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Scrittori italiani e stranieri

Francesco Guccini
CITTANOVA BLUES

Romanzo
MONDADORI
Dello stesso autore Nella collezione Scrittori italiani, con Loriano Macchiavelli
Macaron Un disco dei Platters Questo sangue che impasta la terra Lo Spirito e altri
briganti http//:www.librimondadori.it ISBN 88-04-52249-6
2003 Arnaldo Mondadori Editore S.p.A., Milano I edizione ottobre 2003
CITTANVA BLUES
A Raffolina Miei Signor
I
La despedida
E ancora una volta, come in un'infinita Rail Road Stscion, si cambia, ma non per
Carpi-Suzara Mantova, non solo appartamento o quartiere, non quadrante o sestiere,
non da via Pistolazzi a via Fracazzo da Velletri, non da qui a l. Cambi tutto. Todo.
Definitivamente. Cambi cita. Es la Despedida.1
E cambiar cita non pane da tutti i giorni, non come camicia che distrattamente
bucci via nella mucchia della biancheria sporca per indossare lini e trine pi lindi, o
paio di fanghe che tu te le levi e altre ne indossi e manco forse te ne ricordi, di quelle
annose dapprima riposte in ascoso anfratto poi dimenticate, sparite, scomparse per
sempre. Che magari un giorno te le ritrovi muffite fra i piedi (metaforicamente,
s'intenda!) e ti dici: "Aff mia! Che io indossava quella roba l!" e nonscialante le
getti nel rusco.
Tu nemmanco sei Rampollo di Maresciallo dei Reali Carabinieri, o Discendente di
Funzionario Prefettizio, o Progenie di Pallonatore, gente da sempre adusa a
cambiamenti e slittamenti su meridiani e paralleli del reticolo geografico tutto, un
giorno nell'esotica Timbuct la fascinosa e l'altro a Smirne la possente; tu avresti il
sacrosanto diritto di nascer l, viver l ed anco (il pi tardi possibile, ma da
Franceschelli)2 morirci.
E invece, botta di pacca che a pensarci bene quasi t'amazza, cambi, cambi s, come se
tu una bella mattina metti ti alzi e il panorama fuori mutato, vram, un flmin, e tutto
sottosopra e il nord non pi l indicato da vigile Strella Polare, e i sodali pi non

sono quelli, e nel ciclo di giorno risplendono tre soli e al loro occaso vedi sorgere tre
lune e un buridone cos, e va' l che vai a la grande.
Perch cambiar cita spingersi nell'ignoto, oggi sei qui ma domani? Forse nell'Africa
che pi nera non si pu, o in China stracolma (non a caso) di orientali chineserie o
nelle Americhe coi selvaggi caciques ricoperto il capo di penne multicolori, e tu ne
ignori, di tutti costoro, lingua e abitudini, usanze e religioni, geografie e istorie.
Il tuo cielo sembra farsi pullulante di scuri nembi e cirrocumuli, anche se (ammttilo)
senti in t l'eccitazione che provi nel blues quando, poni, il Mi maggiore (Mi Sol
diesis Si, per intenderci) l che aspetta un po' poi si carica della settima, un Re che
nella chitarra trovi l sotto, comodo comodo, di mignolo, e te ne stai sospeso e teso ad
aspettare quel La maggiore che sembra non arrivare mai e lo aspetti fremente
nell'attesa dell'orgasmo ma poi arriva, arriva s, e pienamente si completa il tutto con
la caduta finale nell'appagamento completo della sottodominante.
O, forse meglio ancora, tutto nell'andamento sghembo del tango, dall'arduo
cammino in levare, non quello che giovinetto ballavi e suonavi in bttere, ma col
rasgueado dell'archettata del contrabbasso, per ritornare dalla dominante alla tonica in
minore (o in maggiore, volendo), perch il tango crea un turbio pasado irreal que in
algun modo es cierto, un recuerdo imposible, non dico di esser morto pe-leando in
un'esquina del suburbio,3 come un buio dei tempi andati del Borgo San Pietro, in
bolerino di velluto blu con bottoni d'oro e fusciacca cremisi alla vita, e regolare buia
al fianco, capelli cotonati alla moresca su cui svettavano pettine e mantiglie alla
spagnola, e pi sotto petto opimo, ma di aver fatto parte in qualche modo anche tu di
quei barrios, quasi tu fossi stato o un Lambertazzi o un Geremei,4 o un patriota
ottocentesco alla Montagnola o un loro fiero discendente della partigianeria contro la
barbarie nazifascista, confondendo Baires e Cittanva, fermo ad aspettare una mina
argentina o uno sprucaglino locale recostao en la vidriera di un almacn5 di quelle
tortuose e misconosciute vie del centro, teso nell'eccitazione giovenile, il corpo pieno
di pulsioni virideggianti, skimo addosso e una forza dentro che ora te l'insogni.
Ma quante volte poi si deve cambiar casa, nella vita? Diciamo anche quello. Una,
due, millanta fiate mille? Le quante volte ti gi toccato? Ti sembra d'esser sempre l
a fare e disfare, ma soprattutto loro poi, i tuoi, che tu con scuse veloci lasciavi fare,
spachetare impachetare, schiva l'oliva e te la filavi alla grande e ti presentavi bello
come il sole a cose fatte, un dribblin da sballo, a la granda, Armanda, che tanto
qualcosa, lo sapevi gi, altro che star l a controlare e a dare una mano, rio destino o
fato malvagio si perdeva sempre, per esempio la tua collezione di "Galaxy", dove
sar andata a finire, ancora su nell'avito solaio a ricoprirsi di bella polvere antica o
smerciata da astuto fratello in cerca di grano? Un cieco fidarsi perch eran loro, gli
esperti. Che io ne ho cambiate di case, bambino mio, perch mio padre ogni tanto
lavorava, faceva degli afari, era un mediatore a quei tempi l e magari faceva vendere
un podere di tante biolche, guadagnava, e alora via, una casa da signori, bella grande,
perch sai, con tutti i figli che ciaveva, che eravamo in sette; undici a dire la verit,
ma poi due son morti (s, va be', ma sette e due nove, e gli altri due dove sono finiti?),
dopo poi fatto quel afare l non lavorava pi, all'osteria e fuori a fare la bella vita con
la cmoda, sai quella che ti ho detto che una sera gliene ho date un pacco perch ero

minorenne e non avrei avuto delle conseguenze, be' insomma, lui mio padre era al
Barun Stramna,6 il Barone Smina, che dopo le vacche grasse c'erano quelle magre
o roba cos, i soldi finivano, la casa la vendeva, e alora s'ciao, armi e bagagli e tutto
quanto, e si cambiava un'altra volta, e via, in afitto. Che anche quando mi son sposata
non ciavevamo una casa nostra, eravamo a pensione in una casa qualunque, a
pensione, pensa t, che c'erano delle donne, de le donne, mi capisci (gesto complice
con la mano), che quando tuo padre tornava da lavorare gli dicevano ciao bel moro,
pensa t, che alora era proprio un bel'uomo tuo padre, che poi abian trovato quella l
dove sei poi nato, che era venuta gi anche tua nonna di montagna, e voleva
comprarci una casa, aveva una borsetta piena di quatrini, e io dicevo no, quella non
va bene, quel'altra neanche, per delicatezza, per non ofnderla, chi lo pensava che
quella montanara l ciavesse tanti soldi in quella borsetta?
S, ma tu cosa c'entri, con le storie famigliari sentite e risentite? Tuo babbo poi non
mica il Barone Sparguglione, il Nobile Dissipa. Be', a dire il vero c'entravi s, perch
l'idea di fondo era stata tua.
Tua proprio proprio no; si era l, nel cucinotto, che una parola di grande novit
perch nelle case nuove c' questa graaan comodit, che non prpio una cucina ma
un buco per con tutti i suoi di conforts col lavello il fornetto e una specie di tavolo
che ci si mangia anche, senza tirar in ballo tutto il traffico di una cucina vera che ci si
mette delle ore a pulirla e poi la sera ancora l, non si fa altro che aparechiare
sparechiare, e invece l si fa d'un bello, e propio nel cucinotto un giorno fa, il tu'
babbo, pensoso, mentre si stava pistolando del pi e del meno: C' uno che vorrebbe
trasferirsi qui e non trova nessuno che faccia il cambio, che prenda il suo posto.
Magari se lo volessi fare io ci troveremmo in codesta situazione (parlava pulito, il tu'
babbo) e tu, grrulo: Perch non lo facciamo noi, 'sto cambio? e lui e lei che fanno:
S, adesso andiamo via e cambian casa, e anche cita!. Che gi cambiar quartiere
non era stato un buridone da gnente.
Ma poi dai e ridai, e questo e quello, anche se non si sa bene e il come e il perch, si
decide. Fra un anno il change over.
Angoscia, rimpianto, ripensamenti? Moch! Tutto va liscio e non te ne addai
nemmeno. Non sbito, per. Intanto lasci che l'estate si trascini languida e indolore, a
suonicchiare, Gentili Signore e Signori, l'Orchestra "I Gatti" vi augura buonasera e
buon divertimento! E via di sigla. Fai, dici, alla bella moretta dell'intorto estivo:
Quest'altr'anno, l a Cittan-va.... Oppure, sullo sborone, prendendo da parte uno
dei suonagli: E se cambiassimo il sax? Te lo ricordi quello di Cittanva...? un altro
genere. Credo che sia al brevo, provo a parlargli!. I tuoi son gi l, nella Citt
Nuova, che tanto nuova poi non . Ne avevi gi sentito l'odore, nasate le nuove
immani possibilit. Era gi un ambiente pi naturale, per t, perch se da hillbilly7
venivi spinto a valle da vorticosa corrente, come arguti sostenevano gli infami
cittadini da sette generazioni discesi, il Secchia ed il Panare non ti avrebbero sfiorato
manco p'a capa. Invece l rasi il tutto pi naturale, col fascinoso immenso Limentra
che placido, come il Don (ma a volte incazzato verodio), si getta in Reno cotidie, ed
esso fiume la lambisce s, la Cittanva, portando la medesima acqua che, anche se
miglia e miglia prima, aveva generosamente bagnato l'avito mulino, e ne la sentivi

pi tua, quell'acqua, pi famiglia. E quanti amici avevi gi lass, da medesimi


progenitori appenninici discesi, nelle lunghe sonnacchiose estati montanine, che mai
sembravano finire, con quei cieli notturni a balus pieni di stelle e quelle albe, limpide
e fresche e rugiadose dapprima poi esplodenti nel Gran Calore dei Solleoni, quando
quelle stesse acque di cui sopra ti davano refrigerio e conforto e prime visioni di dalie
adolescenziali appena sporgenti dai costumi a un pezzo e boschi a non finire ricolmi
di secolari castagni gremiti, alle radici della ciocca, di morbida borracina sulla quale
sdraiarsi e lottare per le prime tentate erotiche esperienze. Ti sparavano in ghigna,
questi amici: Io tifo per la Virtus, e t?. E t per chi tenevi, per l'Avia Pervia, seppur
gloriosa? E Canna e Calebotta, pare indomiti players di quella stessa Virtus, chi
erano, che ne sapevi? E quella Giovent Musicale alla quale tutti erano iscritti,
andando ad ascoltare concerti a iosa ma non tanto per la musica in s, quanto per la
possibilit di fugaci incontri con femmine di quelle scuole dai quasi magici nomi,
Galvani, Min-ghetti, Righi, Pier Crescenzi, Laura Bassi. Erano meglio le Aldini
Valeriani, che lo stesso tuo padre aveva frequentato, limando un informe balocco di
ferro fino ad ottenerne un maraviglioso poliedro regolare con sei facce quadrate
uguali, volgo cubo, provato e riprovato col calibro, o le mottecensi Corni? E la Sala
Borsa, Cattedrale di quella sconosciuta Basket City, dov'era? E ti dicevano: C'eri t
al concerto di Gerry Mulligan?. E t, c'eri? Sentivi fabuleggiare dei fittoni, del
Gigante, di piazza Maggiore (non piazza Grande), del Pavaglione che altro che il
Portico del Collegio, lungo s e no dieci metri, mentre quel Pavaglione raggiungeva
distanze difficilmente immaginabili da mente umana, quasi come i Portici di Santo
Lucca tutti. E quelle Due Torri, sparate di fianco a quella via Emilia che sapevi venire
da un non lontano mare e fendeva in due dirittamente la citt tutta per fiondarsi verso
un nord-ovest al quale eri gi troppo aduso, le sapevi gi quasi pi tue. Sentivi
parabolare della Birreria Lamma, dove a notte si consumavano orge di tonno fagioli
cipolla, del grande baladr dello Sportin Cleb, pieno di giovinetti (e giovinette) il
sabato pomeriggio, per i danzanti afternoons. Di spazi pi ampi. Di praterie
sterminate. Da Porta San Felice a Porta Maggiore. Dalla Mascarella fino all'infinita
indefinitezza dei colli. Insomma, gi la conoscevi, quella Cittanva, e dentro ti sentivi
incitato, e tutto ti spingeva a pensare: "Go cast, young mani".
La conoscevi si fa per dire. Quando un generoso raccoglitore di autostoppisti ti lasci,
t che dai monti venivi, a Casalecc' sur la mer, affrontasti impavido a violente
fettonate il lungo percorso che separava il Reno ancora sapido di sapori orografici e
la non ben saputa via dell'Osservanza e da l, nelle stesse ore, discendesti alla
stscion, impresa oggi da farti fremere e vene e polsi. Ma era l'esplosione del nuovo,
coi colli che appena dietro ti si aprivano invitanti, agresti, che altro che via delle
Morane, e SAPEVI che di balza in balza, di calanco in calanco, di forra in forra,
sarebbero arrivati fin lass, al luogo primigenio, dove poi tutto te stesso tendeva e
sempre tendr.
O Cittanva che io gi ben ti conosceva e ti desiderava, ansioso di lasciarmi indietro
quella Citt della Motta three times too much known, percorsa, labirintizzata,
brulicata le troppe volte. L da t mi attendeva il futuro, brisa sgadizza.

II
Home, sweet home
E ci arrivasti s, a Cittanva, alla fine di quell'estate che, come si detto, ti vide
trionfante suoniero per due lunghi mesi estivi, ospite ancora della Citt della Motta.
Ci arrivasti un giorno ormai scordato, lontano, bighellonando a fette per chilometri,
dalla balera dei Giardini, dove eri stato ad ancora suonare, fino alla meta, la nuova
mai vista casa, non padrone del grande salto, ma in cor tuo felice d'averlo compiuto,
perch andare in una citt sconosciuta ha in s l'emozione di un libro che sai ti
piacer ma non hai ancora letto. Ti piacciono la copertina ed il nome dell'autore e ne
pregusti il piacere delle pagine che avidamente ti sorbetterai, apri a pagina uno e il
tutto ti si infonde di sottile piacere, che attendi crescere nel procedere in avanti. Cos
la nuova citt, anche se nei primi tempi ti sentivi quasi preso in prestito. Pur anco la
casa era provvisoria, in attesa di partenza, per naia e successivo futuro sfratto. E dire
che ti piacque sbito. Era un appartamento enorme, al primo piano, con un ingresso
sul quale si aprivano bagno, una grande cucina atta, oltre che al diuturno taffio, alle
lunghe notturne partite a carte con i gamblers amicali, ed una sala da pranzo (peraltro
mai usata) col soffitto affrescato, segno di antica nobilt e sostenutezza. Dopo si
disperdeva un corridoio, con sbito, a la derecha, la tua camera, con una finestra che
dava su di una stradina laterale, quasi impercorso vicolo, e su altre case ed altri tetti
sui quali si spaparanzava il cielo dell'est; la sobria virginale cameretta rasi
ammobiliata da un monoletto accostato ad una porta sempre chiusa nel cui vano era
astutamente conficcata un'etagere di compita fabbricazione casalinga in cui sostava
sopra tutto una radio, una Magneti Marelli vecchio orgoglio di famiglia, ormai roba
da rusco, che tu adottasti in mancanza dolorosa di giradischi; al secondo piano
v'erano libri di pronta lettura ed una ceneriera, al terzo una bottiglia di immondo
cocktail preconfezionato acquistato alla Standa (Verdadero Manhattan? See, la rlla,
ma allora sembrava nettare godurioso), i vizi sognati di un giovinetto al sempiterno
brevo. Ma la stanza pi bella era in fondo, alla fine di un lungo corridoio, un piccolo
spazio con strano pavimento in assi di legno, un caminetto Franklin e la televisione,
la prima gloriosa televisione che garriva su di un mobiletto. Fuori un panorama triste
da giovin poeta malato, alianti, acetoselle, tarassachi, parie-tarie, malve, camomille
ed altre varie erbe officinali e non e muri di mattoni chiazzati e samitrati, scrostati,
intignazzati, da archeologia industriale, botteghe d'artigiani tipo carrozziere o
biciclettaio o lattoniere e tutto che si inumidiva di tristi guazze quando pioveva o
risplendeva, nelle belle giornate, di polverosi crepuscolari soli. Proprio l attorno, ma
noi sapevi, esisteva presso una locanda nomata Cesoia il primo campo del glorioso
Bologna Fd-bol Cleb, distrutto dal sorgere di palazzoni che si divoravano a morsi e
a poco a poco quella periferia e che porter alla distruzione della tua medesima casa.
Sic transit.
Non conoscesti vicini, se non una greca, evidente vittima dell'Armata S'agap,8 con
un triste fi-glioletto che oggid sar gi nonno. Ma fuori dalla porta, nello stesso
ampio pianerottolo, all'uscio di fronte abitava il giovin Zanna Zanordo (ha la stessa

et, diventerete amici, blateravano i parenti tutti!) ma che gi conoscevi perch avevi
di lui sentito fabulare un anno o due prima, di come aveva conquistato la giovin e
bella fanciulla dalla pelle moresca e dai neri occhi di velluto, conosciuta qualche
tempo prima in agresti e montuosi luoghi; ora, povera, a far anzitempo compagnia a
quelli del cabariotto della Certosa che non mi avr mai, l in mezzo a tutta quella
gente. Durante una festa o cosa si era messo al piano (If she can stand it, I can stand
it, legttimo) e le agili dita pare toccassero insinuanti Prelude to a kiss, del grande
Duke Ellington, e la poverina casc pari, stramazz d'amore giovenile. Queste sono
cose che colpiscono duro, altro che Citt della Motta e le sue rozzerie. Certo che l si
tirava pi al sodo, pi al dunque dunque, ma tant'.
A notte fonda, tornati l'uno e l'altro da notturni convegni, prima di suonare la sigla ci
si metteva naturalmente al cesso per l'ultima minzione del catalogo e vedendo da
l'altra parte il finestrino illuminato veniva voglia di pianamente parabolare e
raccontarsi, ma se fosse stato un genitore preso da improvvisa incontinenza notturna?
Allora uno dei due sigiava fischiettava Morning, l'inizio, dove suona dice fa-fa-va-vafa-va-vaa-vam, e se la frase era recepita e non risuonava il silenzio della notte ma la
grande risposta immaginata nel Grande Canyon del Colorado con tutti i musicisti di
questo immenso mondo a rispondere: faa-vaam! allora si aprivano i finestrini e si
discorreva bellamente, per ore. Cos. Ma non era tanto costui la balotta.
L'autunno ti scivolava via, era stato pur anco sopportabile, ma piano piano dal caldo
di fine estate ti ritrovasti nell'inverno il pi zagnoso. Passavano i giorni, suonicchiavi
in qua e in l, sopravvivevi, anche se tutto era avvolto come da quella cappa della
scadenza, del dover andare in naia, tutto in attesa di quel misterioso giorno di l a
venire dell'estate prossima. Di pomeriggio, attorno alle sei di sera, vascavi coi
montanini amici e i loro adepti e sodali, per finire in qualche bars possedente un
mscolo, arte fra le pi sopraffine e competitive, naturalmente. Il mscolo chiamato
volgarmente da alcuno calciobalilla, o bigliardino, ma la parola "mscolo" ne indica
le precipue caratteristiche quando tutti i bicipiti tricipiti e quadricipiti del corpo tuo
sono tesi in una con la mente allo spasmodico possesso delle manopole, alla pallina
che rotola (le stecche no, frullo vietato!), a cacciarla in quella buca maledetta, gol!,
con partite che duravano anche ore, o il numero delle cinquanta lire possedute, e le
fronti si fanno madide di nobile sudore e le gole roche a forza di urlare ed incitare.
Nobili anche le partite a carte, briscola o tressette che fossero, ed anche il pigugno
mottacense importato, a rimembrare un passato ormai lontano, con quel minaccioso
fante di spade (chi se lo ingu-gna ha un punto di penalit!) sbito nomato,
iconograficamente, l'omin da la barta, o l'ebbrezza infinita di quei poker anche da
mille duemila lire, micca pippe, fino alle ore le pi piccole. Poi, loro, a casa, per
alzarsi la mattina dopo a universitarie mansioni, e tu, ancora suoniero, a letto, e vai
alla grande.
Ma non si pensi che fosse tutto cos fatuo, cos frivolo, cos nonscialante. C'erano
alate discussioni, d'arte, filosofia, politica e varia umanit, e due che porto. C'erano il
vino e l'Osteria dei Poeti, quasi riva sinistra per nobili giovini letterati, foglietti con
versi e racconti scritti a penna, un uovo sodo e un bicchiere di bianco, che l'oste Paolo
spillava da enormi botti che affollavano il locale in cui, si diceva, Carducci in persona

avesse a lungo sostato, ai suoi remoti tempi, prendendone anche casse da undici e tre,
poi a casa a scriver poesie, alla bella Margherita Regina, quella della pizza, dedicate.
Si sviticchiava. Ma poi ci fu la storia della morosa, a distrarti. Stavi ancora con quella
tua ragazzetta d'oltre Appennino, ma sentivi in cor tuo che i primi afflati (e che
afflati) andavano estinguendosi, come ricoprendosi di abitudine e di noia, ed anche
data la distanza, e l'impossibilit di rassodarsi del rapporto a questa cagione, o chi sa
che altro, ne la sentivi lontana, a dire il vero, come di un qualcosa che c'era ma
ricoperto degli usati panni del consueto, del non rinnovellato. E dire che ne eri anche
stato innamorato. Follemente. Ma va' m a vedere, t. Quel visino non ti sembrava
pi cos dolce, desiderabile. Quelle tettine ti avvilivano, invece di tutto ringalluzzirti,
quella parlata aspirata ti menava a noia, e l'averla sempre l, invece di darti conforto,
ti muoveva ad un sobrio pensare: "Ma sccia che due marni!", segno che qualcosa,
in quell'amore, si era rotto.
Quando fu l'ultima volta che la vedesti? C'era stato un inverno tristo di gelo e freddo,
un breve periodo speso a ricercar indarno un posto pronubo per tentati e mai concessi
accoppiamenti, anco un giorno trascorso ad arrampicarsi fin su a quella casa
abbandonata dove sapevi nata la tu' nonna, la porta che a virili spallate ti si
spalancava per offrirti il dono natalizio (erano le nataliche feste!) di un'intera
magione tutta a disposizione, ma di polvere e mobili scassati tutta rubaza da bocciar
via e freddo sotto lo zero di molto, cieli bigi che parevano gridare neve e un cassetto
spalancato con un'intera nidiata di topi piccoli e rosa e disgustosi che gettasti in un
pozzo l di fianco, tanto quell'acqua non la beveva pi nisciuno. Che combinaste, l
drente? Che nella memoria tutto si confonde un poco con mille altre femine con le
quali poi si finisce per fare le medesime cose dell'amore giovanile. E quell'ultima
volta? A Fiorenza, naturalmente; ti eri l recato per la tre giorni delle prove
attitudinali per il Corso Ufficiali, Caserma Cavalli via del Tiratoio, ma cosa ti tiri?, ed
avevi voluto provare, assaggiare, un anticipo di naia, dormire in quei locali tetri su
quelle tristi brande, vedere cosa ti sarebbe capitato di l a poco. Era un gioco
ambiguo, essere in naia e non esserci ancora del tutto, con strani commilitoni
piombati dalle parti pi strane d'Italia, non tanti a dire il vero, e la sveglia la mattina
dopo, coi pochi soldati fortunosamente imboscati, e di l a poco ne avresti imparato la
sublime arte dell'imboscamento tattico (Senti, com' la naia? eee, naia! Chiaro
come il sole!) poi condotti ad un Ospedale Militare ad esser tutti visitati, di sopra e di
sotto e di sottosopra, a mostrar muscoli e vista acuta e mente sagace e a far la prova
dell'orina, che tu saggiamente avevi gi provveduto a mingere, quell'orma, come di
sana abitudine, appena desto, e non ti veniva neanche una goccia, anche cucciando,
sentendoti com'un sordido impotente o quasi, aaa lei deve star qui anche domani, ma
sccia anche domani?!, e le prove psico-fisiche, come in questa sequenza cosa c' di
sbagliato, tipo due fiori, una rosa, un giglio e un paracarro, o le domande di cultura
generale, qua maschio ti devi dare da fare, senza PROTEZIONI, li hai sentiti quelli?
Chi eia uno Zio Maresciallo, chi Grandi Santi in Paradiso, e tu non cii nemmeno
l'anima delli meglio.
che poi ad una cert'ora ti mollavano, in libert (libera uscita), e te la ritrovavi,
quella tua morosa, prestami mille lire che ti pago il cine, e l dentro, nel buio

complice della galleria, con diecimila altre coppie in ugual faccende, il pastrano sulle
ginocchia a mascherare l'intenso lavorio che c'era sotto, per strappare in quelle tristi
giornate un po' di sesso allo scopo di almeno un poco illuminarle. Ma non
illuminavano nada de nada, ti eri accorto. che c'era un'altra di mezzo, una cosa
iniziata poco a poco, che beginnin' ti faceva quasi schiva, poi trach dentro, inscufiato,
senza neanche accorgertene.
Non vedevi l'ora di mollare e il misuramento muscolare, e le prove della vista
d'aquila, e le varie attitudini psicofisiche, prendere il tuo trenino e tornare di corsa
alla mesn, dove ti attendeva pacchi di novit.
III
Il primo bocheggio
Dopo l'autunnale impatto vagavi inane per la citt, che ti si offriva come in un vicolo
d'angiporto, vecchia storica bagascia ma per te nuova noventa com'era, con le sue
immani possibilit, di strade e palazzi, di periferie smisurate, di infinita gente
sconosciuta che guatavi e riguatavi, e pensavi d'avere di fronte pi che vasti territori
di caccia inesplorati, ricchi di misteriosa selvaggna, di fiori inusuali, di aborigeni con
cui tessere nuovi rapporti, come se tu fossi giunto alle Americhe o alle Australie. Era
tutto uno scoprire, un discernere, in lunghe promenade a fette per quei posti che
conoscevi e non conoscevi, cercando di riallacciare passate amicizie, e a cercarne di
nuove. Mine? Cosa sono le mine? Il vecchio usato vocabolo pi non ti sfruculiava.
Erano m ragazze, sprucaglini, patonze, nature, quelle che a centinaia ti sfioravano,
guardavi passare, e ne saggiavi le possibilit, l'ondeggiare, lo sballonzolare,
l'abitabilit tutta, e sentivi in t l'istinto del cacciatore di bufali che, superata l'erbosa
collinetta e dato uno sguardo alla pianura sottostante, la scorgeva ricolma di grasse
mandrie che pascolavano, ignare del long rifle che stava per abbattersi su di loro.
E un giorno vagolando incontrasti il sassofone-ro, quello che tanta ammirazione
aveva destato nella Citt della Motta. che abitava poco distante da t; poco distante
il giusto, ma allora si sgambava allegri per ogni dove, e non c'eran problemi, micca
come adesso, che senza ferro di sott'al culo non vai da nisciuna parte, non vai. Dovevi
prendere quella strada grande che passava sotto casa tua e arrivava diritta dall'estrema
magica periferia fino al centro, a due passi dall'ergersi medievale delle Torri; la strada
che (ma allora noi sapevi) partiva proprio da quella piazza l, la Ravegnana, di
longobardico ricordo, da dove a ragger si dipartono le tre strade che guardano ad est
(ma quella di destra la pi antica Via Romana, da Ariminum a Placentia) e proprio
quella di mezzo, la tua, arrivava (e tutt'ora, invero, arriva) pari pari, andando verso
Levante, fino alle architetture bizantine poi gote della lontana Romania. Lo ricordavi,
quel musico, con altri tre di Cittanva, a rallegrare sabato pomeriggi e sere di lontane
e oramai obsolete festine della Citt della Motta. Sempre elegante di foresta eleganza,
non da volgare mottacense, un quale di diverso, un tocco extrangero, vstirio e
fanghe di altra classe, altra signorilit, non da sborone, non classica ma estrosa, tipo
un cappotto di velluto nero a coste larghe foderato di raso rosso cardinale, bulbo sul
biondo aiutato da coraggiosa ossigenatura, che avrebbe potuto farlo sembrare un po'

una kira9 senza speranza, ma scoprirai poi su di lui l'influenza di tutte le innumeri
femine di casa sua. Come musico andava via che sembrava unto, aveva l'usta giusta,
per quei giorni, non solo col tenore, anche col baritono, mica pippe, facevano pezzi
del grande Mulligan, tipo Walkin' Shoes o Bernie's Tune o Pive Brothers, che l a
Cittanva c'era tutta un'altra scuola di suonieri, e per caso ti eri bocciato contro lui a
due passi dai giganti inclinati sghembi e fa-bulando del pi e del meno gli avevi fatto
la proposta, verresti a suonare con noi? Abbiamo un complesso cos e cos (allora si
nomavano complessi, ed erano di l da venire i tempi dei gruppi, e poi quello delle
band, come la band d'Affori). E lui, a piedi con altri sgobbi, scioltisi oramai i favolosi
Golden Rock Boys (pensa t!) aveva accettato, con signorile superiorit. Allora
pensavi ancora che avresti trascorso il tuo vivere a rallegrare mandrie di scomposti
ballerini in giro per le pi sordide balere della penisola (penisola! Un po' di Padnia,
col Senatr ancora in fasce e un po' di Toscana, e riga!), anche se un vago sentore di
noia gi t'incombeva, sentivi dentro t il desire di ritornare sui sudati libri, spinto
dagli altri di Cittanva che avevi conosciuto, tutti universitari. E tu chi sei, un
quaiuzzo? D'altra parte poi tutti i suonieri d'allora svirgolarono presto ad altri
trabajos, chi a vendere auto, chi tecnico specializzato, chi a far qualaltro. Ma nel
frattempo (e naia incombeva tragica, un destino oscuro che ti attendeva dietro
l'angolo) il tuo mestiere era quello. E l'affare fu fatto. Tu a fette l'andavi a prendere
poi sempre a pedagne alla stscion e via per il mondo. Stava di casa in una casa
strana, antica, coi soffitti altissimi. A Cittanva esistevano case cos, nella Citt della
Motta non ne avevi mai viste. L erano i residui di un vetusto e nobiliare passato, che
si corrompeva un poco ma non aveva sentito l'ansia del tutto nuovo che percorreva la
Motta, che si espandeva allargandosi verso una periferia ancora campestre, da piena
pianura, dove un orizzonte piatto inseguiva un altro piatto orizzonte, con campi di
grano e lunghi filari d'uva.
Gi, la casa. Forse a Citt della Motta c'erano di quel tipo l nel centro storico, ma
mai coperte, mai frequentate, avevi solo, passando nel centro, l'idea di un qualcosa di
muffoso e umido, senza sole mai i pccioli cortili interni, pietre sconnesse ricolme di
borracina, sentori sordidi di cloache mai smunite, lezzo di risciacqui umani e pisciate
di urbani placidi gatti, mentre l, a Cittanva, ti si aprivano improvvisamente
incredibili giardini lussureggianti di piante e palmizi con tromp l'oeil contro un muro
di fondo che ti facevano sembrare di andare sempre avanti, di continuare, in un gioco
di specchi affascinante ed ingannevole, un miraggio, una Fata Morgana, con aiuolette
verzeggianti, vasi con piante d'aspidistra, fiori di sconosciuta e forse esotica origine.
In quella casa di cui sopra si entrava da un enorme portone poi, salite un paio di
rampe di annose scalinate (non scale, scalinate) c'era la porta d'ingresso. Si entrava, e
ti si apriva di fronte un lungo andavano che portava all'ENORME cucina in fondo,
col pavimento di cotto. Ora, i pavimenti che tu avevi visto nella tua vita erano o di
tavole di bel polito (polito, si fa per dire) legno di legna castagnina nella montanina
casa degli antenati o di mattonelle nuove di zecca, di un bel gres o cos' che c'era
nella Citt della Motta, come, a dir il vero, anche pavimenti di marmo, addirittura a
veneziana, dicunt, lucidi intarsiati tirati a cera che quando entravi dovevi subire
l'umiliante usanza dei pedalini, straccetti amorosamente a mano cuciti che toccava

mettere sotto i piedi indi procedere pattinando, come su di un scivoloso ghiaccio.


Forse, come quelli discoperti a Cittanva, ne avevi sogguardato velocemente di simili
nella casa su dove ora soggiorni, con la cucina in cotto e nelle altre stanze mattonelle
identiche a quelle di casa Giusti Giuseppe a Monsummano Terme. L, entrando nella
cucina, sulla sinistra, v'era tutta la fuoca, col fornetto a gas, certamente, ma vi vedevi
tracce di antichi fornetti a carbone che indovinavi non pi usati, per c'erano, i buchi
cavernosi e neri come nere gallerie di mine. Come quelli che andavano al Mulino tuo,
sventolando una ventola di piume di gallina, e la Zia Teresa vi cuoceva rag che
sobbollivano ore, o Nonna Amablia che vi trafficava i suoi incredibili intingoli di
pochi pescetti di fiume o di quattro funghi trovati nelle sue peregrinazioni fra i boschi
ed i prati di antiche possessioni avite, quel-l'umidino di funghi del bosco (loffe,
prataioli e morelle per di pi) con Zia Rina che biastemava: Un giorno ci avvelenate
tutti, coi vostri funghi!; per, noterai dopo, le dava del voi, a nonna, mentre lei, pi
giovane, new entry, era trattata col t. Non con quello che si beve, col t tu.
Era dunque, la casa del suoniero, un susseguirsi labirintico di stanze e androni e
cucine, mobili d'epoca e non, tappeti per le terre e sui tavoli, centrini a mano ricamati
con vasi al di sopra poggiati (dai quali alle volte spuntava un fiore), polvere e
tendaggi. Alle quali cortine sembrava aggrapparsi l'u-gual d'epoca nonna, che era
stata (e non mancava mai di dirtelo) attrice con la Duse, e gridava in assordante bassa
voce (gridava si fa per dire, declamava), aaaa D'Annunzio, D'Annunzio, il Vate, aaa il
Vate, l'Orbo Veggente, e sembrava ti dovesse recitare la pioggia nel pineto o la sera
fiesolana ad ogni pie'. Sembrava il tutto essere un po' come la casa di quell'amico di
tuo padre, pittore, che visitasti ragazzo e che ti rimase impressa nella mente, con
uguale cucina enorme (altro che cucinotto), con una fuoca quasi al centro della
stanza, con bei panciuti rami lucidi appesi e, anche l, una vetusta cadente nonna di
non so chi (ma non credo fosse stata anche lei attrice con la Duse) che dominava la
scena, ma in perenne silenzio lei, piccola e consunta, su una seggiolina di pavira,
sogguardando il tutto senza fiatare.
L era tutta un'altra nonna. Si aggirava o meglio scivolava per le cammere in abiti
dmod ma carchi di antica eleganza, le bianche chiome che, seppur ferme,
sembravano sempre squassate da un vento che proveniva da dietro le quinte, uso una
scena del McBeth, e la voce impostata insufflava pensieri e parole, apparendo e
sparendo a suo bell'agio da ed in una remota stanza da letto dove, credo, erano
racchiusi i segreti pi riposti della sua non breve vita.
Era, quella casa, l a significare tutta la rimbonza differente di Cittanva? Gente cos
non l'avevi mai masata. Artisti? Bohmiens? Cercavi pi che di capirlo di divinarlo,
tanta era la differente novit. Appena entrato, sulla derecha, vi si trovava il suogiorno,
anch'esso enorme, tanto che in un angolo avevano ricavato una arguta tenda che, a
puntino tirata, serviva a celarvi dietro un letto sul quale qualcuno, all'evidenza, si
giaceva. Perch stanze ve n'erano tante, ma tanta anche la gente che vi abitava. Ad
esempio, oltre la nonna, c'era la di lei figlia, madre a sua volta di quattro figli, e uno
era il suoniero di gi mentovato, ma c'era anche un fratellino piccolo ed uno pi
vecchio, di rare e rapide apparizioni, perch, lui stesso musico, suonava la chitarra
con un grande pianista d'allora e ne tornava da favolose turn in giro per il tutto

mondo, roba da lasciarti im-bananato, Egitto, Libano, Inghilterra, perfino le lontane


Russie, portandone favole e prebende per la famiglia, invidiato da noi miseri musici
delle balere di poca distanza dei dintorni, quando ancora ti saresti spinto all'avventura
in capo al mondo.
Un padre non c'era, era sparito morto anni prima, lasciando l'intera famiglia non si
dice in gravi ambasce ma in una parvenza di rana, cosicch affittavano stanze e
sgabuzzini e anfratti a giovini studentesse, che aumentavano a dismisura il quoziente
femminino di quella casa, trasformandola in un incredibile gineceo, una specie di
harem forse intrasognato ma mai posseduto, che si godeva oltremodo frequentare.
Gli che fra le altre c'era anche una giovin sorella, che dopo un po' di vicinanza
pareva ne volesse a balocchi, sembrava ti avesse preso a godere, tu con bigonza
ciancicata e giacche sformate, maglioni a girocollo di antica data ma la cartola di uno
molto filuccone e quindi magro di una robusta magrezza di quei vent'anni cos, nel
tempo, ora lontani. Eppoi cantore, il che non guastava. rasi, lei, all'apparenza, una
specie di ciospino, sbagiuzza giovanile che neanche te la filavi, con arti inferiori che
sotto comodamente un TIR ci sarebbe passato, come attraversando una comoda
galleria. Per per. Intanto quelle gambe erano sormontate da un bavullo degno di
questo nome. Spalleggiata poi da una delle pensionanti, complicit femminina,
un'allora opima ragazola della bella lmla, che studiava legge o medicina o quel che
era, se ne veniva di quando in quando a pasturarmi nei luoghi dati ai tersicorei
certami dove noi si travagliava, sbaluginandoti in ghigna que' su' due fanali castani in
vero bellocci da giovine adolescente innamorata che ti sembravano dire: "Sono qui
per t, il mio mecco, noi vedi, noi senti l'afflato virginale (che tale ancora era)
promanante da tutto il mio essere di me stessa, l'umidiccio di linfa bagnata e primaverale che tutta mi inumidisce e mi percorre al solo vederti, l'irrigidirsi dei due
ampi fiori sboc-cianti sulle non piccine bocce che si offrirebbero cos volentieri al tuo
sapido e sapiente tatto?". A forza di dai e ridai rimasi bocheggiato, forse anche
inconsciamente spinto da un turgido labbro non si-liconato, che ancora tutte le
soluzioni plastiche delle nostre attuali sciantose erano in anticamera diaboli, un
labbro di sotto pienotto, trgido, sempre spaccato in due nel mezzo, che ti veniva
voglia di tutto succhiarlo per ore, come una carniscialesca caramella. E rimanesti
preso nel lovetto di una scuffia baritonale.
O, non subitamente. Aveste tutto il tempo di trasferirvi anche nelle dolomitiche Alpi,
un sale che sorgeva nei pressi di un laghetto, a suonare da Santo Stefano all'Epifania,
scoperte incredibili di prime colazioni a base di burro e marmellata, esperienze
culinarie sibaritiche alle quali non eri aduso, i giorni liberi di girottare per le valli a
caccia, una giovine tedesca che si chiamava Efa (solo dopo anni capisti che va era
in vero il suo nome, pronunciato alla crucca) e le incredibili gioie che uno sciagurato
manipolo di ventenni poteva permettersi, come le inevitabili gare di rutti e scorregge
nel limitato recesso della cameretta in cui tutti si soggiornava, con conseguenze a
volte drammatiche. Poi, alla sera, belli di povera eleganza, con doppia divisa, anche
quella di lam, a far danzare coppie per la maggior parte di Tergeste l giunte per le
invernine vacanze. Ma ci fu anche la puntata nella Svizzera dic', una cittadina dal
nome impronunciabile, la prima volta i piedi su di un suolo non patrio, anche se gli

avventori ransi tutti italici, e la Staadt Saal per l'occasione pavesata di bandiere
tricolori. Un'esperienza mai vista, caricati, noi e gli istrumenti, su una vecchia Pantera
trasformatasi in tassi. Il vecchio tassinaro, al ritorno, si ferm e ci disse: Se non la
smettete di ruttare, bronzare e biastemare giuro che vi lascio qui!. E noi moscardini
abbozzammo, perch allora c'era pi rispetto, tornammo con le dieci carte a testa
d'ingaggio nelle povere bisacche, e di quel viaggio ne parlasti per mesi, la Grande
Milano mai vista sfiorata, intuita, e "le cassette della posta sono gialle, non rosse!", e
i genitori che la domenica di mattina girellavano per le linde cittadine con fi-glioletto
a mano e un mitragliatore della Buona Signora sulle spalle, e quella stecca di
Mrlboro acquistata, e il ricordo della gioia di un pacchetto al giorno di Mrlboro e
delle fragole al limone dopo i pasti ti seguir per tutta la vita.
S, era oramai primavera, e tu eri caduto appieno nella trappola amorosa. Era
piacevole stare l, in quella casa, in oziosi pomeriggi od anche alla sera, col
recuperato Piero Bleck d'antan che veniva a prenderti a casa tua poi, appena usciti,
sostava ad un vespasiano, un glorioso monumento liberty ora sparuto, scomparso,
come tutti gli altri del resto, recante all'interno le pubblicitarie scritte del Mom,
magica polvere atta a disperdere fastidiosi animaletti piattole chiamati, o della
prudenza di usare il provvido Hat, con dotta citazione del dotto Mantegazza.10
Abbelliva, questa piramide d'allora, questo Ziggurat, questa costruzione Olmeca o
Tolteca, col suo trionfo verde scuro in riccioli di ferro battuto, una zona a due passi
dalla porta, e questo fatto di abitare in una citt con le porte aveva un che di maraviglioso, di mai visto. Era d'uopo sostarvi. Poi, andando diritti, si arrivava al portone
e alla casa che si detto, a cianciare de nada, a strascinare la nostra bella giovinezza.
Finch la naia non ti strapp dal Giardino delle Delizie, dal Paradiso delle Hur, e,
allora, s'ciao a tutto, adio fichi, addio bella giovinezza prima.
IV
naia
Cominci tutto sur un treno, un diretto maledetto in partenza dalla Stazione Centrale
alle ore 22 e un quale, destinazione infinito Sud, raduno (appello?) nel grande atrio,
tutti spauriti e sgoduti, la ghigna gi quasi da naia, anche senza saperlo. Gli altri
(camerati?) con bagagli e famigli e impedimenta varie, e mettiti la maglia di lana, e
da' retta alla signorina (Signorina! Il Sir Tenente, ma vai a saperlo!) con morosite
inlacrimate che poi da di l a poco vi avrebbero quasi tutti mollati nel rusco (le
puttanose troie!) e t naturalmente da solo, salutati frettolosamente i cari parenti, che
la bella aveva detto non vengo non me la sento di venire sai come sono no no non
reggo alla tua dipartita, longa strada a piedi e valigia con le poche suppellettili, sub
pellis, com'un legionario antico, ed una custodia mastodontica contenente la misera
chitarra di legno, una pur gloriosa Carmelo Catania senza un prolo, un bschero
intendasi, e quell'i-strumento, speravi, ti avrebbe un poco molcito, se te lo si lasciava
tenere. Passer un legno in naia? che la naia era un'oscura calgine, un quale sentito
vociferare, ma adesso tocava a t, brisa grugn, e cos ne l'avevi portata. L'altra, la
chitarra legittima della legittima custodia, lasciata giustamente a casa, essendo

elettrica. Un po' per rompere del tutto col tristo passato da musico, un po' per
praticit. La Tua Prima Chitarra Elettrica, ed anco ultima se per questo, ma tant'.
Era, quella chitarra, una cosa vomitevole assai, ideata da intelligenze sconvolte di
locali mentecatti, italiani dico, di un colore rosso mattone scuro cosparso di dorate
paillettes ("Bucaioli c' le pait!")11 che, colpite da un subdolo raggio di riflettore da
balra, squittivano lor doratura tutt'attorno, il che aveva affascinato non poco t,
l'incolto, ed anche t stesso in parte mentecatto, suonatore, in quegli scarsamente
onorevoli anfratti dati alle musiche. rasi, il manico, cosa di metallo, alluminio od
altro extraleggero, fissato alla cassa con grande dado ovviamente avvitabile e
svitabile, non a mano nuda, naturalmente, che ti sarebbe occorsa la forza muscolare
di un rcole, ma con opportuna cagnetta la quale, alla chiara bisogna, mai in assoluto
recavi teco. Ben fisso, quindi, ma non nella legittima posizione perpendicolare alla
cassa, che per misteriose sue ragioni il tutto n voleva n sapeva assumere, ponendosi
con un curioso angolo acuto, (ottuso, evidentemente, dall'altra parte); se questo
andava a scapito dell'accordatura, e credo che detta chitarra fosse IMPOSSIBILE
accordarla, poteva procurare, tenuta saldamente per la cassa squassando bellamente il
manico su e gi con la mano stanca, un curioso effetto maniglia di distorsione ancora
da inventare ma che molti, rozzi pari a t, invidiavano anche, gridando alla
sovrumana abilit. Per dire. che forse gli anni '60 erano arrivati e non ce ne
eravamo neanche accorti. In pieno pari in quegli anni, ma vallo a sapere.
Il manico poi era stracolmo di scritte, Framez e/o Framus, bellamente incastrate in
varie guisa qua e l per i tasti, se ben ricordavi, come intarsi di preziose e rilucenti
Madre Perle orientali, come grondante di lapis azul e cornile e berilli e crisopazi e
balasci, e la cassa, dotata ahim d'una sola piastrina d'amplificazione di vigorosa
plastica giallina, sembrava un'incrocio fra quella d'una usata chitarra ma
acromeglica (era, l'ipofisi malata, il bubbone della giuntura) e un qualcosa di
futuribile per non ancora ben immaginato, un sogno infrantosi all'alba, essendo che
la gigantesca cassa piatta leggermente bombe di suo non dava suono veruno ma solo,
era il tutto, immaginato per l'estetica, il bello per il bello dico, fa' t. L'amplificatore
rasi un parallelepipedo verdolino, sempre colmo di coriandoli degli allegri trenini a
samba dei carnevali e dei cerchi dei bicchieri delle bibite che, una a testa, venivano
servite a gratis durante i servizi, ma questo non c'entra. E pensare che avevi
sdegnosamente rifiutato, per una misera somma, una Gibson Les Paul nera che ora
varrebbe fortune e capitali. Rabbia, a pensarci, ma eravamo fatti cos.
Per questo motivo la scancellasti dalla mente e agguantasti la vecchia legnosa, priva
pur anco della chiavetta del Mi basso, fatto che per poteva essere rimediato o con
apposito paio di pinze o (extrema ratio) accordando tutta la chitarra alla nota di
QUEL Mi basso, e amen cos. Bisognava soffrire.
E andaste a prendere il treno, quel lungo treno che andava al confine, col cffolo del
vapore, quasi, morto e rimorto in cuor tuo, che si schiudevano a fronte tempi fra i pi
duri della vita, e per 18 (diciotto) mesi sarebbe stata naia a trecentosessanta gradi.
Quel busone di Vincenzo era riuscito a farsi riformare, e ghignava soddisfatto nelle
consuete passeggiate serali per il centro, le languide oziose vasche che sarebbero di l
a poco state dimenticate, ridacchiava il ludro, a me mi hanno scartato. Proprio cos,

... a me... ... mi hanno scartato... . Era stato, il busadro, lunghi mesi quasi senza
cibo, rimpinzandosi solo di chicchi di caff che, a detta popolare, ne avrebbero
aumentato a dismisura l'aspetto pallido cadaverico e diminuito l'ampiezza toracica,
tanto si che alcuni medici militari a vedere cosiffatto sospiroso sfinimento, al limite
del mal sottile o caduco, quasi rinata Signora delle Camelie o riapparsa Mimi,
meravigliarono assai e, a lungo compatendolo, dovettero sostentarsi con alcuni
cordiali per sopportarne l'esile infausto ricordo. Il villain ora sorrideva felice, di gi
ingrassicchiato, non doveva, lui, lasciare i cari lari, gli amorosi penati, non aveva a
scaraventarsi su di un treno verso l'ignoto vuoto della Legione. Il margniffone se ne
sarebbe rimasto l, assieme agli altri militesenti vuoi per compiacenti vole di cui mai
si sarebbero sognati il sostentamento, ovvero per universit, o vuoi per altra valida
ragione dei miei mrrons. "Ma" bestemmiavi in cuor tuo, "perch dovrei essere
l'unico chiamato a difendere la Patria in armi? Perch, imbracciate Quelle Stesse
Armi, dover combattere, procombere sol io?" Non c'era che a lungo imprecare contro
il rio destino. Anche, non potevi isperare in pi o meno vistosi difetti fisici, atti,
abilmente usati, a favorirti un fortunoso allontanamento dal tutto, come nel caso dello
scarsamente toracico amico. Al contrario, avendo fatto Regolare Domanda per il
Corso AUC, lggasi Allievi Ufficiali di Complemento, dopo aver nasato alla prima
consueta visita che le gbole e le iscuse e le lamentazioni sortivano solo un riso
divertito (e che bel riso) degli Addetti Medici Militari, dovevi mostrarti nel
sacrosanto pieno della tua possanza psico-fisica, se volevi esser preso su.
Ma per allora solo rimemberin'; il treno notturno (colonna sonora, Night train)
percorse lento ma impavido tutta la dorsale adriatica, e Furl, e Pesaro, e Ancona, e
Bari, e t scc'mel, non siamo ancora arrivati? Si dormicchiava, guatando ai vari
risvegli fuori dal finestrino, panorama in nero dove si indovinava la linea oscura del
mare che si sbatteva, come ora, contro la costa. Poi, a giorno, ti svegliasti del tutto, ed
eri gi arrivato. Scendesti. Un minaccioso cartello recava scritto "Fine delle Ferrovie
dello Stato". Ma dove siamo finiti? Ai confini del mondo conosciuto, dopo un
confuso territorio inesplorato, carico di minacce e di misteri.
Un rabbioso sergente vi raccolse, urlando con urla che si ripeterono poi per mesi, e
foste carcati su un camion come agnelli sacrificali, e ci fu il guardarsi attorno
smarriti, sgomenti, per le trafficose periferie meridionali. O, il biancore delle case di
Lecce, intuizioni d'Africa, col calore del mezzod e l'accecante bagliore del sole
lugliatico, che ti aspettavi ad ogni angolo candidi meharisti in ghelaba e paciosi
dromedari, ma senza le frescure di una riposante oasi. Solo calore, rumore, voci e
odori sconosciuti. Un rancio veloce e poi la vestizione, via i vestimenti borghesi, con
un maresciallo (maresciallo?) che ti misurava a occhiate e ti dava la roba, due paia di
braghe, un paio d'anfibi che ci vollero mesi e vesciche a sladinare, due magliette, due
mutande tattiche residuato della Grande Guerra, con la militar divisa che puzzava di
nuovo, di magazzino, di misteriosi anfratti e tu l, con la tu' chitarra a penzoloni, viso
perso nello sconosciuto futuro. Di chi questa chitarra? Mia signor... Signor
cosa, che gradi ancora non ne masticavi. Bene, potr essere utile per rallegrarvi,
'gnitanto, genere di conforto. La chitarra passa, i capelli no, via in fila da barbiere
naione che ti tosa il bulbo come mai nella vita, facendoti assumere il tetro aspetto di

un coatto borazzo di rara bruttezza, ma tanto rutti uguali, tutti nella stessa boazza.
Dove saranno ora i militesente? I suonieri al mare riccionese, due mesi, li hai visti
prima di partire, con due bionde di genere crucco che vorticavano attorno, a t quelle
gare l mai successe. E gli altri? A godersi il frescore d'Appennino, a ballare l'hully
gully, che infatti, perdita dolorosa, non imparerai mai. A sera secondo rancio poi,
nell'anticipo della notte, nell'anticamera del sonno, penosamente a provare a cucire
sulla bustina e sulle spalline i fregi, FAUC che per sei mesi ti avrebbero marchiato a
fuoco. Eri l che con ago e filo e biasteme tentavi l'impossibile quando arriv un
toscano gigantesco che fa, dice: Di chi quella chitarra l?. Mia gli rispondesti
scuorato. Perch non ci suoni qualcosa, che forse ci passa? E la roba qui chi me la
cuce? Se ci suoni qualcosa te la cuciamo noi. Potenza della musica.
Cos and quel primo giorno di naia. Poi tutti in branda, al buio. Fuori, una tromba
dei vili naioni, nel silenzio atroce della caserma, suon come omaggio o pesante
presa il silenzio fuori ordinanza il cui testo, che allora non conoscevi, fa: "Brutta
cappella va' in branda e va' a dormir, mentre l'anziano va fuori a divertir, non
t'arrabbiar, che i giorni passano e la finir, i mesi volano e la finir, anche per t".
La finir s, ma questo il primo giorno di diciotto mesi. Noi intanto, l al buio, la
testa ricolma di confusi pensieri, provammo tutti un magone che chi non lo prova non
pu immaginare.
V
All'erta sto!
Avresti mai, anche lontanamente, immaginato, figurato, di trovarti l in una vaga
situscion del genere? E che genere! Roba da profondersi in alte tane, che i cncheri
non erano pi a basta e il corazon andava dalla sua e ti tampelava a ritmo binario.
Non che non l'avresti. T te ne stavi l, schiccio schiaccio, appoggiato al muretto, e
pensavi, ecco-me se pensavi, altro non avevi da fare. Metti era notte, non tanto tardi,
saranno state le undici, e t eri abituato a far altri orari, verodo, a tirar anche l'alba,
delle volte, ma da borghese, fra vino, chitarre, e filosofici discorsi amicali. Che in
naia ore nove massimo in branda e riga, a tirar di lungo fino alla mattina dopo, e non
bastava mai. Avresti mai pensato di trovarti con gli occhi che ti si chiudevano
apiombati, uno zagno bestiale, novembrino, (gi nella seconda Caserma, da Lecce un
poco pi a nord, Cesano di Roma) e tu l in piedi, mimetica ed elmetto, micca pippe,
con gli anfibi che ti facevano male, anche se ormai ampiamente sladinati, e il Garand
semiautomatico MI 7,62 fra le mani, a fare i bigatini, a far finta di far la guardia,
all'erta sto i maroni, con un sonno che cascavi da tutte le bande. E pensavi a quelli
che, le leggende correvano, l di guardia, si erano sparati un colpo in bocca e amen.
Quasi ti piangevi addosso, poverino, sei qui da solo, a badare a un muretto, caro,
nella notte buia, col terrore dell'ispezione. Com'e-ra, il rituale? Altolchival? E poi?
Si sussurrava (dicebant) che il Colonnello Comandante, Grande Visir e Stranzmller
della Caserma Tutta, se ne tornasse dalla non lontana e ahim scarsamente
raggiungibile Roma fatto come un copertone e facesse schierare la guardia dando

delle onde paurose di balla poi li puniva, quelli della guardia, perch si erano mossi
sugli attenti. Mossi sull'attenti un'altra volta, che per la Grande Paura se ne stavano
fisi come colonne con relativo stilita sopra, brisa storie; era lui che sembrava le
famose canne al vento, era. Ecco, spararsi un colpo in bocca e finita, tutto, l'arla della
naia, i magoni, la stanchezza, la paura, la lontananza, tutto, diocristo! Ma spararsi con
che cosa, che non ciavvi neanche i colpi, n in canna n altrove, e gli unici proiettili
che avevi visto erano quelli sparati mesi prima al poligono, un busso una gran botta
alla spalla uno scivolare all'indietro sulla pedana di lgno, gomiti sbucciati e via,
fuciliere fatto e finito. Sadici colpi sedici, va' m a far la guerra, ad insegnare ai
soldati come si spara, se la stella da Ufficiale desiderata auspicata sognata, The Great
Dream, The Lo-nely Star, veniva raggiunta. Che per ammazzarti avresti dovuto
prendere il fucile a due mani e spararti delle gran botte in testa col calcio, o buttarti
gi da quel muretto che cos impavido guardavi e difendevi, un metro e mezzo due
metri s e no, roba da nemmeno slogarsi una caviglia ed essere mandato a casa e poi
far tutta la naia da naia semplice. Altro che suicidio.
anche che, come sovente accade a chi in naia dato disperso, lei non scriveva pi,
improvvisamente interrottesi le missive, ma sicuro che le Regie Poste funzionino
ancora, Caporalmaggiore? Le Regie funzionavano eccome, certi colleghi le
sciorinavano, le Poste loro, come bucata da industriose sdure esposta all'aria
primevrina. C' da dire che poi, al ritorno, probably se le sarebbero sbito sposate,
per il desiderio di tociare il biscotto per lunghi mesi represso, finendo in turbiglioni di
figli e parenti e lavoro e un quale che ti porti via e t bello come il sole a far danni in
giro, e vai che vai a la granda, Arman-da! Ma allora! La Pasife, la Messalina, la Gran
Vacca, che sbaruslava lacrimando pinte di umor vitreo non vengo ad accompagnarti
al treno perch mi fa pi male che bene, sai che non reggerei, no no non vengo,
sordida puttana, e la memoria correva ratta alle prime foto mandate quando ancora
scriveva, una lettera al giorno due la festa, tutta in desabigli, tutto un vedo e non
vedo, di opime tette sotto candide trine, un'idea del triangolo nero sotto la curva dei
fianchi, e SAPEVI cosa c'era l in mezzo, di fronte di profilo di coltello in pose
diverse, sembrava un calendario da barbiere, che erano anche state profumate,
profumate? irrorate, di sostanze odorifere, roba che ti era venuto un mal di stomaco (e
maroni) da mordere mani e cuscini e ululare di dolore e di malinconia e desiderio di
sesso per giorni.
Ripensasti a quel pomeriggio della tarda primavera, mesi prima, ante partenza, ancora
Libero e Bello.12 Una primavera estenuante di temperature estive, quasi, del cotone
dei pioppi ondeggiante per l'aria e dei portici che riflettevano calore e luce e i rumori
del traffico. Ma non il gran traffico d'oggid che fa imbestialire gli automedonti e ne
giova alle polveri sottili e ai catarri bronchiali. Un traffico umano, lene, scorrevole,
da citt seria. E i portici sembravano un'oasi di fresco, una pausa ristoratrice, una
salvezza da raggiungere. I tuoi erano andati via, in montagna, per pasquali
incombenze, vieni anche tu? Ahim no, no, ci da fare, ci dei traffici da sbrigare, se
mai vi ragiungo. Ma ciavvi un tuo progetto, quell'idea, perch il trappolo non era
sorto ancora sul tuo orizzonte di giovinetto al perenne brevo, costava grana e tanta e
grana zero, e non un sodale che non dico l'avesse ma latitava anco l'idea, il sol

pensiero della possibilit, e strusciarsi per scale e cinemini e pizzerie e un cazzo che
Ramazza andava bene, ma fino a un certo punto, solo lenitivo, pallido palliativo. E
poi sembrava ci stesse, lei, era pronta a starci, senza tanti macheggi come quell'altra,
che era da qui a qui e il resto mamma mi tocca, quasi tutto ma non tutto, sccia che
due balle, solo dopo il matrimonio godrai di me a tuo completo piacer, matrimonio i
maroni, darlin', prendi m su, che ci penso io, al matrimonio. Invece con lei ne avevi
parlato, oddio, parlato, tastato il terreno, circumnavigato l atorno, nonscialante, in
quella pizzeria dove ti rifugiavi secolei, che ormai facevate parte dell'habitat,
dell'arredo, e la vecchia padrona o servente, vai a sapere (sar stata sui trenta
trentacinque), trattava i due rimbati adolescenti come figli, siete ancora qui, putini
(era ferrarese?), e pensasti dopo che vi prendesse anche un po' per il, l sempre l a
strusciarsi senza far niente, di concreto dico, e lei la padrona (o servente) invece
doveva aver avuto una grande esperienza almeno di fratturo, se non d'alcova, lo si
evinceva dalla ghigna un po' puttanesca, come quella d'una maitresse del mai
frequentato (lo si ammetta) casino. Eccoli qui, i miei putini! E i suoi putini sempre l,
mano nella mano, e una sera ti fa, non la padrona o servente, lei: Ma sai che io, cos,
per dire, io adesso (ampia boccata di bionda, fumo al cielo), sarei anche pronta a
darti tutto? Non l'ho mai fatto, nella mia vita, saresti il primo (e ritccia nella
bionda) ma sento che ti darei tutto, ora, fra un'ora, domani, quando vuoi. Sigaretta
spenta di forza nella ceneriera.
Oddio, sobbalzo, in che senso? Il guardo un po' a balocchi un po' fiso nei di lei occhi.
Bionda accesa freneticamente. Tutto? Tutto cosa? Tutto, va' l che hai capito, vorrei
far l'amore con t, ma l'amore l'amore, completo, perch sento che sar bellissimo.
Tutto tutto.
Be', cos, di brutta? Una ragazza di quei tempi grami? Si sussurrava che le gnocche
del Grande Nord lo facessero abitualmente, ma l, a Cittanva? Le era anche sfuggita
quella retorica adolescenziale un po' farlocca di quel sar bellissimo da diciottenne,
che col senno di poi avresti salacemente commentato sar come sar, mia cara, e le
prime volte non MAI bellissimo, solo un gran rimescolo. Non siamo mica in una
telenovela degli opalescenti schermi del Sciur Presidente. Ma ca-romo, star l a
menarla, allora. che l'offerta c'era stata, e pace, ma DOVE, santo dio, dove poter
porre in atto il loro disio? Anche quella volta, in campagna, raggiunta con un lento e
grasso autobus, e poi a cercare disperati il posto, lontano, solitario, prnubo, per tirar
su un quale in pi, ma sembrava che tutta la gente del mondo fosse l, da tutte le parti,
in tutti i momenti, cacciatori pescatori lieti contadini cercatori di funghi e trifole con
cagnino appresso, allegri bambini madri urlanti nonne brontolanti oscure minacce, e
rimediare qualcosa in pi si era rimediato, uno scappa e fugg, fra una toccata di tetta
un bacio uno svirgolamento degli elastici, che ti era rimasta solo una macchia sulle
leggere braghe verdoline e al ritorno sembrava che tutti ti guardassero L, almeno
avessi preso delle braghe pi pesanti e non questa stofina di leggero gabardine o cosa
cazzo , un imbarazzo bestiale e via a casa a cambiarsi tutto in camuffa e a
nascondere la biancheria sporca dentro al cestone, ben mescolata con le preesistenti
camicie maglie mutande calzini sporchi e rock&roll.

Cos, quel giorno, alla notizia della partenza parentale, avevi drizzato le orecchie,
come un gatto che nasa nell'aria qualcosa che non ti sar mai dato di scoprire. Questa
l'occasione, se non la prendi ora non la prendi pi. Senti, sai che avrei trovato il
posto? I miei vanno su gioved santo, potresti venire da me venerd, verso le tre, cos
stiamo asieme, noi. Non avevi detto cos scopiamo, un pudico "stiamo assieme" ma
si capiva che le intenzioni erano quelle, sarebbe stato il compimento, la catarsi. Pensa
t che malippo. E lei ti aveva detto s, senza tanto stare a pensarci sopra, con quel
"tutto" che tintinnava nella testa come un gngol natalizio, come una promessa o una
maledizione, quasi forse andavi sperando che ti dicesse non so non posso, oppure ma
sei proprio sicuro? Cose cos. Erano passati secoli, dall'altra volta del tutto tutto, da
non ricordarsi pi come si fa, ma le sfighe di quei tempi bui non saranno mai
abbastanza raccontate. E ti affannavi di preparativi, nella casa vuota (e se tornano
all'improvviso?), alcuni libri dai titoli importanti o tali creduti ben in vista in
disordinata distratta compiacenza, la chitarra in un angolo, niente nidi ad appalesare
rimescolo, uso biancheria sporca in bella vista; sol o sombra? prova e riprova
persiane aperte persiane chiuse no meglio semichiuse, e la musica, ci vuole la
musica (al cine c'era sempre)! La radio accesa che ti spar all'improvviso una notizia
tragica, su, vicino al paese, era caduta una frana che aveva portato via una mezza
casa, con gente dentro, tre vittime, una ferita che si vedr per anni, assieme a quel
senso di morte che danno le case semidiroccate, a persiane abbassate, la saracinesca
arrugginita e sconvolta, bombata in fuori, di un negozio scomparso. Pensa t, proprio
oggi, questa notizia qui.
Ma starci sopra non pi di tanto, perch non restava che aspettare, quando i minuti
sembrano mesi e le virili sigarette si bruciano in secondi. Son gi le tre e un minuto,
quando arriva? Son le tre e cinque, sar successo qualcosa, che cazzo sta facendo?
Son le tre e dieci, quasi quasi esci e le vai incontro, no, meglio che non ci vedano
assieme, sai la signora qui di fronte, che ha gli occhi anche nel culo, e dice di essere
sorda ma per sentire quel che le fa comodo. E poi il campanello risuona, rimbomba
nella grande casa vuota, eccola, lei, ti precipiti a dare il tiro, senti i passi per le
scale, la guardi sorridere. Ciao. Ciao, col cuore che bussa, ma soprattutto per la paura
che la sgmino i vicini bragoni. Vieni dentro!, guardandola ma cercando di guardare
trovare visi nemici occhiate ostili ad angolo cerchio, pensando ad eventuali scuse,
una parente, una lontana cugina, una giovine zia improvvisamente tornata
dall'Argentina! Vieni in camera mia invitante, elegante. Aaa, questa camera tua.
Bella mondana, signorile. 'Nsomma! distratto, quasi.
Poi dopo i convenevoli di rito tutta una cosa ancora non ben capta, baciarsi e
abbracciarsi, va da s, ma anche strafugnarsi rbidi, spogliarsi non spogliarsi mezzi
vestiti mezzi nudi in un silenzio che faceva risaltare gli strofinii e gli scorrimenti e i
brancicamenti in un bailamme trambusto confusione gran casino, e dopo un po' era
tutto finito. Cos in fretta? Cos'era successo poi, chi lo sa? Ma il rituale post lo
conoscevi bene. Accasciarsi morto, guardare il soffitto. Vuoi bere qualcosa? Ti
accendo una sigaretta? Poi ricomporsi e, dopo un po': Ti accompagno a casa?.
Fuori la primavera starnazzava ancora di calore e di pioppi e sotto i portici foste
inondati dalla cra delle candele della chiesa aperta per venerd santo, e dai

discontinui raggi di sole che filtravano fra le arcate. A tracolla della strada c'erano
ornamenti, apparati e drappi degli Addobbi13 che sventolavano festosi. Sentivi
addosso uno sfinimento sottile, un appagamento non pago, perch ormai avresti
ricominciato e non smesso pi, fino alla morte, come quella del cristo coperto di viola
intravisto dal portone spalancato della chiesa, come l'illanguidirsi di quelle beghine
che biascicavano preghiere, la testa coperta da un velo nero, e la gente che passava
sembrava vi guardasse e sapesse, anche se non sapeva nulla, anche se non gliene
fregava niente a nessuno.
Una Mrlboro accesa e via di nuovo verso casa, fatta ti dicevi, respirando tutta la
primavera possibile, tutta la cera e tutto l'incenso, tutto l'odore di quella citt che
presto saresti stato costretto a lasciare.
Ma era ancora lontano, quel momento, era ancora un futuro di l da venire, un quale
che sarebbe accaduto ma non ora, non l. Domani, poi, forse mai. Ti strascinavi in
giornate di fragole al limone e, alla fine di pranzi e cene casalini, una Mrlboro
accesa e via (pacchetto morbido), che in Svizzera, primo grande viaggio estero, ne
avevi acquistato Una Intera Stecca, roba da sciuri, da sboroni, e via ad aspettare
amici, e via sotto a quei portici a pomeriggiare nella sua grande casa di lei, fra
chiacchiere e ninnoli.
E invece eri l, proprio dentro a quel futuro, a quel momento. Stavi addormentandoti,
ma ti svegliarono i passi della guardia venuta a darti il cambio. Rituale militare e via,
dentro il Corpo di Guardia, Garand (MI 7,62) sulla rastrelliera e, senza nemmeno
fumare una sigaretta, soprattutto perch non ce ne avevi, ti buttasti sulla branda a
dormire, sperando di non essere svegliato da un'improvvisa apparizione del
Magnifico Rettore della Caserma Tutta, del Regio Imperial Colonnello Comandante.
Dopo due ore ti sarebbe toccato un altro turno.
VI
Sulmo mihi patria est un distributore di benzina, che visto due o tre volte, lo si
ammetta, era sempre quello, non c'eran santi, non destava la nota sindrome di
Stendhal; ed era tutto il godibile. Quindi uscire nada, dove andavi? Una caserma su
dune del Sahara, nel bel mezzo del Mojave, dodici chilometri di perimetro ed una
scritta a fuoco marchiante, QUESTA LA
SCUOLA DI FANTERIA "REGINA DELLE BATTAGLIE", Urlavano le folle, e i
muri, e garrulavano gli striscioni e i vessilli. Ma quale regina? Ma quali battaglie?
Quella di marcire-marciare su e gi sussumendo ordini ed ordinando a tua volta,
dovrai pur imparare anco t, cosa sei andato l a fare, della boazza?, o provare e
riprovare movenze le pi fantasiose chiamate, di volta in volta, passo del gatto, del
gattino o, addirittura, del giaguaro, che i veritieri felini della giungla-savana al solo
palesarsi di tali insane rappresentazioni se ne sarebbero morti dalle risa. O quella
dello studiare le librette, pensa t, non libri, librette le chiamavano, che consigliavano
anche cose spesso facete assai, non solo come compitamente funzionava l'emme uno
Garand 7,62 (imparerai, un d, a pronunciarlo Garnd, con tutta la boccuccia storta,
all'americana), o la mitragliatrice Breda calibro 8, ma che, per dirne una, in caso di

attacco atomico, rasi d'uopo rimpiattarsi dietro ad un tavolo cosicch il nemico


poteva andare a bachetti, aaa ci tirate le bombe eee?!, sonate pure le vostre atomiche,
pirla, che noi soneremo i nostri tavoli e cose cos. Oppur quella di strisciare nella
fanga (e si vedano le movenze di cui prima) con la Breda che ti sparava a ventisei
metri circa sopra la testa, non volendo correre rischi, i naioni sparatori, anche se ci
avrebbero tirato volentieri addosso, sai mai, futuri Sten.14 e coglioni come quelli che
li comandavano, invero pi blandamente di quanto avvilissero noi. Ma i bussi si
sentivano, ed anco i fuochi d'artificio dei traccianti e gli allegri scoppi dei candelotti
di tritlo struminati nei corridoi di fianco, sotto ai reticolati, in buchette che metti un
gioioso acquazzone (e c'erano SEMPRE, prima delle esercitazioni) aveva riempito
d'acqua, per cui, se i candelotti esplodevano, perch non sempre la tecnologia del
Regio Esercito rasi pronta alla bisogna, si sollevava lieta la colonna d'acqua e fango
e ti ricadeva pari sopra tutto t stesso, imboazzandoti di brutta, che sarebbe stato
anche roba da poco, se tu non avessi dovuto presentarti dieci minuti dieci dopo
all'appello lindo e lustro come mamma tua ti aveva fatto, altrimenti erano amari.
Amari come quei variamente variopinti mostrosi falli in ogni dove disegnati nei licet
e che in un primo momento impressionarono l'impressionabile perch vergati vicino a
sentenze tipo: "Vi faranno ingoiare ombrelli chiusi e li cagherete aperti", "Vi
legheranno le palle a terra e ordineranno 'ritti!' e voi vi alzerete" od anco: "30 (inteso
come Corso, va da s) devi morire!" (il punto esclamativo ce l'hai messo di tuo ma si
intuiva, che c'era), ma parsec dopo non costituivano nemmanco argomento di
conversazione quando, sciolti e mondani, carta igienica e giornaletti in mano, (alcuni,
lo si dica, pieni di popputo pelo anche se, a quei tempi, relativamente casto, roba da
chiesaiuoli chierichetti se non da seminaristi) ci si recava in festose comitive negli
odorosi recessi e l bellamente e amabilmente si conversava, da un sito all'altro, come
damine e cicisbei al caff, sorbendo magari un cioccolatto, favoriti dal fatto che quei
luoghi non avevano porte, forse per impedire certe pratiche manustupratorie che
pochi poi erano tentati a fare, vuoi per la stanchezza generale dell'apparato
psicomotorio dovuta alla frustrazione e alle numerose esercitazioni (troppi passi del
gattino), vuoi per quantit indicibili di bromuro che, si sussurrava, venivano di
soppiatto infilate negli scialbi caffellatte della mattutina colazione ad evitandum non
desiderate erezioni.
Ma si sentiva, in qualche modo, l'odore di libert, vo cercando. Le giornate si erano
fatte pi corte, e il tedio si colorava d'inverno fra i neon delle camerate e dello
spaccio, una bibita ed un annoso e vetusto bombolone, imbottito d'una crema ormai
verdolina in cui si potevano notare stalattiti e stalagmiti, un bigliardino, qualche
paglia (dalle Mrlboro alle Nazionali semplici), lo spago dell'Esame Finale e le
veramente unforget-table librette, di Armi, Difesa ABC (leggasi atomica biologica
chimica, e due che porto) che suscitava, se non alti cachinni, lazzi e facezie a mezza
voce murmurati, Codice Militare, Topografia, Tiro e Tiramento e vai col liscio.
Eravate arrivati d'estate ed era gi autunno inoltrato. Ma ogni mattina che la squilla
della sveglia ti tiravano in ghigna urlavi con gli altri complici di camerata: Meno
uno all'alba! e custodivi presso t un pcciolo calepino sul quale erano segnati tanti
pallini quanti i giorni che mancavano all'alba finale, e ne andavi scancellando in varia

guisa ogni giorno uno, di quei pallini, come per altro facevano tutti i tuoi soci,
cantando a gran voce quella modugnale canzione che sonava: l'alba, sul mare gi
scintillano le bianche vele (anche se mare e vele non c'entravano una beata fava, nella
melmosa prateria della caserma), c' una voce dolce che mi chiama, la VIII-TA, che
chiama meeeee... di poi ergendo entrambe le mane in tenorilesca posa tutti si
sbottava: Liiibero, sono liiibero, liiibero, voglio andarmene....
Ma eri ancora l, libero poi dopo, fino a quando ti si offr, o meglio, un Sor Tenente ti
offr l'occsio di sgavagnartela dalla funerea caserma. Si cercano volontari como
forieri d'alloggiamento! andava blaterando per le camerate tutte, e tutti che lo
guardavano colmi di legittima suspicio, perch quando in naia ti si offre qualcosa
d'uopo il pensare che sia un modo elegante per cacciartelo nel brevo a secco. E tu, di
gerga militare ignaro, o quasi, prudentemente dimandasti che cos'era un furiere
d'alloggiamento. Non furiere, ma foriere! Non conosce il latino, Allievo?! Pero, fers,
tuli, latum, ferre. Coloro i quali portano, approntano, preparano gli alloggiamenti per
il campo invernale! e il solo pensiero di cacciarlo nel saluto a quei muri e a quelle
ghigne e a quei paludosi anfratti ti fece sbito accettare. Eppoi c'era sempre il motto
del saggio Epicuro a consigliarti, lthe bisas, e ti facesti, se non stilita, sicuramente
volontario ce-nobita.
Partisti, con una decina di altri coatti al comando di un maresciallone che dava gioia
al sol vederlo, lindo e rubizzo e in carne com'era, un discendente in linea diretta
dell'Omino di Burro. Sulmona era la meta (Sulmo mihi patria est, perch di latino un
poco anco tu sapevi, il mio fero fers!) e difatti, a poca distanza dalle baracche che
tutti avrebbero dovuto accoglierci, sorgevano i resti, ma i resti resti, di una villa
romana che si diceva d'O-vidio (rasi poi un volgare tempio ad rcole dicato). Ti
accolsero nei geli dell'Abruzzo, in localit chiamata misteriosamente Fonte d'Amore
(che di fonti nemmanco l'ombra e l'Amore cosa lontana e dimenticata), baracche
approntate come campo di prigionia per soldati inglesi dell'ultima Grande Guerra, ed
ransi, i locali, straccimi di scritte e disegni, che instillavano, nelle corte giornate
degli ultimi d d'autunno, con altamente oppressivo cielo grigio ma le volte chiaro
opalino e solcato da una striscia di lontano aeromobile che lenta e llana si
spampanava in aria turbinata da vorticose e misteriose correnti, una melancolia
sottile, un'ansia ancpite, un magone irragionevole, un quale che afferrava la gola
quasi fossi tu il prigione d'antan, e tu lo scrittore dei lontani graffiti come "My love I
will be back" racchiuso nel romantico relativo cuore, o cos, semplice, "Mom", o i pi
selvatici e virili "Gurka rifles", "West Yorks", e sempre tu il captivo dipintore
dell'affresco murales che mano esperta avea tracciato su una lunga parete dove si
scorgevano, ben pittati, anche se in poveri colori, con visi e paludamenti da Arcani
Maggori dei Tarocchi del mazzo di Pamela Colman Smith,15 a dire floreali, Cavalieri
Teutoni, spade abbandonate alle terre, gittate in un'amcchia, l a sottomettersi a
quelli che si indovinavano essere Nobili Cavalieri Inglesi, vuoi Celto Romani, vuoi
Britanni, vuoi Sssoni o Normanni, intuizione della prossima fine e dell'inevitabile
crollo delle Armate Naziste Tutte. chiaro che le italiche fasciolone guardiozze nulla
avean compreso, se no col brevo che avrebbero lasciato l il tutto.

E tu, preda di inesplicabili richiami, te ne andavi ramingo e pensoso verso quel monte
Morrone l a due passi da cui il pio frate eremita Pietro ne fu distolto per l'Alto
Soglio, anche se per breve tempo, e ti sentivi come un romantico peregrino a visitare i
pi orridi botri delle Alpi germaniche e l, sullo strapiombo, a sostare pensoso o,
peggio, a scalare il Monte Ventoso, o a giracchiare per i ruderi che volevi indovinare
di villa romana rincorrendo fantsime mentre piangevi esilii non tuoi cercando di
ricordare versi latini che sfuggivano, se non quel fero fers tuli, maledizione di quanti
la lingua latina occorse di masticare.
Questo il d di festa, che per anche ozioso trascinavi in branda, a cubiacchiare, ben
cuverto di vestimenta militari che nemmanco alla sera toglievi, essendo il freddo
inverno particolarmente feroce e zagnoso, riscaldamento ovviamente Zero via zero,
con la bustina calata e calcata in capo e osando solo gli anfibi manomettere, quando
alla sera ti corcavi in quei loculi che era tuo compito approntare per l'intero
Battaglione Allievi.
Ma queste fantasie non il giorno operoso. Si procedeva cos: arrivavano all'alba i treni
straccimi di longheroni di ferro che tu dovevi scaricare e caricare di poi sur un
camion e scortare al campo, dove era d'uopo scaricare di nuovo essi longheroni e
portarli, uno ad uno, i longheroni, nelle diverse baracche, dove sarebbero state
alloggiate le varie compagnie. Dopodich, con abile operazione d'alta ingegneria
naiesca, si doveva montarli l'un sull'altro trasformando i nudi pezzi di ferro in agili
letti a castello di due piani, mirabile esempio di avanzata tnnica militare. Portavi poi
la tela che, agganciata sagacemente a vari gangi, avrebbe formato l'impalcatura atta a
sostenere materassi imbottiti delle pi ripugnanti paglie e crini e strami esistenti in
natura e li appoggiavi, assieme a coperte varie, distrattamente, ad un longherone, che
il sopravveniente allievo se lo facesse da s, il su' letto, che tanto naia e devi morire.
Ovvio che l'astuto foriere (t poi) aveva provveduto a mantenersi per s un caldo
materasso delle pi morbide e calde lane che le migliori fattrici di velli pecofi
Merinos o Cachemire avevano mai portato addosso. Ti anche eri procurato sriche
lenzuola ed un cuscino imbottito di morbide piume delle Slavone, il tutto nel castello
superiore, che l'inferiore se le sorbisse tutte, le flatulenze eventuali che i mali cibi
della naia potevano procurare, e di fatto procuravano. Il lavoro si era duro, i
longheroni pesavano, i sacchi di cibo vettovaglio da scarcare (munizioni da bocca,
erano nomati) numerosi, le pongazze imperversavano, e il freddo impediva
qualsivoglia lavacro e sitavi forte di iniqua slandra ma era tutto un qualcosa che
esulava dall'infame disciplina per essa stessa, e attenti a destra, e front' a sinistr', e t
scc'mel, il lavoro era lavoro e bna, e in fondo era premiato, con felici colazioni
notturne a base di tonno e cognac della naia, che quando la sghissa dice, dice, le
tasche della mimetica sempre piene di panini e di fonnaggini che all'uopo servivano
ec-come tantoch tu ne tornasti da quel primo refolo di naia (fatta da Allievo) di
molto ingrassicchiato, contrariamente a quanto accade ad ogni giovine dabbene. Alla
sera un provvido camion ti portava agli avamposti della citt (non osavano mollare i
lerci in mezzo alla civilt) dove, avendole, una tonda e pingue e giovane servente
serviva spaghetti al sugo a lire cinquanta la porzione. rasi, la giovine, una
tambuciotta di ghigna muffa (ma donna nana tutta tana, diceva la saggezza popolare,

e aggiungeva: donna mffa, d'usl mai stffa!), lustra, di fianco largo e di possenti
dlie che le sballonzolavano ad ogni pi pcciolo movimento ma fu a lungo, potenza
del desiderio, sognata da t e da tutti gli altri come un gran bel pipone, che altro non
v'era in giro e il bromuro evidentemente latitava, gli appetiti giovanili fieri
risorgevano, la fame fame e la delizia dello spaghetto al sugo a lire cinquanta
principesca. Vita da prigione ma con relativa piccola libert; quando ti arriv il pacco
da casa (una bottiglia di marsala, due pacchetti di Nazionali semplici, un salame,
alcune mele e tre paia di pesanti calze di lana) rimembrasti (vagamente) quando li si
mandava, attraverso la Croce Rossa, equipollenti o sicuramente pi doviziosi, al tu'
babbo nel suo tragicamente veritiero lager nello Jutland germanico, alle prese con una
fame ben pi seria, un freddo ben pi mordace, una speranza di ritorno molto pi
esigua della tua, e al ricordo ne dividesti, del pacco, il contenuto coi sodali, memore
di paternale novellare. Meno le calze, va da s. Vai a spipagliare di Napoleon, pieni di
salame e breschi di marsala. Che sppa quella la felicit?
Ma poi arriv, finito il lavoro di foriere, tutto il battaglione, e fu naia ancora,
normale, spieiata, usuale, fino alla fine, fino alla stella, fino al ritorno a casa per una
lunga licenza, aspettando la misteriosa destinazione da N.H. Sig. Ufficiale,16 al
Reggimento.
VII
finita per i nonni
E con la stella sulle spalline finisti a Tergeste. Ma anche questa parte di servizio alla
patria pass, pass s. Stavi ritornando a casa, dopo quindici mesi di dura naia, e te ne
avevano abbonati tre. Eri vestito quasi elegante, ma si anderlnei il quasi, un vorrei
ma non posso che non sapevi poi molto se si notava o no, un giubbetto in
similcamoscio marron e sotto un maglione di lana rossa, collo dolcevita, un paio di
pantaloni scampanati con risvolto di una stofazza sempre dello stesso colore del
giubbetto, confezionati con abili e alacri mani da un sarto ma-rocco (pugliese o
abruzzese) ex civile, momentaneamente inserito come sciacquno, di quelli che
quando arrivavano ci si litigava con gli altri Sten, per averli come attendenti, esperte
mani sciacquniche atte a tenerti la roba, non solo rifarti il letto ma lavarti e stirarti,
cos sparagnavi anche i soldi delle s'ciave che venivano alla carraia in confusi
ciangottii di sloveno per offrirsi di lavarti la biancheria. Sciacquini s, ma intanto
facevano una naia comoda, no guardie, no assalti di ogni risina, zero bora, zero
istruzione, e rimanevano nel riiestiere. Belle braghe, ma la stoffa, da un dollaro al
chilo, non teneva la piega, e dopo mezz'ora un'ora gi si spampanava tutta, come una
rosa dimenticata in un vaso. Per sopra, gettato nella rete portabagagli sulla valigia, un
skimo paramilitare acquistato da poco, con ancora il buco della stella da Sten,
davanti a sinistra, altezza cuore. Il Maggiore comandante l'aveva guatato con
sospetto, il nuovo capo. T tu ti aggiravi da Sten, per la caserma, sentendoti gi quasi
in congedo; avevi evitato un cmpo autunnale fingendo un'influenza alla quale poco
credevi poi anche t, ed eri di servizzio per quelle due o tre naie rientrate dalla dieci
pi due, un godilo, il nuovo apprezzato gusto del non far niente, il sottile piacere

dell'ozio che si impara in naia. Anche un naione marocco (abruzzese o pugliese) era
rientrato dalla licenza con una pagnotta ENORME, una gran sacca di olive secche e
un fiascone da quattro litri di misterioso vino rosato, e ve ne eravate stati l ORE
mangiando pane e olive e dando grandi sorsate di quel vino, lietamente e
mondanatftnte conversando, quasi borghesi (Allarmi siam borghesi, son giorni e non
son mesi!) e ti eri pianamente quasi inciuchito. Cos avevi abbassato la guardia e
dimenticato la regola prima: "Quando ti aggiri per la caserma fallo con passo rapido
FINGENDO di aver sempre qualcosa da fare, una meta da raggiungere, se no ti
beccano, e sono amari". E il Maggiore ti 'aveva beccato: Mi sembra un po' fuori
ordinanza, quel... quel... cappotto? e tu a spiegare che sembrava, s, per in realt,
anche se, non vedeva che c'era anche la stella d'oro, davanti? E il Maggiore
comandante il glorioso 2 Val Pistolazzo che lumava coi baffi frementi, un skimo
era una roba nuova nuova, che tu avevi scovato in un negozio di articoli americani
gi verso porto, dieci sacchi e il pelo dentro e pieno di tasche, anche il cappuccio, a
gratis. Pensavi gi ai geli probabili dell'imborghesimento, zero liro in tasca. Sar!
Regolare, dice? Bo, maa?! faceva il Maggiore dal grande culo imperiale, che
emergeva a tutto tondo dal pcciolo sellino della Motoguzzi con la quale
orgogliosamente se ne andava in giro rombando a comandare e ad ispezionare. Era un
festaiolo, il Maggiore, che lasciava che i suoi N.H. Sigg. Uff. andassero in giro in
borghese, in libera uscita, e soprattutto in borghese quando lui organizzava le cene di
Calotta.17 In borghese cio no responsabilities, che uno si poteva prendere
polegiatissimo la pi che probabile balla e nulla accadeva! Gli piacevano tutti quei
ma-cheggi, quelle gran cene, al Sig. Maggiore, e si prendeva solitamente delle chiare
da undici e tre, cos niente diagonale niente scandalo, e amici uso prima. Come quella
volta al campo estivo, nella saletta sul retro di quella osteriola spersa nelle Alpi
furlane, che ti aveva visto giorni addietro imballarti di brutta a vino rosso e sgnape
casalinghe di vario tipo, diciamo a un venti per cento metilico. Be', nell'ineffabile
dj vu le lettere della bella si erano fatte sempre pi rade, per poi improvvisamente
cessare del tutto, che tampinavi il Caporalmaggiore postino tutti i giorni: C' niente
per me?, e lui: Niente, mi dispiace Signor Tenente! che non sapevi se gli
dispiaceva davvero o ti prendeva per il culo. Avevi anche avuto l'indicibile coraggio
di telefonare, che allora il telefono non era micca una roba da tutti i giorni, e lei con
la sua calda voce di gola (o cos ti sembrava) che solo a sentirla ti eri rimescolato
tutto, la prendeva un po' da distante, tipo: Ma chi si sente? Ma come stai?, e tu:
Come stai i marni! Non stare a intomelarmi! Com' che non scrivi pi? Dimmi
come sin messi!, e lei, dopo sospiro e pausa di silenzio (sua nonna era quella che
aveva fatto l'attrice, con la grande DUSE, e quando aveva un mal di testa si vedeva
lontano un miglio): Non so come dirtelo, e tu, virile e sereno: Non c' bisogno che
tu dica niente, ho gi capito tutto da me!, e poi il telefono messo gi (neanche
buttato, messo) e dentro un vuoto di magone da urlare, una sensazione di crollo di
tutto e di disperazione, e un bestemmione 7,62 che fece voltare stupite alcune naie
inciuchite nel fumo di Naz. semplice della bettola. Poi di l, fra i colleghi, come avevi
imparato da film e libri, sguardo perso a vuoto e via di liquidi alcolici. E dai e dai,
avevi rimediato 'na rndola che avevano detto qua bisogna portarlo in branda, ma

come facciamo a farlo passare di l con tutta la naia che non aspetterebbe altro,
vedere un Signor Sten, cos in ciucca, che ti era presa triste e singhiozavi disperato
senza saper pi per chi o per che cosa, e ti avevano calato da una finestra, sul telone
di una Campagnola all'uopo approntata, e poi via gi al campo, in branda, che la
mattina dopo ti svegliasti tutto vestito, neanche gli anfibi ti avevano levato, che
quando apristi gli occhi intontito non capivi dov'eri e cos'era successo, poi tutto ti
torn alla mente e uscisti dalla tenda talmente incazato che la naia ti girava a venti
metri di distanza. che te ne riandavi con la mente a quando, mesi prima, lei la bella
ti era venuta a trovare, una gelida domenica di febbraio, con una nevicata biblica
(nevica, nel Sacro Libro?) che aveva quasi interrotto le comunicazioni con la citt. E
non avevi trovato nessuno per un passaggio di quei due chilometri fino al trenino, te
l'eri dovuta sfangare a piedi, col cappottone militare sopra alla diagonale e le scarpine
di copale da ballo ai piedi che almeno avessi avuto gli anfibi, eri bagnato tutto fino
alle blas, e il baschetto in testa senza bavero rialzato, perch ancora giovane Sten,
non indurito temprato dalla prassi, non scafato, t'eri beccato giorni prima un
cazziatone memorabile, per il bavero alzato, da un coglione di Maggiore, s' mai
visto un soldato col bavero alzato, come uno schifoso borghese qualunque, urlava, a
quando l'ombrello?, mna, con una bora che tranciava le ghigne in due e le orecchie
che cadevano a pezzi con argentini tintinnii, alla festa dell'Impavido 82, con
Rievocazione Storica, e quelli della Campagna di Russia anche anche, ma quelli delle
Campagne d'Africa con ferrea logica militare in divisa estiva impalati sull'attenti a
meno quindici cascavan gi come birilli o pere mature. Cos te ne andavi ligio, col
tuo bravo bavero abbassato, mormorando fra t: naia!, cos, senza neanche
bestemmiare. Guardavi attorno il panorama dell'altipiano, roba quasi austriaca,
piccole casette basse innevate, piena di neve financo la strada, un bianco che faceva
male agli occhi, roba da jingle bells, natalizio, con renne e festosi Babbi Natale, bello
forse, da vedere con altro cuore, o immaginarsi la gente dentro a vi-verci, al caldo,
con festorti e alberi e luminarie, ma tu ti ripetevi solo: naia!, frase che tutto
riassumeva e tutto giustificava, naia, tutto poteva essere naia, una punizione
ingiustificata o un momentaneo asteroide a busso diritto contro Madre Terra, che
farci? naia!, rassegnazione cosmica, angelica sopportazione, e quando arrivasti al
maledetto trenino (el tram de pcina!) nel quasi tepore del vagoncino ti sembrava
d'essere rinato. Alla stazione, per, con sgomento, apprendesti che il treno aveva
ORE di ritardo, per neve e scambi gelati e cose simili, cos invece d'arrivare alle
09/30 la bella era arrivata verso le due, sembrava una scena del Ponte di Waterloo, ma
con pi sfiga, a girare per cercare un ristorante ancora aperto, poi cazzo fare?, albergo
non se ne parlava perch lei ancora minorenne, erano tempi oscuri e duri, e tu ancora
una quasi recluta devi morire, una sporca zanzara che non sapeva bene gestirsi le
situazioni, quindi un bar tutto specchi, da cui usc un vecchietto in balla che cantava
in austriaco, una malinconia della madonna, sesso zero tolto qualche veloce bacio,
veloce s col cmaro che era l a lumare, pi la fatica del gusto, e corri alla stazione, e
non sapevi che, almeno in quel periodo, era l'ultima volta che la vedevi, anche se poi
negli anni a venire la rincontrasti e ne avesti guiderdone. Non era mica cos quando
arriv a trovarti il tuo amico, il solito Piero Blek, gi quasi estate, arrivasti in Matta18

reduce da un pranzo di Calotta, in borghese bello come il sole e gi imbaiato, a girare


per la citt tutta, ormai padrone, e alla sera ad una festa piena di gnocca, chili, anche
se cucar su era reso impossibile dalle oscure tendenze di quei tempi; era il morale che
contava, la nuova energia che sprizzavi. Ormai ben sopportavi quell'abbandono,
guatavi impavido al futuro, ed erano cene su cene. Come a quella cena d'addio al
campo estivo, che il Maggiore si alz pavonazzo in viso col calice in mano: Signori
della Calotta, baionetta!, e tutti gli altri allegri e fatti come cglions: Baionetta e
bevvero e il Maggiore gett il traccagno nel camino tipo Balaclava la carica dei
Seicento (thin red line of heroes)19 o gli Ussari della Morte di Tokaj, sbito imitato
da tutti gli altri, capitani compresi, pim pam pum, dentro al camino, e tu dicesti
all'altro sodale di Cittanva come t, lo Sten. Flowers: Bel ghigno, qui ce ne viene
una gamba! Stiamo ben in mano! Non m meglio filarsela alla grande e fare la bella
prima di dover pagare in danni tutto il modesto ma funzionale arredo del locale? e
l'altro che non era un camillo aveva convenuto e avevano fatto la beata cos avevano
evitato astutamente di pagare, nel conto, tutto lo stovigliame vario, perch, trascinati
dall'esempio e dalle bevande alcoliche, gli altri avevano gettato nel camino non solo i
bicchieri ma anche i piatti, alla greca, e l'astuto oste li aveva addebitati come se
fossero state porcellane di Boemia e Valac-chia, non volgari terrine furlane.
Ma il Maggiore era fatto cos, amava la gozzoviglia, circondato dai propri ufficiali,
come fosse stato alla corte di Vienna o avesse avuto sottoposti propensi a teutoniche
inarrestabili Mensur colla ghigna variegata di Schmiss,20 ed era un vorticare di
occasioni festaiole, nait con troiazze s'ciave e balle su balle, come quella sera col
nuovo Cap., un figlio di buona mai visto, rigido impalato sodomizzatore di Sten., pi
che di naia, che ne fermava uno per raddrizzargli il saluto, o quell'altro per la divisa
strazonata (ce ne fregava ben un brevo, della divisa!) e gli "Stia punito!" si
sprecavano. Ma cazzo punisci, stronzo?! Non che i Cap. fossero delle aquile, come il
tuo che diceva, alla truppa; La Bre-da d'appoggio in attacco deve fare come ulia
sinfonia in Sol Fa La maggiore e ti guardava per avere la conferma dell'esperto, che
assentiva col capo sorridente e benevolo, o come quell'altro che tampinava lo Sten.
Flowers responsabile del Circolo Ufficiali per l'acquisto d'un nuovo cestino per la
carta straccia, e alle scusa del suddetto che si era completamente dimenticato (tipo:
"Ero molto indeciso su che cestino acquistare") esplose dicendo che in Questo
Mondo Tutto i cestini della carta straccia si dividono in tre categorie, e cio: A di
metallo per uffici, B di guttaperca con disegni neoclassici per salotto e cos via
andare. Per dire del tipo e dei tipi, ma di solito si conviveva, non rompevano pi di
tanto. A questo nuovo cos'era saltato in testa, che sembrava fresco d'Accademia? Che
ti vennero in mente gli impalati odiati cadetti della Citt della Motta completi di
chep e spadino e che corresti, appena la stella fu cucita sulla spallina, a rincorrere
sotto i portici del Collegio per il gusto di vederli irrigiditi nel saluto a t dovuto, come
militaresca prassi comandava. Quello veniva proprio da l. Cos gli Sten, tutti, e anche
i Ten. firmaioli o di carriera si erano detti: "Dobbiamo fargli cambiare genere, alla
troia!" e prima gli avevano baionettate le quattro gomme quattro della Cento Scudi
(Davvero le hanno fatto QUESTO, a Lei!? Che mi dice mai, Marchese!) e poi
avevano deciso di imbalarlo, la prima cena che si presentava, rovinarlo d'alcol, fargli

perdere quella sua arietta da West Point di quarta che si portava in giro appesa sotto al
naso. E alla prima occsio, ristorante di mare vicino al confine s'ciavo, vai di brindisi,
che regola prima non poteva rifiutarsi, pena la perdita di aplomb. Cos era tutto un
garrulo fiorire di: Baionetta, Signor Capitano!, e lui: Baionetta! e trach su la
mano gi il bicchiere di nero merlot d'un fiato. che reggeva come una bestia, che
gli altri erano gi tutti fatti come copertoni e lui, che non era un caviglio, sembrava
avesse bevuto solo acqua minerale delle Fresche Colline Lontane, fatti dare!
Rimanevi, glorioso Sten., tu solo, che gli altri dissero: Se non ce la fai tu non ce la fa
nessuno, fatti m sotto bel Gigino o ci siamo dentro fino a qua!. E ti alzarono di
peso e ti sistemarono di fronte all'altro che l'aveva sgamata, la storia della balla, e
sembrava d'essere a El Paso, six-shooters in mano e sole a picco, e vai pure,
baionetta, e dai, baionetta, e ancora, baionetta, e gi, e gi il vino e il cgnc e tutto il
resto ingurgitato ti uscivano dalle orecchie e dagli occhi che non ci vedevi quasi pi,
e quel altro duro come un bacala, occhi a fessura e bocca stretta, finch, all'ultimo
baionetta, stette un momento in bilico, si guard attorno tipo cielo dove sono, poi
croll morto sul tavolo vomitando tutto il merlot e le grappe e i cgnc che aveva
diocristo buttato gi. Alti volarono gli evviva, anche del Maggiore che il Cap. doveva
stare un po' sui marni anche a lui, quel Cap. cos impettito e d'ordinanza, che fosti
portato in trionfo ma a t ti era scoppiata una balla che eri bresco duro e al ritorno in
quota non stavi dentro alla macchina, ed annunciavi a Tergeste tutta il vostro
proposito di andare a donne di facili costumi (che non era poi vero), il tutto con
bestemiazze di vario calibro, trattenuto a stento dagli altri perch, caso raro, eravate
in diagonale e legitimo (si pronunci alla spagnola) basco d'ordinanza, anche se non
dovevi proprio avercelo sulla testa, in quel momento, e il giorno dopo fosti lasciato,
per ordine del Maggiore, eroicamente dormire.
Ma mancava pi poco, ormai, Mac n 30,21 circa, che Radio Naia lo andava dicendo
da un pezzo, a voi vi congedano prima, e la prova certa fu quando, in gran camuffa,
indagaste su chi sarebbero stati i firmaioli. Pensa t! Gente che aveva urlato fino ad
ore prima ne metto cento ma sul congedo oscu-rosamente a far umile domanda per
rimanere in naia, aeterniter! Ma vi tira quale? Si incominciarono le indagini per
scovare i marrani, e ormai non ne fregava pi niente a nessuno, si parli di congedanti,
tanto che si andava anche nei cessi dei Sigg. Uff. Superiori, zona estremamente
vietata fino a pochi giorni prima. Non che fossero meglio, ma quelli degli Sten,
misteriosamente si intasavano per uso improprio di strumenti atti a forbire, non
quindi la banale ma volatile carta igienica piuttosto giornali di vario tipo, illustrati e
non, pezzuole per pulire i Garand e tutto, e si intasavano di brutta e quelle belle
gnocche degli sciacquini, in odor di congedo essiloro pure, se ne sbattevano, non li
smunvano, e i cessi si trasformavano in infide paludi maleodoranti. Cos ve ne
andavate beati nei Cessi Angelici, sentendo anche il Sig. Maggiore, dopo notte di
follia, scorreggiare a raffica che altro che la Breda in attacco e la sinfonia in Sol Fa
La maggiore.
L'estate declinava, le prime bore fischiavano l'aria ma ormai sentivi atmosfera di
borghesia. Pochi giorni prima del congedo ci fu la tremenda nuova di una diga che,
forse, era crollata, o cosa, non si sapeva bene. Il Vajont, dicevano. Vedesti partire i

naioni con ufficiali in testa a soccorrere, ad aiutare, a far qualcosa, mentre tu, a naia
finita, saresti di l a poco tornato a casa alla paterna (e materna) magione.
Era un ottobre di sole, ma frizzante. E ti venne in mente quando, mesi prima, dal
campo estivo sugli alti monti furlani eri disceso in Campagnola in quella cittadina,
allora spazzata via, frantumata, distrutta, soffocata di fango, e c'eri arrivato passando
a mezzo sul ponte che tagliava a met la diga (e ti dicesti: "Questa s che una diga,
fammi ben 'na casa!" ripensando alla bella ma modesta diga epafnica) e giunti a
valle c'era quella ragazza con cui cazzeggasti dentro ad un bar, portandole via
scherzosamente un portacenere rosso con "cocacola" scritto in bianco, che chiss
dov' finito, oggi, caduco come le tante cose di questa tua vita. E quella ragazza, che
fine avr fatto?
Sbarcasti dal treno. Ecco Cittanva, con l'universit che ti attendeva, i vecchi amici
da vedere, il futuro davanti, pagato il tuo debito alla societ, come tu fossi stato al
gbbio e non in naia. Ormai saldamente polegiato, via Lecce, lontana Cesano e
Sulmona, digerita Tergeste e le sue nevi e le sue bore e le mulle tutte di tutte le balere
di Barcola e di che diavolo dove e le spiagge dei primi soli estivi e il Garand e il
gruppo fucilieri in attacco e le marce e l'istruzione ai naioni in dolina e i campi e t
scc'mel. Via, finito, andato. Ti dirigesti verso l'ennesima casa nuova, che non
conoscevi. Davanti alla porta d'ingresso stazionava un gruppetto di bsi in attesa di
clienti che ti fecero timide avances. Ma dove sono venuti a stare loro l, i miei? Che
casa nuova ? E che genere nuovo c', qui a Cittanva?
VIII
E venne il tempo dell'Osteria
Avevi mai sentito parlare di pile, t? Ne avevi sentito s, ma come di cosa remota e
foresta, fatta per maraglia anziana e trista, per gente perduta e sparigliata, persa nei
fumi alcolici di immani pistoni lam-bruscheri; roba d'altra generazione, pensa un po',
di avi allora non riconosciuti e messi al bando. Perch mischiarsi, intrufolarsi, noi
cos giovani e belli, noi cos pimpanti e tesi verso il nuovo avvenir che tutto splende?
O, c'era s quella famosa pila dove il vecchio cmaro alla domanda tendenziosa
Cosa c', Gino, stasera, da smorfire? ti proponeva cotidie A g'ho un spesatino
arrotolando su se stessa la mano destra a ventaglio per sottolinearne, di quello spesatino, bont, fragranza, purezza di materie prime e celestiali sapori, che nemmanco in
Parnaso ed Elicona. C'era s, per dire, ma come folklore, roba da raccontarne di poi
como facezia, mottetto, noi eravamo gente da bars, brisa pogne.
Ma, appena giunto, dove lo trovi, il bars famiglio, quello di cui anche sei parte
dell'arredamento? Quello dove, quando entri, tutti ti salutano (Adio bella kira! O, a
scelta, O, gniinta, smccia m che fanghe!), ti chiedono se vuoi il solito, ti passano
il giornale ciancicato che stanno distrattamente sfogliando. Be', per esserci c'erano; il
primo, sotto la prima casa (ora diruta e persi per sempre i suoi allori ottocenteschi
sostituiti da ghiacciovetro e stralucenti negozi di neon in fila indiana), dove
consumavi veloce caff guardando la locandina del cine e ascoltando al juke-box
quella canzone allora di gran voga, tu ancora musico di balera, Brigitebardbard,22

samba di cui ti sfuggiva il senso compiuto del testo, che fino a estela d sinma ci
potevi anche arrivare ma pra-voss gi lasciava dubbiosi; un bar cos, visto e presto
lasciato nella sentina dei ricordi vaghi, obliato como il tutto che passa, se n' va. Poi
quell'altro, sempre sottocasa, uno di quei bars l, un po' pi bar del primo, dove la
carta imperversava, il flipper ti succhiava le cento gambe delle tre partite tre e c'era
gente come Mengo che ti insegnava la vita, tipo: Non fidarti mai di quelli che sanno
giocare bene a dama, perch per imparare a giocare bene a quel gioco l bisogna
avere del tempo e sai dove lo trovi tutto quel tempo? Al gbbio, lo trovi! e che
raccontava anche di come, in tempo di guerra, erano stati a rostire del filo di rame ai
tognini in stazione (che era l vicino) e i tognini gli avevano sparato dietro raffiche di
Schmeisser. E lui raccontava che uno, in Grande Fuga su per la Montagnola, gridava:
Fermatevi ragazzi che mi sono pisciato adesso e invece quello che gli colava per le
braghe era sangue, che lo avevano beccato e per un miracolo la raffica non lo aveva
tagliato a met. Quella gente l, con Mengo che una mattina sul far dell'alba dopo un
sanremasco festivals ti chiama a gran voce dalla strada (tu alle prese con ignobile
esame) e urla Oooo! che tutta la strada ne risuon e al tuo timido affacciarti si mise
a cantare il motivo vincitore della precedente serata, ma a suo modo, con
personalissima interpretazione del testo, e il tutto faceva: Prendi questo... e poi con
esplodente entusiasmo e con gesto scevro di possibili misinterpretazioni, allungando
il braccio destro che si muoveva ondeggiando in qua e in l come il Mare del Nord in
preda a burrasca e stoppandolo prontamente altezza gomito con la sinistra atta a
mostrare usviglio di considerevoli proporzioni, un notevolissimo smesso d'oca,
terminava con un allegro: in mano... Zin-gar, poi, afferrati saldamente i manubri,
partiva a raffica busso su di un motorino che sembrava una Gilera truccata, sembrava,
evitando d'un pelo di essere stirato da una corriera che arrivava di gran lena
occupando con la sua mole l'intera via.
Qualche bar c'era. Ma invece, l a Cittanva, grande novit, grande parur. Altro che
bar, corre voce che ti aprono un whisky a go-go, in pieno centro, che anzitutto cosa
vuoi dire, whisky a go-go? Whisky a vai-vai?23 Gi la parola foresta prdromo di
grana a balocchi, a fiumi, non si va via d'inglese a gratis, e t da dove li andavi a tirar
fuori, i baiocchi, che non ciavvi una lira che baiasse con l'altra, ne le sacche delle
lise bigonze. Si favoleggiava di stormi di giovani fighetti con muste d'avvoltoio e
tappi da undici e tre che scialavano dollari alla sempiterna ricerca di fighesse
altolocate tipo commesse di negozio butik sciampiste in continua attesa di salto
sociale che mostravano ai sitibondi compagni cotonature da urlo e sfoggiavano
virginali dalie dagline dagliette rinserrate in agili corpetti rococ come a dire dai
toccale ma cosa tocchi no non te la d e via andare. E t, in tappo triste e rana
sparata?
Fortunatamente i tuoi sodali erano alle stesse tue condizioni, anco loro in piuma stesa,
e ne cercavano altri lidi, favorendo anche il fatto che quelli l erano maraglia pesa e
noi intellettuali della Santa Madre Celeste, ci fregava bene un quale a noi del whisky
a vai-vai, perch mischiarsi con plebe che oggi si direbbe tamarra a sangue? E fu
l'epoca dell'osteria.

L'osteria, vuoi mettere?! Ce n'era, allora, di osterie! In remoti vicoli e fumosi anfratti,
questo s, ma bastava cercarle. Venticinque lire un bicchiere di bianco e pari grana un
uovo sodo, un vino che, be', s, era vino, e l'uovo sodo che quando lo aprivi
seminando pezzi di guscio sui mal lustrati tavoli e lo intingevi nello scartocino
contenente astuta mistura di sale e pepe all'uopo approntata dal tabernario per
tediarcelo, l'uovo, esso prodotto si palesava, al primo scomparire dell'albume, non di
un bel giallo dorato come natura vorebbe ma di un verdastro malato che a fottersi le
future ASL. Ma erano sempre venticinque lire, che le avevi, e ci passavi le giornate,
ci passavi. C'erano quei due nuovi amici, vittime di malsne letture giovanili di poeti
maledetti, uno ancora dietro a farsi cotidie un bicchiere via l'altro di rosso (e pure a
poesiare), l'altro gi da tempo nei verdi pascoli per averne ingurgitato anzitempo un
po' troppi, di quei bicchieri di rosso, e loro, gli amici, te le facevano scoprire un po'
tutte, e c'era l'osteria all'angolo di Mazzini, dove entrammo, ci facemmo un paio di
litri e per non stare a far tante storie ci scrivemmo una poesia a testa, su quel bianco
marble del tavolino; poi quella in fondo all'universit, sotto alla volta d'antico portico,
nella stradina cadente a pezzi oggi riattata, dove portasti un ignaro giap im-buciato a
caso che non sapeva una parola di lingua ma sorridere e inchinarsi s, e la ragazza con
chitarra e altro, e quella in quel vicoletto in cui andasti con la vecchia amica di Motta,
e quella e quell'altra, il Cannone, quella della Fondazza, la mitica da Chitone, che, in
tempi andati, vendeva la minestra di fagioli a tempo24 e i cucchiai erano legati ai
tavoli con una catenella, e la sempiterna Osteria del Sole, e l trovavi gente che si
faceva una boccia di sciampo vicino all'omarino che arrivava con la scartatina di
mortadella e chiedeva un mezzo di bianco, a balocchi erano le osterie nella vecchia
Cittanva. Ma soprattutto, punto fermo del non ritorno, c'era quella dei Poeti.
Ci arrivavi verso le cinque e mezza della sera, l, all'Osteria dei Poeti, cos battezzata,
maledizione, non tanto perch frequentata da giovini Baudelaire desiderosi d'assenzio
(che tanto non ce n'era, d'assenzio, e poi non neanche un gran che!) e compilatori di
ispirati versi quanto perch cos nomavasi la via, dal nome di antica famiglia
nobiliare che l aveva case e servi e vassalli. Ma ti piaceva, il nome, ti accarezzava
sentirti mescolato a misteriosi poeti del tempo che fu, tipo Dolce Stile o
Scapigliatura, tu giovin poeta l a rinverdire antichi e mai sopiti fasti. Sopra una
panca, a mezza altezza da terra, un busto del grande Gisue che fieramente guardava
in macchina e sotto una targhetta con la saggia scritta: Quando morir seppellitemi in
una vigna perch'io possa ridare alla terra quello che ho bevuto nella mia vita parole
che ci affascinavano e ci riconciliarono in parte col Vate, non tanto per la sua
produzione poetica, perch correva aria da Gruppo '63, non brustulli, e uno di noi,
molto invidiato, aveva pubblicato un romanzo da Feltrinelli, quanto dal punto di vista
umano del vecchio bruschero che, si murmorava, veniva spesso visto, ai suoi tempi,
tornare a casa dando onde paurose, e questo ce lo faceva sentire vicino. Dicunt che,
sotto ad una panca, ci fosse anche la firma del Rimatore ma, in vero, nessuno fu mai
capace di vederla. E quello del romanzo, ormai da tempo nei Verdi Pascoli dove Egli
ci conduce, da giovin sottile giunto al triplo di quello che era per aver imitato troppo
il Poeta del busto, fece un giorno un attentato anarchico alla Questura. Imbenzinato
quanto basta per trovare il coraggio and verso una porticina del retro e lanci la sua

Molotov che naturalmente non esplose (sapeva bene come si faceva, una Molotov!)
allora incagnato duro si present al portale d'ingresso e fece, disse, al pulino di
guardia: Arrestatemi, ho appena fatto un attentato contro la Questura!, e il pulla,
dato che erano altri tempi e viste le instabili condizioni del confuso giovine davanti
disse: S, s, bravo, ora circolare, circolare!, e l'aspirante anarchico ci mise un buon
quarto d'ora a convincersi che non l'avrebbero arrestato e se ne torn in osteria
sentendosi come la serva di Zboli,25 a raccontarci il tutto e a finire la smmia. Che,
come si sa, costa meno mantenerla che prenderla.
Ma l a quell'ora c'era sempre tutta l'allegra balla che l si adunava, tutti in tasca i
foglietti dei vari componimenti e in versi e in prosa all'uopo, le ore prima, approntati.
Tu arrivavi con i tuoi raccontini che uno un giorno ti fa: S, carino, ma io quando
scrivo voglio fare della letteratura! e ti sentisti come una mezza pogna. Loro eran l
a fare della letteratura e t cosa facevi, delle pippe ai cani vedovi? Ma fu scelta la
parte canora, le canzoni maledette (si era in osteria!) di quei primi tempi piacquero ai
giovani scapigliati, e ti presentasti sempre con chitarra al cinturone, loro facevano
della letteratura ma tu, aedo ufficiale, scanzonavi di brutta.
Ma poi la balla si sciolse, ognuno preso dai pro-pri casi della vita che, si sa, oggi qui
ma domani? Tenesti l'osteria come buduar di riserva per i tuoi vari intortmen, vieni
piccina conosco un posticino!, ed esse piccine rimanevano fascinate da quella
stanzetta, da quegli anziani signori ognuno perso dentro al vino e ai propri pensieri,
da una chitarra che complice improvvisamente appariva, e vennero la rossa e la
biondina in gondoleta di nobile lignaggio (o quasi) dagli occhi celesti che ti amava e
non ti amava poi l'americana nerocrinita che ti costrinse a vedere gli allora sempre
sospirati USA. Ma tutto se n' va, svanisce, finisce. Come l'Osteria dei Poeti, con
Paolo l'oste comunista che tirava tappi al vecchio fascio quando costui estraeva dal
catuvi-no una foto del Truce Puce e zigava come un'aquila per la sua infame
melancolia affogata nel vino, e il vecchio Paolo gli urlava: Vergognati, schivaus! e
rivolgendosi al colto e all'inclita proclamava: Me, i fassta! ed imbracciava
immaginaria doppietta, fingendo di sparare a ripetizione, che lui, i fassta, li avrebbe
trattati cos.
Il vecchio Paolo che t'invit a casa sua di romagnolo montanaro in localit sperduta
ma ricolma d'alberi e verde; Cittanva, dopo anni di onesto sgobbo, gli andava stretta,
e cercava il conforto delle radici, la casa avita, la fresca campagna collinare. Lass,
da uno staletto mal serrato, gli erano scappati i congli e quando ne voleva uno per
cena prendeva una doppietta (quella vera) e sparava nella mucchia. Forse pensando ai
fassta d'un tempo.
Ti aveva invitato anche prima, alla festa di chiusura, piccola festa per pochissimi
intimi frequentatori dell'osteria. Ricordi un cantinone enorme, con camino, con file di
botti e vino e cccioli e prosciutto e salame. Ma poca allegria. Si chiudeva un'epoca,
anche se un'altra era di gi aperta. Non sapevi ma immaginavi che di l a poco si
sarebbe aperta una nuova Hostaria (con l'acca davanti) che nulla poteva avere di
autentico, con vini pregiati, men per giovini sboroni e piano bar atto ad impedire
qualsiasi nobile conversazione.
Verso mezzanotte uscisti ed andasti nel tuo sita-rino, l'Osteria delle Dame.

C'era stata, a dir il vero, anche l'Osteria di Gandolfi, scoperta dal solito Ludo, appena
fuori porta, due enormi stanzoni, abitato il primo da anziani signori (forse pi giovani
di quanto tu sia ora) persi dietro carte e vino, e deserto il secondo, atto quindi a
pullularlo di chitarre e cante di vario tipo, con Alex di Atene e Janis di Creta, e Debby
di New York e tutte le altre americane di quell'anno felice e il vecchio Frascari,
ultimo contadino dei colli di Cittanva, che alle tre del mattino ci trascin a casa sua,
svegli la moglie e tre figlie e si misero a fare crescentine, ad affettare salumami vari
e a stappare bottiglie finch, alle otto di mattina di quel sei gennaio, dopo aver tastato
ben amodo il bfice alla tudasca (che era poi americana) fingendo di aiutarla a salire
su di un albero (con lei di molto brusca) and a mungere bestie vaccine di vario tipo e
noi ce ne tornammo alla citt, chi a lavorare, chi a studiare e chi al meritato riposo.
Ma tutto passa, e fu la volta delle Dame. Verso la fine d'una antica via nomata
Castiglione, appena sbito prima d'un torracchiotto della cerchia del Mille, una delle
tante stigmate medievali di Cittanva, fendono la strada a sinistra via Cartolerie, dove
sorge il Teatro Duse (attrice che aveva recitato con la nonna di una tua amica) e a
destra un vi-coletto di poche decine di metri, che si chiama Vicolo delle Dame.
Non si pensi, come a volte corre la fantasia, ad ambigue signore peripatetiche pronte
ad appagare le incontinenti lascivie di gentiluomini di epoche che furono. Purtroppo
da dire che le Dame in questione erano banali orfanelle presso Pie Religiose allocate
e che imparavano, fra mura che si immaginano tristi di continue orazioni, di
penitenze color di viola e di frugali refezioni, tazze di caffellatte e minestrine sbiavde,
le arti del ricamo o di quant'altro un'orfanella di quei tempi avesse bisogno per
trovare di poi un solido partito e convolare con lui a Sante Nozze e uscire da quella
curiale confraternita ben istruita in tutte le arti di quella che si chiamava Economia
Domestica.
A pochi passi dall'inizio del vicolo si apriva una porticina e si entrava in una osteriola
di questo nome, sempre deserta di avventori. Ma un avventuroso sodalizio prese il
tutto e l'Osteria fu.
Quante storie nate e morte, quanti visi, quanta gente vi ha trascorso sere e mattine,
quanta vi ha cantato cante di vario tipo, su un piccolo palco, le volte di pietra
poggianti su un unico pilastro centrale, quanto vino i vari osti succedutisi nel tempo
hanno versato, quanti dbili amori o fugaci accoppiamenti hanno visto la luce e lo
spegnersi. Anche l'Osteria pi bella di Cittanva si spenta. Saranno rimasti i
fantasmi di quanti vi sono transitati, i busso e i volo,26 il grido sospeso in aria di chi
ha catturato un bgato agli avversari, l'odore di muffa e chiuso mescolati al fumo di
innumeri paglie ciccate di rabbia, un paio di mazzi di carte abbandonati, il profumo di
giovinezza e la grossa pundgaza (o un suo legittimo erede) che, vedova di popolo
plaudente al suo passaggio, si aggira fra scranne muffose mormorando fra s e s:
Ma dove saranno andati, tutti?.
IX
Il Centoscudi

E poi ci fu Lui, il piccone risanatore di trucesca memoria, ma pi verace, pi


autarchico, il Bucfalo rilucente glorie battagliere di cromi ed acciari, l'Incitatus le
mille volte pi meritorio di Senatorii Ranghi, scorridore di nostrali praterie, strade,
autostrade, vicoli e carraie, angiporti e porti, stradelli bassi e guelfi,27 mulattiere
montanine e sabbiosi arenali marini, gremite piazze ed erte cavedagne. Forte ruggente
nei ben scorrenti due cilindri ma di benza parca, sobria nel bere, seppur possente nel
pieno dei cinquecento centimetri cubi di falsamente modesta cilindrata. Lei. O meglio
Lui. Il Cento Scudi.
Che tu, ignaro delle vere cose del mondo, potresti anche spensieratamente aver
nomato Cinquino in lontani tempi della tua irrequieta giovent. Ma pi
probabilmente appellativo delle lontane e assolate plaghe dei Siculi e dei Scani, o
delle sempre di neva piene zone dell'estremo Nord, della bergamasca dall'aspra
pronuncia per non parlare dei zarucchi bolzanini confini, o le linguisticamente
parlando ardue furlane tere dal bil cicl, da cui pare ne venne anche Juan Domingo,
intendasi Pern, impalmatore di Evite, che nomatesi Libertador si permettea di
mandarne il Vero, il vecchio Bolvar, a fare degli squassi, e se mi si domanda degli
squassi di cosa corre inevitabilmente l'obbligo di tirare in ballo le sempiterne pogne,
anche se poi tutti sappiamo come and veramente a finire.
Cos come Cinquino non regge Cento Scudi. Apparizione che folgor, mandando sic
et simpliciter a fare violenti grugn ogni altra cilindrata ed ogni ormai obsoleto
modello fino ad allora apparso sull'orizzonte motoristico nostrale, como rusco da
solfanaio raccattato e spedito in oscura e tombale oblivione. Non scomparse ma
ormai solo da sbo-roni demodati le ghignanti vulturesche spaider, nemmeno pi da
vindici pulini le Pantere tutte, ridottesi, nobilt decaduta, ad ansimanti tassi,
irrimediabilmente da anziani antenati le austere mil-lecento, le Giulie e le Flavie. Il
Cento Scudi nacque, trionf, marchi un'epoca.
C'erano s stati ( d'uopo ammetterlo) dreams adolescenziali di esotiche forme e
macchine baluginanti in technicolor, intravedute come in insogno, simile ad aspirare
aromatiche Csterfild o Carnei e non verdoline Esportazioni (con o senza filtro) o,
peggio, volgari Enne blu o proletarie Alfa; si dice le Cdilac, le Pntiak, le
Studebcher, che magari loro poi al brevo a grana come t stesso ne prendevano una
vecchia del babbo e la pistolavano a tal punto che ne sortiva un mostro colori suoni
luci come un juke-box, otto cilindri a V, col motore tutto scoperto che suonava pi
che rombare, da zero a settanta miglia in pochi secondi, da farci poi le gare o,
volendo, andarsene su e gi lungo la Main Street, radio a tutto volume (colonna
sonora: Fats Domino canta Blueberry hill) a intortare pelo in varia guisa foggiato, che
poi rasi una foggia sola, cio giovini bobby-soxers con gonna scampanata alla
caviglia e maglioncino stretto stretto atto solo a mostrare tutto il tondo pieno delle
virginali tettine. Ma rasi pi il lontano richiamo delle virginali di cui sopra che ci
lasciava l fuori come un balcone, che, delle macchine in s, non tanto poi ci calava,
essendo il tutto confinato entro quei nirvana mistico-adolescenziali che duravano
l'espacio d'un momento, e bna. Vedi anche, qualche tempo appresso, lasciate nel
giusto oblio le statunitensi status symbol (e che symbol!) t'insognavi qualcosa di
diverso, la EmmeGi, uno spaiderino dal tozzo muso con radiatore prognato e raggi

nei cerehioni, e amavi figurarci t sopra con fulardino all'eburneo collo e berretta a
righe come il Gap dei Blue Gap quando Gin Vnsent singhiozza nel Bi-bop-a-lula e la
scaraventa, essa berretta, all'indietro, o il chitarrista mentre fa l'urletto e cose cos,
naturalmente con bionda d'ordinanza al fianco. Il tutto sulle spiagge di Malibu, e qui
tornavano fuori gli USA, che Maldive e Seiscell erano ancora di l da venire.
C'erano per esserci, ma non ancora iscoperte, come l'America prima di Colombo o di
Erik il Rosso. Quello che poi importava, quello di cui poi si sentiva la dolorosa
mancanza, non era tanto la vettura in s, quanto la bionda al fianco. Dateci la bionda,
(anche mora, non la getterebbe nel rusco nissuno) e il resto, cerehioni coi raggi e
radiatore prognato, a far qual altro.
Anche nella dolorosa pausa naia (si intenda da Sten, con lauta remunerazione
mensile) avevi sodali da esso Cento Scudi motorizzati. Si che costava poco, un
mezzo palo circa, e ne potevi anche disporre in comode rate mensili, cosicch era
d'uopo rombare a bachetta dalla sede del battaglione fino alle assurbanipaliche
rimbonze di Tergeste la Bella, e apparire (comodo era il parcheggio date le astute
pcciole dimensioni e pochi i divieti data la ancora scarsa motorizzazione della
Penisola tutta) bello come il sole, fanga a specchio e bigonza con piega a filo a
piombo, abalusin' you, di fianco alle giovini mulle sprucagline che verso le cinque e
mezza sei, uscite dai diuturni sgobbi di commesse impiegate o altre sgadizze varie,
altro non cercavano se non virile compagnia, se ne stavano in Viale a sbaruslare del
pi e del meno uso "una cocacola e un panin de cto" con quella specie di elle apicale
che ricordava un poco il vezzo ferrarese oppure "te la porti la mulla a baiar a Barcola"
e c'era, alla domanda, il rapido bocheggio, la pronta portiera del ferro aperta e via
nella sera, isperandone poi piacevolezze a pacchi.
Ma anche al ritorno il Cento Scudi era pronto per t, l a Cittanva. Non era certo
quello dello sborone che non pago del prodigio della Macchina in s tutta la
pistolava, dapprima abbassandola a tal punto che sotto non ci passava nemmanco una
ccles, alzando la cilindrata a cinquenovantacinque, lasciando la parte grigliata del
cofano sopra al motore aperta, che prendesse pi aria, pi respiro, sorretto il tutto da
eleganti stecche metalliche. Istoriava poi il musetto davanti ed esso deretano con la
grifagna presenza di uno scorpione a coda ritta, nell'atto di velenosamente pungere
(Abarth era il genio di tali manipolazioni, e l'arcnide dalle chele ferrigne e venenum
in cauda il suo simbolo); poi faceva abbassare la testa dei pistoni di qualche
millimetro, per rendere pi potente lo scoppio, faceva lucidare e cromare le valvole di
carico e scarico per rendere i flussi e i riflussi pi agili, le ruote aveano cerehioni pi
larghi e si dovevano cos modificare, allargandoli, i parafanghi, ma non solo: i sedili
erano muniti di ribaltabili, atti a decubiti i pi agevoli e languidi il possibile (la
manopola veniva anche saggiamente sostituita con un quale di intarsiato bano, da
una eburnea boccia da biliardo ovvero, ma questi invero i pi borazzi, da un
ghignante teschio) nelle lascive positure tutte dell'accoppiamento, la leva del cambio
rimpicciolita alle minime dimensioni, perch dava cos un tocco sportivo ma
soprattutto perch non desse fastidio nel bel mezzo di un certame amoroso nel quale
il modificatore sempre andava isperando, e cambiava il volante di serie in uno a tre
razze d'alluminio, tipo auto da corsa (tale Nardi rasi l'abile artigiano foggiatore), col

cerchio in legno e le tacche sull'impugnatura, che le mane non scivolassero al


raggiungimento di folli velocit, tipo novanta/cento all'ora; anche centocinque, se il
mezzo era lanciato. I fari, in alcuni fortunati modelli, erano grigliati a larghe maglie,
per impedire che un cittolo ne rendesse cilobina la vista, futurosa preveggenza per i
fuoristrada tutti. Per finire, il clacson rasi un mostro bitritronuante-tonale (vi era un
apposito compressore elettrico, da batteria alimentato, con distributore rotante che,
girando ed applicando apposita pressione metteva in funzione le tre angeliche
diaboliche trombe del giudizio) capace di mettere in dilettantesco non cale pur le
sirene della Frrestal e, sull'antenna, fieramente inalberata come una vela al vento,
come uno svettante simbolo fallico, come un dito piantato nel buco del culo del cielo,
issava una coda di volpe o di altro rapace animale tale da sgomentare l'esile
lunghezza della vettura stessa.
Ma poi c'eran i colori, che giustamente il Cento Scudi non si presentava in volgare
bianco e nero, ma usufruiva di tutta la gamma completa della tavolozza dell'iride. I
pi sobri, gente di solito masata, anche nella vita, la preferiva nero tonaca di parroco
o bl scuro commendatizio. Si poteva osare (un voglio ma non posso) un audace
verdolino mutanda di pensionato che veniva nomato con agile salto della quaglia
color penicilina, che poi t l'hai sempre vista bianca, la penicilina. Ma il verdadero
Cen-toscudaro eee, che colori! Non si parli del ciclamino, o del seppia, o
dell'aragosta, ma c'era il giallino vomito di senape di luccicante complessit, il bianco
virginale che attendeva in camuffa l'eventuale vergine pronta e prona al supremo
sacrificio e c'era, ma era il massimo, un rosso Ferrari che gi, al suo palesarsi, faceva
intuire piste e velodromi, ne dispiegava, del Cento Scudi, tutte le impossibili
possibilit, aiutandola, essa rattratta e rattrapante potenza, aggiungendo adesivi e
strisce e un caz ch'a V t'amaza, con tutta la gamma di funzioni racchiuse malcelate
ma pronte ad esplodere nel Gioiello.
I sodali tuoi invece l'avevano pi o meno normale, non cos tanto pitonata, ma anche
cos il Cento Scudi fu la Locomozione. Non pi le biciclette, lasciate solo a tremuli
anziani coi ciapetti alla caviglia per non sporcare di morchia le braghe, o eredit sola
di vigorose sdure che affondavano l'ampio e possente bfice nel sellino e forti
pedalavano con muscolari spinte degli ampi galloni, per non parlare della Wally28
dal sesso incerto che ricopriva tutto il sellino con un cuscinone (si favoleggiava) di
morbide piume imbottito. Non pi Vespe o Lambrette, ricordo di povert lontane
erane dimenticate. Il Cento Scudi aveva un tetto, e che tetto, che a volte lo potevi
anche aprire e la magica vettura diventava uso spaider, cos come ridere. E dentro,
alle volte, ci si stava anche in sette otto, come gli studenti americani a centinaia nelle
cabine telefoniche.
La Locomozione, daddovero. Si poteva ad esempio fuggirsene per Ferragosto da
iniquo servizio di ufficiale in Compagnia, e da Tergeste ritrovarsi di l a poche ore
(circa cinque, ma l'autostrada futura era ancora rinserrata nei magnanimi lombi di chi
l'avrebbe creata) a Cittanva da cui prendere un treno, raggiungere le frescure del mai
dimenticato Appennino, salutare la bella che avevi intortato nella recente e ahim
lontana dieci pi due e la mattina dopo riprendere il treno e salire sul Prodigio
Volante che ti scaricava dopo le solite poche ore (circa cinque) nel bel mezzo della

caserma senza che nessun si fosse addato della tua fuga. Si poteva, felicemente
borghese, secoli dopo (circa sei anni) da Cittanva raggiungere la stessa Tergeste, in
quattro e due colossali chitarre e impedimenta varie ma la Cento Scudi sapeva
all'uopo allargarsi o rimpicciolirsi come una fisarmonica, miracoli del prodigio
trmico.
Al tuo ritorno da naia appunto lo ritrovasti, il fedele Cento Scudi. Non tuo di tuo, ma
quasi ogni amico ne possedeva uno, e fu complice di tutte le possibili ribalderie
giovenili, andiamo a prendere il caff a Rimini?, o sbachetare fino a Fiorenza sulla
nuova autostrada appena costruita per vedere la chiesa tenda del deserto tirata su da
architetti novelli beduini, e la macchina che tu stesso guidasti per una distanza che
ancora, al sol pensiero, fa tremare e vene e polsi, sei sette chilometri buoni, le mane
ben salde sul curvo volante, e le amiche che ti portavano sui colli a cercare, noctu,
ascondenti piazzole riparatrici per certami amorosi ed equili-bristici, e tutto, e ancora,
e tutto di tutto.
Forse ne intuisti la fine al momento pi alto della sua gloria. Era notte d'inverno, e a
Cittanva cadeva la prima neve dell'anno di poco superato. Capitasti in piazza
Maggiore sul Velocfero, al volante il fido Marzio Baffo, dietro due giovani e
scalpitanti sbarbe made in USA. La piazza rasi deserta, incredibilmente, come la
citt. Il piloto lanci la vettura a bachetta, sul crescentone innevato, poi frenava di
botta e tutti si godeva delle audaci derapate, col Santo Petronio illuminato e pure
Palazzo d'Accursio e pure tutti i lati della magica piazza vedova di auto e di passanti,
solo noi, a inebriarci di giovent e di gioia ferina, in quell'andare e derapare, andare e
derapare.
Ora il miracolo meccanico giace dormiente. Lo si vede, 'gnitanto, ronfare ancora
orgoglioso fra le pi possenti sorelle che, sprezzanti, forse ignare di tanta gloria, gli
chiedono a gran clacson la strada.
X
Il trappolo
Nome ufficiale, anche se non in purezza di lingua, garsoniera, ma ironico anni fine
'50, quando mondani cazzeggiavano quelli col ferro spaiderato e fular, al collo e nel
cassettino della vuatur, per le ragazze; vieni a fare un giro?, tentativi di intorti estivi,
ma se hai paura di spettinarti te lo do io, il fular, piccina (con la speranza di dargliele
poi a loro, le chicche, i bonbon, che era ancora tutta una lotta bruta ultimo sangue, ma
cosa fai, no no l no, como ci fosse il toccabile e l'intoccabile, la Cortina di Ferro, una
fatica da sballo e spesso il tutto per un semplice fiocco, pensa t, col fular al seguito,
che le allegre nature, esso fular, se lo legavano poi alla Sabrina, con due passate
attorno alla gola, come avevano visto fare al cine o sulla Bibbia-"Grazia", occhiali da
sole e via andare, per strade assolate delle torpide vacanze. Ma quelli l erano tutti
bancari (chi, se non loro, poteva permettersi una Giulietta, a quei grami tempi?), e la
garsoniera soltanto un sogno parigino tramandato da vecchi lascivi zii sognatori, che
invece essiloro, gli impiegati di concetto, se ne ivano a smandriarsi per pratulelle o
deserti spiaggioni atti a cucar su ma garsoniere zero via zero; potevano, 'gnitanto,

anche osare un ragazziera, che s sapeva un po' di ped, ma era per far vedere che
sapevano le lingue e le traduzioni, non erano mica maraglia qualunque, era gente tipo
aver un posto fisso in Comune o in Banca e il frigo e la Tele in casa.
Altri lo diceva con nome ancora pi esotico, piede a terra, che roba da cocheri
spinti, e il cocchio nulla c'entra, principi baroni con vstirio di gran sarto, fanghe e
camicie inglesi ed erre moscia, e forse non solo quella, ma credo che il termine non lo
si usi pi dal '22, se non per lazzo comitale di finta finesse oblige. Altri ancora con
voce di volgare rozzezza, a denotarne sordide caratteristiche, ambigui fini maialeschi,
scannatoio, il che la dice ampia e lunga. Ma chi volete andare a scannare, i miei
mecchi? Le trepide sartine pi non esistevano, le Mimi estinte come l'uccello Dodo di
Mauritius Island e le commesse di butik con il blghelo al vento e la ghigna fan
cacciatrice di ghigno e l'istinto da cubista con bfice a bissaboga di l da venire. Le
operaie no, per esserci c'erano, ma razza fiera quant'altre mai, perch prova a
trascendere, che se non ti sentivano della stessa progenie, da medesimi magnanimi
lombi disceso, si poteva rimediare facile un parole nella musta. Era gente tosta. Forse
le ballerinette dell'avanspettacolo, che viste ora, pre tse, cos di fianco largo e di
coscia lardellona, probabilmente accettavano per una cena completa in complice
trattora, prese per fame, che ancora non c'eran le tiv locuplete del Sciur Cavaliere.
Ma era roba da panciosi commenda con doppiopetto a rigatino e fuori un fuoriserie
che ne dispiegava possibilit economiche a balocchi, e tu ciccia.
Nella capitale mi si dice scortico, che equivale al di sopra scannatoio, ma manca nei
due vocaboli ogni parvenza di poesia. Pare invece che in remote localit di mare di
nord-ovest esistesse il beciatoio, "'u beciatoiu", verbo che sa di salsedini atlantiche e
di marmi manuelini, con eroi navigatori indirizzati a buscar l'oriente dall'oc-sidente,
avventurosi e tesi verso le Americhe, lasciate, appunto, le dolci gioie del beciar. Ma
questo nella fantasia, perch della voce, in vero, tu ne ignori discendenze e origini.
Potresti figurarti un "becca" ma tutto avvolto in sconfortante mistero.
Nella Citt della Motta era carbona, tramutato dal "casa" malevo (infatti a Cittanva
significava galera), ma non lo sapevamo (nulla, sapevamo) e carbona era quasi a
significare non tanto luogo oscuro ed infimo (a volte, forse) ma piuttosto covo di
eroici congiurati, di rivoluzionarie trame, di complotti infiniti; carbonari, appunto.
Nella Cittanva era trappolo. Che non stava ad indicare come un infame lovetto dove
catturare graziosa ed innocente cincia (pi o meno allegra) o capinera che sia, ma
piuttosto una cosina francese, "le traple", u mesi, un buduar da gentiluomo, dove
tenere collezioni di farfalle a iosa ed eleganti stampe erotiche, bottiglie di raffinati
licori atti ad inebriare ed accendere i sensi, musiche languide ed eccitanti come un
bolero di ravel senza fine.
Il trappolo, avere il trappolo, sogno giovanile mai domo. Perch eri abituato al veloce
cinemino, a quello che potevi tirar su nelle ultime file della galleria, quando tutte le
coppie erano in naturale noscialanza di quello che avveniva sullo schermo, d'inverno
il buio complice e i cappotti gettati sulle ginocchia a nascondere quello che vi
avveniva sotto, ai cappotti dico, in un turbigliene di fiocchi a tortiglione e
risucchiamenti vari, di mani rabide che cercavano e spogliavano e ciancicavano, di
teste femminili che si chinavano e si rialzavano a ritmo binario, per poi,

all'improvviso apparire della luce, riscuotersi confusi e arrossati, come di ratavoloira


od altro nottivago volatile sorpreso da un improvviso occhio di bue, come branco di
pasarini smariti via da vorace felino, guardandosi in qua e in l pudibondi, arrossate
le guance le femine, sbito dopo ridacchianti complici, perch poi tutti erano nella
stessa medesima situscion, e vai ad aspettare il secondo tempo. Eri anche abituato,
quando la primavera ingentiliva la temperatura e tutto sui colli verzeggiava spinto da
novella linfa, e tu dalla medesima linfa pi che spinto, felice vittima di mugulanti
trionfali erezioni da undici e tre, a praticare escursioni in cerca di fronde riparanti ed
ascondenti, in mancanza del Centoscudi che non possedevi e non possederai mai. A
meno di non trovare, in ere geologiche di molto posteriori, complici femine
possedenti la vigorosa vetturetta, e via alla notturna sui colli. Ma secoli dopo. Allora
trionfava l'autobus, e di giorno. Ma anche l, che la primavera spinge non solo i
desiderosi d'appartarsi in intimi ed amorosi colloqui, ma la citt tutta, a riempire di
grida felici e di opprimenti presenze ogni fratta, cespuglio, grottarella, frasca,
murmure ruscello che il Buon Dio su questa terra ha creato. C'erano in vero complici
lo-calini, ma t sccia, che ti recasti, poco prima di partire per difendere in armi la
Patria, in uno di questi sitarmi verso i colli, che gi il nome era carico di ambigui
significati, ma non tanto come nome in s, la Fontanina, ma per il ricordo di quella
poesia che frutto di scapigliate letture giovanili ricordavi e non mancasti di citare,
non si sa mai, a lei la bella: A Bologna alla Fontanina un cameriere furbo e liso
senza dir nulla (o niente?) con un sorriso apr per noi una porticina. La stanza vuota
assolata dava su un canale per cui (su cui?) silenziosa uguale una flotta d'anatre
navigava.29 Ora il cmaro in questione era furbo e liso il giusto e anatre non si dice
a flotte ma nemmanco l'ombra e anche il canale scomparso, sparito, nella
modernizzazione dopoguerra che tutto mut, nell'architettura e nei cori della gente.
Per aprire la porticina l'apr, e c'era s una stanzetta, e forse troppo assolata, ma con t
tu c'era: A) un'altra coppia, il che rendeva problematico un qualunque atto sessuale
meno che pudibondo; e B) sul tavolinetto dove il suddetto cmaro pos le
consumazioni si ergeva una montagnetta di cioccolatini dalle dubbie caratteristiche
organolettiche che per non scalfirono la Gola delle due che vi si gettarono sopra
avide e fameliche come vittime di atavica carestia. E tu lascia che mangino, le
ludre! dir un tuo benevolo e distratto lettore. So anch'io, ma il fatto si che tutto
era calcolato, cinque gambe avevi in tasca e a due e mezzo la consumazione fanno
appunto cinque. E il cioccolatto? Era compreso nel prezzo o debordava dal povero
budget? E a quei tempi il pelo usciva di casa rigorosamente al brevo, cosicch rasi
inutile dimandarne eventuale aita atta a rimpinguare il magro bilancio, epperci
trascorresti il pomeriggio nell'ambascia di quel conto che sostitu, nei tuoi pensieri,
per tutto il tempo ivi trascorso, ogni idea di sesso.
Ma dopo fu tragica naia, e di trappolo neanche il pensiero, nemmanco, a dir il vero,
quello di fiondarsi in complice albergo. A Tergeste la bella ti desti da fare a pastura
con della natura della mutua ma fame e giovinezza poterono pi che '1 dolor, o il
digiuno; non che in giro non ci fosse di meglio, che di meglio c'era eccome, ma
misteriosamente col brevo che ci stavano, secot, e ne preferivano maschi locali di
Pura Razza Giuliana, come la passera che a quella festa ti si era attaccata e non ti

mollava e ti dicevi: "Be', vai alla grande, che ci siamo con l'intorto". rasi codesta
una bionda naturale con occhi verdi che ti sbaluginava ogni tanto nella ghigna, di
fisico in fiore di diciottenne o gi di l di nordica stirpe, un lavoro fino ad allora mai
provato, solo, le pi volte, visto in sogno o su opalescenti schermi. La festa, a dire il
vero, era un po' una trappola, nel senso che avevi contato le coppie che erano pari e a
t sarebbe toccata l'anfitriona, conosciuta secoli prima nella felice condizione del non
naia, quando eri un vispo cantante suonatore imbroccato in vacanze invernali nelle
dolomitiche Alpi, lei, tu al musicale sgobbo intento. che la dama in questione rasi
una brevilinea stenica, col culo che le discorreva spesso e volentieri colle non lontane
caviglie, fai t. E pensare che il di lei padre ti aveva intessuto un fervorino mirante a
dire che i giovani Sten, ransi come marinai, un paio di botte e via, chi s' visto s'
visto, che bisognava guardare con cure assidue alla purezza virginea delle locali
pulzelle, che essa purezza intatta dovevano fino all'altare portare, che in fondo poi lui
capiva i desideri e gli slanci (sono stato giovine anch'io; nel 1910, pensasti, con
giovenile tracotanza) e che, per questo, ci sono tante s'ciave! profer con sottile
razzismo stringendoti l'occhietto. Tu, mondano, non affermasti fra irrefrenabili
scrosci di risa che a lei l non gliel'avresti messo in mano nemmanco incartato, bens
che eri un gentiluomo (Ufficiale e Gentiluomo?) e che poteva andare sul velluto, data
la tua proverbiale signorilit.
Invece, quella sera, sbevucchiando anonimi frizzantini e divorando tartine e salatini ti
aggiravi guardingo in mise quasi fighetta quando la bionda sullodata ti si attacc
briaca cionca murmorando: Te vien a casa de la mulla a vedere i quadri che la fa?
invito che non accogliesti, se pur gentilmente formulato e preso da improvviso
desiderio dell'arte per l'arte, un po' per l'ora che rasi tarda, un po' per un susanello l
guatante, un vigoroso fratello che il tutto controllava con aria circospetta. Prendesti
una vaga punta per il pomeriggio dopo, arrivato alla quale la bella, sobria come un
Giuliano Vescovo, fatic a salutarti e se ne i in gita di motoscafo con possante
maschio locale, e t ciccia, avanzasti l come un smo, maledicendo in cuor tuo le
nordiche bellezze, le pittrici aduse alle alcoliche bevande, le mulle tutte e i forti mulli
triestini di Tergeste la bella.
Al ritorno da naia il problema si ripresent in tutta la sua graveolenta complessit.
Non c'erano complici case d'amici? dir in un eccesso d'ottimismo qualcuno.
C'erano s, per esserci, ma non che la casa te la prestassero cos libenter. Giovini
studenti con libero appartamento ve n'era, non fosse che gravato trovavasi da
centinaia di sodali i quali raramente se ne ivano alle paterne case, apparentemente
abbarbicati a Cittanva como lllera ad annoso fusto. So anch'io! Che la magica citt
si trovava allora locupleta di genere, e che genere, calato da remote province
dell'Impero alle sudate scienze del Trivio e del Quadrivio, trovandosi l per l libero
da familiari remore di paternali e maternali Cerberi atti a preservare purezze
illibatezzeque e virginali castit. Non voli sognanti fastosi imenei, non zie e zii
ansiosi di veder convolare, e le sciantosette garrivano al vento di libert come
bandiere. Non era, a dire il vero, che la gettassero l cos, a gratis, che gli anni erano
ancora quelli bui e c'era da lottare palmo a palmo, verga a verga, per conquistare non
si dice l'ambito trofeo ma un quale che ad esso simigliasse, solo un gran paciugo alle

volte, e pi del cicato valeva il palmo,30 ma era pur sempre qualcosa. Ed anco essi
loro, i mas'ci, non ne venivano dalle gelide terre di Svevia o di Ne-derlandia o della
brumosa Albione dove, si diceva, le femine te la tiravano dietro senza tanti macheggi
e vieppi se in t notavano il fascino latino. Cit-tanva era pur anco luogo pullulante
di femine con le quali si poteva almeno sentir l'odore di un qualcosa che stava l l per
venir donata ma rimaneva sospesa nel settimo cielo del vorrei ma non posso.
Insomma, a contentarsi, si gavazzava, o meglio, si gavazzavicchievava, ed erano, i
pasciuti proprie-tari degli ospitali ostelli, anche se mai pipeto, restii a tornare al
paterno ovile. Dovevi attendere i Natali e le Pasque quando era giocoforza
abbandonare carte e regesti e codicilli (o quello che era che abbandonavano) e
fiondarsi sui lunghi treni per raggiungere l'assolate plaghe del solare sud o le gelide
brume del nord. Allora poteva darsi che ti si aprisse un buco amico, poteva sorgere,
all'orizzonte zodiacale dei tuoi desiderata giovanili, un mazzo di chiavi che apriva un
complice appartamento.
Ma tutto si era aleatorio e poco probabile. Potevi trovarti, nel mezzo del certame
amoroso (e che certame!), uno dei legali abitatori che per misteriose sue ragioni era
improvvisamente tornato allo stazzo e, vedendo la stanza nella quale ti giacevi
illuminata e sentendo rumorosi e indecifrabili mugolii provenirne (ma cosa vuoi
decifrare, il mio ismito!), chiamava a gran voce il nome dell'amico
momentaneamente assente gridando, come preso da raptus: Sei tu? O, dico, sei tu?
Chi c' l? provando a smanigliare la porta ovviamente chiusa a chiave. Ma chi vuoi
che ci sia, il mio invornito! E seguivano dolorose e imbarazzanti spiegazioni, con la
porta appena socchiusa, in vergognoso neglig, l a spiegare che eri un passeggere
nemmeno avvolto in ampio ferraiolo, ma in mutanda in fretta indossata, che tutto era
regolare, che non stavi furando nulla, che, complice occhietto, ti lasciassero perdere e
bna. Era penoso, salire per scale non tue, con chiavi che non conoscevi, isperando
che il pelo se-cot non si pentisse per tutto l'armesdo che stavi combinando, cercare
guardingo le luci delle scale, poi la porta giusta, poi le luci interne. Pi la fatica del
gusto, soprattutto se il locale improvvisamente reso agibile era non in moderno
condominio ma in avito stabile dove tutti si conoscono e un viso (e una visa)
estraneo, da improvviso aborigeno apparso sulle scale a lungo guatato con sospetto,
che al tuo gentile buonasera mugolava un buonasera biascicato fra i denti e a lungo si
voltava come per chiederti e il chi e il perch e il come. Sembrava ti urlassero dietro:
"Quei due l vanno a porre in pace il loro disio", per non dir peggio. Il che,
ammettiamolo, non aiuta.
Poi, finalmente, trovasti il complice con cui dividere il trappolo. Era uno abituato
all'estero, emancipato, mica come noi borazzi, di madre polacca (ma non son cos
cattolici, i polacchi?), che era spesso in Germania e che, seguendo l'esempio crucco,
incredibile a dirsi, era andato a vivere da solo, e abbisognava di fresca. Il locale era
abbastanza confortevole, se non che lungo il rigido inverno era riscaldato da una sola
stufetta a gas nell'ingresso, e tutto il quartierino (in un piccolo e modesto quartierino,
in un nido fatto apposta per l'amor) era pi sul gelo che altro. Si aggiunga poi che
durante le lunghe assenze (in Germania? In Polonia?) il risparmioso proprietario
chiudeva il gas e tu, nel terrore di impiare una cosa ambigua che avevi in grande

sospetto, nel timore non infondato che il tutto ti esplodesse nel bel mezzo, decidesti o
di rimandare l'affare a pi primaverili atmosfere o di rinunciare al macheggio.
Poi ci fu, ornai cresciuto, il trappolo storico di via Fondazza,31 dove, dicevano voci
popolaresche, le femine dell'intera strada ivi abitanti avevano una curiosa
particolarit, l'organo genitale a tazza foggiato, non sai se per banali questioni di rima
o per atroce beffa del destino.
Aveva tutte le caratteristiche di un trappolo degno di questo nome, e cio: essere
sordido quanto basta, avere quindi i sanitari in avanzato stato di decomposizione,
puzzare vigorosamente di muffa, costare quindi un mensile irrisorio pur anco
suddiviso in quote azionarie fra i millanta che partecipavano alla lieta cooperativa,
tanto che un apposito segnale fuori dall'uscio indicava al festante in tiro arrivato che
il luogo rasi occupato e si attendesse almeno una buona mezz'ora prima di poterne
usufruire. Il che produceva anche liti condominiali tanto che uno dei soci si port via
i suoi materassi e a lungo si dovette praticare sulle nude reti, cosa che metteva a seria
prova le coraggiose malcapitate che si rialzavano segnate nelle schiene come
portassero orgogliose vistosi tatuaggi tribali dei lontani Maori o dei neri Ottentotti.
Quel glorioso trappolo che troppe ne vide. Quante coppie avranno varcato le tue
semicadenti porte, quante ne avranno viste i tuoi muri scrostati, quanti avranno
usufruito dei tuoi scomodi servizi in cui, dato il luogo angusto, era necessario stare in
chinino per compiere le pi banali funzioni? Trappolo di via Fondazza, che vide la
giovine romana saltellare sul letto per la scoperta di un piacere ritrovato, la dolce
americana dalle natiche callipigie, la romagnola poco adusa a quei giochi, e tutte le
altre, non citate ma indimenticate, e le schiere degli avvocati o futuri tali, e il Moro e
il mai domo Butirrone entrarvi con una baldra e il primo dire al secondo: Vai a
prendere lo sciampo che l'ho lasciato in macchina! e nei pochi secondi dell'andata e
del ritorno si fecero trovare lui e lei nudi nati, lui che gi di pecora pompava, l'eroico
Moro, mentre affermava infastidito: Perch non l'hai aperta, la boccia, che volevo
brindare?.
Ce ne sono stati s innumeri altri, il fastoso piede a terra dell'amico pi anziano,
incredibilmente elegante, pulito e confortevole, un vero godilo, guardato tutto
appena prima di giacersi, con la veronese neghittosa e misteriosa, quello appena
passabile degli altri amigos, dove capivi bene quello che eri venuto per fare, appena
entrato, e questo, e quell'altro, e l'ultimo, quello che ormai dovizioso, coperto il
matto,32 riempisti di tutte le bevande alcoli-che che mai prima ti eri potuto
permettere. Sono iti, tutti, ma non sepolti nell'oblio. "Trappoli d'un tempo!" grida una
voce, e mille voci, pur sapendoli morti, rispondono fieramente: "Presente!".
Chiss se adesso c' ancora, da parte dei giovini di Cittanva, la ricerca infinita del
trappolo, per perseverare in un coitus mai interruptus che dalle vestigia di Flsina,
attraverso la Roma Repubblicana ed Imperiale, attraverso la Mezza Et, il
Rinascimento e l'Epoca Papalina fino alle Glorie del Risorgimento, giunge invitto a
noi, al giorno d'oggi, in un continuo mugolare e sudare e gioire che sale fino al cielo,
e l si allarga, s'espande, e lo riempie d'azzurro.

XI
Ce n'est qu'un dbut...
Ma c'era qualcosa nell'aria che sopiava attorno, come una misteriosa sciroccata
improvvisa che spazza e spiazza le nuvole e le fa cavalcare turbinose su in alto e ti
carezza la ghigna di un quale tiepido che t magara non te l'aspettavi ma lo sentivi,
che stava per arrivare, seppur vago; un che di inappagato, di non capito, di non
concluso. Qualcosa che si spandeva e si spargeva, ma cos'era? Si viveva blandi,
lunghesso l'apparente inscalfibile tradizione, giorni dell'Alma Mater fra un esame e
l'altro, la balla degli amici che si vedeva al sabato sera, a cena in qualche trattoriola, e
alla domenica, sui colli che Cittanva ti offriva, in giro per calanchi a cercare i
dentalium, fossili a maccheroncino con cui fare poi collane, nell'epoca hippy di l a
poco, a parlottare di niente, delle ultime, a discutere, a bere, a giocare a pallavolo, a
cantare cori alpini a tre voci. Un cinema le sere, una partita a carte, i libri aperti 'na
qualche volta, prima dei turbiglioni finali, preso dall'ansia. Ma nel frattempo
arrivavano voci, come sempre da fuori, che qualcosa si muoveva. Cosa hanno fatto
gli studenti americani? E il Vietnam? E noi? Noi l come sempre ad aspettare la
befana, che gli altri dessero l'anda, segnassero la strada. Vai poi a zagnare che sei
rivato ultimo. Eravamo ancora tutti in giacca e cravatta (si pu fare la rivoluzione in
giacca e cravatta?), capelli ben tosati dal barbiere di quartiere (non esistevano ancora
i Grandi Curatori del Bulbo, i Maghi del Pelo) e signor professore qua e signora
professoressa l. Ognuno parzialmente inmorosato e addirittura qualcuno delle classi
da sgobbo che la vedeva al sabato, domenica pomeriggio, marted e zbia. Nei giorni
pari, insomma, pensa t, condannati da ora-ri incatenanti, in ufficio al giorno e
preciso la sera, come le braghe di Delmo.33 Perch per essere in-morosati seri era
d'uopo presentare tutta la cartola in casa, dai suoi di lei. Che consisteva poi nel
poterla andar a prendere (e a far qualaltro). Be', abbiamo visto che vi volete bene, t
mi sembri anche un bravo cinno, ma bada bene di far amodo, la madre, perch lei
brava, bada bene di non prenderla in giro, che se no mi viene un sgusto che basta, non
voglio neanche pensarci, e via cos. Forse al sabato sera pitonatissimi al baladur, il
resto a un cinemino, poi a casa la cinna e bna. Potevano osare forse, quelli col Cento
Scudi, una veloce fuga sertina sui colli, a cercar di cucare l'imprendibile, ma riga,
perch tanto Imeno era l a due passi e allora suona la tromba intrepido, Hymen
hymenaee, o hy-men! Poi dopo? Passati i primi mpeti? Che sentivi magari uno del
bar sottocasa confidarsi complice e fiero e feroce: L'altra sera, a eia dona (la mia
giovine moglie, poi) gliel'ho fatto a secco!. E t? Aria sorniona. Eeee! Con mano a
ventilar l'aire come a dire: "Chi snnia me? Un smo?". E invece t sccia! Ma
adesso cosa fai, t dell'a secco? Ti presenti allo stesso bar in calde papusse e tutina,
con coppola lanosa in co e caldo avvolgente coltrone sponsorizzato per affermare,
appena dentro, ai primi zfiri ottobrini: Sccia che zagno! e ripresentarti in canotta,
ciabatta infradito e violenta braga corta per rimarcare, alle prime tiepidit primaverili:
Sccia che caldo! bofonchiando qualcosa su eia dona?
Noi studentelli no, era pi libera la moresca, quando ci si vedeva ci si vedeva e amen,
tolti saba e domingo, un giro in centro la sera, posate le sudate carte, un salto alla

libreria dove poi incontravi tutti, un altro jumpin' a guardare vetrine metti per la
futura sognata casa, quella tua, il nido, dove effondere personalit a libbre, una
stampa qua, un caldano in ottone comperato in una gita l, ma buona l, perch il fatto
d'arrivare al dunque imeneico era ancor lontano e al dunque dunque problematico, e
se ne discuteva a pacchi e balocchi fra di noi, e si suppone loro fra di loro, le
sgarzuline, perch il vento stava gonfiando le gote, e l'aria nuova spazzava via
cartacce e rusco e ripuliva i cieli dei nostri vent'anni, altro che balle. E di l a poco
altro che casa tua, altro che casta vita matrimoniale, altro che giri in centro a mirar la
vidriera irrespetuosa de lo cambalache.34
C'era stato quel film del Grande Frederick, Io Mi Ricordo, e ti dicevi, e dicevi con gli
amichetti tuoi: Ma vi rendete conto? La scuola l narrata era precisa a quella fatta da
noi, identica. T tu il grembiule nero col fiocco non l'avevi mai avuto, come tutti gli
altri tuoi compagnucci, per povert dopo-guerresca, ma per il resto? E stare in prima,
e in seconda, e sbachetate sui diti, e tutto quel casotto l. E dicevi: O, gente, c' stata
una guerra di mezzo, con tutto quel po' po' d'ambaradan, che molti di noi se lo
ricordano ancora, una guerra, mgga pippe, e nulla mutato sull'orizzonte
sapienziale. Ed era vero. E dopo i mazzi agghiaccianti dell'esame d'ammissione per
andare alle medie (gli altri all'avviamento e via, allo sgobbo) poi quelli delle
superiori, sbarcavi ignaro all'universit. E mi dica la data di questo, e mi dica il
paradigma di quel'altro e noi, verga a verga a tremare, davanti le Altissime Eccellenze
dello Studio, in uno sfogliare frantico di tomi e di appunti e di dispense, le paglie a
render gialli della scoperta di Monsieur Nicot i diti, le ore notturne o antelucane
rubate nella vana speranza di ricordar quella data, quel paradigma. Rocroi? Pronti,
1643. Ma cado come fa? E caedo? Casurus o caesum? Venio venis veni... il vento c'
o non c'? Che poi una volta memorizzati ti saranno utili per il resto intero della tua
frale vita, piccino. E lo zeugma, te lo ricorderai, che bestia ? E la litote? Che alle
Superbe Superiori avevi avuto una Prof. di quelle che vero non vero il Poeta
sembra dipingere vero non vero e descrivere come in un quadro e l'angelico seno
era da intendere come le pieghe della veste e non volgari tette e all'Alma ti arriva un
Prof. che ti sbatte in ghigna la Scuola Linguistica di Praga e "langue et parole" (da
intendersi in francioso) e vi dava del loro che ti dicevi: "Ma cos'? Invornito, lui
qui?".
Ma questo era niente. Vivevi in una nazione con la tiv a un solo canale bianco e nero
e che era protettorato indiano di quelli che corteggiavano le pile e lambivano le
sacrestie, imbellettati da un potere curialesco che sembrava sceso direttamente
dall'Alto, ma che si andavano sfacendo ad ogni pie, la Grande Balena gi presa di
mira dagli Achab che si affacciavano rabidi dello stesso potere, va' poi a sapere che
saresti caduto da quella padella nella brace dove ti avrebbero atteso le grinfie del
gatto cavaliere, ma vallo ad immaginare, allora, che il canterino della flotta aveva ben
altri pensieri per la capa. E dall'altra una ingessata casta discendente pari pari dai
magnanimi lombi di zio baffone. Ma tu aspettavi qualcosa di nuovo, non roger chiaro
e forte,35 ma a conati, a singulti. Sentinella, quanto della notte? La notte sta per
finire, ma il mattino non ancora giunto. Comunque ritornate, domandate, insistete.
E noi ci chiedevamo, insistevamo. Erano passati i giorni degli sciansonieri francesi,

quelli degli amori infelici e dell'ironia sorniona, che gi erano stati una bella botta per
le tue povere canzoni; ti arrivavano singhiozzi di cose nuove, The house of th rising
sun, ad esempio, con quel grattato di chitarra nemmeno difficile da imparare, e il
Please please me dei Beatles che culirotti di amici in viaggio d'istruzione in England
avevano riportato secoler per farti sentire in patria le novit ai-bioniche, i bsi
(pensa t, l a istruirsi, i pedri, e l'inglese riga). Ma gi viaggiava per l'aire un'altra
figura, e quell'America messa in sospetto con tutte le storie del Vietnam finalmente
rientrava con gli aedi di cui cercavi di capire le parole risentendoli ore e ore nel parco
giradischi casalingo, Roberto Zimmerman, quante strade deve percorrere un uomo?
Quante s!
Ne avevi avuto un leggero sospetto quando Ludo ti si present a casa sul fare del
mezzod di una domenica mattina, perch aveva scoperto un'osteria deliziosa dove
c'era (appena fuori Cittanva, due passi, ho il Cento Scudi qui gi) un salame e
un'Albana che non te li devi proprio perdere, ma tu dici: Hai presente l'ora?, ma lui
fa dai dai che andiamo, sotto c' anche un autostoppista americano, che aveva pescato
su non so dove, e allora un americano era un americano (di Palo Alto, Ca., per la
storia), un essere che se ne veniva paro paro dalla Grande Babilonia sognata ancora,
mescolata a Steinbeck e ai figli dei fiori, di cui si sentiva novellare sulle gazzette. Un
americano verace non lo incontravi tutti i santi giorni, se non quelli della Hopkins,
ancora anco loro quasi tutti in giacca e cravatta, tu l a frequentare th Library dove,
incredibile a dirsi, non solo potevi portar dentro cochecole ed altri generi di primo
conforto ma ti permettevano anche di fumare le tue scarse paglie, una ceneriera per
desco, cosa vietatissima nelle nostrali biblioteche, e allora a Cittanva tutti i Giovani
Leoni la conoscevano, la biblioteca dell'usis (United States Information Service) un
po' forse una succursale della CIA. L ce n'erano a pacchi, di amerindi, ma non che
ti filassero tanto. Ludo lo aveva ipso facto invitato a casa sua, lo yankee, dopo le orge
osteriali, e un giorno dolce di prima estate e libando altra Albana del pi e del meno
gli andava facendo sentire sul vecchio Geloso e Brel fin qua e Brassens fin l che
quello senticchiava annoiato come se gli avessero tirato un pacco, sorseggiando il
copioso bianchetto, e sembrava tabacarsi tutto il fatto lavoro rimuginando fra s e s:
"Ma che genere c', qui nella vecchia Europa?". Perch poi gli americani sono fatti
cos, se le cose non le hanno fatte loro o non arte del Rinascimento non che ci
filino particolarmente. Folklore pataccaro, aglio e tovaglie a scacchi bianchi e rossi,
un fiasco di Chianti, monumenti e via che t'amavo. Al che domandammo: Ma cosa
sentite ora?, e lui disse Dylan, lo conoscete?. Certo, Dylan Thomas! tu
affermasti e lui stupito: No, no, BOB Dylan. Oh me, he's great!.
Ma poi ci fu anche Joe "Gringo" Novitsky, che amava farsi cos chiamare perch,
diceva, aveva fatto il corrispondente del "New York Times" da quelle bande l
dell'America Latina, dove cos, appunto, lo nomavano. E Gringo (che a pensarci bene
doveva poi essere un vago tipo) girava con un paio di stivali alla cow-boy estate e
inverno, solo che d'inverno ci metteva sopra anche giubboni di pelle a frange e strani
copricapi che forse sono solo parto della tua memoria - ma aveva poi la mtria, da
strani copricapi (Stetson?) - e si portava in giro una custodia nera con dentro una Gibson che ti fece singhiozzare di mordace invidia, tu possessore non si dice di una

Masetti ma era ancora la Carmelo Catania senza il prolo del Mi basso. Lo si


incontrava suonare in un locale detto "Grondaia", primo anticipo europeo, a
Cittanva, di locali studenteschi e ti schien quell'arpeggio tutto dita che cercasti
invano, allora, di imparare, pollice, pollice, medio, pollice, medio, indice e via
andare. Ma che arpeggio ? Il Travis pick, o il finger picking, chiamalo come ti
pare diceva nel suo yankizzato italiano. E questa canzone, My lana is your lana?
Di Woody Guthrie. E chi questo Guthrie? Un vecchio folksinger, un hobo, ora
ai giovani piace Dylan, ma Dylan canta come lui, ha preso tutto da lui...
E t cuccia con 'sto Dylan. Che poi finalmente arriv e ascoltasti a pacchi e canzoni
diverse furono seguendo quei ritmi e quelle parole, e quell'arpeggio. Correvano
nuove, tutto sembrava che all'improvviso si smunisse, aria frisca, sempre in giacca
ma si sentiva parlare metti di Roma e di un certo folk studio, e noi chi siamo?, cos un
amico ebbe la busonata di un appartamento libero e invece di farci un trappolo come
ragione e sentimento avrebbero comandato (era di molto cattolico) si cre una specie
di locale folk studio, e ogni gioved sera ci si incontrava l a bellamente parabolare o
a suonare, cambiava il giro di balla nei soffi delle ventate nuove che ti sventolavano
le orecchie e l ci fu anche tutto un pi eccitante genere, come l'inglese mora dagli
occhi azzurro-verdi belli che vedesti secoli appresso ormai avviata alla pi veneranda
et, dopo non so quanti matrimoni in giro per il mondo tutto, forse una delusione per
t vedere la quasi ex hippie in pelliccia di visone e atteggiamenti da old lady, gradisce
un t?, ma delusione soprattutto per lei che da quella ultima volta si fece di nebbia.
Arrivavano ondate in crescendo di roba differente, le gazzette spargevano voce che,
nella lontana Nederlndia, si era creato un movimento tutto roba strana, i provos. E
chi sono i provos? Gente che va sulle biciclette bianche, che rifiuta la civilt che ci
strangola, fingendo la ghigna bonaria in nome del progresso, traduci dollari per le
sole Multinazionali, Moloch spaventevoli assai nascoste dietro volti di funzionari in
doppiopetto blu e occhiali da sole. Sali al nord, giovine, sbito, vai a cercarli per
fraternizzare, imparare, in una commovente ingenuit che non facevasi carico delle
differenze, come quando dopo a Cittanva spuntarono i punk che poi la domenica,
invece di perdersi nelle estreme periferie a farsi di birra o altro, si sfacevano di
lasagne di qualche vola ancora sdura. Tu e l'amico andaste, in povero skimo e liso
cappotto, una chitarra portata secete perch non si sa mai, non si pu abbandonare la
legnosa, lunga cavalcata in treno di una notte e di un mattino e poi l, sbarcati ad
Amsterdam come due smo, lungo tragitto pedibus per trovare ignobile ostello poi a
cercarli, questi pro-vos, ma ubi?, ma come?, ma dove cavolo erano nella fredda e
diversa citt del nord, e alla notte su e gi per i canali di nuovo a cercarli, questi pr
vos, ma come?, ma dove?, due giovani emigranti che gi in treno si not la
differenza, la famigliola suddita del-l'allora Guglielmina che ci chiese: Andate a
lavorare?. No, siamo studenti, turisti, e solo allora ci aprirono le fauci in un bel
sorriso amicale. Poi, cana-lando e scanalando, ci imbattemmo in un gruppetto che
ciclostilava un giornaletto ed eccoli l, i provos, e un certo Robert Jasper Nonsocosa
che aveva, diceva lui, iniziato tutta la moresca un sabato notte, addobbato da clown,
ad insultare il grattacielo di un quotidiano locale che dipendeva da una compagnia del
tabacco. Che in parte rifiutavano, un po' to boy-cott la multinazionale, un po' perch

si sparavano dei canoni che ti lasciarono 'nu poco impreparato, alla bisogna. E si
rivelarono un po' diversi da noi, giovinetti in fondo buoni e bravi, e quando Jasper
(che era stato in Sicilia con Danilo Dolci) prese su dal rusco un paio di vecchie
fangose scalcagnate e felice afferm: Guarda la gente, cosa butta via, il
consumismo, queste andranno ancora bene, capimmo che c'era una gamba di
differenza, fra i due popoli. Noi poi, che eravamo andati lass s per i provos, ma mi
fai una casa, che c'era anche la spinta segreta dell'allora giovine italiota a migrare nel
profondo nord dove, si diceva, il genere era pi pronto a concedere favori che dalle
nostre parti raramente venivano elargiti. Cos mollammo i rivoluzionari nella rumenta
e ci gettammo nella affannosa sempiterna ricerca. Alla cafeteria del Rijksmuseum
(perch eravamo anche giovinetti colti) si fece un intorto di due aborigene (discorso
tipo noi che siamo venuti fin qua per conoscere gente, allargare i parametri delle
amicizie internazionali e vai intomelando) e fummo scaraventati su due bici (non
bianche) e costretti ad attraversare la popolosa metropoli con una per uno sulla canna,
col terrore di essere stesi da tram che si sparavano a duecento all'ora, a ora di pranzo,
quando ogni dabben giovine di Cittanva sedevasi ad un familiare desco atto al taffio,
e giunti alfine nella di lei magione di una delle due, costretti a sorbettarsi un t al
grido di: Mangiamo poi stasera con lo stomaco che andava urlando: "Ho fame ho
fame!" e stasera infilati in un ristorante vietnamita con tutta la relativa parur cui non
eri assolutamente aduso e non mangiasti una beata fava. Ma si deve soffrire, e la
pastura era stata gettata. Si prese una punta per il giorno appresso e ci presentammo
l impavidi (con la legnosa al fianco) mentre le due stavano redigendo un
vocabolarietto di parole oscene europee per il quale fummo prodighi di consigli. Mi
tirava una, la bionda Nike, una stanga sui due metri e venti che aveva un padre
separato musico classico, la madre pittrice e un nonno architetto molto famoso, amico
di Le Corbusier, non babbo impiegato al catasto e madre casalinga e nonno campione
di bocce. Andasti a far visita, al nonno, e fosti costretto a cantare una tua canta che
tutto lo entusiasm e l ti mostr un teatro che aveva progettato. Si presentava
all'apparenza un po' come il porticato di Santo Pietro a Roma ma il colonnato era
sostituito da due gambe muliebri e la porta d'ingresso era un'enorme gnocca foggiata
proprio come Lei e andava dicendo il vecchio (centovent'anni circa) in quella sua
fascinosa magione sul Kaisergracht o qualcosa cos piena di maravigliose puttanate,
movendo e agitando come un indice una rosa dal lungo stelo, quella porta fatta cos
perch la gente senta di ritornare all'utero materno, masse goin' back l da dove
veniamo, e voi giovani siete stupendi, io credo ai giovani, sorgono e risorgono
sempre, stanno ribellandosi nell'universo tutto, stanno arrivando, scara voltando,
dall'America all'Europa, portano forze nuove come i popoli del Terzo mondo. E tu,
che allora giovane eri (anche se non del Terzo mondo) ti desti molto da fare, attorno
alla bella Nike (non Maria o Filomena, Nike!) di seno piccolo ma di tfan' generoso,
che ti sogguardava con quei du' suoi occhioni azzurri di un azzurro da antico piatto
contadino ma dire pervinca fa pi bello. che ti aggiravi per quelle strane case
olandesi 'nu poco imbananato non decidendo mai il dafarsi per la continua presenza
materna, ritenuta ostile alla bisogna, nella camera accanto. Quand'ecco che, la
magnana seguente una notte di sole parole e d'oscula mugolati che, fioccati su di un

orecchio, la facevano quasi cadere a terra in ottocentesco deliquio (la fronte imperlata
d'un gelido sudore), la trovasti che stava sbattendoti un ovetto zabaglionante come se
volesse in cotal modo rivirilizzare tue dbili forze apparentemente cos poco inclini al
sublime atto. Ma che stai facendo? le chiedesti con un grido, ed Ella: Io pensava
che un ovetto mattutino ti tirasse un poco su e ti spingesse... e l un virginale piegare
del capo, ma forse pi per nascondere una risata che un poco probabile imbarazzo.
Trascolorasti. Ma, scusa, l'occhiuta tua madre... e a quel punto ci fu, memorabile,
una lezione di nordica ducation che ti si stamp addosso come un manifesto.
Quando mia madre vuole entrare in camera mia bussa, e se non le dico "avanti" non
entra!
Fu una specie di "Ce n'est qu'un dbut, conti-nuons le combat" del di l a poco urlato
Maggio Francese, scandito qualche mese dopo qui da noi. Ormai inserito e padrone
della citt ti aggiravi per Cittanva, l'skimo sostituito da un ricco ed imbottito
McGregor di velluto a coste color miele donato da quella donna con la quale allora
pensavi di giacerti per tutta la tua vita, e che invece, con reciproca tristitia, disparir,
per motivi dei quali ancora ti domandi ragione, come tante altre persone, nelle pieghe
del quotidiano e imperscrutabile deambulare.
XII
America, th beautiful
E la tua America, per tutta la vita sognata, th Great Dream (I have a dream!), era l
che t'attendeva, ma brisa pogne, daddovero, quel Continente che sembrava fosse
Atlantide o Mu lo si poteva anche raggiungere. Ora magari (ojurdu) ti fiondi l come
cani e porci, prendi un volo e via, che ci sei, a vedere quegli skyscrapers, quelle
piramidi d'erosione in ferrovetro, quelle ghigne intraviste solo in tempi di belluina
ferocia del mondo tutto; ma allora! Quell'orizzonte sembrava non si dovesse mai
aprire per t, quei cieli grattati o sovra immense pianure parevano irraggiungibili,
quelle praterie (dove il bufalo rumina ed il cervo e l'antilope giocano) destinate solo
ad essere viste al cine, e riga. Ne era passato del tempo, cantate di cante, letti di libri e
comics, ma solo immaginarsi, raffigurarsi, idealizzare. I giorni scivolavano in giorni
senza ornamento, sembrava.
Invece t ci andavi. Il grande passo stava per essere intrapreso, l'incredibile salto era
l per essere compiuto, il varcare quel Mare Oceano che aveva gi visto un tuo prozio
salpare dalla nordica Le Havre odorosa d'olio e di acqua salmastra e sbarcare in
quella lontana e sconosciuta Nuova York, muoversi da quel piccolo paese
d'Appennino e andarsene, con coraggio che nemmanco riesci a vagamente
immaginare, cos, vado negli USA, dalla mattina alla sera. Dalla mattina alla sera?
Ma come aveva fatto? Gi fatichi ad immaginare la prozia Teresa che, DA SOLA,
lascia l'avita dimora e si dirige impavida verso Abano Terme, non l a due passi, a fare
le cure. Abano Terme? Ma le mille miglia distante. E che cure? E vestita come? Che
negli armadi olezzanti di stracolme naftaline, quando rubizzo cinno evitavi le
sorveglianze le pi severe e andavi a scuriosare in cerca di chiss quali tesori (e un d
trovasti un intonso pacchetto di Life Savers che dall'annosit, lasciate proprio dagli

americani secoli prima, avevano perso ogni parvenza dei brillanti colori originali)
scorgevi solo abiti gi fuori moda quando intessuti. E lui? Un passaporto che sarebbe
andato bene per millanta persone. Ovvio senza foto della cartola. Naso? Regolare.
Statura? Regolare? Occhi e bulbo? Castani. E uh incerto indirizzo di New York
vergato a mano e a matita, con grafia di chi proprio scrivere non sa. Spingersi in terre
sconosciute con incoscienza bambina, alla pi incredibile ventura, e tu lo invidi un
poco, questo tuo prozio, visto gi vecchio e dimentico di quei passi, forse per lui pi
naturali di un viaggio alle sempre vicine Terme di Sabadino degli Arienti, o ad una
sagra di un paese limitrofo. Prendere un treno di terza classe fino a Cittanva (mai
vista o gi vista?) e poi? Di l? Da solo o in compagnia? E che vestito indossava, che
fanghe aveva, che ba-vullo d'emigrante egli portava? Be', le fanghe un po' lo sai, che
le portasti anche tu, per familiari necessit di moneta sonante e di chi cresceva un po'
troppo in fretta, e i tuoi non avevano la lira giusta atta a rimpiazzare quelle vecchie
che le sconsumavi in un baleno, quelle fanghe americane a punta quadra con le quali
ire alla diuturna scuola nella tema di essere pesantemente irriso dai mordaci tuoi
compagnucci e vergognarsi di brutta per l'inusitata forma che esse avevano, anche se
americane, pur quando di americano c'era poco non bello. Ma, a pensarci, erano
fanghe nuove, gi del ritorno. E l? Schiavizzato a cottimo, dentro fuori quei budelli
lui che minatore di mina lo era davvero, lui che le faceva le mine, quelle che
esplodevano, che tiravano gi enormi pareti verticali d'antracite e poi le portava su,
coi carrelli, pi fossile in superficie pi dollari, green back dollar, quelli che poi
sarebbero serviti a casa (perch tutti volevano tornare, non rimanerci una vita, l,
altro che America!) per comprare un pezzo di castagneto, tirar su una stanza nuova
per la sorella zitella, prendere una casa con un poderetto in quel momento
abbandonato, da far fruttare, con un paio di mucche nella stalla e un contadino
mezzadro per viverci e coltivarlo.
Ma tu invece? Tu l'America l'avevi conosciuta attraverso i mille film, sussunti anche
da pargolo bambino proprio in quel cinemino montanaro che ti si appalesava come
una fola di Harun al Rashid, come la grotta di Ali Bab per la dovizia delle pellicole
rappresentate, il Massacro di Fort Apaci, Ombre rosse, quando gli indiani erano
ancora cattivi, Gunga Din e Casablanca, e mille altre in tutta la tua vita mai
dimenticate, e tu l'avevi sognata e sciorinata davanti ai tuoi ingenui occhi con le mille
pagine di libri, le mille musiche che fin da cinno ti bevevi assaporandone le tutte
immani possibilit. Ma con un altro spirito, non come uno che sarebbe stato bloccato
in quarantena ad Ellis Island per finire poi nelle mine carbonifere a Sorento (Illinois)
o nella Contea di Macon (Missouri), tu con tutta un'altra bella cartola da esibire
aU'in-giro essendo tu a conoscenza della lingua inglese che a lungo in tanti modi
avevi esercitato, avendo col un'amorosa sgrzola ad attenderti e millanta amici che
t'aspettavano, desiderosi di incontrarti e secete festeggiare. Un destino parallelo, ma
senza difficolt il tuo, se non il visto dell'Ambasciata di Firenze e il certificato del
vaccino del vaiolo (si fidavan di molto, gli americani) che tanto non ti si tiene, hai
voglia, l'hai presa da tua madre questa caratteristica, perch io da bambina ebbi il
vaiolo benigno e ti ho trasmesso i cosi... gli anticorpi? Eee, forse, s quelli, ma a t
non ti si tiene, il vaiolo, sogno improvviso di fare il monatto, in un mondo di sordidi

appestati pieni di immonde pustole e bubboni o favole che andavan bene per quando
eri bambino, non ora non da adulto che stai per spiccare il folle volo.
Sccia, mica la Svizzera o l'Olanda o la Spagna, terre straniere nelle quali avevi avuto
modo di recarti, ma proprio l, gli USA, non pippe, era come tener dietro a quella
promessa speranza giovanile quando con l'amico si guardava al cine l'enorme cowboy al neon di Las Vegas (o era Reno?), cicca in bocca e posa da autostpper, e tu
dicevi, e dicevate, fra di voi ammiccanti, ma arriveremo mai a vederlo? Come di una
meta ultima, un fine supremo da raggiungere, quando ti aggiravi soltero per la Citt
della Motta, senza grano anco per un misero cine domenicale, a spiare e desiderare
dalla copertina di un disco o di un libro intravisti da una vetrina serrata. E ne sapevi
tutto. Era come il barbaro che, dopo longo cammino con femmine e pargoli e carri ed
impedimenta vari al seguito, lacero e affamato e sitibondo di freschi chiaretti vini
nostrani, giunto sul balcone delle Alpi getta lo sguardo al di l e vede tutta la fertile
piana al di sotto e si dice: "Aff mia, che io qui voleva proprio gignere!". Come i
diecimila di Senofonte, mezz'ora pria di gridare il ben noto "thlassa, thlassa!",
come vedere aprirsi il Mar Rosso e avere tutta la comoda strada davanti, verso
l'agognata Terra Promessa, manna compresa.
Comoda il giusto, la strada! C'era da prendere un aereo, cosa che ti terrorizzava al sol
pensiero, unica esperienza quel misero velivolo che ti aveva portato da Barcellona a
Ibiza la bianca con la promessa (il rischio una volta abasta e avanza!) che al ritorno
ve la sareste sgambolata in naviglio coi compagni tuoi i quali, dato un mare forza non
so cosa, ti maledissero per tutto il viaggio mentre tu, impavido nocchiero, te ne stavi
sulla tolda ad assaporare le spume che ti lambivano il bel viso audace e fiero di
cotanto sommovimento marino.
La data era fissata quando una improvvisa influenza ti colse, lo malo morbo che
null'orno perdona, e nel tuo letticiuolo di dolore andavi dicendoti: "Ecco, oggi dovevi
partire, e niuna nuova di disastro aereo occorsa. Te la saresti cavata, saresti gi l,
indenne. Invece ancora qui, a sospirare!". E cos, ogni giorno che trascorrevi,
guardavi il giornale ripetendoti: "Ecco, anche oggi se la sono cavata, i b-si, poi
magari ci sali tu e trchete!" finch, rimanda rimanda, il giorno venne, venne eccome.
Nel tuo elegante completo grigio, coperto dal morbido Mc-Gregor, affrontasti
impavido il lungo viaggio. Lungo s, che fu in treno dapprima, poi con un autobus per
l'aeroporto. Poi l'avione. Poi?
Atterraste, lunga fila alla Dogana, con un police-man che, dopo averti ritirato il
questionario debitamente compilato (NO, Signor Governo degli Iu.Es.Ei, non ho mai
fatto parte di organizzazioni sovversive, e un po' me ne duole, nemmanco son stato
spacciatore di qualsivoglia droga, non reco me seco mortadelle o frutta o cose cos), ti
poneva strane incomprensibili domande (ma che lingua parla, lui qua, inglese?) al
quale avresti voluto dire: "Sono qui per turismo, dollari ne ho, quanti bastanti, ma lei,
mi scusi, irlandese? Perch ne ho visti di film, so che quasi tutti i poliziotti sono
irlandesi. Aaaa, gli irlandesi! O forse italiano, putacaso?". Ma non era amicale
(tedesco?) e dopo un distratto OK (ma come lo disse bene, proprio da americano!) ti
fece passare.

Ma per dove, ma dove? Restasti l come un smo con le tue due valigie due (una per
mano) a guardarti attorno sgomento, quel brulicare incessante del JFK Airport.
La vedesti arrivare di corsa, ansante. Ma come, non hai preso l'Alitalia? Ero
disperata, non c'eri su nessuna lista passeggeri. Certo, mia cara, ho preso la TWA,
per abituarmi sbito, e tacesti che avevi parlato inglese a quel passeggere vicino a t
che poi, scopertolo italiano come t, ti costrinse a tacere per tutto il viaggio per non
appalesarti cos im-bananato. E ti accorgesti anche che chi era di Pistol City (Penn.)
non che fosse tanto pi sgalgio di t, a New York, ed imparasti che per raggiungere
casa sua che non era l a due passi bisognava attraversare la citt, ciuffando al volo il
tassi sgomitando con altri e salire con altro passeggere che litig in lingua misteriosa
(inglese?) con l'autista per non sai quali misteriose questioni di prezzo e fiondarsi
nottetempo (cala presto il sole, d'inverno, anche a New York) alla Pennsylvania
Station, Bus Station. Alla stazione degli autobus speravi di vederli tutti col levriero
sulla fiancata, ma forse avevi sbagliato film. Comprasti "Mad" in un'edicola
qualunque, desideroso degli american comics tutti e memoria di quando lo avevi
trovato a Tergeste, ricordo forse dell'occupazione alleata. Un tizio ti si avvicin
borbottando qualcosa. What? chiedesti, non pensando che forse please sarebbe
stato pi cortese, ma voleva dei soldi e ti vennero in mente i fifty cents per una tazza
di caff e per tagliarsi la barba. Ma sapevi tutto dell'America o era gi diversa, per
come la tua amica ti trascin via?
Aaaa, ma che cammino! Scorreva, per strade americane, dai finestrini dell'autobus,
quell'America tanto dreamed, e trucks pieni di luci a sembrare alberi di natale anche
se il Natale era passato da un pezzo, e anche l'Epifania che tutte le feste porta via, ma
ancora dappertutto si vedeva Natale, come se non se ne volessero discostare, da
quella festa pagana, e si vedeva nelle decorazioni delle case festanti di neon
multicolori (che parevano trucks) con tutta la paccottiglia tipo renne e Sante Claus e
agrifogli e Tannenbaum e vai e vai all'oscuro dell'autobus, non sapevi se emozionato
o un poco impaurito, e le varie fermate di gente che scendeva e saliva ma americani
tutti e di tutti i colori e dopo un paio d'ore la fermata giusta.
Lasciati soli (rasi fatto tardino) a mangiare il pollo fritto, segno di buona accoglienza
del Sud (e la di lei madre rasi una Southern Bell), ti colp l'odore DIVERSO delle
case americane. Ogni casa ha un suo odore, ma l c' un odore particolare, fatto forse
di cibi diversi e di riscaldamenti diversi e sudori diversi e di gente diversa.
E poi? Il risveglio gelido del giorno dopo, nella stanzetta sottotetto tocctati in sorte,
la di lei madre che ti obblig a riempirti di pillole vitaminiche e succhi di varie frutta,
il pranzo del giorno dopo leggero leggero (noi si mangia alla sera!), una sbroda-gliata
in scatola di zuppa di vongole che giustamente schifasti. Noia forse in quella casa,
uguale alle altre d'intorno, little boxes on th hillside,36 per le quali i giovani sposini
avevano chiesto un mutuo, poi per i primi figli, e poi un altro ancora per mandare i
diletti figli alla high school, e poi ancora all'universit, in famiglie con cinque figli
credute all'italiana (ma di cent'anni fa, che adesso gli italiani col brevo cinque figli), e
mutui per tutta la vita, che se ti mancasse un giorno il lavoro adio, che t'amavo,
piccino. Quella casa, e quella tua gelida soffitta, like il poeta della Traviata, senza
bandiera come le altre all'intorno, perch loro erano poi liberai e avevano fieramente

un figlio che aveva bruciato la cartolina precetto. Quella casa di legno da cui si
scorgeva sullo sfondo della collina un fiume con un ponte di ferro, confine fra il New
Jersey e la Pennsylvania, unica differenza che l si poteva comprare birra a
diciannove anni e l a ventuno, magione da cui si usciva ogni tanto in auto per i geli
infiniti della Pennsylvania, il grande fiume sotto l'immane cupezza di un cielo sempre
grigio, sempre da neve (che poi, copiosa, arriv), la visita ai piccoli drug-store nei
quali, incredibilmente, NON C'ERANO fumetti, il provare bevande strane di colori
non esistenti in natura per poi gettarle, schifato, al primo sorso, una visita alla citt
vecchia, tristezza indicibile della decaduta stazione sulla Rail Road abbandonata da
anni, perch il treno non lo prendeva pi ni-sciuno. (Questo un quartiere dove
meglio non venire di notte. Ma come, qui, in questo buco di culo di citt?! A
Cittanva non c' un quartiere cos! E allora, in vero, non c'era), qualche progetto di
vita futura ma quasi senza crederci, perch l'America ti aveva gi preso alla gola di
violenta insofferenza, e lo intuivi, anche se nol sapevi.
Poi alle cinque tornavi a casa, con tutta la famiglia schierata, a sorbettarsi l'aperitivo e
a discutere, leggendo i due fogli locali, dei fatti del giorno (fammi ben 'na casa!),
discussioni di famiglia intraviste in tanti serial tiv (tolte le battute e le risate
registrate), sempre uguali, monotone, scontate. Lui a biascicare di universit, lei a
parlare dei suoi comitati farlocchi, e quello delle madri (americane) e dei fiori e di
pittura e t scc'mel. La figliolanza attorno a corte, meno il primo maschio, che gi
viveva un po' lontano, in dignitosa povert, e t scc'mel ancora, che ricordava quella
dei provos olandesi. Poi, ore sei e trenta, la cena, poi le visite ai vicini, good
neighbourhood, tu fuori zona, alieno in un mondo di alieni, a sfumacchiare (ma allora
ancora fumavano tutti), a bere whisky, la prima televisione a colori dai vicini
benestanti, poi a nanna, per qualche notte rubata d'amore furtivo, al gelo dell'ultimo
piano.
O certo, ci furono New York (col ristorante italiano e il cmaro portoricano che volea
a tutti i costi farti ingurgitare un Lambrusco carco d'anni e d'esperienza) e
Washington D.C. (in tuo onore un pasto italiano: spaghedi, meatballs e salad, nello
stesso piatto) e i viaggi in lungo e in largo e la nonna dell'amico vecchietta ebrea che
ancora odorava d'Europa e di pogrom e l'immondo suo vino di mirtillo.
O, ci furono anche Arlington, e il monumento di Lincoln, e Gettysburgh, la grande
piana del massacro. Proprio l, leggendo le perdite e da una parte e dall'altra, ma
soprattutto il costo in dollari dell'operazione bellica (su targa in bronzo) cominciasti a
capire qualcosa. Niente i Nordisti capitati su quei massi erratici per caso, niente i
Virginiani del Generale Lee mandati per due chilometri avanti, baionetta innestata, al
macello, a farsi schioppettare dalle pance azzurre astutamente appostate. Niente quel
cielo grigio e le fattorie coi contadini che facevano da comparse per turisti. Niente.
Eri dell'altra faccia della luna, eri uno che non c'entrava. Eri l'Europa.
Unica soddisfazione, da secoli desiderata, firmare Signor e Signora Smith sul registro
di un motel nel quale ti eri momentaneamente parcheggiato.
Stanco e fuori luogo, decidesti di tornare, di rompere i ponti con quell'America. Non
ricordi nemmeno come fu l'addio con colei per la quale fino a l eri andato. In aereo,
curiosamente semivuoto, soffocasti un po' di malinconia amorosa con tre whiskey, al

prezzo di un dollaro l'uno. Dormisti duro, nell'aereo deserto. Ti svegliarono le Alpi, di


bianco candore sotto un sole mattutino. Di ricordo avevi nelle valigie qualche disco,
un machete U.S. Army, un berrettuccio di lana da marinaio, uno Stetson e una stecca
di Mrlboro. Forse qualcosa in pi di tuo prozio.
XIII
Gli andati
Invecchiare perseverare ostinati nella vita, andare avanti ad occhi chiusi verso non
sai qual giorno, quale ultima scadenza. Rimanere nel vivere vuol dire che ti sei
lasciato indietro un'amucchia di gente nel tuo continuo procedere di giorno dopo
giorno (to say nothing about seconds), anno dopo anno; come una gara ciclistica a
cronometro, le partenze diseguali e lo snodarsi lungo la strada e qualcuno che non
che rimanga indietro in classifica, ma plof, cade, sparisce, se ne va.
Gi, gli andati. Primo il tuo omonimo, sparito in contemporanea al tuo arrivo in
questo vasto mondo, quindi non filato, non sbattuto contro, se non in qualche foto,
ampio torace e cappello sghembo per le teste, quasi personaggio di un western locale.
Invece per prima, nel ricordo, la vecchina del mulino che era stata sposa opima, e
bionda occhi chiari, ma t tu giovane proprio non la ricordi (e fatichi anche da
vecchia, a ricordarla) tanto lontana nel tempo quella partenza. Hai giornate di sole
(primavera? estate?) un tonfo di caffellatte e un accorrere affannoso. Poi dopo niente,
il buio, tuo e suo.
E poi? Primo Nonno Pietro, occhi da cinese, che diceva i miei nipoti non sono belli,
sono uno pi bello dell'altro, che un canchero allo stomaco si port via, un ritorno
improvviso insperato alla casa avita durante un oscuro periodo di scuola e di latino
sempre mal ingobiato, che quasi ti fece piacere, anche l'andare a piedi da Porretta per
quei cinque chilometri fino alla grande casa sul fiume, un lucido giorno d'inverno
freddo ma di sole quasi tiepido, e una lacrima sull'occhio di tuo padre ma non dovuta
al dolore, perch spesso l'aveva, quella lacrima, e la domanda: Babbo, perch ti
lacrima sempre l'occhio?, e il non ricordo della spiegazione. E seguirono Zia Teresa,
claudicante anziana in un gennaio del '60, tu perso dietro amori giovanili e testa
chiss dove, e Zio Enrico minatore e mugnaio dalla testa rasata e dal grande torso,
uomo che si portava dietro il fascino della mina e dell'America, e Nonna Amabilia,
delle erbe e dei funghi e di grande cultura contadina, caduta dalle scale, e Zia
Caterina, l'intellettuale di famiglia perch aveva fatto la cameriera in una ricca casa di
Genova, finita ombra della sua energia e forza per consunzione. I vecchi spariti tutti.
Poi arriva il turno di tua zia Maria Giuseppina, un cancro nel sangue, e poi tuo babbo,
che vegliasti fino alle quattro del mattino, con solo il suo cuore che pompava ancora,
il resto morto, tutta la sua energia e la sua storia e la sua grande intelligenza e i suoi
libri e la sua passione per la Storia, e la guerra d'Africa e l'Ultima Guerra e la sua
prigionia in un lager tedesco e il suo rifiuto di aderire alla Repubblica di Sal e il suo
ritorno e tutto e tutto e tutto, ridotto al solo cuore che pompava, tu-tum, tu-tum, e
basta, tutto spento, con t che lo incitavi a morire, dai, dai, che non ne puoi pi, hai
diritto di riposarti, dai, dai, e poi un sussulto e i medici che constatano il decesso e il

tuo uscire alle cinque della mattina in quel freddo di novembre senza sapere cosa
fare, dove andare.
Senza contare quelli dall'altra parte, non con l'ombra dei castagni che li ripara dal
caldo dell'estate e il gelo dell'inverno che li stricca, li rafforza, ma persi come sono
nella grande pianura a orizzonte vasto, non pi circondati dagli olmi che reggono le
uve labrusche che daranno lo spumeggiare del vino di viola ma da casermoni e strade
e macchine su macchine, povera gente, lo Zio Walter l'unico di Motta e i carpigiani
Nonno Bonaventura e Nonna Ida di Piacenza che tuo nonno rap e tutti i fratelli e
sorelle zii della grande famiglia della piana. Almeno su hanno spazio e verde da
guardare, e silenzio e pace d'attorno. Qui dove la campana suona ogni tanto e sai che
qualcuno se ne andato, e si va l perch non c' chi non conosci, non c' anonimo,
come tutti i vecchi d'allora d'altra parte, della tua infanzia e della tua adolescenza, che
incontri ancora nelle foto del piccolo quadrato di Vignale,37 Gigi il re del cinema con
macchine cos antiche da sembrare un praxinoscopio, e il Moro campanaro che fu
portato gi a braccia dal campanile, morto sul campo, e Gino il contadino, ultimo dei
cinque fratelli, sei col padre, che in un giorno vangavano tutto il campone da Pavana
al Mulino, e uno a uno tutti quelli del Mulino di sotto, e tutti, e tutti, quelli che
conobbero le mine americane e francesi e belghe e svizzere, e il lavoro del sasso e del
bosco, e la pesca e l'arte della caccia, che allora era un'arte.
il rosario che si sgrana, ma naturale, il ciclo che si compie, l'et che raggiunta, la
gara a cronometro che si conclude, prima di t sono partiti, e prima arrivati. Ma allora
gli amici, coetanei o quasi, perch? E anche Giordano Natta se ne andato, un
balordone che l'ha fatto cadere da un tetto, lui cos arguto di arguzia luciferina fino a
fargli comprare un gelato da duecento su un cono da cinquanta e andarlo a mangiare
in ghigna al vecchio padrone per farlo incagnare per le dissipatezze del figlio che
aveva venduto quell'enorme gelato, lui che compr due chili di pomodori e li leg
con la bava alle sue piante per far vedere a quell'altro che i suoi maturavano prima, e
Nino Ccchia, che vedesti l'ultima volta seduto al solito bar, gi giallo e smagrito per
quel suo cancro al fegato, un dimagrimento ulteriore di uno che grasso non era mai
stato. Frasi di circostanza, tipo: Come va?. Male, Checco, male! Eee, per un po',
ma poi vedrai starai meglio, tutto passa, passer anche questa, e lui che taceva e
guardava i boschi attorno fino alla cima del monte pi alto di fronte. Disse: Guarda
questi boschi. Tu sai che li ho vallati tutti, tutti dentro e fuori, estate e inverno, da
quando ero alto cos!. Intendeva vallare come setacciare, dal vallo o grosso setaccio
dei muratori. Ero peggio d'un cane da caccia, dentro e fuori da quei boschi, ragazzi,
a funghi, a caccia, mi conosci. Ci fatto dentro tanti di quei chilometri che metterli
assieme... E adesso duro fatica a venire da casa mia a qui! Non ci pi lena!, e tu
guardasti quei boschi, che ancora sapevi percorrere, ed avesti il pudore di non
aggiungere niente.
E Arrigo? Gran prenditore per il culo, grande cuore di montanaro e debole cuore di
uomo. E Argo? Gran bevitore di birra, tienmi un posto lass, sessanta barattoli se ne
fece una notte, uomo dalle mille conoscenze (rubate ai primati della Birra Guinness),
che ancora sembra di sentire urlare le sue teorie e ti prende il magone. E Giabbo
Boficione, e il dolce amaro Fabrizio, e l'amaro dolce Giorgio, e Augustino, dalla gola

feconda, e Pier Angelo, sempre a muso duro, e tutti gli altri, gli anonimi, che pure
hanno un posto grande nella storia minima di noi minimi.
Non bisogna aggiungere niente; gi sono andati Ludo dalle mille osterie e Baffo-diFerro che a quarant'anni aveva scoperto la signora bianca, e il gigante biondo che
aveva cominciato a cantare assieme a t, due ragazzi che sognavano il cow-boy di
Las Vegas e il disegnatore folle dal cuore d'oro stirato da uno pi bresco di lui mentre
andava per vendere disegni per aiutare un altro che lo segu poco dopo, e tanti e tanti
e troppi. Mantenersi vivo davvero lasciarsi tutti questi dietro di s, sentirsi pi soli,
vorresti averli tutti ancora attorno, non come pi a vent'anni, quando tutti sono
ancora vivi, e ti senti immortale, e la tua storia infinita. adesso che devi fare i
conti, adesso che tiri le reti, adesso che ti guardi intorno e dici: Ve', quanti ne
mancano!.
Finch un giorno qualcuno dir: A 'n sr mia vera?!. E lo diranno di t. Lo diranno
per t.
XIV
Incipit Vita Nova
Certo, gli anni '80 e '90, spavirati via in un amen, lasciati dietro che nemmeno li
ricordi, se non in serate di brusche dure a burbone e carte su carte e tutte le persone
donne e amici anche per una sera. Ma ora la Vecchia Signora s' proprio imbolsita,
non pi quella che percorrevi e ripercorrevi spinto da vitalit bipenne. La Grassa
Signora adesso mostra le costole di una dieta dimagrante che per sempre tristemente
dimagrante , sppa a Punti, o Pritkin, o Scarsdale, o Mayo o qualsivoglia delle
terrifiche invenzioni che fanno oggi felici (ma immagonite inside) ex spuse da ben
altri fianchi un tempo arrotondate, da ben altri bfici curvilinei leggiadramente
appesantite, atti a bilanciare il pondo enorme di fiere poppe inalberate in avanti e da
ben altri cibi sollazzate e rese godevoli. Letti di tagliatel-le ricolme di sughi per ore
lasciati a lentamente sobbollire in trionfo di grassi ciccia e pomidori. Ombelichi di
tortellini ricavati da pasta all'uovo ricolma di tuorli e dipoi chiusi sapientemente
attorno al mignolo di vergini di non pi di dodici anni e cotti in brodo di cappone dai
grandi occhi dorati. Lasagne a pi strati di sfoglie di spinccio e rag e besciamelle.
Non pi. Andato, finito, kaputt. Oggi le scorgi, le spuse d'antan, sgodvoli, magre
come salacche, transitare bronzate pur nell'iniqua stagione che vede Orione declinare,
dopo viaggi metti alle Lampdos o siano pi veritieri su nostrali Alpi a scivolare su
ben lubrificate assicelle o verso esotici mari, esploranti neanche si fossero un
Magellano o un Pigafetta. E le senti scendere da colossali fuoristrada (un tempo
orgoglio e vanto solo del Regio Esercito) muniti, essi fuoristrada, di cromati e
giganteschi parabufali (come noto, la citt ne pullula, di bufali) o da sbrilluccicanti
city-car, strascinandosi dietro di prepo biondi cinni ambosessi, bronzati pur anco loro,
che imparino sbito, per recarli, anche se neghittosi, o a nuoto, o a danza, o a piano, o
a basket, o al gioco del pallone, o a kungfu o alle nobili arti del Trivio e del
Quadrivio, o a un caz ch'a t'amaza. E intasano, i fuoristrada, la viabilit tutta, ma non
solo loro; soffocano le auto moltiplicate per dieci e cento e mille, e gli sciami

vespiferi di motorini e motorone che in ogni dove effondono slandre malefiche, e non
pi verde nero ma candidi Thurn und Taxis38 e grassi autobus non pi del bel verde
dei flibus ma di un vago giallino recanti scritte sponsorate e non pi il dignitoso
clicsonante tramway in partenza da varie piazze dove la scarsa viabilit tutta poteva
aver luogo. E tutti insieme ne strainondano le strade, e i vicoli, e gli stretti budelli
che, nati in epoca di medievali genti, mal sopportano una tal parata. E il fumo degli
scappamenti esce e si addensa, non sale al cielo ma striscia per ogni dove come un
Ziklon B venefico e onnipresente, e una candida trina o un liliale merletto, esposti ad
una qualsivoglia tresenda pur per breve tempo, verrebbero ben presto anneriti e resi
sozzi e volgari.
O s, c' ancora la rutilante esposizione nelle vetrine stracolme di cibo ed i mille odori
dei pizzicagnoli negli stretti e contorti angiporti del mercato vecchio, e ne puoi
ammirare i colori ed annusare i sapori, di pesciami vari, grondanti acqua e ghiaccio, e
di verdure sciorinate, e degli insaccati tutti, come un tempo, ma vicino trovi frutta le
pi esotiche anche in pieno inverno, zirese del Chile lontano in pieno Natale, e
frvole di bosco al Capo dell'Anno e prsiche e mugnaghe quando la neve tutto
imbiancherebbe ma imbianca 'sta beata fava, essendo resa catramosa dagli scarichi
che a millanta sopra le si riversano; e vedi e tartffole e aranciati voli e preziose
primizie dalle pi lontane terre qui giunti, ad allietare mense di sboroni borazzi che,
non pi paghi di una melarancia o di un tangerino, ritenuti vili e non degni di nota
(mentre tu ne godevi lo sfrenato esotismo in ahim lontane epifanie, tre in una calza
assieme ad alcune noci e vai il mio cinno), effondono grana a balocchi per epatare
gente lor pari. E certo non il vassallo o il valvassore di un nobile signore affrontano
queste spese o il grasso porporato sospeso fra un ave un gloria ed una tenuta papalina,
ma il peluchero curatore del raffinato bulbo, e il saiano beccare spar-gitore di volgari
fettine, e il fontaniere smunitore di impalugati lavandini o sostitutore di coramelle
con le pi fini pergamene o impiantatore di rubinetti in massiccio oro zecchino, e
l'oste, trasformatesi in sommeli dentro osterie diventate butik delle beve pi
raffinose, non ti porge pi onesti e rudi Albane-trebbiano e rosso Sangiovese, ma
officia dove un vino non sa pi di vino ma ha sentori d'anice, e di foglie di bosco (del
tardo autunno) e venature di sumiclzia e di cardamomo, di terra di siena e di bl
ultramarino, che ti vien voglia di gettarlo per le terre e non sorbettartelo. Poi, quasi a
prenderti per il, ti conclude in ghigna: Ma dammi un cinquantino! appoggiando
l'idea che quel basso prezzo in euro per un panino e un bicchiere siano segni di longa
amicizia. E vicino, in sfavillanti vidriere, trovi gli abiti pi trendosi intessuti a mano
da sartori di cui sono piene le cronache e fangose con lo scricco o senza e
paludamenti dei pi costosi lini e sete e tutto. Scomparsi i gloriosi cinema del centro,
dove si entrava a met del primo tempo, cavalcando montagne di brustulli
mangicchiati, per dire poi: Siamo arrivati qui, come scomparsi i cinema dei fughini,
ripieni al mattino di studentelli disertori che fecero volar gi dalla galleria alla platea
il Gnagno dei medesimi brustulli venditore.
Disparute del pari le osteriole dove cantare fino all'alba a un mille scarso la boccia
con la cartatina di grassuoli e mortadella, e poi un salto alla stazione per il giornale, il
caff, il saluto dei mai domi biascianotte, quello che ballava il tip tap, che solo una

gran sfiga e impresari sdozzi gli impedirono di diventare l'italico Fred, e quello che
provava a batterti cinque sacchi ogni notte senza colpo ferire, con vstirio di gran
classe e rana atavica, iniziando il dialogo da lontano per poi stoccare nella battuta
finale, e i debscia dalle misteriose attivit forse furfantesche e puffarole,
frequentatori di bar e di sale biliardo, e gli sghembi cmari dalle piatte estremit,
complici e sornioni, gente che aveva visto la vita, l'aveva masticata in tutte le sue pi
riposte nequizie, senza speranza e prospettiva, pronti a mollare il servizio per sgurarsi il tutto guadagnato in una notte di poker, o nella incollatura di un muso equino, o
con improfumaticchiate baldre da nait, giacca bianco sporco come il colore del
tovagliolo pendulo sul braccio destro, fagioli tonno e cipolla e birra a go-go da
Lamma, dove a volte era possibile fare la bella, dandosi a fortunose e improvvise
disapparizioni, e le lasagne al Continental o alla stazione, tutta la notte uverti per
ospitare gli sciami sempre festanti di una citt mai vinta, mai sazia, mai arresa, nemmanco la notte.
Ma ora ti sei arresa. Tu, splendente Cittanva d'allora, che pur avevi portato via di
alcol i pi fragili, perch creduli imitatori nostrani dei maudits alla ricerca perenne di
assenzio, e fosse stato assenzio, o copia conforme dei private eye di un'America che
gi si affievoliva, paglia in bocca e uischi a vagoni, ma litro su litro ricercando nel
ciclo buio della poesia quelle decadenti note che sentivano in ogni loro fibra, che la
saga della profonda provincia imponeva (e ditemi, in Italia, dove non provincia) ma
che la citt pragmatica godereccia forse negava, fulminata dalla sua maschera di falsa
bonomia e con un dialetto smozzicato d'italiano che ancora a tratti si udiva. E loro,
boccia dopo boccia, a scavarsi la strada ultima, uno scomparso dopo un Natale dei
pochi tanti che aveva vissuto, l'altro, complice di ribalderie giovenili, amante di vini e
sgnaperie varie, falciato di nebbia su una strada invernale, l'altro sdicente letterato
cui la famiglia neg anche l'ultimo saluto, e non solo loro, e tutti quegli altri. Ma
questo, forse, ancora nella norma, nella stragrande tradizione di chi imbratta carte o
vergando parole o riempiendole di magici segni. Ma tu, maravigliosa Cittanva,
proprio l cominciasti l'agonia, quando arriv quella tremenda cosa nuova
d'oltreoceano dalle orientali origini, e vai pur a dire che il papavero anche un fiore,
e forse solo un fiore, ma vallo a dire a quelli che anco oggi ti impestano in sordidi e
bui angiporti o sotto i luccicanti portici, alla ricerca della cartina magica, pronti a
tutto, compratori e spingitori, per una manciata di spiccioli.
E dire che eri stata ben pronuba e ben faconda di vita vissuta, Cittanva, Vecchia
Bsa, percorsa le mille mai stancanti volte per le tue strette calli e i tuoi pi reposti
carrugi, fino alla dolcezza primaverile dei tuoi colli, che tu stesso formicolavi in cerca
di piaggette remote e di panorami notturni, quando, finite le ribolle di osterie, si
prendeva un ferro e arrivavi ad una strada che spaziava l'orizzonte tutto, ne indicavi
con ampia mano il brillo sottostante e dicevi: Eccola, qua per noi, magari a
sgalge americanine sitibonde di esotiche esperienze anche se ne venivano da Nuova
York o da Philadelfia. E forse portavi le sbarbe in un angolo che solo tu conoscevi,
con un canale che scorreva nascosto sotto ad un muro invaso da edere e rampicanti e
semplicemente sussurravi: Look!, ed esse giovini yankee guatavano e

maravigliavano assai di quel semplice ma misterioso spettacolo. Cittanva era anche


quello.
O, certo, si dileguata la giovent, ma con essa tanti si sono dileguati pur anco loro,
tutti gli attori di un tempo non recitano pi, le carte giacciono abbandonate ed
intristite, si sono estinti i busso e i volo, e ti sembra che mala gente imbastardita ti
circondi e vuoi fuggire da un luogo che pi non conosci, non senti come tuo, e risali
quei fiumi che con orgogliosa sicurezza avevi disceso.
Ora, mentre pensi a tutto questo, guardi dalla finestra la televisione che di fuori ti si
mostra e ti accorgi che lungo la notte di ieri la neva, larga e pesante, ha tutto
ricoperto; come un tempo, come una volta, dita di rami tesi in alto tutti bianchi contro
il nero della notte. O, forse, allora pi buia di ora, e probabilmente quelle sagome
innevate non si scorgevano anche, dalle finestre zigrinate di gelo, si indovinavano, e
indovinavi la neva che cadeva sul bottaccio e si scioglieva a contatto della fredda
acqua, e cadeva sul fiume, e sulla mulattiera antica che portava in paese e quella pi
recente che ti dirigeva a valle, verso la civilt, e che immaginavi, appena i fiocchi si
fossero placati, passibile di faticose rotte a far passare gli umani. Ma oggi, tornato
giorno, mirabile a vedersi, splende il sole e con lui tutto un lugore e i campi sono
bianchi e d'oro e gli alberi sotto l'enorme peso sono e verdi e bianchi e d'oro e il
profilo dei monti chiari e scuri ben luminoso contro il cielo. Guardi pi sotto e
cerchi la casa avita, anche lei di neva ricoperta, senza un filo di fumo il camino per,
isolata, sola, fredda, lontano dal mondo e dalle sue pompe; immagini il fiume
verdastro ghiaccio di acqua invernina e corre il pensiero a quando tu v'abitavi con
tutti gli altri ormai belle che iti, giovine cinno in braga corta a mezza coscia anche
d'inverno, con le vacche che disegnavano le gambe di ricami violacei e gli ucelini ai
diti per la fredda neve troppo mosticciata. E la figuri, quella casa, piena della tua
gente scomparsa, affaccendata nelle mille cose quotidiane, e chi corre al gallinaio per
cibare i polli, e chi allo staletto del maiale, e chi a dare roba d'erba ai conglioli, e chi
a mollar l'acqua per far andare una macina. Ti sembra di sentire ancora i rintocchi di
quelle voci, parlanti il dialetto che ben comprendevi e comprenderesti, se lo parlasse
ancora qualcheduno. Ma tendi l'orecchio e non senti rumore veruno, non il pigolare,
non il grugnire, non il martellare ritmico della bttola sopra la macina. Non voci
umane, o di animali.
tutto biancore e silenzio, non trombe di auto, non urla sguaiate di televisori,
nemmanco il baiare di un cane, solo il quieto volo di una coppia d'uccelli dalle grandi
ali scure e dalle zampe tese al-l'indietro che solca il cielo, aironi, mai visti qui prima,
anche loro rifugiati, sfuggendo a chiss quale sorte da paesi remoti.
Ma non sempre solo cos bianco, e nero, e d'oro e rosa. Ora vedi stradelli
dimenticati, di solito soffocati dalle sterpaglie, disegnarsi di fianco ai monti, e case e
casette, anche se alcune abbandonate e dirute, spuntare ed ergersi fra i rami
rinsecchiti degli alberi, ma senti gi i butti delle piante che spingono per uscire, e
sotterra le radici che fremono, ansiose di gettare, e vedrai dapprima la triloba e
l'ellboro, poi i cucamelli e le viole, poi tutto il fiorire dapprima dei rusticani che
imbiancano i monti poi dei ciliegi selvatici infine di tutte le piante domestiche attorno
alle case, il candido dei ciliegi innestati e dei prugni e il roseo dei meli e dei peri, e il

rosa acceso dei rari prsici e mugnaghi, fino alla pienezza di prima estate dei frutti,
quando tutto verde o rosso o arancio fra il fogliame, e cogli nell'orto la delicata
grana del pisello, la tenerezza verde o rossa delle insalate, l'odoroso tomatto, le
cipolle e la zucchina dalle larghe foglie. E negli annoiosi pomeriggi senti solo il
lampo clacsonante di un cmmio sulla statale, o il quieto ronfare lontano di un
tagliaerbe e di una motosega. Ma l'estate a poco a poco declina, dopo il solstizio del
ventuno le giornate si fanno sempre pi corte e verso settembre il sole colpisce il
monte di traverso e quando cos di sbieco aspetti i violenti gialli e rossi e marron
delfoliage che ti danno una gioia cromatica e ti fanno presumere la neve e il gelo
dell'inverno.
Tutto regolare, natura, stagioni, ciclo che va, ritorna e rianda, come una ruota che ha
cominciato a girare tanto tempo fa e che ormai ha fatto tutto il giro, a trecentosessanta
gradi, ed finalmente tornata al punto di partenza. Stai e vivi in quest'attimo. Incipit
Vita Nova. Ora c' in cielo una nuvola color di rosa dentro la quale ti perdi e qui il tuo
cuore s'arposa, come nel rimasuglio di un sogno forse rimasto impigliato, da sempre,
da qualche parte della tua mente.
Glossario
Laddove le indicazioni "dial." e "gerg." non siano ulteriormente specificate si intende
parlare del dialetto e del gergo di Bologna.
a balcchi (dial. a balus): in abbondanza; i balocchi sono grumi di una qualsiasi
sostanza. a busso (gerg.): a folle velocit, roba da toglierti quindici punti nella
patente! addarsi (dial. adrs): accrgersi, ma questo italiano, da lacopone a
Bacchelli passando per tanti illustri letterati. adio fichi (gerg.): il fico qui inteso
come ricettacolo dei pi sublimi godili possibili. Quando si saluta il fico, be', tutto
perduto. a la granda, Armanda (gerg.): equivale alla pi comune espressione "alla
grande". L'Armanda della situazione credo stia l per mera ragione di rima. amari
(gerg.): l'aggettivo a. unito al sostantivo cazzi (che pu essere omesso) sta ad indicare
che si devono affrontare situazioni le pi ostiche assai. andavano (dial. andavn):
antico termine bolognese per corridoio. apiombati: pesanti come piombo. arla (dial.):
1) sfortuna o malessere generale; 2) malocchio; 3) noia. DEI: "ubbia, superstizione,
voce lucchese e toscana settentrionale, dal latino religare raccogliere, legare di
nuovo". Ma Menarmi in "Msola" n 9: "lat. hariolus, indovino [...] da cui (h)ariolia,
arte magica". bachtti (gerg., dial. bacati}: essendo i b. fuscelli, rametti secchi, andare
a b. equivale ad andare a fare cose di niuna importanza. Andare al diavolo. baionetta!
(gerg. militare): come dire: "Alla salute!" o "Facciamo un brindisi", ma i bscheri
militari dovevano pur anco militarizzare il tutto. baladr (dial.): luogo dato alle
danze, balera. balla 1 (gerg., dial. baia): voce panpadana per "ubriacatura", col
relativo verbo imbaiare, imbaiarsi. B. da undici e tre: di solito riferito a fame,
perch i muratori bolognesi smettevano di lavorare alle undici e tre quarti, ora in cui
erano colti da grande appetito, ma per estensione ha anche il significato di enorme,
senza limiti. baltta/balla 2 (gerg., dial. balata, baia): voce di molti significati. Qui
(pp. 24, 101, 102, 137, 145) sta per compagnia, per lo pi maschile. esistita,

nell'800, una banda di malfattori chiamata "la balla dalle scarpe di ferro", della quale
si narra nell'omonimo romanzo di Lo-riano Macchiavelli. bando (spagnolo):
quartiere. bttere (gerg.): scroccare. B. cinque sacchi: scroccare cinquemila lire.
bttola (dial. pavanese): corto pezzo di legno du-rissimo che, rimbalzando sulla
macina in movimento, fa scendere il grano dalla tramoggia. bavullo (dial. bavll):
baule, ma qui sinonimo di posteriore femminile. bechsia (gerg.): chi ha un colpo di
b. leggermen-te rincoglionito. becir (dial.): voce genovese per core. bgato: nel
gioco del tarocchino bolognese il Ba-gatto. Noi lo si chiama b. per avere finalmente
una parola che rima con fegato. biascianotte (gerg., dial. biasiant): letteralmente
mastica notte, espressione di molto poetica riguardante i nottambuli di una gloriosa
Bologna che fu. bil cicl (dial.): questo furiano, da una canzone popolare che
parla, appunto, di un "bel castello" che sorgerebbe (e sorge) in quel di Udine. bigatini
(dial. bigatn): larve della mosca carnaria (Sarcophaga carnaria) usate come esca dai
pescatori. Qui, genericamente, fare i b. sta per "fare i bachi", far nulla. bignza
(gerg.): calzoni, voce furbesca fino a Roma. Muove probabilmente da bigoncio, "vaso
di legno composto di doghe, senza coperchio... [adatto] ai vari usi della vendemmia"
(Pianigiani). bissabga (gerg., dial. bessabva): audace mescolanza di biscia con
toboga, sta ad indicare le movenze serpentinesche di certi bfici. blghelo (dial.
blguel): ombelico. boazza (dial. buazo): "Stereo della bestia vaccina"
(Ungarelli). Praticamente, merda. Mingardi aggiunge: "Escremento vaccino di
dimensione non trascurabile". Ma, in vero, piccolo piccolo non l'ho mai visto. Si veda
anche imboazzare, p. 69. bochegiato (gerg.): preso all'amo, che ha abboccato. bfice:
culo. "Da soffice con forse sovrapposizione onomatopeica di boff" (Zingarelli). bna
(dial., gerg.): buona l (b. le), basta, finito, tutto terminato. borazzo (gerg.):
personaggio estremamente negativo, curiosa mescolanza di cafone e sborone,
demodato e out nel vestire ma convinto sempre di essere in estrema figura. Ferrer fa
derivare la voce da borra, lanugine, "ammasso di pelo di alcune bestie, che raschiato
dalle loro pelli scorticate, serve a riempire i basti e simili". Che schifo! botta di pacca
(gerg.): genericamente botta, percossa, ma qui (p. 10) da intendersi
"all'improvviso". La voce pacca per ha molti significati: Mingardi sottolinea come
in un incidente l'auto pu aver "preso una pacca", l'amico a cui si racconta il penoso
accadimento pu commentare: "Peccato, era nuova di pacca" e consolare lo
sfortunato con una "pacca" sulle spalle. Ma anche nella vita, a volte, ti pu arrivare
"una bella pacca". La voce probabilmente di origine onomatopeica. bottccio:
questa voce italiana, anche se scarsamente conosciuta. , il b.,"bacino di raccolta
delle acque che alimentano il mulino" (Zingarelli). bragne (dial.): persona che si
intromette negli affari altrui. Forse da bragona, donna che porta i pantaloni, ma non ci
giurerei. brsco (gerg.): ubriaco. Anche brusco, p. 104; sostantivato, nel senso di
ubriacatura, a p. 175, e nella forma bruschero a p. 100. brvo (gerg.): significherebbe
sedere femminile, o sedere in genere, ma misteriosamente essere al b. significa
"trovarsi in stato di assoluta indigenza". L'espressione b. a secco (p. 71) allude invece
alla sodomizzazione senza opportuno lubrificante, tipo burro in Ultimo tango a
Parigi. brisa (dial. brida): brciola. Particella negativa che significa non, niente, nulla.
bronzare (gerg.): curiosit del gergo! Nella Citt della Motta la bronza la faccia, a

Cittanva invece , dice Mingardi: "Un peto rumoroso che crea mches color bronzo
nelle capigliature". Da non dimenticare che bronzato significa per anche abbronzato,
di solito al sole delle Lampdos. brustulli (it. bolognese): i semi di zucca tostati e
salati, gloria epicurea nei cine fino agli anni '60 (p. 178). Ma a p. 100 sta per
sciocchezze. buciare (dial. bucr): bocciare; come saggiamente avverte l'Ungarelli:
"II battere con forza che fa il giuocatore la boccia dell'avversario con la sua per
allontanarla". Quindi anche prendere contro qualcosa con forza ("ha bucciato la
macchina!") o gettar via da se stessi con particolare virulenza. Cfr. bocciar via p. 26,
bocciato contro p. 33, imbuciato p. 99. bulbo (gerg.): capelli, capigliatura. buio (gerg.
arcaico): corrisponde all'ital. bullo che, dice il GDLI, voce di etimo incerto, forse
gergale, "documentata come soprannome nel Veneto durante il basso Medioevo". Il
nostro b. era l'abitante del quartiere di Borgo San Pietro, di professione facchino o
cordaio. Nei d di festa, con la compagna, vestiva nella caratteristica maniera descritta
a p.11. burbone: italianizzazione di bourbon, il whiskey americano. buridne (gerg.,
dial. buridr): confusione, situazione confusa o complicata. L'Ungarelli ha la voce
come "bravata, minaccia senza effetto che si fa a qualcuno", mentre la burida il
"lancio del cane e la corsa ch'egli fa per levare la starna o altro simile animale". Si
suppone che il cane faccia una grande confusione in questo suo comportamento, ed
ecco quindi spiegata la voce. Una burita anche un grande rimprovero che si fa a
qualcuno. busadro (dial., gerg.): il dialettale busder sarebbe solamente bugiardo, ma
la plebaglia cittanovense traduce a volte la voce come busn e lder, omosessuale e
ladro, ottenendo la pronta risposta: Ladro poi no!. busne (gerg.): anche boso.
Significa omosessuale, ma pi spesso persona estremamente fortunata. Una busonata
poi un grande colpo di fortuna, come vincere il monte premi dell'Enalotto con una
sola schedina da un euro. Se al femminile (bosa), indica prostituta o donna di non
specchiata virt. busso: italiano, colpo, e il forte rumore che ne deriva (p. 56). "Di
fischi e bussi tutto il bosco suona" (Poliziano, Stanze, XXVII, 8). Vedi anche la
locuzione a b. cabaritto (dial.): con la voce cabarit, di etimo misterioso, si indica in
qualche modo il Cimitero Comunale della Certosa. cacciarlo nel saluto (gerg.): di
solito quando uno afferma "Te lo caccio nel..." indica altra cosa rispetto al saluto.
Un'audace invenzione. cmaro (gerg.): cameriere. camillo (gerg., dial. camll):
stupido, fessacchiotto. camuffa (in) (gerg.): vocabolo antico del gergo italiano, isole
comprese. in uso dal '300, con significato originale di "travestirsi, mascherarsi".
Partirebbe (Prati, cit. in Ferrer) da un camuffo, panno usato per coprirsi la faccia, poi
si va espandendo e via via variando nei significati. cartola (gerg.): sarebbe cartolina,
ma a Cittanva l'aspetto esteriore, il viso e l'atteggiarsi, il modo di proporsi al
plaudente pubblico. catuvino (dial. modenese catuvir): portafoglio, portamonete.
cavedagna: italiano, strada campestre di terra battuta. Dal lat. tardo capttanea da
caput, capo. caviglio (gerg., dial. cavi): come camillo, ma la voce pi moderna.
centoscudi (gerg.): se uno scudo valeva 5 lire, cento scudi saranno 500 lire. Voce per
indicare la famosa automobile. Si veda il capitolo IX. chiara (gerg., dial. cra): in
molti gerghi italiani chiaro il vino, e. l'ubriacatura, pi propriamente in bolognese
ciarnna. Chiarire vuoi anche dire (Ferrer) "tagliar la borsa, rubare" -voce furbesca
che si incrocia con bere. ciaptti (dial. ciaptt): mollette per fermare la biancheria

stesa ad asciugare o, nel nostro caso (p. 115), per restringere i pantaloni alla caviglia.
Da ciapr, prendere, acchiappare. cffolo (dial.): viene da un padano ciufilare o
stufilare, fischiare. Il riferimento (p. 48) a una canta della Prima guerra mondiale,
"E col cffolo del vapore la partenza de lo mio amore...". cilobina (dial.): "cilb, di
vista corta" (Ungarelli). cinno (it. bolognese): piccino, ragazzine. Anche al
femminile, cinna. cionca: mah? Che voglia dire ubriaca persa? ciospino (gerg.):
diminutivo di ciospa, ragazza di scarsa venust. Ferrer dice: "Sono voci che si
ritrovano in ogni regione, e nei gerghi artigiani [...] col significato di vecchia/o,
amante, prostituta eccetera". Arguto Mingardi: "Ciospo fa rima con rospo con un
ciuffo sopra". cmoda (gerg.): voce carpigiana, la e. l'amante, che - comodamente
per te - l che t'aspetta. coramlla (dial. curamela): quando gli idraulici erano gente
semplice ed i rubinetti pi semplici ancora, la guarnizione veniva foggiata a mano
ritagliando un pezzette di cuoio. Dal lat. parlato coriame(n), da corium, cuoio.
crescentone (it. bolognese): , la crescenta, una schiacciata di pane cotta al forno.
Sembrando la modesta sopraelevazione di piazza Maggiore tutta una grande
crescenta, ecco il nostro e. cubiacchiare (gerg.): poi cubiate, dormire, dal gergo dei
muratori e della mala bolognese. Qui (p. 73) dormicchiare. cucamlli (dial.
pavanese): le primule. Probabilmente derivato da cccuma, pentola. cucare (gerg.):
acchiappare, prendere su, cercare di ottenere. cuccia (dial.): da cucr, cio spingere.
dalie (gerg.): la dalia, detta anche giorgina, nota pianta da giardino che produce
bellissimi fiori di svariati colori, prende il suo nome dal botanico svedese Dahl, che la
import in Europa dal Messico nel 1789. Che sia lo sbocciare pieno del fiore a fare s
che, nel gergo bolognese, la voce sia sinonimo di possente seno femminile? Fatto sta
che il gentiluomo felsineo, al passaggio di graziosa donna con grande seno, non
mancher d'esclamare: Scc'mel, eh' dau dati!, e cio "Perbacco, che grande seno!".
diagonale (gerg. militare): il GDLI spiega: "Tessuto a fitte coste diagonali", che poi
quello con cui si confezionano le divise degli ufficiali. Sta quindi per "divisa della
festa da ufficiale". dieci pi due (gerg. militare): licenza ordinaria dell'Esercito, dieci
giorni pi due di viaggio. due che porto (gerg.): come in un'operazione matematica,
ma qui sta ad indicare una quantit vaga e nello stesso tempo ironicamente
importante. fanghe (gerg.): "Antica voce furbesca di larga fortuna, tuttora usata nei
gerghi, nei dialetti e nel parlare scherzoso, [...] fangose l'espressione popolare per le
scarpe, in tutt'Italia (Ferrer); f. sta quindi per il meno furbesco scarpe. fare la bella
(gerg.): allontanarsi astutamente da un ristorante senza pagare. Qui per (p. 179) ha il
semplice significato di fuggire, darsela a gambe. Similmente, a p. 86, fare la beata.
fare una casa (gerg.): non si intenda nel senso letterale. Equivale, misteriosamente, ad
invitare chichessia all'atto della masturbazione. Tipo il pi elegante: "Ma fammi un
piacere". farlcco (dial., gerg.): sciocco, babbeo. "Lo stesso che allocco [...], figurato
per sciocco, con immistione di altra voce non identificabile: potrebbe anche trattarsi
di una prostesi spontanea anorganica, intesa ad evitare l'iniziale vocalica"
(Bondardo). O, gninta! farsi di nebbia (gerg.): scomparire, sparire per sempre.
fettonate (gerg.): da fette, e cio i piedi. filuccone (dial. flucn): persona alta e
magra. Secondo il Devoto-Oli deriverebbe da feluca, "per alta carica o dignit". Sar.
fiocco (gerg.): Mingardi lo definisce "bacio juvenile, slanci e brufoli"; se per f. a

tortiglione (cfr. p. 124) ha una connotazione erotica in pi. firmaiolo (gerg. militare):
il f. era colui il quale, finita la naia, non tornava alla vita borghese ma rinnovava
l'obbligo al servizio militare, ed era violentemente disprezzato da chi invece sceglieva
la libert. Una canzoncina dell'ambiente affermava: "Siam congedanti, un passo
avanti, un'altra firma voi volete far? Ne metto cento, ma sul congedo, versa il corredo
a casa si va!". fittone (it. bolognese): accrescitivo di fitto, da figgere, piantare.
L'Ungarelli cos lo descrive: "Para-carro, specie di piuoli di pietra piantati a regolari
distanze [...] a preservazione de' muri contro il guasto delle ruote de' carri, e dietro i
quali possono ripararsi i passeggeri quando un cavallo imbizzarrisca". Oggid non
molti cavalli, in vero, imbizzarriscono e il fittone, che anche l'autorevole "II Resto del
Carlino" cos spesso chiama, serve pi che altro ad impedire l'accesso ai veicoli in
strade pedonali. In via Zamboni esiste un fittone, simbolo un tempo della goliardia
bolognese per la sua fallica forma (biricchini!), che veniva ricordato col dantesco
"eterno duro". frsca (gerg.): denaro contante. gbbio (gerg.): probabilmente
dagabbia, la prigione. gara (gerg.): faccenda, situazione, avvenimento amoroso e
non; tutto, insomma. ghigna: be', questo anche italiano familiare per faccia; usa la
voce anche Collodi! ghigno (gerg.): voce padana per il membro virile. "Bel g." qui (p.
85) sta per: "Ehi tu, raffinato gentiluomo!". gninta (dial., gerg.): letteralmente
significa "niente", ma di solito usato in senso antifrastico. O, gninta! godilo (dial.
gudil): "lat. gaudiolum, diminutivo di gaudium, spasso, trastullo, divertimento" (Ungarelli). grassuli (dial. gras): cos li descrive l'Ungarelli: "[...] que' gruppetti di
lardo di maiale che avanzano, cavato lo strutto, e che da noi vengono ridotti a forma
compatta torchiandoli". grugno (dial. grgn): ho scoperto, recentemente, che i grugn
sono, nel parmense, i radicchi di campo. "[...] filetto di maiale arrosto con radicchi
verdi, che lei chiam grugn" (Domenico Cacopardo, La mano del Pomarancio,
Mondadori 2003, p. 64). Quindi si tratta di cose di poco conto, sciocchezze.
imbananato (gerg.): istupidito, reso come un allocco. Banana spesso soprannome di
chi, di suo o per non pagar dazio, sembra vivere con la testa fra le nuvole. Oscura la
cagione di ci, forse da un bumba, sciocco, stupido, cui si sovrapposto banana.
impalugare (dial. impalughr): quando uno manda gi un boccone troppo grosso e
rischia di soffocarsi, si impaluga. impiare (dial. impir): accendere. incagnato (gerg.):
eufemismo per alterazione fonetica subterminale, incrocio fra incazzato e cane,
significa arrabbiato di molto. ingobiare (dial.): inghiottire a fatica, mandare gi per il
gobbio, che sarebbe il ventriglio dei polli (o almeno credo). ingugna (dial.): da
ingugnr, cio ingoiare, deglutire. Per la voce ha una connotazione maliziosa,
esistendo, nel lessico popolare, la famosa "fellatio con l'ingugno". inscufiato (dial.
inscufe): innamorato. Si veda anche scuffia, p. 39. intignazzato (it.): come corroso
dalla tigna. Ho rubato la voce a Gadda del Pasticciaccio. intomelare (gerg.):
"Corteggiare una ragazza in modo noioso [...]. Per estensione sta a significare ogni
discorso noioso" (Ferrer). invornito (dial. invurne): "Intronato, di persona attonita.
Da *ebronea, sbornia, *inebronire" (Ungarelli).
Imla (dial.): poi la bella cittadina di Imola, in dialetto. ismito (dial. ism o insm):
inscimunito, tonto. licet: qui delizioso lo Zingarelli: "Lat., letteralmente 'si pu?', '
permesso?', la domanda rivolta dagli scolari al maestro per assentarsi. Raro ed

eufemistico, gabinetto, latrina". lovtto (dial.): , al Invaii, una tagliola, si presume


originariamente per il lupo (dial. lv), ma sta ad indicare una trappola in genere. ludro
(gerg., dial. lder): nel dialetto veronese (Bon-dardo) vale "venale, spilorcio,
taccagno"; deriverebbe dal tedesco (das) Luder, furfante, carogna, povero diavolo,
irradiato in vaste aree settentrionali, nel Veneto, nel trentino, neo'emilianoromagnolo, fino al genovese e al toscano settentrionale. Il DEI conferma l'origine
tedesca (medio alto tedesco Luoder) e dice che la voce giunta "forse attraverso la
soldataglia austriaca". Anche Ferrer ha la voce lder, col significato di "briccone,
furfante". Da noi pi gozzovigliatore, mangione, crapulone. lumare (gerg.):
guardare con pi o meno attenzione, sbirciare. La voce verrebbe da allumare,
"ispirato alle voci poetiche lumi, luci per occhi, [e ha poi dato] slumare, assai usato
nei gerghi settentrionali"(Ferrer). Ma quei lumi poetici che passano nel gergo mi
confortano il giusto. Non ci sar un pi prosaico far lume nel senso di far luce?
machggio (gerg.): "[...] meccanismo che pu rivelare un intrigo complicato nei
sentimenti o negli affari. Oppure un modo di definire il funzionamento tecnico di un
incastro o di un motore" (Mingardi). magnana: dovrebbe essere scritto con una
semplice n con la tilde sopra; domani in spagnolo. mai pipato (gerg.): "... uno che
ha esaltazioni ed eccitazioni esagerate proprio perch non le ha mai provate prima
d'allora; un 'mai goduto' con l'aggravante pippa" (Mingardi). malippo (gerg.):
confusione, situazione ingarbugliata. maraglia (gerg. modenese): sta per gente. " il
piemontese maraja, ragazzine, importato dal francese maraille, a sua volta rifatto
sull'antico marmaille, ragazzaglia, da marmot, scimmia" (Ferrer). Franco Violi,
mottacense, suggerisce anche un minimalia, cose di nessun conto. margniffone
(dial.): dal milanese margnifo, furbo, scaltro. marocco (pop.).' persona dell'Italia
meridionale. masato (gerg.): misurato, giudicato. mcco (gerg.): uomo, ragazzo, voce
di derivazione francese (mec) con vari significati, presenti nei gerghi italiani fino a
Roma. mina (gerg.): era il corrispettivo mottacense anni '40-'50 per ragazza; oggi il
vocabolo praticamente scomparso. Curiosamente la voce perdura nel lunfardo,
gergo della mala di Buenos Aires. Si veda p. 31, dove l'A. si meraviglia dell'obsoleta
parola per indicare le ragazze e ne prospetta delle nuove. morsca (gerg.): sarebbe, in
lingua, una "antica danza di origine saracena, vivace e rumorosa, forse simile alle
fantasie tuttora in voga su terra africana". Cos, almeno, lo Zingarelli, ma qui sta per
affare, situazione pi o meno confusa; tutto il fatto lavoro, insomma! mosticciare
(dial. pavanese mosticiare): toccare una cosa ripetutamente, come di chi pigia l'uva
per ottenere il mosto. muffa (gerg.): letteralmente ammuffita ma con significato di
scialba, con poche attrattive. La grande esperienza popolare voleva, in femmine
siffatte, segrete ma grandi potenzialit erotiche. mugnaga (dial. mugnga): perch
proveniente dall'Armenia. Ma l'albicocca! mulla (dial.): a Trieste significa ragazza.
musta (gerg.): faccia, ghigna. "Forse da mustacchi, baffi" (Ferrer). mtria (gerg.):
faccia, ghigna. Vedi cartola. naia, naione (gerg.): tutti sanno cos' la naia, ma non
chiara l'etimologia del termine. Marighelli da questa interessante versione: l'origine
sarebbe nell'aggettivo tedesco neu, nuovo. "Al tempo dell'Austria i coscritti eran detti
nelle caserme semplicemente die Neue, i nuovi (soldati); e la pronuncia dialettale
tirolese e austriaca in genere dell'aggettivo appunto naje." Naione, definito non a

caso vile, con sottile disprezzo, il soldato semplice, che tale rimarr, mentre TAUC
ha almeno speranza di diventare Sottotenente.
Napleon: voce ironica per le Nazionali semplici, dette anche N blu, per la vistosa
N sul pacchetto. natura (gerg.): quale maravigliosa metafora! n. sta per femmina, in
generale. Sovviene quasi la Grande Madre Terra dei nostri antenti CroMagnon. nido
(dial., gerg.): "Oggetto inutile, di pochissimo pregio, ciarpame" (Foresti-Menarini).
occhio di bue (it.): "Proiettore a fascio di luce concentrato adoperato per illuminare
scene cinematografiche dall'alto in basso" (Zingarelli). oscula (lat): ma nessuno ha
studiato un po' di latino? Significa baci. papussa (dial. papssa): pantofola. paralo
(gerg.): "Ceffone, pugno, percossa violenta"
(Ferrer). pasturare (gerg.): la pastura, secondo Ungarelli, sarebbe "l'erba de' prati,
che si fa pascolare dalle bestie". Nel vocabolario de' pescatori, invece, l'esca che si
getta in acqua per invogliare i pesci ad abboccare. patnza (gerg.): sarebbe metafora
per sesso femminile, quindi significa ragazza, donna. Il Ferrer la fa derivare da
patacca, ma penso che patata non sia del tutto innocente come etimologia. pavra
(dial.): l'Ungarelli la fa lunga. Anzitutto la chiama Scirpus maritimus e la dice "carice,
pianta delle paludi che serve a far strame, e seccata ad impagliar sedie, rivestir fiaschi
ecc.". Diciamo che la volgare paglia. Si veda anche spavi-rare (p. 175), nel senso di
spazzare via. pedagne (gerg.): piedi, a piedi. pdro (gerg.): viene da pederasta, ma
nella confusa mentalit popolaresca significa omosessuale in genere. Ma anche di
molto fortunato. pelo (gerg.): apprezzabile sineddoche, e cio la parte per il tutto, sta
per "ragazza". peluchero (spagn.): la grafia corretta sarebbe pelu-cjuero, ed il
barbiere. pigugno (gerg., dial. modenese pigggr): mottacense gioco a carte, sorta di
tressette a chi fa meno, dove chi prende il fante di spade (il p.) ha un punto di
penalit. pila (gerg., dial. pilo): osteria, voce mottacense. Diffusissima in molte
regioni e gerghi, di etimo discusso. Negli anni '50 aveva connotazione negativa e
significava localaccio. pipone (gerg.): "ragazza da pipare" dice Mingardi,
"appariscente per scopi lubrichi". pistolare (gerg.): fare cose di poco conto, indugiare
in nonnulla. Se pistola sinonimo di pene, p. pu anche tradursi con cazzeggiare.
pistone (dial. modenese pistun): era anticamente la misura vinaria da due litri, ma
negli anni '50 significava semplicemente una bottiglia di vino, soprattutto Lambrusco.
Probabilmente da stantuffo, nel senso di pestello (DEI). pitonato (gerg.): molto
elegante, appariscente come i colori della livrea del pitone. piuma (gerg., dial.
piammo): miseria, "come piume che volano" (Mingardi), ad attestare scarsa
consistenza economica. pgne (gerg., dial.): affettuoso per pugnette, per indicare
masturbazione maschile, qui (pp. 95, 110,153) sta per sciocchezze. Quando la pogna
mezza (p. 102) ingenera per la persona cos apostrofata un'impressione del tutto
negativa. polegiato (gerg.): polegiare dormire, o accovacciarsi tranquilli,
probabilmente da "sistemarsi come un pollo", "appollaiarsi". La voce presente in
tutti i gerghi italiani ed anche nel lun-fardo, gergo della mala argentina (apoliyar).
pongazza (dial. pundgaza): ratto, sia esso comune (Rattus rattus) o delle chiaviche
(Rattus norve-gicus o Mus decumanus)."(Voce) proveniente da un grecismo, pntikas
'topo' [...], oltre che 'pontico, del Ponto' potrebbe valere anche 'del mare, marino'
(pntos mare)" (Bondardo). puffarlo (gerg.): da puffo, debito, anche

imbroglioncello. Voce probabilmente onomatopeica. quaiuzzo (dial.): qui c'


un'alterazione del fonema terminale! Come in un scc'mel che le buone signore anni
'50 eufemizzavano in un pi casto srbole o sccia l'vo. Il termine censurato sarebbe
quain, coglione. rana (gerg., dial. rna): "aver della r." significa non essere
economicamente opulenti. Misterioso il passaggio di significato dall'anfibio alla
scarsit di mezzi economici. randola (gerg.): randellata, qui sinonimo di ubriacatura.
rasgueado (spagn.): letteralmente, "raschiato". Effetto ritmico che, nel tango, si
ottiene facendo raschiare l'archetto sulle corde del contrabbasso al di sotto del ponte.
ratavoloira (dial.): piemontese, letteralmente topo volante, e cio il pipistrello. rlla
(la) (dial., gerg.): osserva Mingardi, che scrive r. in dialetto e ritta in italiano: "Chi
dice la ritta esprime scetticismo nei confronti di ci che sente". Corrisponde al pi
banale "col cavolo". E va bene. Ma r. o rillal Perch retta nel GDLI sarebbe l'antico
gioco della lippa (sorta di antenato italico del baseball) mentre ritta corrisponde a
manganello e in senso figurato al membro virile e verrebbe dal latino regulam,
bacchetta, regolo. Propendo per la seconda ipotesi. ribolla: variante di rimbonza.
rimbato (gerg.): fatto come un copertone, sognante e un po' fuori. Si veda anche
rimbonza. rimbonza (gerg.): Mingardi da la voce come: "Situazione allettante,
atmosfera stimolante, ambiente eccitante". Ma dimentica di dire che la rimba la
"cocaina, per adattamento di ribongia, rimbongia nel senso gergale di roba" (Ferrer).
rostire (gerg.): da arrostire, voce molto diffusa nei gerghi (anche nel lunfardo) per
rubare. rubaza (dial.): robaccia. rusco (dial.): il pattume, l'immondizia, ma la voce
ampiamente usata nell'italiano bolognese tanto vero che l'autorevole "Il Resto del
Carlino" la usa a piene mani. salacca: ovvero saracca, di proverbiale magrezza. sale
(dial.): la versione bolognese di chalet, come recita il famoso poemetto del grande
poeta popolare Cesare Pezzoli Alfatazz di Zarden Margaretta, "Il Fattaccio dei
Giardini Margherita": "[...] quesi a l'angol dal sale [...]". Quello che vi accade non
per orecchie timorate. snnia (dial.): chi snnia me? Chi sono io? sbagiuzza (gerg.):
"Roba di poco conto. O mercanzia o ragazza. Briciole e basso profilo". Cos
Mingardi e Foresti-Menarini. sbaluginare: da baluginare ("apparire e sparire
velocemente alla vista; presentarsi alla mente in modo rapido e confuso" dice lo
Zingarelli) con s intensiva. sbaruslare (dial.): la barusla "imbavazzamento, lordura
che hanno i bimbi sul viso" (Ungarelli). Quindi s. equivale a parlare avendo il viso
sozzo di pianto e moccico. Anche nel senso di parlare di nulla, a vanvera. sbiavdo
(dial. modenese sbived): pallido, slavato. "Come in italiano biavo azzurro pallido
(XV sec.), voce (Bondardo) dal lat. tardo blavus a sua volta dal francone *blao. Come
si evince dal Blauburgunder" (Guccini, Vacca d'un cane). sborone (gerg.): vantone,
che si da delle arie. "Pu rapportarsi [...] a sborar, voce dai vari significati nei dialetti,
fondamentalmente 'sfogarsi'. Viene accostato dal DEI a barrare, 'riempire di borra,
cimatura, cascame' dal lat. tardo burra, di etimologia non chiara". Tutto questo nel
Bondardo. Troppo, per uno s. scafato (gerg.): viene probabilmente da scafare, e cio
sgranare, liberare dal baccello, quindi, figuratamente, rendere pi disinvolto,
spigliato, "con una certa aria di sicurezza nei rapporti sociali", almeno secondo il
Devoto-Oli. scaravoltare (dial. scarvulter): mettere sottosopra. In qualche modo
legato a scarabaltare, muovere carabattole. schccio/schiaccio (dial., gerg.): camuso,

ma anche schiacciato da un peso insopportabile; la seconda voce arriva da sola per


assonanza. schiva l'oliva (gerg.): Mingardi con grande sapienza scrive: "come se la
vita fosse un cocktail di cose negative, cose da schivare". E suppone che forse il carro
dei detenuti deportati fosse color verde oliva, ma non giurerei sull'etimo. sciacquino
(gerg.): attendente. "Fortemente spregiativo: si immagina infatti l'attendente a fare le
funzioni di serva, lavando i piatti nella famiglia dell'ufficiale" (Marighelli). sciampo
(gerg.): familiare, furbetto pi che furbesco per champagne. s'ciave (dial.): slave, ma
a Trieste inteso in senso abbastanza razzistico. Curioso come da s'ciavo venga il
veneto s'ciao e dalla formula di ossequio s'ciao vostro il nostro attuale "ciao". sdura
(dial. resdura); reggitrice. Nelle patriarcali famiglie contadine (e non), la s. era
l'anziana che comandava tutto e tutti. Passati quei tempi la s. semplicemente la
signora che provvede alla casa ed soprattutto abile nel cucinare. La specie, non
protetta dal WWF, purtroppo in via d'estinzione. sdzzo (gerg.): "Oggetto di scarso
valore, irridente per lui e il proprietario" (Mingardi). sppa (dial.): "che sia" in
cittanovense si dice ch'a'l'sppa, come Padre Dante non manc di notare nel De
Vulgari e nella Commedia, chiamando i petroniani "quei del sipa". sgadizza (dial.
sgadzza): segaticcia o, meglio, segatura. Qui significa cosa da poco, nonnulla.
sgalgio (gerg.): furbetto, in gamba. sgamare (gerg.): "Accorgersi di, cogliere sul
fatto, sorprendere" (Ferrer). sgambolarsela: c'entrano in qualche modo le gambe,
quindi darsi a rapida fuga, cavarsi d'impaccio. sgarzulina (dial. sgarzulnna): sarebbe
l'airone ci-nerino, ma qui sta per ragazzetta, giovine femmina. Ferrer fa invece
derivare la voce da garzone. Anche sgrzola. sgavagnarsela (dial.): sgavagnr,
"svincolarsi, trarsi d'impaccio" (Ungarelli). sghissa (gerg.): fame terribile, quasi
atavica. sgnapa (dial.): grappa. " il ted. Schnaps che nel 1741 significava ancora
'sorso, sorsata', donde per un processo metonimico grappa" (Bondardo). D'accordo,
ma come ha fatto a stabilire l'anno con tanta precisione? Si vedano anche le sgnaperie
di p. 180. sgbbo (gerg.): lavoro, lavorare fino a diventar gobbi. sgoduto (gerg.): il
contrario di goduto, cio infelice, assolutamente non allegro. Cos come sgodvole
il contrario digodvole, piacevole. sgurarsi (gerg.): sarebbe pulire, pulirsi, ma qui si
intenda pulirsi di grana, sgurata fino all'ultima lira (o centesimo di euro). sgusto (it.
bolognese): disgusto, cosa che provoca ripugnanza, come, ad esempio, mollare la
fidanzata e fare la bella. smmia (dial. smmia): scimmia, sinonimo di ubriacatura.
sitarino (dial. sitarn): diminutivo, tipicamente bolognese, di sito, che l'Ungarelli
definisce: "podere, terreno coltivato con casa per il coltivatore". qui semplicemente,
posticino. sladinare (it. bolognese): dal dial. ladn, latino, nel senso di rodare, rendere
elastico, agevole. "Dante, Par. Ili, 63: 'S che raffigurar m' pi latino', cio facile.
Perch a' tempi di Dante le persone dotte scrivevano e parlavano latino" (Ungarelli).
slandra (gerg.): puzza, fetore. La voce (landra pi s rafforzativo) che in origine
indicava donna di malaffare, baldracca (e in questo senso il termine usato sia dal
Porta che dal Tessa) vola a "sudiciona". Da l a puzza in genere il passo breve.
Deriverebbe dal medio alto tedesco lan-dern, bighellonare (Bondardo). smsso (dial.
smass): misura che si ottiene allargando il pi possibile il pollice ed il mignolo della
stessa mano. Una ventina di centimetri. Essendo che oca equivale al membro virile, si
capisce facilmente il nesso del giro di parole di p. 97. "Probabilmente derivato dal lat.

semissem, del valore di mezzo asse" (Zingarelli). smiciare (gerg.): guardare


attentamente. antica voce furbesca. smorfire (gerg.): mangiare. "Voce di origine
furbesca, attestata per la prima volta alla fine del Quattrocento, nello Speculum
Cerretanorum, come morfire da morfia, bocca, muso..." (Ferrer). smunire (dial.
smunr): si smunisce una cosa munita, ovvero intasata. Sturare, un lavandino o altro.
scc'mel (dial.): letteralmente succhiamelo. " il pi celebre shibboleth linguistico
bolognese [parola impronunciabile per altre comunit linguistiche, come il cicero dei
Vespri Siciliani], inequivocabile biglietto da visita della nostra parlata. La frequenza
dell'uso ha molto offuscato il suo valore diretto di sconcio invito al-l'irrumazione del
pene, tanto che ormai si presta a una vasta gamma di impieghi emotivi (stupore,
ammirazione, rabbia, rifiuto, disprezzo ecc.) senza pi alcuna applicazione oscena..."
(Menarmi). Quando, sullo schermo di un cinema bolognese, accade qualcosa di
imprevedibile o eclatante, la platea pare scossa da un alito di vento che tutta la
percorre. Sono decine di persone che all'unisono pronunciano l'iniqua parola
soffermandosi voluttuosamente sulla vocale tonica. solfanaio (dial. sulfanr):
"straccivendolo, ambulante che vendeva e comprava roba usata e ciarpame" (ForestiMenarini). La voce deriva dal fatto che i solfanai vendevano anche zolfanelli. soltero
(spagnolo): sarebbe scapolo, ma qui indica uno solitario assai. sparagnare (dial.
sparagnr): risparmiare. Bondardo lo da come veneto antico ed aggiunge: "Due
ipotesi: o dal germ. *sparon 'risparmiare' [...] con possibile intervento di 'guadagnare',
o da un germ. *sparanjan, fatto sull'antico alto ted. sparan, cfr. ted. moderno sparen,
inglese io spare, risparmiare". Scc'mel! spipagliare (gerg.): c'entra evidentemente la
pipa, quindi equivale a fumarsela di gusto. sprucaglino (dial. sprucain): viene da
sproch, ramoscello, rametto. Per gentile metafora, si cos chiama una giovinetta in
fiore, gratiosa et bella. stare in chinino (it. bolognese): stare rattrappiti, piegati su se
stessi. stare in mano (gerg.): essere cauti, agire con saggia prudenza. Mingardi fa
derivare l'espressione dal gergo del trotto: chi sta in mano "trattiene l'irruenza del
cavallo che ha dentro". Ci si potrebbe anche vedere qualcosa del gioco del poker,
quando uno "sta con le sue". stranzmuller (dial., gerg.): "Se uno stranz, simpatico
non lo . Se stranzmuller c' nome e cognome. La provenienza tedesca una
reminiscenza postbellica" (Mingardi). stricare (dial. strichr): stringere, comprimere.
struminato (dial.): da strumnr, disseminare, spargere qua e l. Viene dal lat.
[e]xterminare, spingere fuori dai confini, con metatesi. sumiclzia (dial. sumidzzia):
liquirizia. suonare la sigla (gerg.): espressione di musicisti, che sta ad indicare il
motivetto (sigla) con cui l'orchestra conclude le danze e da la buona-notte agli allegri
corifei. Praticamente, darsi la buonanotte. suoniero, suonaglio (gerg.): voci
mottacensi per suonatore. susanllo (gerg.): giovine virgulto, "robustoso et forte".
svirgolare (gerg., forse modenese): andarsene via veloci, con la rapidit con cui si
traccia una virgola o si affronta una curva a virgola foggiata. tfan' (dial. tafanri): sta
per tafanario, e cio deretano, sedere. "Perch parte pi colpita dai tafani?"
(Zingarelli). tffio (gerg.): pasto, da taffiare, mangiare. "Taffio per 'banchetto lauto'
era gi nel parlar basso del Seicento, e il Salvini [chi era costui?] lo collegava
addirittura al tfos impiegato da Omero per 'pasto del morto, banchetto
funebre'"(Ferrer). Mi sembra esagerato. tambuciotta (gerg.): la media t. alta metri

uno e cinquanta e larga in proporzione. tampelare (dial. tamplr): soprattutto il


pulsare di un dente ammalato, ma qui equivale a battere furiosamente. Il Devoto-Oli
ha tempellare e cio "battere su uno strumento in modo da produrre suoni o rumori",
e vorrebbe questa voce da "una serie onomatopeica tm... p". tarde (dial.): da tani,
litanie. Come nel citato poe-metto Al fatazz...: "Pochi ciacri, pochi tani, a dscur col
capitani", "poche chiacchiere, poche litanie, parlerete col Capitano". Se le litanie sono
"pubbliche preci, con cui la Chiesa cristiana implora le benedizioni celesti o placa
l'ira divina" (Pianigiani) anche una sfilza di varie imprecazioni (p. 55) pu essere
ritenuta tale. tappo (gerg.): vestito in genere. Voce dell'antico furbesco diffusa nei
gerghi di tutta Italia. Forse da tappare, "coprire una cosa perch non sia veduta"
(Ferrer). tiro (it. bolognese): un tempo, nei palazzi cittanovensi, esisteva un
complesso marchingegno che permetteva di aprire il portone senza scendere le scale:
si tirava un filo ed un sistema di carrucole e cordicelle faceva scattare la serratura.
Oggi il tutto sostituito da un sistema elettrico ma l'antico nome rimasto, tant' vero
che, al suono del campanello che annuncia un visitatore, la voce al citofono proclama
Ora ti d il tiro, maravigliando assai gli stranieri che si chiedono, pensosi, cosa stia
per dare loro l'ospite. Anche sul portone stesso, poi, sovente due cartellini indicano
"Luce - Tiro" sollevando dubbi nello straniero suddetto sul come uscire. tocciare nella
bionda (gerg.): dare un tiro alla sigaretta. Si veda anche tociare il biscotto. tociare il
biscotto (gerg.): audace metafora per core. Se t. sta per intingere, il b. figura
poetica per membro virile, quasi si fosse un odoroso savoiardo. tognino (dial., gerg.):
i tognini sono i tedeschi, in genere, termine gi in voga ai tempi della Prima guerra
mondiale ed anche (Ferrer) in Lombardia durante l'occupazione austriaca. Da
Antonio, con significato di stupido. traccagno (gerg.): bicchiere. trappolo (gerg.): la
ragazziera. Si veda il capitolo X, ad esso dedicato. tresnda (it. bolognese): antico
termine cittanoven-se per finestra. ucelini (dial. pavanese uslini): intenso formicolio
che prende alle dita rimaste troppo a contatto col freddo della neve, come fossero
state beccate da miriadi di piccoli uccelli. usta (dial., gerg.): in lingua sarebbe: "odore
caratteristico lasciato nel terreno da animali selvatici [...]" (GDLI) e verrebbe da un
lat. volgare basilare da nasus incrociato col venez. usmar, ma in gergo boi.
"ingegno, passione, abilit, applicazione empirica" (Mingardi). usvglio (dial. usvi):
strumento, arnese del mestiere, dal basso latino usibilia, utensili. A p. 97 sinonimo
di membro virile. venircene una gamba (gerg.): si pu supporre facilmente di cosa (si
veda la voce boazza). vstiario (dial.): da vstiri, vestito. zagnso (dial.): da zagno
(zagn), freddo polare. "L'etimo ci pu riportare allo Zanni, il nome del servo
bergamasco [...] sempre affamato e freddoloso" (Ferrer). Si veda anche zagnare (p.
138) che sta per per lamentarsi. zanzara (gerg.): voce militare di origine misteriosa.
Sta per recluta, soldato novellino. zarucco (dial. zarcch): persona zotica, ottusa, ma
qui semplicemente per tedesco. Nell'800, la soldataglia austriaca respingeva una
riottosa folla bolognese gridando Indietro, indietro! che in lingua crucca dicesi
appunto "Zurck!". Da qui all'identificazione etnica il passo breve. zbia (dial.
zbia): gioved.

Bibliografia Salvatore Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, UTET,


Torino - qui abbreviato in GDLI.
Marcelle Bondardo, Dizionario etimologico del dialetto veronese, Centro "San
Zeno", Verona 1986.
Manlio Cortellazzo - Paolo Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana,
Zanichelli, Bologna -qui abbreviato in DEL
Giacomo Devoto - Gian Carlo Oli, Dizionario della lingua italiana, Le Monnier,
Firenze.
Ernesto Ferrer, Dizionario storico dei gerghi italiani dal Quattrocento ad oggi,
Mondadori, Milano 1991.
Fabio Foresti - Alberto Menarmi, Parlare italiano a Bologna, Forni, Bologna 1985.
Nora Galli de' Paratesi, Le brutte parole - semantica dell'eufemismo, Mondadori,
Milano 1969.
Francesco Guccini, Craniale epafniche, Feltrinelli, Milano 1989.
Francesco Guccini, Vacca d'un cane, Feltrinelli, Milano 1993.
Francesco Guccini, Dizionario del dialetto di Pavana -una comunit fra Pistoiese e
Bolognese, Gruppo di studi alta valle del Reno - Nuter, Torretta Terme 1998.
Italo Marighelli, Parole della naia, Nuova Guaraldi, Firenze 1980.
Alberto Menarmi, Vocabolario intimo del dialetto bolognese: amoroso, sessuale,
scatologico, Arti grafiche Tamari, Bologna 1982.
Andrea Mingardi, ...benssum! -Alla ricerca dello stupore perduto errando fra dialetto
e gergo a Bologna e dintorni..., Press club, Bologna 1999.
"La Msola - Chiccare, arcordi, fole, squasi, scherme del Rugletto dei
Belvederiani", rivista semestrale di Lizzano in Belvedere, 1967 e segg.
Ottorino Pianigiani, Vocabolario Etimologico della lingua italiana, Polaris, Varese
1991 (ma la prima edizione del 1907).
Angelico Prati, Voci di gerganti, vagabondi e malviventi studiate nell'origine e nella
storia, Stabilimento tipografico G. Cursi, Pisa 1940.
Gaspare Ungarelli, Vocabolario del dialetto bolognese, Editoriale Insubria, Milano
1979 (ristampa anastatica della prima edizione, Bologna 1901).
Franco Violi, Storia di parole e di nomi propri modenesi, Aedes Muratoriana, Modena
1982.
Nicola Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna.
Note.
1 Addio, congedo.
2 Famosa ditta felsinea di Pompe Funebri, ben nota ai bolognesi tutti. Negli anni '60
(e forse oltre) nei cinema della citt veniva proiettata una diapo della suddetta ditta
recante l'augurale scritta: "Il pi tardi possibile ma da Franceschelli", il che
provocava immediatamente l'affannosa messa in atto dei pi ampi e variati gesti di
scongiuro.

3 J.L. Borges, El tango: "Il tango crea un confuso / irreale passato, forse vero, / un
assurdo ricordo d'esser morto, / battendomi, a un cantone del sobborgo"
[trad. di E Tentori Montalto].
4 Le lotte fra le due famiglie (i primi, i Lambertazzi, partigiani dell'Imperatore, i
secondi del Papa) insanguinarono Bologna nel corso del '200, fino a quando, nel
1274, i ghibellini Lambertazzi furono messi al bando.
5 Appoggiato alla vetrina di un emporio.
6 Letteralmente "Barone Semina, Spargi": figura dell'inventiva popolare rimarcata da
una nobilt che si suppone fittizia e che spende e spande finendo col rimanere nelle
classiche brache di tela. Quindi scialatore, sciupone.
7 Significa "Billy delle colline", cio montanaro. L'A. sostiene, da montanaro como
egli , che l'acqua che lambisce Cittanva in parte la stessa che proviene dal
Limentra, cio da sotto la casa avita, mentre il Secchia e il Panare, pur nobili fiumi,
provengono da altri monti, quindi a fottersi.
8 S'agap in greco moderno significa "ti amo" e cos venne chiamata quell'armata
italiana combattente in Grecia nella Seconda guerra mondiale per le caratteristiche,
propense agli amatorii ludi, dei nostri militi col giunti.
9 Omosessuale. Dal film Addio Kira (1942), a sua volta tratto da un romanzo di Ayn
Rand. Il nome era femminile (la parte della melanconica Kira era di Alida Valli), ma
probabilmente piacque ai gay d'allora, col suo esotico fascino.
10 I vespasiani di Bologna pullulavano di pecette pubblicitarie riguardanti sia il
magico "Mom" sia il noto preservativo, consigliato con frasi di vario genere, ad
esempio: "Meglio un Hat oggi che un ahim domani!". Quella a cui qui si fa
riferimento una frase del medico Paolo Mantegazza (1831-1910), autore di testi
capitali come Fisiologia del piacere.
11 La frase sarebbe "Bucaioli c' le paste!", dove non si capisce l'unione fra gli
omosessuali (bucai oli) e i dolcetti; ma i toscani la pronunciano quando, in occasioni
conviviali, la tavola particolarmente ricca ed invitante. L'A. l'usa qui per indicare
qualcosa di sparso in maniera doviziosa.
12 "Libera e Bella": marca di uno shampoo in vendita negli anni '70.
13 Come spiegano Fabio Foresti e Alberto Menarini (si veda la Bibliografia, a p.
216), questo termine indica una "solennit festeggiata periodicamente e a turno dalle
parrocchie di Bologna, con apparati e ornamenti sulle strade".
14 Semplicemente, Sottotenente.
15 Si tratta dei tarocchi in stile liberty disegnati dalla Colman Smith sotto la direzione
di Arthur Edward Waite (1857-1942), studioso di occultismo e autore di The holy
Kabala e di The key to th Tarots, pubblicati a Londra nel 1910.
16 N.H.: Nobilis Homo. Di questo titolo possono fregiarsi gli ufficiali.
17 Associazione spontanea che riunisce gli ufficiali inferiori (sottotenenti, tenenti,
capitani) appartenenti al medesimo battaglione o reggimento.
18 Un fuoristrada dell'Alfa-Romeo.
19 Sono i versi di Rudyard Kipling.
20 Die Mensur, dal latino mensura, misura, la distanza tra due persone che
duellano, di solito con la sciabola, o anche il duello stesso. Nella Germania degli anni

'30 e '40 si praticavano combattimenti fra gruppi di studenti appartenenti ad


associazioni paramilitari. Erano sfide al primo sangue il cui scopo era ottenere der
Schmiss, lo sfregio, il taglio, una cicatrice di solito sul viso che i duellanti
ostentavano con fierezza. Devo queste notizie al professor Matthias Schnberg,
docente, scrittore e poeta austriaco, brisa sgadizza!
21 Voce del gergo militare, di origine piemontese. Gli Allievi Ufficiali festeggiavano
i cento giorni alla fine del corso con la frase in dialetto: "Manca (mac) pi (TI) 100".
22 Ci si riferisce ad un samba dedicato a Brigitte Bardot, musica che imperversava
nei juke-box tutti dell'Italia primi anni '60. Il testo, qui, in finto brazil-portoghese.
23 A dir la verit la parola deriva dal raddoppiamento scherzoso del francese antico
gogne (divertimento, piacere).
24 Potevi comperarne, ad esempio, dieci minuti, e tutto quello che riuscivi a
mangiare era tuo.
25 Si sentiva come un smo. La serva di Zboli personaggio della mitologia
bolognese. Raccontano che la suddetta signora guadagnasse una lira al giorno e
perdesse, con lo stesso gentiluomo per cui lavorava, due lire ogni sera giocando a
carte.
26 A tressette si "bussa" per chiedere al compagno di giocare la carta migliore di un
certo seme. Quando si "vola", invece, si gioca l'ultima carta che di quel seme si
possiede.
27 Cos si chiamano a Bologna certe strade secondarie che consentono di raggiungere
il mare senza usare l'autostrada.
28 Noto omosessuale che si aggirava a Bologna degli anni '50 e '60.
29 Qui la memoria corre a Pagina di diario di Attilio Bertolucci.
30 "Quando i ragazzini giocavano a 'zacagno' lanciavano pietre e facevano punti
colpendo quella dell'avversario - cicato - o andandoci vicino - palmo" (Mingardi).
Insomma, bastava andarci vicino, anche senza ottenere l'ambito trofeo!
31 Si ricordi la nota strofetta popolare, che cos recita: "A i qualli d'via Fundaza /
chi han la gnca fata a taza / e i mare, guard al chs rr / i han l'usl fat a cucr".
[Ci son quelle di via Fondazza che han la gnocca fatta a tazza, e i mariti, caso raro,
han l'uccello fatto a cucchiaio.]
32 Il matto una carta del Tarocco bolognese che non prende e non pu esser presa;
la si mostra ai compagni di gioco e la si ripone nel proprio mazzo per evitare di
perdere una carta importante che si sarebbe obbligati a giocare. "Coprire il matto"
significa, dunque, mettersi con le spalle al sicuro.
33 Espressione misteriosa; ma si vede che i pantaloni di Delmo erano fatti con grande
precisione.
34 "La vetrina irrispettosa del rigattiere", dal tango El cambalache, in cui si paragona
il mondo contemporaneo alla vetrina confusa di un rigattiere.
35 Durante la Seconda guerra mondiale gli aviatori alleati dicevano "Roger!" al posto
di "Ali right, tutto bene".
36 "Scatolette sulla collina", da una canzone di Pete Seeger.
37 Localit in cui si trova il cimitero di Pavana.

38 il nome della famiglia (il cui ramo bergamasco aveva sullo stemma un tasso e
un cornetto postale) che per pi di trecento anni ebbe il monopolio delle
comunicazioni e dei corrieri postali dell'Impero Austroungarico e da cui, secondo
alcuni, deriva il nome dell'attuale mezzo di trasporto.

Indice
I. La despedida
II. Home, sweet home
III. Il primo bocheggio
IV. naia
V. All'erta sto!
VI. Sulmo mihi patria est
VII. finita per i nonni
VIII. E venne il tempo dell'Osteria
IX. Il Centoscudi
X. Il trppolo
XI. Ce n'est qu'un dbut...
XII. America, th beautiful
XIII. Gli andati
XIV. Incipit Vita Nova
Glossario
Fine.

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