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italian culture, Vol. xxx No.

1, March, 2012, 6875

Impegnarsi in Italia? Mitologie e destini dell intellettuale impegnato


Salvatore Settis
Published by Maney Publishing (c) American Association for Italian Studies

Emeritus, Scuola Normale Superiore, Pisa

Limpegno degli intellettuali italiani fu quasi la norma quando ad esso corrispondeva legemonia di partiti politici incentrati su contrastanti ideologie. Quella stagione nita per varie ragioni, fra cui emergono la svalutazione del merito individuale, la ne del sistema dei partiti dopo gli anni di Mani Pulite, una pessima legge elettorale, e il tramonto dellidea e delletica del bene comune. NellItalia di oggi, il nuovo fronte per limpegno intellettuale non pu essere un ritorno al passato: passa, necessariamente, attraverso una ricostruzione dei valori etici incarnati dalla Costituzione della Repubblica, e richiede una piena identicazione dellintellettuale con il suo ruolo primario di cittadino, ma anche la sua capacit di contribuire, con altri cittadini, alla ricostruzione del bene comune e delletica pubblica.
keywords impegno, engagement, Intellettuali, tutela dellambiente, Costituzione della Repubblica italiana, Pasolini, Paesaggio

Quando una specie in via destinzione tendiamo a proteggerla, magari recludendola entro apposite riserve naturali. Ma prima ancora si dovrebbero indagare le ragioni di quel processo di estinzione. E visto che lo facciamo per balenottere, gorilla e pantere, doverosa un po di attenzione anche per una specie che nellhabitat italiano si ridotta ormai a pochi e sparuti esemplari: lintellettuale impegnato. Prosper, anzi prolifer abbondantemente dal dopoguerra in poi, intrecciando le proprie sorti (e la propria crescita demograca) con quelle di una sinistra usa a presidiare le anticamere del potere nella salvica attesa di entrare (come si diceva allora) nella stanza dei bottoni. In quella stagione si dette per scontato che i problemi della societ, anzi del mondo, dovessero trovare nei partiti (soprattutto in quelli di sinistra) una necessaria camera di decantazione, una macchina per linterpretazione in cui tutto venisse anatomizzato, analizzato, sottoposto a esegesi; e che in questo processo gli intellettuali di mestiere fossero indispensabili, fossero centrali. Non vero, come spesso si ripete, che quella consuetudine sia stato il trionfo di un qualche pensiero unico, cinicamente manipolato dai politici, magari al servizio dellUnione Sovietica. Al contrario, in quelle stanze di decantazione si svolgevano allora durissimi scontri fra posizioni
American Association for Italian Studies 2012
DOI 10.1179/0161-462211Z.0000000004

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assai dissimili fra loro, e le discordie non riguardavano soltanto la corretta interpretazione di questo o quel passo di Marx o di Gramsci, n i favoleggiati ordini da Mosca. Riguardarono, assai pi spesso, le strategie del presente, in nome delle quali venivano costantemente sottoposti a rilettura non solo tesi losoche e impianti teorici, ma specialmente il corso della storia nazionale o, meglio, il modo dintendere alcuni grandi temi e snodi della storia dItalia: per esempio, il ruolo degli antichi Comuni e repubbliche nel denire gli orizzonti della democrazia e delluguaglianza; lo spirito del Risorgimento, e le ragioni ultime della frattura fra Nord e Sud, ma anche di ununit nazionale irrinunciabile; o ancora lo scontro secolare fra Chiesa e Stato, anzi, pi ancora, lo scontro tra rivoluzione e reazione, che nella Napoli del 1799 trovava tra Repubblica e sanfedismo il suo archetipo ideale. Popolando convegni, comitati centrali, ufci cultura di partiti, fondazioni e ministeri, storici e loso si mettevano alla prova su questi ed altri temi, spesso intrecciando le proposte pi ampie e visionarie con le proprie ricerche sul campo o in archivio che, anche se minute, ricevevano da quella vasta cornice legittimazione e luce. Archeologi e storici dellarte, architetti e urbanisti simpegnavano intanto sulle questioni del patrimonio e del paesaggio, della tutela dei centri storici e dellequilibrio citt-campagna. Studiosi e ricercatori dogni disciplina si interrogavano di continuo sul ruolo della ricerca, e di conseguenza delluniversit e della scuola, nella costruzione di una Italia futura che fosse degna al tempo stesso del proprio passato e delle pi avanzate esperienze contemporanee. I temi dello sviluppo economico, delloccupazione e del lavoro non mancavano mai da quelle discussioni: ma ognuno dava per scontato che fosse possibile una crescita armonica del Paese, in cui la memoria storica e linterpretazione del passato (anzi: le interpretazioni) fossero ingredienti necessari, una sorta di lievito che assicurasse alla vita civile italiana di non perdere la propria strada. Quello fu, per alcuni decenni, il ruolo di molti intellettuali impegnati. Altri si spesero scrivendo sui giornali, e non solo di argomenti tratti dal proprio mestiere, ma anche di pubblica moralit, di socialit, dei mutamenti del costume, di progetti per il futuro di un Paese poco rassegnato alla propria crescente marginalit. In quegli interventi si dispiegava sempre un accurato gioco delle parti: allintellettuale spettava il ruolo di chi ha, per mestiere, lo sguardo lungo verso il passato, ma anche verso il mondo oltre frontiera, e per questo doverosamente elabora un proprio sguardo lungimirante verso il futuro; alla pi gran parte degli italiani spettava il ruolo di chi ascolta (o legge) con rispetto, dibatte con passione, contrasta a volte con veemenza, ma per contrapporre luna allaltra quelle visioni difformi, misurandole sulle possibilit del presente; ai politici, inne, toccava operare scelte concrete, talvolta ignorando le raccomandazioni degli intellettuali ma pi spesso negoziando con esse un qualche pi o meno decente compromesso. In quei decenni, non cera lista elettorale (specialmente al Senato e alla Camera, ma anche nelle elezioni regionali, provinciali e comunali) che non si cercasse di arricchire di un qualche nome pi o meno in vista, intellettuali prestati alla politica, si diceva, che spesso accettavano lelezione come indipendenti di sinistra, e scalpitavano a ogni richiamo alla disciplina di partito. Nessuno, credo, ha fatto la lista degli intellettuali che, pi spesso nelle la della sinistra ma anche negli altri partiti, hanno varcato come deputati o senatori le soglie dei palazzi del potere, n quella di coloro

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che ci hanno provato senza riuscirci. Pi interessante sarebbe sapere, attraverso gli atti parlamentari, se e quanto abbiano davvero contribuito alle attivit legislative e di governo. Ma il principio non fu mai in discussione: dagli intellettuali veniva ai politici autorit e legittimazione, in ragione del loro sguardo comunque pi ampio e della loro fama costruita per meriti dellarte o della mente. Incastonati nei rituali della politica, gli intellettuali a volte se ne fecero ingoiare senza nemmen tanto accorgersene, pi spesso vi convissero a malincuore, combattendo per essere almeno qualche volta ascoltati. Sullaltro versante, i politici considerarono di solito gli intellettuali un ornamento un po ingombrante ma necessario, facendosene scudo al bisogno. Si mise allora a punto il rituale dellappello degli intellettuali, con linguaggio di gran calibratura retorica e conseguente raccolta di rme. Presupposto di questa tessitura di gesti e di pratiche era la certezza, largamente condivisa nella societ, che lindipendenza intellettuale di artisti e professori giovasse non solo allimmagine dei partiti, ma alla discussione politica. Citiamo un solo esempio, forse il massimo: Pier Paolo Pasolini, ribelle a ogni classicazione strettamente partitica ma sempre in prima linea sui temi pi caldi. Quando, ad esempio, cominci ad essere evidente la devastazione del paesaggio italiano, e pi specialmente di quello urbano e periurbano. Pasolini tent, usando la televisione, una mossa radicale. Pochi mesi prima della sua tragica morte (1975), egli fece per la RAI un documentario sulla Forma della citt (i testi sono stati recentemente pubblicati da Paragone). Nel lmato Pasolini si sofferma prima sulla citt e sul paesaggio di Orte, poi sulla struttura urbana di Sabaudia, analizzando la radicale trasformazione dellItalia provinciale, rustica, paleoindustriale per opera dei nuovi valori imposti dal neocapitalismo; secondo Pasolini, la civilt dei consumi sta distruggendo lItalia non solo sotto il prolo antropologico, ma anche nei monumenti e nel paesaggio. Per questo, egli dice, tanto pi occorre difendere non solo le grandi opere darte, ma anche la stradina da niente, cos umile di Orte, proprio come va difeso il patrimonio della poesia popolare accanto alla poesia dautore. Per Pasolini, la distruzione del mondo antico sta avvenendo su un piano culturale profondo, che non si pu ridurre solo alla cancellazione di un rudere pittoresco o di una veduta suggestiva. Perci la difesa del paesaggio storico (non solo italiano) deve avvenire in nome della scandalosa forza rivoluzionaria del passato. Il passato come deposito di idee, e dunque di rivoluzioni: ma le chiavi del passato sono, per denizione, in mano agli storici e agli intellettuali che pi ne sono consapevoli. Gli intellettuali (allora) sapevano rivendicare questo ruolo. Venivano, almeno ogni tanto, ascoltati. Non pi cos.

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Il declino dell intellettuale impegnato in Italia ha molte concause, e solo una vastissima indagine saprebbe farne la giusta anatomia. Oggi, con poche eccezioni, gli intellettuali si impegnano qualche volta su temi etici (per esempio leutanasia), molto meno sul terreno della politica, diventato insidiosissimo. I partiti non li cercano, in Parlamento anzi non ce n quasi pi; nessuno se ne accorge, nessuno protesta, nessuno lo trova strano. Un dibattito sul tema stesso dellintelletuale impegnato, se pure c, rado e acco, senzanima, fatto quasi sempre di sottili distinguo, intessuto

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di sensi di colpa, giusticazioni, prese di distanza. Perch una mutazione tanto profonda, in un tempo cos breve? Proviamo a guardare almeno a qualche causa possibile: la svalutazione del merito, la ne del sistema dei partiti e la legge elettorale, il tramonto delletica del bene comune. Il Sessantotto lanno intorno a cui venne annodandosi un processo assai complicato, che include in Italia importanti riforme scolastiche (in particolare della scuola media) e il passaggio da unantica universit di lite alluniversit di massa. La battaglia per estendere il diritto allo studio, condotta allora dalla sinistra italiana, innesc un processo per molti versi positivo, ma anche un allarmante abbassamento della qualit, a causa della crescente svalutazione del merito. Si intrecciarono allora due processi solo in apparenza opposti, ma di fatto convergenti: da un lato, quello esemplicato da slogan di sinistra come no alla meritocrazia (basato su una cinica e stolta identicazione fra elitismo e meritocrazia); dallaltro, la visione di destra secondo cui scuola e universit non devono educare cittadini con ampiezza di visione storica ed etica (due facce della stessa medaglia), bens buoni esecutori tecnici, che siano in grado di gestire piccoli segmenti del processo produttivo senza intenderne le ragioni e linsieme e senza farsi troppe domande. Di qui lidea di uneducazione professionalizzante, che si oppone a quella di ununiversit che faccia cultura, che faccia ricerca. La convergenza fra i due processi molto evidente, dato che limpulso decisivo verso ununiversit professionalizzante fu dato da Luigi Berlinguer, un ministro di sinistra. In questa cornice il merito individuale conta ben poco, e la competenza che viola le frontiere creando per se stessa un punto di osservazione pi alto, uno sguardo pi ampio (e dunque una maggiore autorit) ritenuta quasi una dote di carattere, e non una meta a cui tendere nella formazione dei giovani. Questa idea rinunciataria della cultura apparve a molti pi progressista, per la stessa ragione per cui si ritenne che la scuola media dellobbligo dovesse ridurre le pretese sugli allievi proprio mentre si apriva alle classi che no a ieri ne erano escluse. Nellun caso e nellaltro, si partiva di fatto, senza dirlo, dal presupposto che la cultura alta non pu essere condivisa, e che meglio crearne una versione pi digeribile, pastorizzata, buona per tutti gli stomaci. Non si accorsero, i moltissimi intellettuali di sinistra che appoggiarono anzi propugnarono questa visione, che con ci stavano eludendo la vera sda posta dalluniversit di massa, ma stavano anche delegittimando se stessi, sia perch toglievano valore al proprio merito pur faticosamente conseguito, sia perch la nuova scuola preparava generazioni meno sensibili ai valori della cultura, meno pronte ad ascoltarne la voce, e perci facile preda della televisione di massa, di qualit programmaticamente inma, che di l a poco Berlusconi avrebbe imposto. La crisi dei partiti tradizionali che, in seguito alla generale corruzione e agli anni di Mani Pulite, port in pochi anni alla scomparsa della Democrazia Cristiana (la balena bianca che era parsa invincibile), ma anche del Partito Socialista consegnato da Craxi al sottobosco degli affaristi, n col travolgere anche il Partito Comunista, che da molti anni era il serbatoio di un generico riformismo, ma nelle successive metamorfosi perse tutte le buone abitudini del vecchio partito (fra cui la centralit della cultura), conservando in compenso molte di quelle cattive. Il trapasso alla nuova stagione, che ha segnato lirruzione di Berlusconi sulla scena, e dunque il trionfo dellantipolitica di cui egli non cessa di proclamarsi campione, viene spesso

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etichettato come seconda Repubblica. Sintomo preoccupante di una realt di sole parole, in cui gli italiani si raccontano lun laltro le favole. Per esempio, chiamando governatori, allamericana, i presidenti delle Regioni. Per esempio, ripetendo come una litania la favola secondo cui saremmo passati dalla Prima alla Seconda Repubblica, per giunta con un sistema bipartitico. Abbiamo dunque dimenticato che in Francia fra luna e laltra delle cinque Repubbliche non vi fu solo qualche processo per corruzione e qualche crisi di partito, vi furono imperi e monarchie, guerre e rivoluzioni; e ngiamo di non vedere che la geometria variabile dei dieci o dodici partiti e sub-partiti del 2011, con le loro correnti mascherate da fondazioni e associazioni, non poi molto diversa da quella del 1985. Si installata su questo sfondo la legge elettorale nota come Porcellum (nome poco elegante che indica un giudizio condiviso da tutti, a cominciare dallon. Calderoli che la propose): essa comporta che le liste dei candidati sono bloccate, con un meccanismo che impedisce al cittadino che vota di fare qualsiasi scelta di persone, e lascia tutto in mano ai partiti, con la visibile conseguenza che deputati e senatori senza vera base elettorale (e senza onore) cambiano bandiera al bisogno. Legge iniqua, voluta da Berlusconi e dalla Lega, vero: ma che era stata introdotta per la prima volta a livello regionale dalla Toscana, una regione di sinistra. Con una tal legge, si capisce che di intellettuali nelle liste non c pi bisogno. Sarebbero una decorazione inutile, ora che i partiti possono far eleggere a loro arbitrio i fedelissimi, anche se del tutto privi di qualsivoglia competenza. Il tramonto della cultura del bene comune il terzo e ultimo tema che vorrei qui evocare. Bene comune vuol dire coltivare una visione lungimirante, vuol dire investire sul futuro, vuol dire preoccuparsi della comunit dei cittadini, vuol dire prestare prioritaria attenzione ai giovani, alla loro formazione e alle loro necessit. In Italia questo un tema assai antico, che prese la forma della publica utilitas, del pubblico interesse o del bonum commune, incarnandosi negli statuti di cento citt e generando, prima di ogni costrizione mediante le norme, qualcosa di molto pi importante: un costume diffuso, unetica condivisa, un sistema di valori civili, che ogni generazione, per secoli, consegn alle successive. Riconoscere la priorit del bene comune vuol dire subordinare ad esso ogni interesse del singolo, quando col bene comune sia in contrasto. Su questa visione si imperni il grande (e ancora irrealizzato) progetto della Costituzione del 1948 per unItalia giusta, libera e democratica. In quel progetto, la cultura al centro dei valori di libert, eguaglianza e democrazia, anzi ne strumento necessario, in quanto espressione dei doveri inderogabili di solidariet politica, economica e sociale (art. 2) e indirizzata al pieno sviluppo della personalit umana (art. 3). Perci La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione (art. 9), garantisce piena libert di pensiero e di parola (art. 21), promuove la libert dellarte, della scienza e del loro insegnamento (art. 33), garantisce un ruolo centrale alla scuola pubblica statale e al diritto allo studio (art. 34). Cultura, ricerca, scuola, patrimonio culturale, paesaggio e ambiente, in quanto hanno una funzione sociale costituzionalmente garantita, concorrono in misura determinante al principio di eguaglianza fra i cittadini. Sono, nel loro insieme, un bene comune, che preso come insieme costitutivo di quella pari dignit sociale che essenziale alla libert e eguaglianza dei cittadini (art. 3).

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Lidea di bene comune ha una dimensione etica e politica insieme, e comporta un forte senso di responsabilit intergenerazionale: lavorare oggi per le generazioni future. qui che l intellettuale impegnato di oggi (se ce ne fossero) dovrebbe far sentire la propria voce, mostrando i vantaggi di uno sguardo lungimirante perch orientato dalla forza rivoluzionaria del passato. Perch gli uomini che non guardano mai indietro, verso i propri antenati, non saranno mai capaci di guardare avanti, verso i posteri; e forgiare un contesto sociale in grado di costruire il futuro richiede un tempo molto pi lungo dello spazio di una vita ed esige collaborazione non solo tra i vivi, ma anche tra i vivi, i morti e chi deve ancora nascere (Edmund Burke, Reections on the Revolution in France, 1790). Al contrario, quel che vediamo oggi in Italia un terribile declino dei valori, che segna di feroci stimmate il tempo presente. Vediamo un mercatismo cieco e senzanima sostituirsi agli orizzonti di unetica comune, e affermare con sfrontatezza crescente la priorit dellinteresse privato (di singoli o imprese) sopra il pubblico bene. In questo orizzonte devastato, la maggior parte degli intellettuali italiani che potrebbero essere impegnati (che lo sarebbero stati in altre stagioni) si rifugia in un silenzio che appare, e forse , dignitoso. Ma la fuga dalla politica legittima lantipolitica, crea nessi e complicit invisibili e inconfessabili, rende impossibile distinguere la linea di conne (se una ce n) tra vilt e disdegno. Gli intellettuali che tacciono, spesso con malcelato senso di superiorit, stanno in realt emarginando se stessi, e non questa la miglior risposta a una classe politica che desidera (per lappunto) emarginarli, espellendo la cultura dalla mappa delle forze in gioco: come in questi anni sta avvenendo. Lontani non solo dalla stanza dei bottoni, ma anche dalle antiche anticamere della politica, poco richiesti dai partiti e quasi sempre incapaci di inuenzare la pubblica opinione, gli intellettuali italiani sono un piccolo esercito sbandato, dove ciascun soldato tende a crearsi il proprio manipolo e la propria nicchia, ma senza aver chiaro quale debba essere la meta a cui tendere.

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C un futuro, per la gura ormai antica dellintellettuale impegnato, in Italia? O i disastri etici che travolgono la politica del Paese e i miserrimi risultati specicamente politici ed economici dellattivit di governo in questi anni hanno reso limpegno intellettuale un ingrediente ormai superuo? Di dove, allora, verr la salvezza? Leclisse dellintellettuale impegnato, anzi la sua lenta estinzione, ha un enorme vantaggio, che dobbiamo oggi saper vedere. Toglie status, ma anche arroganza, a un gruppo sociale che in Italia fu anche troppo abituato a guardare gli altri dallalto in basso. Li obbliga (ci obbliga) a considerarci quello che in realt siamo, cittadini fra i cittadini. Ora: possibile limpegno civile di un cittadino che (anzich ad altri lavori) si dedica alla ricerca attiva, alla letteratura, alla musica, allarte? O diremo che ogni intellettuale deve limitarsi alla propria specializzazione, lasciando i temi di attualit ai politici di mestiere? Quel che oggi preme (la vera risposta a queste domande) una dimensione molto pi alta, molto pi forte: il diritto di parola non dellintellettuale, bens del cittadino. Nel massimo rispetto di chi fa politica per mestiere, non dobbiamo dimenticare che politica , per etimologia ma anche per le ragioni della storia e delletica, prima di

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tutto un libero discorso da cittadino a cittadino; un discorso sulla polis, dentro la comunit dei cittadini e a suo benecio. Nel degrado dei valori e dei comportamenti che appesta il tempo presente, sempre pi urgente che noi cittadini ci impegnamo in una riessione alta, non macchiata da personali interessi e meditata, sul grande tema del bene comune, cuore della nostra Costituzione, nel solco di una tradizione culturale e giuridica che in Italia non ha meno di due millennii di vita, e che oggi si trova sotto attacco. Di fronte a mille sintomi di degrado, io credo che sia dovere del cittadino prendere la parola, e farlo in quanto cittadino, anzi farlo tanto pi quanto meno si abbiano o si desiderino responsabilit direttamente politiche. Mi piace qui ricordare, come ho gi fatto in un mio libro recente (Paesaggio Costituzione cemento. La battaglia per lambiente contro il degrado civile, Torino, Einaudi, 2010), lantico istituto della actio popularis, previsto dal diritto romano e fondato sulla piena identit fra il populus nel suo insieme e i cittadini (cives): perci il singolo civis (quivis de populo) poteva agire giuridicamente in nome del popolo, promuovendo, anche contro gli organi dello Stato, unactio popularis in difesa di interessi pubblici, e in particolare dei beni comuni (res communes omnium) come laria, le acque, il mare, i litorali. La funzione dell azione popolare oggi pu essere illustrata da un esempio, la lotta per la difesa del paesaggio. Nella legge RavaRosadi del 1909, prima grande legge di tutela del patrimonio artistico dellItalia unita, lazione popolare era stata introdotta, in un articolo che fu approvato dalla Camera ma poi cassato dal Senato: si voleva allora fare dei cittadini un esercito di vigili guardiani del paesaggio, dellambiente e del patrimonio in Italia. Di fronte alle terribili devastazioni del paesaggio italiano in questi anni, l azione popolare sembra essere spontaneamente risorta, anche in mancanza di una legge specica. In tutta Italia stanno infatti nascendo numerosissime associazioni prevalentemente locali (almeno 15.000), che utilizzano tutti i mezzi legali per rivendicare il diritto del cittadino non solo alla parola, ma alla cultura, alla tutela dellambiente, del paesaggio, del patrimonio. Questo grande movimento dal basso, nello spirito dell azione popolare, non si sta sviluppando contro i partiti, ma cresce sicuramente malgrado i partiti, proprio come accaduto con i referendum sulla propriet pubblica dellacqua, boicottati dalla politica ufciale ma trionfati per volere dei cittadini, e come sta accadendo con il referendum contro liniqua legge elettorale, che ha raccolto oltre un milione di rme e che, se il governo non trover il modo di affossarlo, certamente vincerebbe. Di fronte alla crisi della politica e dei partiti, oggi anche troppo evidente, ai cittadini che deve tornare, in nome della Costituzione e della legalit, la parola e liniziativa. In tal senso, lintellettuale deve smettere una volta per tutte di sentirsi e di proporsi come un cittadino speciale, pi savio e pi autorevole degli altri cittadini. Deve invece saper parlare da cittadino ai cittadini, ma utilizzando al meglio le abilit acquisite nel far ricerca o poesia, musica o pittura. Utilizzandole con umilt e con rigore, per meglio raccogliere i dati di un determinato problema (per esempio, il paesaggio), interconnetterli in una tessitura narrativa, disporli secondo un ordine argomentativo, proporli alla pubblica discussione con tutta lonest e leloquenza di cui capace. Nella folla dei cittadini, la voce di ognuno non deve risaltare per la sua qualica di intellettuale impegnato, ma per lungimiranza di prospettiva, per capacit progettuale, per forza nellargomentare, per urgenza di istanze etiche,

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per onest e disinteresse. Sarebbe, questo, un intellettuale impegnato non pi organico ai partiti come quelli di un tempo non lontano. Ma pi impegnato come cittadino, dunque pi utile. 21 ottobre 2011

Notes on contributor
Salvatore Settis ha diretto il Getty Research Institute di Los Angeles e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Fra i suoi libri: Giorgiones Tempest. Interpreting the Hidden Subject, Chicago UP 1990 [ed. orig. Einaudi 1978]; The Future of the Classical, Polity Press 2006 [ed orig. Einaudi 2004]; The Classical Tradition, Harvard UP 2010 (ed., w/ A. Grafton and G.W. Most). Inoltre Italia S.p.A. Lassalto al patrimonio culturale, Einaudi 2002; Battaglie senza eroi. I beni culturali fra istituzioni e protto, Electa 2005; Paesaggio Costituzione cemento. La battaglia per lambiente contro il degrado civile, Einaudi 2010 (trad. inglese dellultimo capitolo in California Italian Studies 2, 2011). Correspondence to: settis@sns.it, Scuola Normale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56125 Pisa, Fax +39.050.509098

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