te). luso che del linguaggio si fa per costruire la propria identit e per mantenerla nel tempo nel rapporto con laltro; ma anche la modalit con cui attraverso il dialogo si generano apprendimento e nuove cornici semantiche: Le persone devono diventare poeti e lo diventano attraverso le domande che il clinico fa: importante, per esempio, fare domande che lindividuo non aveva mai pensato in precedenza, in quanto offre la possibilit di uscire dai soliti copioni, di inventare nuove soluzioni. Il linguaggio, quindi, diventa un ambito in cui le persone acquisiscono un senso di s, che viene costantemente riaggiustato nel rapporto con una comunit di osservatori: costituito dai passi di danza della comunicazione, con o senza la musica (i contenuti), dalla sua dialogicit, dallinvito (e dalla necessit) a ballare insieme, dallo scambio che rende le persone, attraverso le domande, poeti e inventori. Affascinante la magia della lingua, la sua circolarit, linvenzione che comporta! L'accesso al linguaggio ha reso l'uomo libero di costruire 'realt' immaginarie, virtuali, desiderate o sognate: il linguaggio inaugura la possibilit di narrare e ri-narrare a se stessi versioni sempre nuove e cangianti della propria esperienza ci ricorda Marco Bianciardi (2010). Le scelte che si compiono su questioni in linea di principio indecidibili e il dialogo che si mette in campo permettono di incarnare letica e di mantenerla come cornice sotterranea. Letica diventa quellambito in cui siamo noi ad assumerci la responsabilit delle nostre decisioni. Ogni volta che agisco nel qui e ora scrive ancora von Foerster non solo cambio io, ma cambia anche luniverso. Questa posizione lega inscindibilmente il soggetto con le sue azioni a tutti gli altri, stabilisce quindi un prerequisito per fondare unetica. Nellinterdipendenza, il clinico potr solo dire a se stesso come pensare e come agire; non potr non restare coinvolto nelle scelte che le spiegazioni contengono, e non potr non essere considerato responsabile di ci che accade negli incontri, in quanto socialmente definito come colui che ha un ruolo sociale, che deve aiutare, e che per questo viene retribuito. Negli anni sessanta-settanta ci si preoccupava della competenza nellapplicare la metodologia nel processo stesso della seduta. Per esempio, erano considerate domande legittime quelle che proponevano di riflettere sulla lealt verso i pazienti in terapia: che fare con le persone che non si presentano in seduta, come gestire i segreti, di cosa si pu parlare di fronte ai bambini Negli anni novanta il discorso sulletica si focalizzato sullabuso del potere terapeutico, sullattenzione alla relazione impari e alle possibili conseguenze nefaste di abusi (anche sessuali) in tal senso. Attualmente il discorso appare completamente mutato, e si focalizza sulla responsabilit e sulle scelte del clinico e su ci che emerge nella relazione durante tutto il processo. Ci si occupa dei pattern che favoriscono o ostacolano la costruzione-creazione di significati condivisi e la creazione di una realt evolutiva. Diventa imprescindibile chiedersi come far emergere una workable reality (una realt terapeutica su cui sia possibile intervenire); come non diventare dottor omeostata; come non arrischiare il rischio del rischio iatrogeno; come non colludere con il

sistema o con lindividuo; come lavorare senza imporre i propri valori.

Le operazioni cliniche Se consideriamo plausibile la proposta di Heinz von Foerster di non vedere letica come una sovrastruttura ma come un atteggiamento nellintersoggettivit, ragionare di clinica significa ragionare di quale atteggiamento tenere nella relazione con laltro (gli altri) che proprio a noi hanno chiesto aiuto. Non si tratta di acquisire nuove tecniche, di inventare nuove teorie per leggere i sistemi e i contesti, si tratta di riflettere sempre di pi sulla nostra operativit e sulle azioni2 che gi conosciamo-eseguiamo, al fine di costruire una prassi evolutiva condivisa e responsabile, e di conseguenza etica. In una prospettiva costruttivista, il terapeuta non sa pi o meglio del paziente: le sue teorie, le sue ipotesi, le sue narrazioni non sono n vere n false, sono plausibili esattamente quanto lo sono quelle del paziente. Ci che le differenzia piuttosto il fatto che le ipotesi del clinico devono porsi e mantenersi su un diverso ordine logico rispetto a quelle del paziente: non al livello dei contenuti di conoscenza, bens a quello dei processi che costruiscono la conoscenza; non al livello (di primo ordine) del conoscere, bens al livello (di secondo ordine) del conoscere il conoscere. Questa relazione implica una doppia posizione, come scrive Fruggeri (1997): La prospettiva costruzionista comporta unosservazione combinata, non tanto di informazioni e di dati diversi, ma piuttosto di due diversi tipi di dati o di informazioni, che appartengono a due livelli logici distinti e reciprocamente implicati, nessuno dei quali , per cos dire, detentore di un primato assoluto () Un metodo cio che suggerisce di assumere, nellanalisi del processo di intervento, un punto di vista binoculare che combini a) losservazione sullutente e sulle sue relazioni significative, con b) losservazione sulla relazione che si stabilisce fra loperatore e lutente, da un lato, e i loro reciproci sistemi di appartenenza, dallaltro. Il clinico non possiede teorie pi vere n pi oggettive, ma si pone su un altro piano: ha bisogno di una maggiore consapevolezza, una consapevolezza non di se stesso in solitudine quanto piuttosto delle operazioni che mette in atto nella relazione con laltro. Una costruzione diagnostica diviene cos la capacit (l'arte?) di scegliere alcuni tra gli innumerevoli elementi che il paziente porta inscritti nella propria realt, e di riconnetterli in visioni pregnanti e significative per l'individuo, valutando come quella scelta possa aprire o chiudere delle alternative. Sono queste costruzioni soggettive che rendono conto del fatto che, tra cento eventuali terapeuti, si instaurano infinite diverse possibilit di percorsi terapeutici, a partire da una stessa sintomatologia. La costruzione di pi livelli di ipotesi costituisce un rituale di modificazione delle mappe cognitive, emotive, relazionali di tutti coloro che partecipano alla danza clinica, nonch del sistema di appartenenza delle persone implicate e conseguentemente dei rapporti intersoggettivi che mettono in piedi. Il terapeuta fa costantemente una serie di scelte basate su alcune operazioni che
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Tra le azioni concrete possiamo annoverare quegli interventi che si traducono nelle parole spese, nelle domande fatte nel corso della conversazione terapeutica, ma non solo: anche bere il t insieme (oggetto transizionale) oppure, con i migranti, accompagnare il paziente da un dottore.

deve necessariamente compiere. Queste operazioni emergono dalla consapevolezza: - di essere parte dei processi costitutivi della realt clinica che coinvolge non solo lui e il paziente ma anche gli altri significativi; - di avere la responsabilit della costruzione del contesto terapeutico, affinch sia evolutivo e processuale (chi scegliere di vedere, quante volte, quando, dove, sottolineando quali tematiche); - di non avere un potere unidirezionale sul gioco che emerger, di far parte di una danza relazionale e condivisa, di limitarsi a fare delle proposte, essendo la danza comune a decidere il significato, attraverso le retroazioni; - di agire attraverso parole e azioni al fine di intervenire sulle relazioni; - di riflettere costantemente sulle azioni eseguite e sulle retroazioni ricevute, al fine di modificare se stesso e i propri comportamenti, qualora ce ne fosse bisogno; - di riconoscere unasimmetria di ruolo: parit umana e personale, trasparenza esperienziale, asimmetria nella responsabilit di ci che accade nel contesto clinico. Descriverei quindi lintervento clinico come quella serie di azioni eseguite da un clinico a) responsabile delle sue azioni, b) consapevole della necessit di scegliere rispetto a decisioni che sono in linea di principio indecidibili, c) attento al proprio linguaggio e alle proprie azioni, d) che mette in atto operazioni sulle operazioni, e) che agisce su se stesso perch incluso nel sistema, f) che aumenta il numero di scelte per s e per gli altri, g) che considera ciascuno libero di agire verso il futuro che desidera (rispetto), h) che valorizza leterarchia computazionale 3 (valori, scelte che possono cambiare nel tempo e non sono organizzate in maniera razionale e logica). Laspetto primario diventa la necessit di assumersi la responsabilit delle parole e delle azioni nel processo in atto, la responsabilit delle operazioni che si propongono e del compito di modificare i comportamenti, in base a quello che emerge dalla danza. Cosa significa responsabilit? Etimologicamente, labilit di rispondere alla situazione che dobbiamo fronteggiare (che deve render ragione delle proprie o altrui azioni; consapevole delle conseguenze derivanti dalla propria condotta, Cortellazzo, Dizionario etimologico, 1985). Quali sono le responsabilit del clinico? Ogni clinico ha una responsabilit sociale determinata sia dal mandato da parte della comunit allargata che dal risultato delle proprie azioni nel mantenere-decostruire strutture di potere. Ha poi una responsabilit tecnica, che consiste nella capacit di considerarsi competente rispetto a un modello soggettivamente scelto; e una responsabilit relazionale che, considerando la relazione lo strumento primario del lavoro, lo induce a riflettere sul significato che le proprie azioni hanno (e hanno avuto) sul paziente e sugli altri significativi nel contesto condiviso. La capacit di includere se stessi nel processo di osservazione degli utenti: entrare in prima persona in rapporto con un altro soggetto al fine di porsi in una posizione di ascolto, di mostrarsi curiosi, di farsi perturbare dallaltro ma, ancora pi importante, di mostrare la voglia-disponibilit-capacit di mettersi in gioco in prima persona rispetto alle categorie e alle azioni che si sono eseguite per intervenire. Poi, la disponibilit a mutare
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Heinz von Foerster considerava uno degli articoli pi importanti degli anni sessanta quello di McCulloch (in von Foerster, 1974) sulleterarchia computazionale. In esso lautore dimostrava che le scelte non sono basate sulla logica ma sullestro del momento, diversamente da come pensano i logici.

personalmente (cambiare le griglie di lettura, rivedere i pregiudizi ineludibili, fare azioni diverse) al fine di contribuire a costruire un contesto che sia evolutivo e processuale; la capacit di mantenersi aperti a esplorare e a mutare le proprie premesse, monitorando i propri pregiudizi, al fine di non cadere in pattern ripetitivi e/o collusivi (di queste competenze bene e spesso ci ha parlato Fruggeri, 1997, 2003). Pi semplice parlare di responsabilit della responsabilit, intesa come la capacit di essere consapevoli di agire i dominii della produzione (le azioni eseguite e riconosciute dalla comunit di appartenenza), delle spiegazioni (le storie di apprendimento costruite relazionalmente) e dellestetica (leleganza morale ed etica con cui le prime due operazioni vengono portate avanti) (Lang, Liddle e Cronen 1990), processi dei quali ci si assunti la responsabilit; si cio diventati responsabili delle singole responsabilit che ho citato. La responsabilit della responsabilit si riferisce al dover rendere conto, per primi a se stessi, del processo di costruzione di realt sociali che si realizzano nell'interazione col problema presentato e il sistema di significati implicato. Non c' bagaglio tecnico n modello epistemologico che possa di per s dare una direzione evolutiva o stabilizzante all'intervento terapeutico: il significato di ci che un clinico fa negoziato attraverso un processo interattivo di cui tutti i partecipanti sono coautori. Ci sono alcune azioni che rappresentano, secondo me, il cuore della responsabilit da parte del clinico: - la riflessivit e le operazioni sulle operazioni di secondo ordine; - affrontare lignoranza e le zone cieche; - tenere sempre presenti possibili esiti indesiderati (collusioni, risonanze, cronicit, rischio del rischio iatrogeno). La riflessivit e le operazioni sulle operazioni. Per recursivit unoperazione nata allinterno della logica matematica - si intende la capacit di computo attraverso la modalit di riflessione sulle proprie operazioni. In questottica, si propone di introdurre losservatore nel dominio di osservazione, mentre Russell e Whitehead avevano bandito tale possibilit in quanto generatrice di paradossi. Loggetto di osservazione consiste nellatto stesso di osservare loggetto, ci ricorda Arnold Goudsmit (1989), e la riflessivit la capacit di usare se stessi per esplorare se stessi, di considerare qualcosa nel contesto di se stessi, di riportare loperazione sulloperazione. Come spiegano bene Laura Fruggeri e Massimo Matteini (1988), non un clinico che osserva il cliente alla luce del suo modello di riferimento, ma un clinico che alla luce del suo modello di riferimento osserva se stesso nellinterazione con il cliente. Le operazioni di secondo livello implicano la capacit di costruire una realt condivisa allinterno di un contesto collaborativo e dialogico in cui sappiamo che quello che diciamo e facciamo pu essere letto in maniera diversa dalle nostre intenzioni, e ci modifichiamo al fine di introdurre informazioni, rintracciando una coerenza. Questo atteggiamento ci porta a parlare di conoscenza della nostra conoscenza, diagnosi della diagnosi, cura della cura, responsabilit della responsabilit. Un flash clinico ci illustra la mancanza di una posizione riflessiva.

Una psicologa in supervisione mi racconta un caso che sta seguendo. Un ragazzo con sintomi fobici, a seguito di tre mesi di lavoro terapeutico con lei decide, dopo molti anni di immobilit, di partire per un viaggio. Parte con una ragazza incontrata da poco e senza dirlo alla fidanzata, che al mare con i genitori. La mia allieva definisce la ragazza con cui lui parte la sua amante. Che significato ha questa definizione? Non sta definendo anche lei, inconsapevolmente, una gerarchia tra le due donne? Se inavvertita, questa definizione pu essere collusiva e pu dar voce a unidea tacita del ragazzo che questa donna sia di serie B; pu altres essere letta come una diminuzione di questa nuova donna da parte della psicologa, che sembra disapprovarla. Se il commento invece fatto in maniera strategica, pu assumere un significato completamente diverso.

Scrive Bianciardi (2010): Ritengo che la necessit di una conoscenza di secondo ordine sia una caratteristica formale della relazione psicoterapeutica: una caratteristica formale e caratterizzante la quale pu essere considerata indipendente dalle teorie, dai contenuti, dalle procedure dei differenti approcci e metodi clinici. Ogni rapporto clinico, ogni modello clinico sembra imporci di assumere questa posizione. Affrontare lignoranza e le zone cieche. Latteggiamento epistemologico implica lassunzione di pi posizioni rispetto al sapere. Nello specifico, oltre alla consapevolezza di sapere di sapere (ci che sappiamo di conoscere, riflessivit e consapevolezza) e di sapere di non sapere (ci che sappiamo di ignorare e che ci spinge a essere curiosi) - atteggiamenti che ci conducono naturalmente verso il processo di ipotizzazione siamo anche consapevoli di non sapere di sapere (ci che emerge nellintuito e che non sotto il nostro controllo) e di non sapere di non sapere (le zone cieche a cui non possiamo sfuggire, punti ciechi inevitabili rispetto ai quali non possiamo che attendere le retroazioni, per poi cambiare per primi noi stessi). Se diamo ragione a von Foerster e alla sua ipotesi che abbiamo a che fare con inconoscibili e indeterminabili, diventa imprescindibile fare i conti con la nostra ignoranza e con gli imprevisti. Come gestire lineludibile ignoranza di fronte alle situazioni? utile, a mio parere, rendersi conto che possiamo avvicinarci unicamente alle situazioni cos come si presentano a noi, senza aspettarci di conoscere bene o meglio un sistema. Dobbiamo accontentarci della nostra ignoranza ed espanderla ulteriormente: non tanto indagare per far emergere quello che non si sa, quanto andare in aree sconosciute, permettendo linsorgenza di copioni nuovi, tollerando il dubbio e non pretendendo di tutto controllare. Abbandonare soluzioni deterministiche. Non domandare per sapere ma piuttosto domandare per perturbare, per far accadere qualcosa nel qui e ora del contesto terapeutico. Ce lo hanno ben detto i teorici costruttivisti, latteggiamento classico sul non sapere fa pensare di aver individuato il problema e di non conoscere la soluzione. Unepistemologia cibernetica propone che a essere ignorata non sia solo la soluzione ma anche la portata dei problemi. A mio parere, approfondire il modello sistemico implica accettare fino in fondo lidea che siamo anche ignoranti: il nostro conoscere sempre incompleto, provvisorio, autoreferenziale, il nostro sapere comporta unignoranza costitutiva e ineliminabile che non sotto la nostra giurisdizione. L'osservazione implica comunque un punto cieco, come ben dimostrava Heinz von Foerster, praticamente, nei suoi seminari. Non possiamo

quindi fare affidamento su una pianificazione top-down n basarci solamente su ci che sappiamo: la nostra comprensione degli eventi incompleta, e va bene cos, in quanto proprio questa incompletezza ci permette di fidarci del nostro intuito, di avventurarci in aree sconosciute, di affiancare tecnicismo e creativit, di allontanarci da un percorso ripetibile e banale, sempre uguale. Mi sto riferendo alla necessit che il clinico, abbandonando il mito del controllo, si accontenti di un sapere provvisorio e si adoperi per non comprendere troppo presto e non saturare la conoscenza del sistema. Che si fidi anche delle capacit di autoguarigione del sistema. Che cosa determina considerarsi anche ciechi, oltre alla libert di fidarsi dellintuito, di star bene in situazioni che non sono sotto il nostro controllo e di fidarsi degli altri, permettendo loro di esplorare? - Rinunciare alla propria expertise; - rinunciare allidea di conoscere il sistema; - tollerare lansia di rimanere in territori sconosciuti; - creare una workable reality, far accadere i processi durante la seduta; - rinunciare a controllare il sistema osservante; - acquisire un atteggiamento di ricerca attiva (che ha sostituito per me il concetto - di curare); - monitorare costantemente la possibilit di entrare in risonanza; - Tenere sempre presenti possibili esiti indesiderati. Qui ha inizio la parte di questo scritto a cui tengo di pi, quella su cui focalizzo con insistenza, in quanto considero questo argomento uno dei pi importanti del nostro agire etico, spesso dato per scontato o trascurato. Sistema non ci che esiste in una realt fuori di noi, ma unecologia di idee che emerge da ci che contribuiamo a far emergere insieme con i nostri utenti e con gli altri significativi, che possono essere medici, altri operatori, parenti e amici degli utenti e nostri colleghi e supervisori, che tutti insieme determinano significati e azioni e ne vengono determinati. Nel caso di un percorso terapeutico, non solo ci che viene scelto dal terapeuta come terapeutico ad avere degli effetti terapeutici, ma anche ci che pu risultare di contorno o del tutto inutile, ci che si fatto ma anche le strade non intraprese. I terapeuti, attraverso unattenta strategizzazione, si impegnano a raggiungere un obiettivo terapeutico. Il nostro focus il pattern che connette il sistema consulente al sistema committente, attraverso un processo che mette in atto spinte sia verso la stabilit che verso l'evoluzione. Il cambiamento emerge da una coordinazione di una coordinazione tra persone, allinterno di uno spazio di discorso condiviso. Le parole e le azioni che facciamo e che non facciamo costruiscono la danza interattiva e possono portare o non portare gli effetti desiderati, proprio in virt del fatto che, in un processo di cocostruzione, non solo il terapeuta a determinare gli effetti di ci che accade, ma sar anche e soprattutto laltro ad attribuire un senso a ci che viene espresso, retroagendo sulla base di questo senso attribuito (Fruggeri, 1999). I successi e i fallimenti non dipendono unilateralmente dal clinico o dal sistema che chiede aiuto, ma emergono allinterno della storia della relazione e del loro reciproco incontro. Emergono dalla

coordinazione della coordinazione di azioni e significati. Non ci sono procedure oggettive in psicoterapia, e quello che sar chiaro e autoevidente alla fine di una terapia sostiene Goudsmit (1989) non prevedibile prima dellincontro psicoterapeutico. Alla luce di quanto affermato, o ci si arrende, disperando di poter sapere dove si deve andare, o si considera terapeutico il semplice entrare in un sistema (come aveva supposto il costruzionismo sociale in una prima fase; si veda Anderson e Goolishian, 1988), o ci si pone nella posizione di intendere il colloquio terapeutico come un continuo e costante intervento di secondo ordine, durante il quale il terapeuta si interroga costantemente su quanto sta accadendo, sia a livello delle proprie premesse generali, sia a livello delle azioni terapeutiche concrete (ad esempio la scelta di una domanda pi che di un'altra, di un tema, di un percorso). Secondo questultima proposta, si effettua una continua valutazione degli effetti delle azioni passate e in corso, per costruire nuovi piani d'azione, per anticipare le conseguenze di varie alternative, e per decidere come procedere in ogni particolare momento, ma ci si lascia anche trasportare dalla corrente e ci si fida del processo e della relazione che si stabilita, al fine di massimizzare l'utilit terapeutica. I comportamenti del clinico non hanno un effetto costruttivo di per s, n in positivo (evoluzione) n in negativo (patologia). Hanno effetti all'interno delle definizioni o rappresentazioni condivise sul piano relazionale e sociale. Gli esiti degli interventi emergono cio da un gioco interattivo in cui il clinico non il solo soggetto attivo e in cui, peraltro, le rappresentazioni sociali che informano i comportamenti non hanno per oggetto soltanto la figura del terapeuta. Le conseguenze non volute sono l'esito di unazione congiunta, non riferibile ai singoli individui, ma non sono neanche causate da fattori esterni. I partecipanti all'interazione hanno un ruolo attivo nel formare il percorso dell'azione congiunta, ma il percorso stesso contingente, processuale e storico. Quali sono gli esiti indesiderati? Non certo gli errori, che allinterno della cornice cibernetica sono segnali che possono aiutare il clinico a correggere la sua strategia (si espletano nel dominio dei comportamenti, e sono dei segni). impossibile, anzi errato proporsi di non fare errori: la possibilit dellerrore non si distingue dalla possibilit stessa della conoscenza. Si fanno errori rispetto a una determinata teoria che sola pu dirci che cosa considerare come rilevante o meno, che cosa perseguire o evitare, che cosa giusto e che cosa sbagliato. La base per lautocorrezione cibernetica deriva dalla possibilit di generare errori e differenze che permettono di modificare i propri comportamenti (Keeney, 1985; Telfener, 1985). Neppure limpasse pu considerarsi un effetto indesiderato, in quanto inevitabile, una situazione difficile in cui ci si viene a trovare quasi allimprovviso e a volte inspiegabilmente: un punto di biforcazione che non avevamo previsto e che ci obbliga a prendere una via alternativa. usualmente il risultato della storia di quella terapia, dellincontro tra paziente, clinico, modello di intervento, contesto e narrazioni emerse; si dipana nel tempo e nello spazio segnalando la necessit di ripensare al proprio operato, e pu dare origine a momenti evolutivi importanti. difficile anche considerare gli insuccessi come eventi indesiderati. Quello che pu essere un successo per un membro del sistema terapeutico, pu essere letto come insuccesso da un altro membro. Non ci sono quindi insuccessi oggettivi, ma solo insuccessi riferiti a un particolare punto di vista

(Telfener, 1996). Cos i dropout (abbandono della terapia non contrattato che avviene di solito entro le prime sedute), vere e proprie fughe, pi o meno inspiegate, che possono risultare terapeutiche, quando con la sola perturbazione iniziale la situazione evolve, oppure non terapeutiche, quando le cose rimangono uguali o peggiorano. Anche la risonanza inevitabile. Si tratta delle reazioni emotive, spesso inconsapevoli, a situazioni, eventi, traumi affettivi emersi dalle storie degli utenti, che richiamano aspetti personali non elaborati nella storia personale del clinico, fatti o emozioni che non prende in considerazione e che lo rendono cieco. Entrare in risonanza significa non accorgersi di alcuni eventi, essere ciechi ai propri stati danimo rispetto a quegli eventi e non cogliere le stesse sfumature che colgono gli altri. (Il rischio della risonanza viene risolto attraverso il lavoro del team, la super/pari-visione, la riflessione comune.) Fanno parte invece degli unintended events quelle situazioni che accadono e ci prendono la mano: un momento in cui ci troviamo paralizzati perch troppo invischiati, perch abbiamo perso la nostra autonomia e pensiamo come pensa il sistema che ha chiesto aiuto, quando non vediamo alternative al pattern usuale di comportamento, quando abbiamo perso la nostra curiosit o costruito una situazione immutabile; quando si persa la processualit, intesa come la possibilit di andare avanti, di svolgere ci che accade come se fosse un nastro. La collusione la spinta a stare al gioco dellaltro, l'aver accettato il suo punto di vista e trovarsi invischiati in un gioco che non evolutivo: si perde lo sguardo individuale a favore di quello collettivo; si vedono solo alcuni aspetti; si fotografa la realt, la si blocca; si perde la spinta strategica; si mettono in campo pensieri/azioni che invece di far evolvere la situazione reificano lo status quo. La collusione accade quando a) si cade nella patologia, non la si vede in maniera evolutiva; b) si cade negli interventi ortopedici; c) ci si occupa solo del sistema osservato; d) si perde la dimensione temporale e contestuale; e) si mantiene una relazione di potere; f) si cade nei protocolli, perdendo la curiosit; g) si ridefinisce positivamente a tutti i costi, senza com-prendere; h) si aderisce eccessivamente alle indicazioni del modello teorico; i) si comprano le ipotesi del sistema; l) si cade in una logica dellemergenza; m) si salta lanalisi della domanda o si offre terapia nelle situazioni in cui non c una domanda esplicitata; n) si cade nella normativit; o) non si consapevoli delle mappe utilizzate per leggere le situazioni, e quindi non si disponibili a metterle in discussione. Si ha cronicit quando una mappa di patologia viene condivisa da tutti i componenti della rete relazionale che comprende il cliente, i familiari, i curanti, gli invianti: quando tutti sono daccordo e non c pi nessuno scambio di informazioni. Il rischio del rischio iatrogeno (iatreia = cura medica; gignomai = nascere) laltra conseguenza inattesa che emerge dai processi interattivi (anche quando il modello viene applicato correttamente) e deriva dalla pratica della cura, indicando situazioni in cui si ipotizza che il peggioramento non sia dovuto alla personalit delle persone in cura ma sopravvenga a seguito delle operazioni del curante. Se pensiamo che gli umani e le situazioni sono in costante divenire, il ruolo delloperatore diventa quello di non bloccare

il cambiamento. Non dobbiamo spingere verso una nuova organizzazione, ma dobbiamo stare attenti a come gli interventi che proponiamo possono fermare-staticizzare una situazione oppure renderla evolutiva. I sintomi pi frequenti in questi casi sono un aumento dellansia, senso di sgretolamento di s, senso di trasparenza, pensieri di incapacit e inadeguatezza. Il rischio non quindi che il terapeuta ignori qualcosa delloggetto di conoscenza (questo inevitabile e salutare), il rischio che ignori qualcosa di s, ovvero ignori le caratteristiche costitutive di potenzialit e di riduttivit dei propri percorsi e delle proprie modalit conoscitive in rapporto a quelle dei clienti. Che ignori la propria ignoranza. Questo confondere i propri mezzi conoscitivi con la realt la radice di ogni possibile rischio di un danno iatrogeno. Direi che il rischio iatrogeno pu essere messo in relazione a due fattori: unepistemologia implicita secondo la quale losservatore separato dallosservato, e una teoria che prevede e descrive tappe normative che una persona dovrebbe superare per arrivare alla sanit o alla maturit. Riconoscere il rischio di poter diventare dottor omeostata, di avere ineluttabilmente dei punti ciechi, di non sapere di non sapere, di poter colludere col sistema, porta a operare senza memoria e senza desiderio e a non porsi lo scopo di attuare una correzione morale, n una riabilitazione psicologico-normativa. Un flash clinico:
Maria una donna di trentacinque anni con un figlio appena nato. stato fatto nascere anticipatamente perch lei era molto agitata, insonne e con idee di riferimento. Mi contatta quando il figlio ha venti giorni, e viene convocata col marito. Si mostra confusa, eccessivamente accomodante verso di lui, poco esplicita circa i suoi timori. Dice quello che il marito vorrebbe sentirle dire, d tutto il potere a lui e non sembra rendersi conto del nuovo nato, che ha affidato a una badante e che definisce un peso. La seconda volta viene convocata insieme al marito e ai genitori, e il suo comportamento appare molto diverso. Sembra presa in mezzo tra due alleanze, propende esplicitamente per le opinioni dei genitori, tende ad accondiscendere, trascurando, almeno apparentemente, il marito. In entrambe le situazioni non ha un suo punto di vista e appare molto sospettosa; continua a non trattare il tema della nuova maternit. Come intervenire per prendere in carico la coppia, per costruire attorno a loro un confine, per ridare competenza a entrambi, per recuperare le loro risorse? Come non cadere nella trappola di criticare la donna, che trascura il figlio in maniera evidente? Quando la coppia viene inviata allospedale pubblico di riferimento per farsi aiutare con i farmaci per la sua sospettosit, su indicazione del clinico e previo colloquio tra i curanti dei due setting (terapeutico e ospedaliero), non incontra lo psichiatra di cui ha il nominativo ( in malattia) ma un altro, che dopo il primo colloquio dichiara la propria intenzione di incontrarsi con il padre e il marito, per esplicitare la situazione e la diagnosi, escludendola dal processo. 1. Lintenzione di vedere padre e marito, tenendo fuori lei e la madre, collude con limportanza che le due donne danno agli uomini e con la loro impotenza manifesta; 2. si rischia di squalificare ancora di pi la donna, che gi delega se stessa agli altri; 3. lintenzione dello psichiatra di dichiarare la diagnosi di psicosi potrebbe bloccare la situazione, definirla attraverso unetichetta che tender a rimanere indelebile nel tempo; 4. essendo il padre della ragazza (medico) in lite col marito di lei (operaio) e avendo la famiglia di lei sempre protetto la figlia da ogni responsabilit, si rischia che la diagnosi offra ai genitori una buona scusa per farsi carico nuovamente di Maria e del

nipote, abbandonando il marito al suo destino. Lo psichiatra sembra avere una visione lineare e causale della malattia, in accordo con il suo training formativo, unidea oggettiva dei sintomi, che possono essere monitorati e controllati attraverso i farmaci (intervento istruttivo) e la presa in carico della paziente da parte degli addetti ai lavori. Diventa pertanto necessario che lo psicoterapeuta contratti con lo psichiatra una condotta che non reifichi il problema e offra a marito e moglie una spiegazione evolutiva dei sintomi e della situazione.

Pi passa il tempo, pi faccio supervisione in contesti diversi, pi mi accorgo che clinici anche ben formati non prendono tempo per riflettere sulla loro partecipazione a quello che succede nel processo e non prestano sufficiente attenzione alla rete che emerge attorno a ogni singolo caso. Partecipano cos a un processo che diventa sempre meno evolutivo, e in questo modo perdono la possibilit di rispettare le esigenze etiche del processo denominato intervento clinico o psicoterapia.

Conclusioni Potremmo chiamare relazionale questo atteggiamento verso letica, e aggiungere che esso esclude totalmente la possibilit di chiamarsi fuori, di fare una diagnosi da un luogo privilegiato di osservazione senza occuparsi delle conseguenze delle proprie azioni (come abbiamo visto nellesempio, il rischio di fare una diagnosi e comunicarla a una sola parte del sistema). Spero che si sia compreso che la mia proposta quella di considerarsi ineludibilmente parte del processo, osservare le retroazioni, e se non ci piace ci che emerso, mutare il nostro atteggiamento, il nostro modo di essere con laltro/con gli altri. Ne consegue che lo psicoterapeuta deve sapersi e riconoscersi non solo responsabile nel senso classico secondo cui ogni professionista responsabile della corretta applicazione del proprio metodo e delle tecniche che tale metodo prevede. Lo psicoterapeuta deve anche, e soprattutto, sapersi responsabile come persona, e responsabile in prima persona, di quanto avviene nellincontro con laltro e dellesito che tale incontro avr. Lo psicoterapeuta in ogni caso responsabile di come la relazione si definisce ed evolve nel tempo; e, daltra parte, le caratteristiche specifiche della relazione psicoterapeutica comportano che il buon esito del trattamento non possa essere garantito dalle teorie e/o dalle tecniche, n dalla loro corretta applicazione. Per questo, in quanto psicoterapeuta, lo psicoterapeuta responsabile in prima persona (Bianciardi, 2010). La responsabilit del terapeuta diventa una responsabilit soggettiva e personale, ed in questo senso che la psicoterapia deve essere intesa come pratica etica. Un'ultima riflessione: perch questo avvenga, il clinico deve poter passare dal potere al rispetto. Forse la pi importante accezione del termine cambiamento nellottica sistemica proprio quella di rispetto. Se un terapeuta sistemico si avvicina alla persona come un professionista consapevole della dialettica caos/ordine, stabilit/cambiamento, disponibilit/ritrosia, questo equivale a nutrire un profondo rispetto sia per se stesso e per

i propri pregiudizi/premesse, sia - e soprattutto - per la persona, con la sua richiesta di aiuto, i suoi sintomi, la sua storia e i suoi profondi legami con un bagaglio di pensieri e comportamenti che un senso adattativo hanno avuto e che, tra l'altro, potrebbero tornare nuovamente utili in futuro, proprio sotto quella stessa forma che, al momento dell'incontro con il terapeuta, crea invece disagio. Ho parlato della possibilit di costruire una prassi processuale, evolutiva ed etica. Vorrei finire con un imperativo etico del mio maestro Heinz von Foerster che ha costituito per molti di noi uno stimolo alla libert di pensiero e di azione, fondamentale nella prassi lavorativa: Agisci sempre in modo da aumentare il numero delle scelte tue e altrui.

Riferimenti bibliografici Anderson H. e Goolishian H. A., Human Systems as Linguistic Systems, Family Process, vol. 24 (1988). Bianciardi M., Evoluzione del pensiero sistemico e pratica clinica, Riflessioni Sistemiche, N. 2 (2010). www.aiems.eu --e Telfener U., Ammalarsi di psicoterapia, Angeli, Milano 1995. Foerster H. von, Cybernetics of Cybernetics, Biological Computer Laboratory, Urbana 1974. --Ethics and Second Order Cybernetics. Relazione al Congresso internazionale thique, Idologies, Nouvelles Mthodes, Parigi 4-6 ottobre 1990. Fruggeri L., Famiglie, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1997. --Il modello sistemico. Dalla terapia della famiglia agli interventi in contesti complessi, in O. Codispoti e C. Clementel (a cura di), Psicologia clinica, Carocci, Roma 1999. --Different Levels of Analysis in the Supervisory Process, in D. Campbell e B. Mason (a cura di), Perspectives on Supervision, Karnac, London 2003. --e Matteini M., Larger Systems? Beyond a Dualistic Approach to the Process of Change, The Irish Journal of Psychology, N. 9, pp. 184-94 (1988). Goudsmit A., Lauto-organizzazione in psicoterapia (1989), Guerini, Milano 1995. Lang P., Liddle M. e Cronen V., The Systemic Professional Domains of Action and the Question of Neutrality, Human Systems, vol. 1, pp. 39-55 (1990). McCulloch W. S., A Heterarchy of Values Determined by the Topology of Nervous Nets, in von Foerster (1974). Telfener U., Gli errori in terapia familiare sistemica: uno strumento di apprendimento, Archivio di Psicologia Neurologia Psichiatria, N. 3-4, pp. 513-30 (1985). --Gli insuccessi della terapia, in F. Piccini e D. Bavestrello (a cura di), Insuccessi in psicoterapia, Angeli, Milano 1996. --e Casadio L., Sistemica. Voci e percorsi nella complessit, Bollati Boringhieri, Torino 2003.

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