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INCONTRO CON UN UOMO STRAORDINARIO - 15

tratto dal blog http://ilgrandeignoto.blogspot.com di Angelo Ciccarella

Quella sera terminò così. Zac era euforico e corse verso casa, salutandoci. Scandurra tutto contento
si stringeva al petto il giubbotto di pelle regalatogli dal suo allievo più promettente.
Io? Ero in uno stato pietoso. Mi rodevo dall'invidia, ce l'avevo col maestro e poi, dell'avventura
dell'amico, niente, tutto rimandato al giorno dopo.
Ma così non fu. Per ordine di Scandurra, su quanto accaduto in quel viaggio dimensionale, spaziale o
come diavolo definirlo, il massimo riserbo. Perché mi lasciava così? Perché Zac e non io, era andato
in quella missione? E, ancora, perché mi tenevano all'oscuro di tutto? Che il maestro avesse deciso di
fare una scrematura tra i suoi fedelissimi?
Queste e altre domande angosciose mi mulinavano in testa. Non ci potevo far nulla, non mi stava
bene. Avevo dedicato a lui, giorni e giorni di massima attenzione, di pazienza, di sottomissione
addirittura; gli avevo, come si dice dalle nostre parti, “portato l'acqua con l'orecchie”, ma tutto questo
non bastava, no, non era sufficiente.

Passai notti insonni. Non mi ero più recato da Scandurra e cercai con tutta la volontà di pensare ad
altro. Mi misi a studiare e a frequentare la Biblioteca provinciale. Ritornai ad allenarmi con la squadra
di calcio del mio quartiere e mi riconquistai un posto da titolare. Le domeniche andavamo a giocare
per il campionato e le trasferte diventavano vere e proprie avventure, tra tifosi assatanati e arbitri
“venduti”. Insomma, ritornai al mondo reale.

Il morso della vipera non cicatrizza.


Il mondo occulto ribussò alla mia porta. Una sera, insieme a mio padre, vedevamo la partita del
mercoledì di coppa, dove era impegnata una squadra italiana contro una tedesca. A quei tempi il
nostro era un calcio tattico fino all'ossessione, Gianni Brera sosteneva il modulo e auspicava maggior
atletismo, ma era ben conscio che l'italiano aveva limiti ben precisi. Insomma, noi si giocava in
contropiede e l'avversario ci assediava. Il portiere italiano diventava l'eroe della notte.
Una telefonata ci fece trasalire. Andai a rispondere.
“Angelino che fine hai fatto”, era Scandurra con tono sardonico. “La notte è troppo bella per passarla
davanti al televisore. Dai, ti vengo a prendere”. Ero tentato di rispondergli con un secco 'no'. Il
richiamo della foresta era però più forte.

Ero deciso a tenermi sul distaccato forte, non volevo fargliela passare liscia. Ripensandoci oggi, mi
viene da sorridere, ma il 1972 avevo 14anni e certe mie posizioni erano naturali.
Scandurra guidava con la sua solita flemma, poteva benissimo chiudere gli occhi e zigzagare per le
viette di Viterbo antica senza problemi. Uscimmo dalle mura cittadine e ci recammo verso la fontana
del Boia. Vi confesso che il cuore mi stava per sfondare il petto dall'emozione. Accostò e scendemmo.
Stavo per incamminarmi verso il fosso quando il maestro mi trattenne.
“Dove vai? Pensi di scendere laggiù? Ti senti pronto? Stasera volevo soltanto fare un giretto e bere

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da questo fontanile dell'acqua fresca. Tutto qui.”
“Ma Scandurra, mi hai fatto venire per farci una bevutina serale? Non capisco. Zac ha avuto una
possibilità incredibile ed io rimango al palo. Non capisco che devo fare. Ci sono figli e figliastri,
evidentemente. Se sono pronto? Questo lo stabilisci tu, ovvio, però ho diritto ad una spiegazione se
non ti dispiace.”
Il maestro mi guardò nelle 'palle degli occhi', come soleva fare e dire, poi si umettò le labbra e si
diresse in direzione del fosso. Lo seguii un po' crucciato e una punta di vergogna incominciò a salirmi
da dentro.
Con mia sorpresa, davanti al fosso, sostava una macchina di grossa cilindrata. Scandurra si avvicinò
al finestrino e bussò. Due uomini, uno sulla cinquantina e l'altro che non aveva più di venti anni, si
tirarono su da una posizione supina, seminudi. Il più grande abbassò il finestrino e impacciatissimo
salutò Scandurra.
“Ciao carissimo, sai, stavo facendo vedere questo lotto ad un mio cliente... ehm, è intenzionato a
comprarlo per costruirci.”
“Dottor Federici, il posto è proprio bello, specialmente di notte. Spero che il suo cliente non se lo lasci
sfuggire. Ma vedo che le ha già anticipato un acconto. Bene, è meglio non perdere tempo. Dottore, un
saluto alla signora e buonanotte”.
I due 'uomini d'affari', in fretta e furia, si ricomposero e sparirono nella notte alzando un polverone.
Scandurra si mise a ridere alla grande. Conoscevo di nome il dottor Federici. Noto proprietario terriero
e di diversi negozi al centro, democristiano doc e dirigente dell'azione cattolica provinciale. Insomma,
un notabile influente e ascoltato nei salotti che contano. Certo, pur di fare buoni affari, era disposto a
tutto. Mi rivenne il buon umore e risi col maestro. “Copulavano, eh? Senza invidia.” Sentenziò
Scandurra.

Si accovacciò presso il fosso e come se pensasse ad alta voce pronunciò uno dei suoi teoremi:
“La Materia è così evanescente da diventare un buco, lo Spirito può riempirlo completamente perché
è solido”.
La serata era fredda ma bella. Mi sentivo come riconciliato col maestro. Compresi che ero stato
infantile. Possedevo dentro di me la sacra fiamma, non avrei potuto far altro che incamminarmi lungo i
sentieri della conoscenza. Detto così sembro enfatico, ridondante, ma chi mi conosce sa bene che è
la mia natura. Mai ho aspirato ad una vita borghese, ad una mentalità borghese, ad una fede
borghese. La religione cattolica mi stava stretta, almeno quella che ho conosciuto sin da bambinetto.
La liturgia, la preghiera, il rapporto col prete, mi apparivano esperienze fiacche. Non volevo sentir
parlare di Dio e del Suo Regno, desideravo sperimentare, percepire. Non era orgoglio il mio, ma una
sete inattenuata di assoluto, di segrete cose.
La sacra fiamma per essere acquietata, pena la distruzione, deve canalizzarsi. Ringrazio il Padre
Celeste che mi ha condotto il maestro a tempo debito.
Non tutto quel che vidi, compresi. Non tutto quel che feci, imparai. Di tentativi ne feci tanti e di sbagli,
altrettanti.

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Dapprima l'odore proveniente dal fossato era insopportabile, poi cambiò. Diventava sapore, lo sentivo
in bocca. Sapeva di metallo.
“Ti senti pronto?”, mi chiese di nuovo Scandurra.
“Credo di sì, però tu conosci meglio di chiunque altro, cosa sono in grado di fare.”
All'improvviso sentivo le gambe molli, la pancia mi bruciava... Mi rendevo conto in quel momento di
quanto fosse difficile, incognito entrare lì dentro.
“Si fa presto a dire: esiste solo ciò che vedo. Si fa presto a dire: vedo solo ciò che esiste. Ma pochi
dicono: proviamo. Vedi, Angelo, da giovinetto facevo parte di un'anonima talenti, una gilda. Gente con
poteri non comuni. Il principe ci addestrò a rendere questi poteri utili, chiavi per accedere ad altre
dimensioni. Ci indicò come trovare le botole che si affacciano su altri mondi. Alcuni di noi, forse per
superbia o perché smisuratamente sciocchi, pensarono bene di modificare addirittura gli altri universi.
Sembrava tutto pazzesco, ma anche drammatico. Un compagno sparì. Un altrò ritornò svalvolato e
non si riprese più.
Per me, da principio, il potere era una enorme scocciatura; vedere il destino ultimo delle persone,
cambiare le cose, manipolare la materia, mi faceva alla lunga soffrire. Poi imparai ad usarlo per
accedere e compresi il fine.
Essere cittadino dei due mondi, pendolare senza scalo fisso, oltrepassatore di ponti, saltafossi: questi
i compiti.
Zac è tosto ma non è questo il suo lavoro, tu, invece, potresti ricevere la stessa consegna. Si fa sul
serio, maledettamente. Dovrai rinunciare a molto, forse a troppo. Però, c'è sempre un impiego in
banca che ti aspetta.” .

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