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CONGEDO EDITORE
GALATINA, 1994
A mia madre, che fece in tempo a vedere il mio libro con la dedica per lei
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L’ULTIMO CANTO D’AMORE
A Màlia
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Non occorre di là un letto disfatto
per convincermi di un uomo che è solo
e poi c’è sul muro appesa una giacca
che ha lasciato mio padre
la userà non appena mattino
si curerà di svegliarmi
con i suoi scoppi di tosse
e le frasi urlate
a rimbombare la casa
annunciando che il giorno è arrivato
e che a quell’ora i “cristiani”
han già fatto il lavoro
mi volterò imprecando nel letto
ma che rozzo mio padre
e... neppure educato!
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lu mele ca me esse te la ucca
lu focu ca me arde intra llu core
sulamente tte passa ddha paura
ca nu è paura lu sacciu
è lu bene ca porti pe’ mmie
ca te face stare ore alla finescia
puru cu mme viti quarche fiata te luntanu
SEZIONE GRAMSCI
A Cesare e Pierino
Ci portiamo chitarre
in silenzio di notte
più tristi senza senso a cantare
parole su e giù per le strade
di giorno gli amori non fatti
È da un mese che non ti vedo / e quasi quasi non mi ricordo / più amore mio / degli occhi tuoi del
naso / della bocca dei capelli / dorati che porti / di te che mi stai facendo / tanto sospirare.
Qui vicino quanto ti vorrei / al mio fianco che mi guardi / che mi leggi dentro agli occhi / i pensieri
più nascosti che tengo / quelli che mi vengono in mente di sera / quando sono solo e parlo alle
pareti.
Quanto vorrei adesso proprio adesso / un bacio forte da darti / anche per farti assaporare / il miele
che mi esce dalla bocca / il fuoco che mi arde nel cuore / solamente perché ti passi la paura / che
non è paura lo so / è il bene che porti per me / che ti fa stare ore alla finestra / solo per vedermi
talvolta da lontano.
È da un mese che non ci passo più / ma me ne sto nascosto dietro un albero di pino / della piazza
dove tu ti affacci / aspettando notte e giorno / sotto l’acqua sotto il sole / se per caso ti vedo
scendere / per afferrarti e non lasciarti più.
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vaghi sogni di bravi ragazzi
più teneri agli occhi di Gramsci
sopra noi grandi grandi
lotte esortano passioni
Marie che vorremmo amanti
di versi come noi bruciate
mute cantatrici stanotte
ironiche incantate
disponibili bocche ai sospiri
per loro in questa vecchia sezione
cantiamo di gente impetuosa
infuocati antichi discorsi
predicati per vane speranze
siamo rimasti solo noi stanotte
con le nostre chitarre tristi
parole senza senso a cantare
sgranate senza vino
svenate di malinconia
A PROPOSITO DI UN MURALES
Aiuto pianto ho gridato
Gigi stamane Franco Nicola
impotente solo
non c’eravate stamane la mano
dell’operaio cancellava
mani di altri operai
contorte le bocche di rabbia
pugni alzati contro il potere
ma sereni gli occhi
tali dei bambini curiosi
sotto gonne di madri emancipate
cancellava la bandiera rossa l’operaio
cancellava le fabbriche
i fiori di primavera l’operaio
e gli sbirri nei volti di morte
d’Italia di Spagna del Cile
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e gli scudi e gli elmi e i manganelli
vani contro il mare impetuoso della storia
valanghe di lotte le ore a travolgere
i giorni e i secoli e gli anni
centomila anni dopo Carlo Marx
SAINT MICHEL
Questo tavolo all’aperto
d’un caffè al Quartiere Latino
è un premio alle strade
ombre di ciabattini fornai
maniscalchi d’altri tempi
premio alle boutiques restaurants
approntati per barbari alla moda
un premio ai soldi non spesi
centellinati per un disco di Brassens
È un premio la vecchia
ubriaca che scola bottiglie
schiumanti sui denti ineguali
e arranca la vecchia nella bocca bavosa
in pupille di marmo imprecanti
cariatidi a scrutare orizzonti
sotto lerci capelli Gorgone
ma non è grata a passanti ostili
a complici miei falsi sorrisi
accennati a saluto la vecchia
sorrisi di un uomo pacato
la strizza in un pugno la mia dignità la vecchia
e ne sento lo schianto sull’asfalto bordeaux
aguzzini con la mia maschera
in un bordello gliel’hanno rubata
il giorno che abbandonò la cascina
per un completo alla moda
era bella la vecchia
è bella la vecchia
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ma non basta un sorriso
a riportarla sulla terra d’un tempo
dove mani callose sterravano
quella vita che non sa di baratto
1980, Parigi
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RENDEZ-VOUS
Grande bello è il nuovo Roussy2
albergo a vedersi vetrate
luminose s’aprono
d’incanto nell’immensa hall
acquari rampicanti poltrone
velluto gialle rosse arancioni
pareti familiari l’avorio
malato non più
tipico scrostato da occhi
muti pensieri in attesa
tanfo di alcool non più
a penetrarti lo stomaco
rumori e voci sommesse
un senso di calma
gioia quasi sorrisi
attenderti sempre dovunque
di mestiere non importa
la musica perfino
ad ogni angolo irreale
ombre amiche di facce
lontane stampate sui muri
vive per farti scordare
la voglia di morire
1980, Parigi
AMICO MIO
A Giampietro
2 L'Istituto Gustave Roussy di Parigi, il più grande centro europeo di cura e ricerca sul cancro. Il
nuovo complesso è stato inaugurato nel 1980.
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qui e là deliziosi
bruni eduli funghi
verdi asparagi dei ceppi adombrati
segreti forse pensieri chissà?
Io nella tasca di terra
una manciata t’avevo
portato come sempre della mia
per te ad esplorare
curioso i profumi
colori e sapori
i sudori di mio padre perfino
e quello mio
asciugato dal fresco del mattino
Una volta svegliato t’avrei
all’alba a rubare con Lucifero
i bianchi primi fiori del tabacco
in un silenzio rotto da foglie spezzate
a tempo come musica a trovare
un senso a questa fatica
il castigo di qualche dio
Che me ne faccio della terra ora
alla fabbrica mi dicono
non torni chissà dove sei
non so neppure dove abiti
ti ha rubato una bella forse ti ha rubato
oh io non ho fatto in tempo
a nascondermi i sogni
che erano le tue grandi parole
i padroni abbasso i padroni
una donna la stessa donna innamorare
In quel tratto assolato ogni giorno
si fanno i miei pedali più lenti
a tuo padre non oso
chiederti al suo taciuto silenzio
il suo sguardo mi basta
accompagnarmi alla ripida curva
un rumore fra poco
mi suonerà per le vie
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di questo odioso paese
di passi perduti
COLLEMETO
Paradiso perduto
terra mia
ora che sui volti ti rivedo
di generosi uomini scuri
guardinghi nascosti nei tratti
d’avi antichi greci ammalianti
nel barocco di palazzi e di chiese
di parole e di gesta animate
pietanze d’un vino gagliardo
su tavole di pani e di odori
ca intra ‘ll’osse te tràsanu
intra ‘llu sangu te tràsanu3
nei demoni guerrieri alle porte
di Troia in fanciulle scazzicate4
d’amor follie tarantolate
TIMIDI SPOSI
Timidi sposi
Bruno e Rosina
d’un muto assolato giorno d’agosto
aspettando la vita
che squarcia silenzi lunghi serali
nuvole grigie feconde
inesplorati tesori aprendo
come l’uomo da sempre
da interminabili gesti
5 Le foglie di mirto si usavano per profumare il bucato che si faceva di lunedì nelle cofane, grossi
recipienti di terracotta che avevano un buco alla base per far scolare la liscivia.
6 Pane di grano duro della grandezza di una rosetta. Viene tagliato trasversalmente a metà cottura e
poi lasciato biscottare nel forno a legna a calore moderato. Si conserva per molto tempo in
recipienti di terracotta detti capase.
7 Un gioco da ragazzi era arrotolare una foglia di cipuddhazzu, tipica pianta di macchia, e
trasformarla in trombetta.
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DISTOGLI LO SGUARDO
A Mina
Distogli lo sguardo
dal mio corpo malato
ho risorse da vendere
ancora sassi da lanciare
per i miei ultimi bersagli
Distogli lo sguardo
dal mio corpo malato
voglio ancora sudare
della tua stanchezza
per la ruvida strada di pini
che dà al mare salentino
esplorarti il corpo bagnato
rinfrescati dalla grotta in penombra
perduti i tuoi sospiri
nei riflessi dei fondali
a balenarti la faccia
svanita nei sussurri
dell’uomo primitivo
Distogli lo sguardo
dal mio corpo malato
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ho ancora versi e canzoni
da offrire al vento delle notti tristi
calici del vino di mio padre
rischiarati nel rito del camino
berrò ai tuoi sogni di fanciulla
principi e fate al ballo
del tuo valzer infinito
t’ho riserbato il bacio
della mezzanotte amore mio
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IO NON VI PERDONERÒ
A quelli di Civita Castellana che non sono mai usciti di casa
Io non vi perdonerò
Civitonici8 o cari
l’avermi dissacrato Lecce
questo magico suono
che vibra al vento della Grecia
e schiude agli occhi un barocco
solare d’incanto
Io non vi dirò il vino
allietarvi il demone dei giorni tristi
i profumi aleggiare
sui nostri orti le nostre
tavole d’ogni dio imbandite
cristallino il mare
a mitigare le nostre
estati io non vi dirò
L’occasione stupidi
avete perso di dire
a un leccese favorite
la vita l’amicizia
l’ospitalità gli arcani
misteri per voi avrebbe
svelato canti d’amore
di morte fatiche millenarie
per voi cantato davanti a un camino
l’ultima fiamma un bicchiere
l’ultimo tozzo di pane
l’anima avrebbe spartito
1983, Civita Castellana
1983, Sabaudia
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Ci sono notti che io
vago nel vento
lontani mari del Sud
su un bastimento
non vedo mai
non trovo mai
l’amore
Forse perché
io voglio vivere
dove nascondono
le vecchie favole
non ci son più
ormai
ormai
Forse perché
io voglio vivere
dove nascondono
le vecchie favole
non ci son più
ormai
ormai
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LE SCARPE SULLA SOGLIA
(Canzone, testo su musica di Giuseppe Maniglio)
Uomo sai
tu non dimenticare
dove vai
il vento del tuo mare
Uomo sai
tu non dimenticare
dove vai
il vento del tuo mare
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SUONO PER TE SU UN VECCHIO PIANO
(Canzone, testo su musica di Giuseppe Maniglio)
Suono per te
su un vecchio piano
squarci di note
un ritmo strano
solo quando suono
per te amica mia
ombre velate
di una follia che è la mia
IO SONO INNAMORATO
(Canzone, testo su musica di Giuseppe Maniglio)
Io sono innamorato
di un viso primavera
smanioso di tradire
amante della sera
di un viso che sorprendo
nel lampo di uno sguardo
travolto dalle voglie
di un demone beffardo
Io sono innamorato
di me che spando in giro
la mia tristezza allegra
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bagnata con il vino
di me che mi concedo
a labbra conturbate
smarrite nel segreto
di gioie mai provate
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LE MANI DI DOMENICO
A Domenico Amato, lu capitanu
Le mani di Domenico
a sbriciolare tufo lunare
le mani di Domenico
a far luce su vecchie sterpaie
le mani di Domenico
rami di un tronco nodoso
fessure di carne
che non conosce suture
il gelo le spacca
il caldo non basta a chiuderle
Alto l’arco della zappa
affonda zolle mai smosse
più grandi di lui
scandito da un sole
che s’alza e scompare
sull’ultima spina
rubata a far legna
a una siepe già buia
Albania Turchi Scanderbeg
radici della tua Carfizzi
inseguivi terre promesse
su mulattiere solitarie anzi l’alba
spenti gli occhi su bianche lenzuola
roba di signori
Ora risvegli s’una rozza chitarra
vaghi fumi di un tempo
assopiti al tepore di un camino tranquillo
amori sull’aia
goduti nel giro di un valzer
strappati alla vista di mamme severe
a un mattino di fatica
che mai tarda a venire
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IO VORREI POTER SMARRIRE
Io vorrei poter smarrire
la tua bocca melograno
sulle strade che mi portano al Sud
ora che le mie aride
pianure più non vedo
foglie d’autunno arcobaleno
su ordinati filari d’uva
e gli ulivi
gli ulivi più belli dei boschi tuoi
più non vedo
intanto che le tue mani
si consumano all’aria che fendo
e mi par che giochino coi fasci di luce
a gara
per tracciarmi la via del ritorno
DONNE INNAMORATE
(Versi per l'inaugurazione dell'Enoteca L'altra Bottiglia a Civita Castellana)
Donne innamorate
le tue “altre” bottiglie
Ermanno
nel tuo magico antro
di non facili avventori
etrusche prigioniere
per prodi guerrieri in attesa
generosi
a svellere inviolati tappi
quale arcano sogno
c’est là!
il vino
c’est lui bien!
versato
(pardon) libero
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in candidi bicchieri
profumi delizie a profondere
allegri pensieri
tristi anche
come gli occhi dei poeti maledetti
9 Gergo usato per indicare i gatti dalla "bimba dagli occhi radiosi".
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PAROLE DI MIELE TRADISCE LA TUA BOCCA
Parole di miele tradisce la tua bocca
al calpestio d’inutili rami
secchi dalle cento stagioni
vento dolce al mio sguardo svanito
assente al galoppo d’alati cavalli
perduti tra le fronde
al riparo da occhi saraceni
10 Il comandante della flotta turca che assediò e distrusse Otranto nel 1482.
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NON SO PENSARTI SULLA RAMINGA BARCA
A mio padre
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FESTA FESTA HO VOGLIA DI FESTA
Festa festa ho voglia di festa
nella mia casa che non ride più
al giallo incas d’un truce Siqueiros
sotto le “zampe” del vecchio Ligabue
né schianta il chiodo l’appeso tamburello
a pizzicarmi l’anima perduta
in un crescendo di mani duellanti
fino a spartirmi le donne della sera
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Or lontano sullo scoglio
il mar riguardo triste mia Nereide
ché le Meduse fan la guardia nei fondali
e già le ancelle ti profuman per la notte
la prima notte ch’io però non ebbi in sorte
Peleo bensì
ché facile crebbe la sua pianta
nel palmo dell’odiato Giove
GRECO MARE
Vento gelido
è la brezza del greco mare
calmo all’affacciarsi
dell’alba in sulla nave
disseminate isole scoprendo
d’inermi scogli nel chiaror
che s’ergon simil mostri
terror di naviganti nella notte
KALLIOPE
A Kalliope (Kalliopitsa) Papastatopoulos
Kalliope m’invita
canzoni a proferire
davanti al mare
alla magion della fresca notte
al suon d’un vento leggero
calmo che vien dalla riva
Libagion son pronte
carni e formaggi
e un vin che vien da Filiàtra14
spremuto dalla man di qualche dio
il padre generoso versa
perché l’animo occor disporre
alla divina ebbrezza
E danza per me Kalliope
con due vergin fanciulle
dai piedi nudi leggera
muovendosi dolce
il mito svelandomi d’antiche feste
sì che la Grazia
la Poesia inver
me facea beato all’apparir
Sorride Kalliope
sorride sempre
RAGTIME
Un foulard primavera tuffo al cuore
seguono i miei occhi bambini
per Rue Saint Germain de Près
inviso a più passanti ignari
del mio pianger amor disperato
chissà dove sei ora cosa fai
chissà come sei ora foglia di rag
oh! mon triste visage!
controtempo cadi su morte già foglie caduche
tra l’ingannevole ritmo
com’è difficile tratteggiarti amore
galeotto fu il desiderio
si fece carne il desiderio
ci han spartite le membra perciò
mio clandestino sguardo
elegia dei corpi stretti
allo spuntar delle timide gemme
al gioco delle dolci parole
al gioco di segrete tenerezze
di beate torture nei sospiri
sull’affannoso seno
l’ansia pur cercata opprimente
suggello irrefrenabile amor
tradito avanti l’abbraccio agorà
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un piroscafo senza soste
e la spola fino a che morte
CARTOLINA DA PARIGI
A Claudia e Luna Cacchioli
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Ci son belli ci son brutti
ma a ciucciar son buoni tutti
Specie or che è primavera
soprattutto quand’è sera
Dicon d’essere dei gattini
ma reclaman dei cuscini
Già li vedi sulle porte
e alla bella fan la corte
Or l’han messa in cartolina
e spedita a una bambina
Sarà Claudia? sarà Luna?
meglio fare un po’ per una
Maggio 1991, Parigi
Le dedico a questa?
le dedico a quella?
Ognuna n’ebbe un canto
ognuna mi fu bella
io non so a chi dare la pagella
Ma se malgrado tutto
mi sai svegliare all’alba
in un profumo di caffè
e un accorato amor per me
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io le mie poesie
le dedico tutte a te
CORRI RAGAZZA
Corri ragazza
di tremula voce
dammi la mano
fuggiamo sul ponte
le ombre della sera
scaldiamo parole
d’asfalto rugiada
tracciamo profili
a cime di pioppi
che svettano spogli
sull’infido torrente
narriamo colori
di foglie caduche
nell’aria gelida
di quest’ultimo autunno
Cova pennelli
il tuo silenzio d’amore
ma non affannarti in ritratti
sul mio volto bambino
se prima l’imbrunire
non ci adombra di baci
sul viottolo antico
tra cataste di rovi
che tramano sguardi
Scrutami ancora
occhi di perla
portami stelle
coi cavalli della notte
ma è tardi ormai
torniamo alla casa
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ti porto all’aria
al sole del meriggio
però non farmi tu pretesto
di lacrimosi versi
non vibra la poesia
al pianto che si scioglie
invitala ancora al ballo
della tua spezzata schiena
A proposito di...
Caro Amedeo,
mi chiedi delle poesie, del motivo per cui, liberate dal cassetto, vanno in giro
adesso come donne belle a far mostra di sé imbellettate.
Vanno a trovarsi, amico mio, altri innamorati. Non ti nascondo la gelosia.
Se provo dolore? Sì, certo, è doloroso staccarsi da qualcosa che ti sta dentro, che ti
sta dentro come un figlio. Ho detto bene, ma allora escano alla luce le mie poesie,
vadano a librarsi nell’aria e volino con ali solitarie.
Se con questo voglio chiudere con la poesia? se sono alla fine di un capitolo?
E come potrei, amico mio? Tu sai di me tante cose, come fai a dubitare che possa
fare a meno della parola? Bada, dico della parola detta e non della parola scritta. Non
confondere la poesia con quello che io ho scritto: poesia è quel che ti ho detto. È
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immediata la parola, spiega la parola, difficile nascondersi dietro la parola, ogni
parola è nome di una cosa, la parola anzi è la cosa.
È realtà allora la poesia, delle cose reali io dico, di ciò che mi circonda: il poeta non
sta tra le nuvole.
Ecco, amico mio, voglio dare libertà alle parole, sciolgo le mie emozioni e le faccio
rivivere in tutti coloro che se le vogliono bere. Per questo ci vogliono calici sonanti e
non necessariamente colmi, i versi possono scendere al ritmo di una cascata o di un
fiumicello, il loro profumo può essere intenso o delicato, il sapore corposo o asciutto,
il colore rosso o rubino: soprattutto i versi devono scendere nell’anima e
sorprenderla. Allora sì che puoi gridare, disperarti e gioire: libertà è la poesia, non è
colpevole la poesia, bellezza è la poesia.
Mi dici perché ora.
È che ho imbandito una grande tavola e sono corso in cantina a scegliere le mie
poesie, proprio come si fa con un vino d’annata. Oh il buon vino! Non mi piace berlo
da solo, com’è triste, anche sprecato direi. Mettiamo le poesie in tavola allora e
versiamole in grandi calici: è festa così, ecco, poesia.
Se come poeta ho il privilegio delle emozioni?
Non preoccuparti, amico mio, non sono speciali le mie emozioni, sono comuni a
tutti i mortali. Le emozioni io le ho solo imbrigliate in una gabbia di poesia. Ogni
tanto la apro questa gabbia ed ecco che le emozioni tornano a volare. Altri poeti a suo
tempo hanno aperto e continuano ad aprire le loro gabbie per me. Io ne ho goduto,
anzi da quei versi ho attinto la vita, per non dire la voglia di vivere, di amare.
Adesso mi dici, adesso.
C’è bisogno di poesia adesso che ci siamo smarriti un po’ tutti e non sappiamo più
definire i colori del tramonto. Può dare la poesia se vuoi un senso a questo
smarrimento, ci si può ritrovare nella poesia come intorno ad un ideale di libertà, la
libertà di ognuno di noi che più di tutto amiamo sognare; la libertà di tutti gli altri,
dei popoli ancora messi in catene. Ti ricordi degli oppositori cileni rinchiusi da
Pinochet nello stadio di Santiago? Si passavano i versi di bocca in bocca e la poesia
diventava l’epica di un popolo: la poesia era l’unica arma rimasta. Quei cileni, amico
mio, sono stati salvati dalla poesia, questa non ha loro permesso che venissero
sopraffatti dalla rabbia e dal dolore. E le emozioni, come dire, incanalate verso un
ideale positivo, che poi è l’aspirazione di ogni essere umano alla libertà, hanno
trovato un senso e sprigionato una forza che altrimenti non avrebbero avuto.
Amedeo, ti ho conosciuto che dicevi poesie, erano belle le tue poesie. Era infuriato
con me a quel tempo Poseidone e mi ritrovai un bel giorno naufrago in un mare in
tempesta. Ecco, le tue poesie erano come tanti pezzi di legno che apparivano intorno
al mio annaspare e anche loro mi hanno salvato. Ci salva la poesia. Pavese diceva che
anche una sigaretta spenta sulle labbra può far poesia, per dire che su di un gesto, un
passo, uno sguardo quotidiano possiamo costruire dei miti. Propongo di curarsi con
la poesia: per ogni dolore del corpo, per ogni dolore dell’anima. Ma di curarsi anche
quando crediamo di aver raggiunto la felicità: sì, anche da questa infatti si può essere
sopraffatti.
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Mi hai scritto, caro amico, che una volta io parlavo di libertà tra noi amici e nelle
piazze. Mi rimproveri di trasformare la libertà in un fatto poetico, quasi che la libertà
stia nella poesia e non al di fuori, nel mondo. Si tratta di un gesto di rinuncia, di
disperazione individuale?
È vero, gli anni passati sono stati anni in cui noi, anch’io quindi, abbiamo vissuto
una poesia collettiva. Mi sono imbevuto di canzoni popolari, di canzoni di rabbia, di
cantautori che narravano di:
Ma lei che lo amava
aspettava il ritorno
di un soldato vivo,
di un eroe morto che ne farà?15
oppure:
O gente per bene che pace cercate,
la pace per far quello che voi volete16
Ma ho anche cantato:
Vorrei dirtelo tutto d’un fiato
e gridartelo questo mio amore,
come grida il bambino che è nato
come grida la gente che muore17
e ancora:
Ed ora che avrei mille cose da fare
io sento i miei sogni svanire
e non so più pensare
a nient’altro che a te18
Si può amare una donna e isolarsi dal mondo? No, è il mondo la donna. Ecco, per
me tutto è amore: si può piangere per amore di una donna, si può piangere per un
popolo privo della sua libertà. Ché forse non abbiamo vissuto in quegli anni l’anelito
all’amore e alla libertà con la stessa passione, con la stessa intensità? È questa la mia
poesia, la testimonianza di una passione per una donna se vuoi, per l’ultimo
contadino calabrese se vuoi.
Ti ho detto che la poesia è musica, è ritmo. Mi chiedi se la mia poesia dà in fondo
testimonianza del fatto musicale in sé, del ritmo in sé, piuttosto che della libertà.
Amico mio, io non farei differenza. Se la poesia può spostare le montagne, questa
forza la deve proprio al ritmo, quel ritmo che sta con naturalezza nel nostro
camminare, nel nostro lavorare. Il ritmo ci fa resistenti alla fatica, anzi ci distoglie
dalla fatica permettendoci allo stesso tempo di pensare. Proprio nel momento in cui
la parola si fa ritmo, la parola si fa forte e la libertà ha bisogno della forza delle
parole: la parola, tu sai, è nome della cosa, ripeto, non sta tra le nuvole.
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