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1.

Platone: il CRATILO: orthtes onoma

Dialogo che si pu collocare a cavallo tra la fase giovanile e quella della maturit della produzione platonica. Si discute sul problema dellorigine del linguaggio: per conoscere le cose bisogna prima di tutto conoscere i nomi che le indicano? oppure no? e che rapporto c tra linguaggio e realt?

2. Il Cratilo e i suoi PERSONAGGI

Ermogene: un fedele discepolo di Socrate, che compare anche nel Fedone: egli espone la teoria convenzionalistica, che era sostenuta dai Sofisti e da Democrito.

Cratilo: un filosofo eracliteo di cui Platone, come riferisce Aristotele, stato discepolo negli anni giovanili: egli difende il naturalismo linguistico, sostenuto da Eraclito e da Parmenide. Socrate: il portavoce di Platone, e qui non accetta integralmente nessuna delle due tesi, entrambe le quali portano a conseguenze assurde; la sua originale teoria andr dunque letta tra le righe.

3. La tesi di ERMOGENE

I nomi sono imposti liberamente alle cose in virt di un accordo tra gli uomini. Questa teoria presenta il vantaggio di poter spiegare perch presso popolazioni diverse si usano nomi diversi per indicare una stessa cosa. La conseguenza di questo che non si pu conoscere la realt se non per mezzo del linguaggio.

4. La tesi di CRATILO

Il linguaggio naturalmente prodotto dallazione causale delle cose. Tra i nomi e le cose c quindi un rapporto necessario: il linguaggio riflette in s la natura delle cose, per cui dire il nome significa dire la cosa.

Ci fa s che che il linguaggio ci fa conoscere immediatamente (cio senza nessuna mediazione o difficolt) la realt.

5. SOCRATE contro ERMOGENE

Seguendo la posizione convenzionalistica, la verit delle cose sarebbe relativa al singolo soggetto ed alle sue percezioni, proprio come sosteneva Protagora (luomo misura delle cose). Ma per i Sofisti non possibile stabilire un criterio di verit. La conseguenza di questo che tutto ci che si dice vero.

Il linguaggio non pu essere il prodotto arbitrario di una convenzione, sia pure concordata, altrimenti dovrebbe essere sempre esatto; ma lesistenza dellerrore dimostra che questo non possibile.

6. SOCRATE contro CRATILO

Anche seguendo la tesi del naturalismo linguistico si cade nella stessa contraddizione vista in precedenza.

Se il nome ci fa conoscere immediatamente la natura della cosa, vuol dire che il linguaggio sempre esatto, e ogni cosa che si dice, per il fatto stesso che si dica, vera.
Ma questo semplicemente assurdo; lesistenza dellerrore innegabile.

7. Riflessioni finali di SOCRATE

Non possibile che il linguaggio sia prodotto di convenzione e che i nomi siano imposti ad arbitrio. Come ogni strumento deve essere adatto allo scopo per il quale stato costruito, cos il linguaggio deve essere adatto a farci conoscere la natura delle cose. Non c dubbio che ogni nome debba avere una certa correttezza (orthtes), cio deve esprimere, per quanto possibile, per mezzo di lettere e sillabe, la natura della cosa significata (es.: miagolio). Ma non tutti i nomi hanno questa caratteristica; quelli dei numeri, ad esempio, sono puramente convenzionali. Non si pu sostenere che la conoscenza dei nomi sia anche conoscenza delle cose, che non ci sia altra via per indagare e scoprire la realt se non quella di scoprirne i nomi, e che non si possano insegnare che i nomi stessi. I nomi infatti pre suppongono la conoscenza delle cose: i primi uomini che li hanno trovati dovevano conoscere le cose per altra via, dal momento che non disponevano ancora dei nomi. Anche noi, per giudicare della correttezza dei nomi, non possiamo appellarci ad altri nomi, ma dobbiamo ricorrere alla realt di cui il nome segno, immagine.

8. La teoria platonica del LINGUAGGIO

Il criterio per giudicare la correttezza delle parole ci porta a cercare, al di l delle parole, lessenza stessa della realt. Platone non attribuisce la produzione del linguaggio alla natura stessa delle cose: lo ritiene, con i convenzionalisti, una produzione delluomo, ma allo stesso tempo ammette che questa produzione non arbitraria, ma diretta (fin dove possibile) alla conoscenza delle essenze delle cose (IDEE). Se esistono, come stato dimostrato, la verit e lerrore, bisogna concludere che le cose esistono in se stesse, possiedono unessenza stabile e assoluta, perch non dipendono da noi.

9. La genesi della TEORIA DELLE IDEE

Lepisteme (scienza assoluta) ha i caratteri delluniversalit, dellassolutezza, delleternit, della necessit e della perfezione (Platone come Parmenide). Conoscenze di questo tipo esistono: lo dimostrano le verit logiche e matematiche, che sono valide per tutti e per sempre (il cerchio ha tutti i punti equidistanti dal centro, le parallele non si incontrano mai, luguaglianza non la diversit, la parte minore del tutto, ecc.), indipendentemente dal fatto se vengano o non vengano conosciute o pensate. Ora, se esistono conoscenze assolutamente vere, esisteranno anche dei conosciuti assolutamente reali, cio degli oggetti che si pongono di fronte ad un soggetto, aventi le stesse caratteristiche che si ritrovano nelle conoscenze suddette (universalit, assolutezza, eternit, necessit, perfezione). Affinch ci sia conoscenza, e non vaneggiamento della mente, necessaria lesistenza di un contenuto conosciuto.

Siccome il pensiero riflette sempre lessere cos com in s (realismo gnoseologico), e siccome esistono conoscenze assolutamente vere, loggetto di queste conoscenze non pu venire alluomo dalla conoscenza sensibile (doxa = opinione), perch nel mondo sensibile troviamo oggetti particolari, dipendenti da noi che li conosciamo, mutevoli, contingenti ed imperfetti.
Gli oggetti di queste conoscenze devono essere le IDEE (eidos, ousia), modelli ideali perfetti e assoluti, che non esistono per noi, ma in s, e non fanno parte del mondo sensibile, ma del mondo intelligibile, cio sono trascendenti e separati dal nostro mondo. Luomo conosce le idee con gli occhi della mente, cio la conoscenza che luomo ha delle idee innata, a priori.

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