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Articolo lO

Dove si invita il lettore ad accantonare la vicenda

per scoprire la favolosa storia di Rachmaninov

e del suo terapeuta

Le note di apertura della Quinta sinfonia di Beethoven, forse


le più famose nella storia della musica, rappresentano il de­
stino che picchia sull'uscio. L'arpeggio pianistico iniziale del
Secondo concerto di Rachmaninov, un cupo rimuginare sulla
seconda ottava che guadagna spazio col passare dei secondi,
suggerisce piuttosto l'immagine della nostalgia che gratta
sulla porta. Le si apre con incertezza, il suono è il medesimo
del fruscio del vento o del gioco di un gatto. L'ingresso è tra­
volgente: la nostalgia è passione ancora viva e potente. Solo
dopo qualche m~uto la tenerezza prende il posto della tra­
cotanza e sullo sfondo si colloca il crepuscolo. TI ricordo riaf­
fiora nelle sue contraddizioni. Ma l'introduzione del secon­
do tema è di nuovo resa struggente dalla voce della viola; e il
dispiegarsi degli archi conduce la memoria a snodarsi nella
sua pienezza. È solo a questo punto che ci si confronta con
l'assenza di ciò che viene rimpianto: dall'angosèia per l'im­
possibilità del ritorno germina una marcia misteriosa, come
un corteo di fantasmi. Nella tensione che crolla, il sostegno
degli archi diventa puro conforto e non più evocazione im­
petuosa. TI corno riporta una voce da lontano, quasi un'eco.
Mentre si raccolgono le briciole ai piedi di una tavola che un
tempo fu imbandita, il ricordo si deposita e torna a soffiare
vita nel corpo.
TI secondo movimento, l'Adagio, fa entrare il pianoforte

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in punta di piedi. Lo si immagina scostare le tendine dalla fi­


nestra appena rischiarata dall'alba, e poi spostarsi per cedere
il posto al flauto. Subentra la fiducia che tutto si potrà ripe­
tere. Contrariamente al tradizionale adagio romantico, di so­
lito la parte più commovente dei concerti ottocenteschi, in
questo l'intelletto e la forma cercano di riprendere il governo
dell'emozione.
Nel terzo movimento li vita è riattraversata dalla monda­
nità e i richiami più fatui medicano lo spirito. TI primo tema,
però, svela ben presto l'ambiguità e la maschera d'ironia.
Sotto la frenesia emerge un nervosismo sotterraneo, un umo­
re irritabile, litigioso a tratti. TI secondo tema sono dita che
esplorano, poi un pianto liberatorio. È la melodia del riassa­
poramento. In una nuova consapevolezza, che accetta il far­
dello dell'umana fragilità, la desolazione della perdita è il se­
me della nuova gioia.
Rachmaninov potrebbe definirsi, sotto due profili, un no­
taio della composizione.
TI primo ispirandosi alla tradizione spregiativa che qualifi­
ca notai coloro che nulla aggiungono, in termini di elabora­
zione intellettuale, e si limitano al controllo e alla certifica­
zione. Rachmaninov prende materiale emotivo e~istente e lo
ordina con una grammatica definita da molti semplice e sin
troppo ingenua. Di contro, condisce i suoi temi di un virtuo­
sismo ritenuto verboso e fine a se stesso, come un giurista
magniloquente riversa sul profano una pletora di richiami
normativi, fatti per suggestionare più che per catturare so­
stanza. In effetti Rachmaninov si vantava quasi di essere un
traduttore dell'emotività, come un notaio potrebbe converti­
re i fatti comuni in clausole giuridiche, senza necessità di un
apporto creativo nel merito. Così il compositore definiva la

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musica: «Una calma notte di luna, un frusciare attivo di fo­


glie, uno scampanio lontano nella sera. La musica nasce solo
dal cuore, e si rivolge al cuore. È amore. Sorella della musica
è la poesia e madre la sofferenza». Riprendendo la distinzio­
ne che avevo fatto una volta a Valentina, non esiterei a defi­
nirlo un notaio sostanzialista piuttosto che certificatore.
TI secondo senso in cui Rachmaninov può essere definito
notaio è: colui che riceve le ultime volontà della passione. Le
sue musiche sono intrise di sentimento (che alcuni hanno
preferito definire sentimentalismo), ma affondano sempre
nella nostalgia, parlano dell'assenza di ciò che è stato amato
eppure continua a far pulsare il cuore. Sono sospese tra un
passato che non cessa di riaffiorare a galla e un futuro con­
traddistinto dall'angoscia di ciò che non tornerà. La declina­
zione al presente è sempre sospesa all'interno di questa pola­
rità, il qui e ora non brilla di luce propria. Per questo colui
che prova passione non si sente mai a casa sua. Come Rach­
maninov che visse a disagio nella sua Russia, tanto da abban­
donarla all'indomani della rivoluzione, ma che nel New Jer­
sey e poi a Beverly Hills, dove andò a vivere, cercò di ricrea­
re un ambiente familiare, sino a addobbare le sue residenze
di mobili d'epoca che le rendevano simili a un'anti~a dimora
pietroburghese.
TI Secondo concerto è il primo (e forse l'unico) dedicato a
un terapeuta. Scritto nel 1900, risolse una lunga e profonda
crisi depressiva a seguito della quale Rachmaninov non ave­
va composto per anni. L'evento scatenante era stato il clamo­
roso fiasco cui era andata incontro 1'esecuzione della sua pri­
ma Sinfonia, nel marzo del 1897 a San Pietroburgo. «Se al­
l'inferno ci fosse un Conservatorio, se uno dei suoi studenti
più dotati fosse stato incaricato di scrivere una Sinfonia pro­

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gramma sulle Sette piaghe d'Egitto e questi avesse composto


una sinfonia come quella di Rachmaninov, egli avrebbe as­
solto brillantemente il suo compito e fatto la delizia degli
abitanti dell'inferno» commentò un critico illustre. In realtà
al clamoroso insuccesso contribuì non poco la direzione di
Glazunov, che aveva ceduto al suo antico vizio di scolarsi un
litrozzo di vodka per mettersi in tiro in vista dell'esecuzione.
Gli studenti del Conservatorio avevano scoperto perché mai
Glazunov, durante le lezioni che teneva, ogni tanto si piegas­
se sino a scomparire sotto la cattedra, come colto da improv­
visi crampi gastrici o in cerca di una posizione comoda per
arginare le fitte della cervicale. Un giorno che il maestro in­
terruppe il corso in anticipo e uscì dall' aula barcollando più
del solito, si avvicinarono alla sua postazione e videro una
bottiglia di liquore in piedi, dentro la quale si tuffava una
cannuccia con l'orlo crepato dai segni di un'avida morsicatu­
ra. Non a caso fu proprio Glazunov il primo musicista a con­
cepire un concerto classico per sassofono. «Mi piacerebbe
trovare uno strumento solista che ricordasse la roba che mi
rimbomba in testa prima di andare a dormire... non so bene
cosa sia, sembra una tromba ma non è esattamente una
tromba...» diceva sempre.
Rachmaninov, grazie all'intercessione di alcuni amici,
cercò conforto in Tolstoj. Cosa di meglio che scambiare due
chiacchiere con un grand'uomo, confrontarsi con lui sulle
fonti dell'ispirazione artistica? Tolstoj lo ricevette la prima
volta nel febbraio del 1900 a casa sua. Lo fece sedere. «Tu
devi lavorare. Pensi che io sia soddisfatto di me? Lavoro. lo
lavoro tutti i giorni.» Mentre parlava, gli accarezzava le gi­
nocchia. Una replica della visita, un paio di settimane dopo,
fu altrettanto insoddisfacente. Tolstoj era di cattivo umore e
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fu abbastanza sgarbato. «Dimmi, le persone hanno bisogno


di musiche come queste?» lo gelò dopo una breve esecuzio­
ne dell'ospite al pianoforte. Rachmaninov era incredulo: co­
me poteva uno scrittore tanto sensibile essere tanto sprez­
zante verso un suo simile? Sperimentò insomma la separa­
zione tra arte e vita che invece non rientrava nel suo modo di
essere, genuinamente riproduttivo nella musica del suo spiri­
to interiore (<<tu non fai il notaio, tu sei un notaio» gli avreb­
be detto qualche mio collega).
Cos~, ad aprile, Rachmaninov decise di rivolgersi a Niko­
laj Dahl, uno psichiatra che vantava nel curriculum molte
guarigioni di soggetti depressi grazie all'ipnosi. Da tempo
anche in Russia, come forma terapeutica di ipnosi, era stato
abbandonato il mesmerismo. Mesmer aveva affermato nel
1776 che la materia è attraversata da un fluido magnetico e
che alcune malattie, in particolare quelle psichiche, sono
causate da una distribuzione disarmonica del fluido. I suoi
pazienti venivano radunati,in riunioni collettive davanti alla
baque, una grande vasca nella quale erano disposte bottiglie
piene di acqua magnetizzata (grandi bottiglie d'acqua! Sa­
rebbe piaciuta all'assassino una storia così). Quindi Mesmer
si aggirava tra i loro corpi sfiorandoli con una bacchetta d'o­
ro e scatenandone pianti liberatori e risa isteriche. All'inizio
dell'Ottocento un suo allievo, 1'abate Paria, ritenne che i ri­
sultati che Mesmer otteneva fossero dovuti semplicemente
alla suggestione. E, essendo a questo punto l'obiettivo clini­
co quello di ottenere la suggestione, in luogo di quel rituali­
smo chiassoso adottò la tecnica di un incontro individuale
col paziente nel corso del quale, ingiungendogli di rimanere
immobile e facendogli prima fissare la sua mano aperta che
avvicinava e allontanava lenta dal volto e poi chiudere gli oc­

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chi, arrivava a dirgli semplicemente: «Dormi». E durante


quel sonno atipico, che non escludeva una forma di vigilan­
za, le sue parole spalmavano sopra l'organismo l'unguento
della persuasione. Al tempo di Dahl, nell'ambito di coloro
che praticavano l'ipnosi, il campo era diviso tra coloro che
continuavano a considerarlo, come Faria, uno stato di trance
utile alla guarigione di ogni paziente psicosomatico e chi so­
steneva che essa poteva operare solo su soggetti isterici, rite­
nendola dunque una condizione alterata del sistema nervo­
so. Quin~ici anni prima che Dahl incontrasse Rachmaninov,
Freud aveva partecipato a delle lezioni a Parigi con il famoso
Charcot (che perorava la tesi dell'isteria) e aveva, nella fase
iniziale della sua carriera, inserito l'ipnosi dentro il suo baga­
glio di terapeuta, quale strumento alternativo per far riaffio­
rare dall'inconscio le esperienze traumatiche dell'infanzia e
dell'adolescenza. Era più o meno lo stesso approccio di
Dahl. Se si riconosce allora a Dahl il merito di avere restitui­
to a Rachmaninov un equilibrio psichico, va per completez­
za detto che ciò avvenne, come per la psicoanalisi, imponen­
do al paziente un'immersione nel suo passato più remoto. In
quel viaggio Rachmaninov comprese che l'unico modo per
conferire senso al dolore per la perdita di ciò che si è amato
è rievocarne eternamente nella memoria la passione che sa­
peva suscitare, e scoprì con stupore che nelle sue mani, ma
davvero nelle sue mani, possedeva lo strumento migliore per
compiere quest'operazione. Fu a partire da questa rivelazio­
ne che restituì la cortesia al terapeuta e lo salvò, a sua volta,
da una grave forma di depressione.
Dahl si presentò da Sergej Rachmaninov la prima volta il
14 aprile del 1900. il musicista sedeva sullo sgabello del pia­
noforte, con le braccia immobili appoggiate alla tastiera.

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Aveva lo sguardo assente e l'affilatura del viso formava spi­


goli attorno al naso e alla bocca. Dahl, cinquantenne dalla
stazza imponente, sedeva in pizzo alla poltrona, come stesse
per cadere. Frugava nella sua valigetta e a un certo punto ne
tirò fuori un martelletto per la misurazione dei riflessi.
Rachamaninov pigiò un si bemolle del suo Bluthner.
<<Anche questo è un martelletto» furono le sue prime pa­
role.
Dahl depose lo strumento e lo guardò con attenzione.
«Vuole suonarmi qualcosa?» chiese con dolcezza.
«Mi pare che ci troviamo qui proprio perché non voglio,
non crede, batiuska?» replicò prontamente l'altro. E abbatté
il dito anche sul fa, lasciando che l'eco perlustrasse i muri del
salotto.
Dahl prese un altro sgabello che si trovava a poca distan­
za dal Bluthner e si mise di fronte al paziente. La parola
«dormi» Rachmaninov non la udì quella volta né mai, per­
ché il suo letargo cominciava molto prirria, appena Dahl
prendeva a fissarlo e a muovere la mano. Si vedevano tre vol­
te alla settimana, e il compositore non manifestava segno al­
cuno di miglioramento. Però cadeva nel sonno sempre più
velocemente.
Sergej aveva amato molto le due sorelle morte e gli faceva
piacere incontrarle durante quei viaggi nell'incoscienza. Con
Elena, in particolare, tutto era rimasto sospeso. Si erano tro­
vati, due bambini soli, ospiti in quella casa di Mosca, per stu­
diare lui pianoforte e lei canto, con la sua bella voce da con­
tralto. Nessuno gli aveva spiegato mai con chiarezza perché
il letto di lei, da un certo giorno, fosse rimasto vuoto per
sempre, perché da quel momento per farsi compagnia nel si­
lenzio della notte dovesse stringere non più le dita di Elena

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ma il pomello in ferro battuto. Gli pareva che il medico di­


cesse qualcosa mentre lui sognava, ma solo le prime volte.
Poi a parlare era la nonna, mentre lui affondava la testa di
bambino nel suo grembo e rintoccavano le campane della
chiesa di Novgorod.. Non è vero che la mamma è cattiva, di­
ceva la nonna. E allora perché non mi ha mai baciato, alme­
no sulla fronte? E perché adesso viviamo in due camere pic­
cole e il pane è sempre secco? E il papà, perché non torna
più a casa? Si ricordò che suo padre non lo aveva sentito
suonare, chissà da quanto. Aprì gli occhi e lo vide, a un me­
tro da lui. Seduto, che riposava con il mento appoggiato alle
mani. Padre.
Nikolaj Dahl aveva sperato, da ragazzo, di salvare suo pa­
dre. Non poteva apertamente dissuaderlo dal bere, suo pa­
dre non gli avrebbe fatto completare neppure la prima frase
senza tirare fuori la cinghia. Così aspettava che crollasse per
il sonno, si accostava ai piedi del letto, si inginocchiava e ini­
ziava come a sgranare un interminabile rosario. Raccontava,
supplicava, teorizzava. Trent'anni dopo, grazie alla scoperta
dell'ipnosi, giustificò a se stesso la sua mancanza di coraggio.
Visto? Non è vero che non ho avuto il coraggio di affrontar­
lo per riportarlo verso la vita. Lui sentiva, sentiva. E Dahl
parlava, parlava a quegli uomini addormentati, convinti al ri­
sveglio che lui avesse somministrato loro formule magiche e
incoraggiamenti. In realtà si limitava a riprendere il vecchio
discorso col padre. Mamma non c'è più, ma ti sei mai accor­
to che ho le sue stesse fossette sulle guance? Non morire an­
che tu, fa' che possa salvare almeno te. Grazie dottore, ades­
so sento che ce la posso fare, lo salutavano i pazienti. Si era
illuso per anni. Quel maledetto musicista, chiaramente in­
guaribile, lo aveva ricondotto alla realtà (la musica del resto

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tira fuori la verità molto più della psichiatria: Nikolaj lo ave­


va capito nella sua breve carriera di violinista dilettante). Se
dormi non ascolti un bel niente. La codardia gli aveva impe­
dito di salvare suo padre. E adesso aspettava che Rachmani­
nov appesantisse il respiro per assopirsi a sua volta. Era una
scena tenera, quei due uomini curvi a russare, sopraffatti da
una stanchezza imbalsamante.
Nel sognare di Nikolaj, eternamente bianco come una
bandiera di resa, le note penetrarono inattese. La musica
avanzò col passo pesante e imperioso dello zar che scende
una scalinata. Rachmaninov sentì colare sopra la guancia la
lacrima che, da trent'anni, non era ancora riuscito a versare.
Era tutto nuovo ma anche terribilmente vecchio. Era acca­
duto per la prima volta, eppure accadeva da tutta la vita,
ogni minuto.
Rachmaninov stava riversando addosso a Dahlla musica
rimasta così a lungo nelle dita, come inchiostro in un pen­
nino. Il Secondo concerto prendeva forma. Non è che non
volessi suonare più, padre, aspettavo solo che ritornassi a
casa.
Rachmaninov e Dahl terminarono quel 28 maggio i loro
incontri, entrambi rigenerati. Poi Rachmaninov partì in va­
canza per Varazze. Restava da trovare un piccolo pezzo per
completare il Concerto ma la confusione festosa del lungo­
mare non lo aiutava a concentrarsi. Tornò in Russia. Una se­
ra, mentre ascoltava Morozov suonare, sussultò e si rivolse a
un amico che gli sedeva vicino: «Ma questa musica potrei
averla scritta io!». «E allora prendila, no?» rispose quello.
Era la parte che gli mancava (il secondo tema del terzo mo­
vimento). Così intimamente sua, così profondamente univer­
sale, così meschinamente di nessuno da poter essere raccat­

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tata per strada e ficcata in tasca. Proprio come la vera pas­


sione.
il 2 dicembre 1900 il Secondo concerto venne rappresenta­
to a Mosca, nell'esecuzione del suo stesso compositore. Chi
fosse riuscito a penetrare, allora, dentro 1'animo turbato dei
presenti capirebbe oggi la ragione del dramma dei genitori
di Valentina. Quella musica, che nei suoi slanci d'amore pa­
reva incatenare al presente, metteva in scena purtroppo un
altrove.

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