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Angelo Brelich
(dispense 1968/69)
Da questo sfondo si stacca per varie ragioni il manuale di Introduzione alla Storia
delle religioni di A. Brelich, I ed. Roma 1966, ultima ed. 2003, che continuiamo a
scegliere come testo base per la didattica della disciplina.
Osserviamo tuttavia che negli ultimi anni i titoli di manuali e monografie tendono
in modo inequivocabile a privilegiare il singolare religione e dimenticare la storia
in favore di scienza, antropologia. Perspective on Methods and Theory on the
Study of Religion è il titolo che riassume l’argomento del XVII congresso
indetto dalla <international Association for the Study of Religions tenutosi a Città
del Messico nel 1995 ( gli atti sono pubblicati a cura di A.W.Geertz e R.T. Mc
Cuthchon )
Cosa è un Dio ?è il titolo di una raccolta di saggi sulla natura della divinità greca
editi da A.B.Lloyd, What is a God , The Classical Press of Wales, 1997. Qui ci si
interroga sulle qualità che fanno di un’entità extraumana un dio anzi tutto come
figura del politeismo tenendo presente comunque che gli dei non sono “dio” e ci
sono figure extraumane che non sono dei .
In ogni caso nei molti studi dedicati al problema rimane carente,troppo sottintesa
la necessità di partire da una prospettiva storica,mettere in “storia” il concetto di
dio ,denunciando il fatto che il concetto stesso di dio è una costruzione
circostanziale ,delimitata nel tempo e culturalmente segnata .
Nella prospettiva strettamente storica si pone la cosiddetta “scuola storico-
religiosa di Roma “ sulla quale si richiama la massima attenzione.
Il concetto di dio appare elaborato anzi tutto nell’ambito di un modello politeistico
per il quale è assunto come esempio originario il politeismo sumero,creazione
autonoma di una grande cultura mesopotamica della prima età del bronzo , III
millennio a.C. e oltre .
Di politeismo, cioè di un sistema simbolico articolato sulle funzioni intrecciate di
esseri sovrumani plurimi, si era occupato già Angelo Brelich a partire da un
notevole articolo comparso sulla rivista Numen (1960). L’articolo è disponibile
in traduzione italiana in A. Brelich Mitologia Politeismo Magia a cura di P.
Xella, Napoli 2002.
Importante notare l’insistenza con la quale si sottolinea il senso dell’ampio spettro
di possibilità proposte dai sistemi politeistici che rimandano ad un universo
simbolico nel quale si muovono entità extraumane plurime tra loro correlate da
rapporti funzionali correlati con il mondo umano raccontato dal mito.
In ogni caso il sistema simbolico politeistico esprime un modello culturale
complesso elaborato dalle grandi culture del mondo antico a partire dalle culture
della Mesopotamia ,la terra tra i due fiumi ,a partire dal III millennio a.C. ma
presente tuttora in grandi culture dell’attualità come l’induismo ma anche lo
shinto giapponese ed comunque sottinteso dal Buddismo nelle sue varie forme .
Rispetto la pluralità diffusa del sistema politeistico nelle grandi culture del mondo
antico si pone la fondazione storica, funzionale ed isolata del modello
monoteistico, il monoteismo, credenza in un dio “solo”, onnisciente onnipotente e
creatore, responsabile del cosmo e dell’umanità si propone come un modello in
qualche modo tardo .
Si tratta di quella che possiamo definire nella storia l’“invenzione” circostanziata
che garantisce anche l’identità di Israele come ethnos, popolo che si lega
attraverso un patto infrangibile con il suo dio .
Raffaele Pettazzoni, fondatore della scuola storico-religiosa romana, ha dedicato
una grossa parte della sua ricerca proprio a dimostrare la qualità “ storica “del dio
Uno ,senza entrare tuttavia nelle problematiche teologiche della sua esistenza a
livello ontologico .
Il modello monoteistico si basa su una concezione unitaria esclusiva ed
esclusivista dell’ordine, a cominciare dall’ordine cosmico che per essere tale e per
mantenersi deve avere un’Unica Causa fondante. Si tratta di un modello che ha in
ogni caso influito in modo rilevante sui modelli di quello che possiamo definire in
senso ampio l’organizzazione dell’ “ordine politico”.
Il valore “politico” del simbolico monoteista è stato ben messo in luce in un
famoso saggio del teologo tedesco Erik Peterson “Il monoteismo come problema
politico”, ( Tubinga 1935) uscito in traduzione italiana solo nel 1983.
Riassumendo molto rapidamente il concetto guida di fondo di un testo che è stato
più volte analizzato sottolineiamo il rapporto tra il modello teologico d’ordine nel
cosmo che ha come garante necessaria un'unica fonte di autorità e di potere –il
dio uno- e il modello di governo in terra che per funzionare deve proporsi in una
chiave totalizzante che possiamo definire etimologicamente “monarchica”.
Il tema della collocazione storica del modello monoteistico in senso proprio è
discusso da ultimo da Sabbatucci nel volume Monoteismo (Roma, 2000) dove
l’autore riprende e sviluppa quello che fu il tema incompiuto di Pettazzoni, il
fondatore della scuola italiana laica di storia delle Religioni.
Ad esempio gli esseri extraumani presenti nei sistemi mitico-rituali di quei popoli
che etnologia, antropologia e storia delle religioni hanno definito “primitivi”,
possono non essere propriamente dei, ma la gamma delle loro funzioni assolve
pienamente al compito di fornire la strumentazione necessaria per costruire il
“religioso”. Se con questa etichetta intendiamo la costruzione di una piattaforma
simbolica ,di un modello referenziale ,necessario agli umani pensanti per esistere .
Atrumenti per costruire le strategie atte a evitare quella “angoscia del non esserci”
che Ernesto De Martino individuava come luogo per eccellenza della necessaria
costruzione del “sacro” della “religione”, delle “religioni”.
In ogni caso è chiaro che oggi non è certo possibile accettare la definizione
proposta dalla Enciclopedia Cattolica che in una sua versione inglese del 1913,
scelta a caso , alla voce Religion dice: “Religion ..means the voluntary
subjection of oneself to God” Religione significa la volontaria sottomissione a
Dio.
Per Brelich il termine religione che usiamo è segnato in modo indelebile dalla
storia della cultura nella quale il termine è stato coniato, quella romano-cristiana.
(Su Angelo Brelich vedi Chirassi Colombo , Il lungo impegno,in Angelo Brelich e
la
Storia delle religioni P.Xella -M.G.Lancellotti cur.Verona 2005 pp.145-187
Religione e Sacro
Il “sacro “nella prospettiva ottiana rendeva possibile, anzi facile, una “storia
comparata delle religioni” e spiegava, filosoficamente, la equiparazione tra
culture e religioni richiesta dal relativismo antropologico innestato dalla scuola
dell’antropologo americanista Franz Boas attivo proprio agli inizi del XX
secolo,che ribadiva la necessità di considerare ogni singola cultura come
espressione in sé valida di valori condivisi non giudicabili sulla base di modelli
estranei.
Il “sacro”di Otto non si confonde comunque con l’idea di dio o con i vari
modelli di dei, ma esprime l’Assoluto in sé che identifica e solidifica il Tutto
Altro (Ganz anders) con il quale gli esseri umani conoscono attraverso
l’esperienza del numinoso” dal latino numen,esperienza della potenza che
appare come qualche cosa di tremendum .
Il sacro assoluto di Otto non è un modello “tassonomico” - come il sacer per i
latini che con questo termine,“dichiarano” i luoghi ,le persone ,intesi come tutto
ciò che si contrappone , il “profano “ .Anche se la contrapposizione può non
essere così netta e pone interessanti problemi soprattutto per quanto riguarda le
oscillazioni tra puro ed impuro che troviamo determinanti ad esempio per la
definizione dell’identità ebraica attraverso le regole dell’ortoprassi rivelate nel
Levitico Puro è tutto ciò che è consumabile ,fruibile,giornaliero,..profano ,
impuro è ciò che è vietato, l’animale che non può essere mangiato (quindi è
intoccabile ,ed è salvato dal sacrificio e dall’appetito) ,ma anche la donna
mestruata ed intoccabile L’impuro è tutto ciò che si circonda di precauzione , si
proietta come potente .
Il “sacro “ di Otto esiste in sé ,al di fuori dei sistemi relazionali e si esprime nel
religiöses Erlebnis, nell’”esperienza emozionale religiosa” che è esperienza non
classificabile né definibile .Il “sacro “ di Otto si presenta come “emozione”
provocato con il tutto altro sconosciuto .
La qualità del sacro come totalmente estraneo all’umano determinerà la “fortuna”
del concetto nel “pensiero “ del ‘900 .
Per definire la sostanza ultima che permette l’esperienza del sacro e trascende
tutti i modelli religiosi realizzati nella storia, Otto usa il termine “numinoso”, dal
latino numen, che indica la divinità intesa nella sua essenza, come potente e
fondamentalmente misterioso, indicibile, inconoscibile dalla ragione, quindi
esplicitamente “irrazionale “ o meglio a-razionale.
Riducendo il nucleo di ogni manifestazione religiosa alla esperienza della sua
“Essenza”, esperienza di manifestazione dell’Essere, del Sein, la ricerca di Otto si
propone come base facile per quella apertura alla comparabilità di tutte le
“religioni”, come comparabilità di tutte le esperienze del sacro quale si rivela negli
universi simbolici elaborati dalle varie culture .
Il sacro ottiano permette di includere nella ricerca le manifestazioni religiose dei
popoli più lontani dal cristianesimo eurocentrico e più generalmente estranei alla
dittatura del Dio monoteistico ,giudaico – cristiano –e islamico.( Non
dimentichiamo la precisa presa di posizione islamica rispetto i modelli del
simbolico religioso altro che propone irriducibile l’islam irriducibile ad ogni tipo
di comparazione se non limitatamente ai popoli del libro, i popoli del
monoteismo.
Fenomenologia e relativismo
Feticismo e idolatria
Progresso e religione
Storia di Dio
Inseriamo qui una breve “storia di dio” che si presenta come argomento di grande
interesse nella cultura etno-antropologica e storico-religiosa del primo Novecento.
Riprendiamo il tema come fu analizzato attraverso il celebre “scontro” sugli
Esseri Supremi delle culture etnologiche ed il Dio dei monoteismi, che vide
opposti il gesuita Wilhelm Schmidt e lo storico delle religioni italiano Raffaele
Pettazzoni.
Pettazzoni interviene rispetto la provocatoria segnalazione del saggista scozzese
Andrew Lang che richiamava l’attenzione sulla presenza di High Gods, Grandi
Dei, Esseri Supremi per molti aspetti simili al Dio dei monoteismi, nei sistemi
mitico rituali dei popoli senza scrittura, i cosiddetti primitivi, in particolare gli
aborigeni australiani considerati, secondo la scala evolutiva, i più distanti dalle
culture “alte”
Contrariamente a quanto ci si poteva aspettare i ricchissimi complessi mitici e
rituali dei “primitivi” australiani al posto di confusi modelli “animisti”
presentavano come figure del loro simbolico le High Gods, Supreme Beings,
Esseri extraumani creatori e ordinatori del mondo, ed in alcuni casi anche di quel
mondo responsabili comparendo come legislatori e punitori
Per padre Wilhem Schmidt,gesuita etnologo,gli Esseri Supremi indicati da Lang ,
presenti non solo in Australia ma anche nell’Africa equatoriale presso i Pigmei, in
Patagonia presso i Fuegini, nelle isole dell’oceano indiano come le Andamane ecc.
costituivano la conferma della realtà del racconto biblico in quanto
rappresentavano spezzoni di una umanità prediluviale, dispersa dopo il grande
diluvio che vide salvato solo Noè con la sua arca.
Pettazzoni si oppone all’interpretazione antistorica di Schmidt esaminando
anzitutto le caratteristiche degli Esseri Supremi proposti all’attenzione . il fatto che
l’Essere supremo non è il dio monoteistico anzi tutto perché non vuole essere
riconosciuto unico e lascia ampio spazio ad interferenze altre.
Con i tre volumi dei Principles of Sociology, pubblicati a Londra tra il 1876-1882,
1896, Herber Spencer aveva gettato le basi per quella interpretazione della
“religione come fatto sociale”, che dovrà essere sviluppata dalla scuola
sociologica francese di Emile Durkheim.
Ripescando la vecchia teoria dell’origine degli dei da antichi sovrani divinizzati,
teoria proposta da Evemero da Messana (III a.C.), Spencer argomenta attraverso
una serie di indagini documentarie la tesi secondo la quale la religione nasce
essenzialmente dal culto per un morto importante, un morto antenato ,il cui ricordo
cultualizzato è necessario per il mantenimento della consapevolezza identitaria del
gruppo.
Da ciò la definizione teorica attraverso il termine manismo. I Manes spiriti dei
defunti, sono importanti ma devono restare al loro posto. Manes nella antica
religione romana sono i morti di famiglia , i manes paterni che il pater familias
“deve” cacciare con la formula di esorcismo manes exite paterni nella notte del
triduo dei Lemuria (9.11,13 maggio). Secondo Spencer intorno ai morti di famiglia
si sarebbe sviluppato un complesso simbolico rituale che costituisce il primo
tessuto di un comportamento religioso.
Da osservare che la teoria spenceriana è preceduta almeno a livello di
applicazione ad una concreta realtà, dalle ricerche di Fustel de Coulanges sulla
città antica , “La Cité antique”, Parigi 1864 (tr. it. La città antica. Studio sul culto,
i diritto e le istituzioni di Grecia e di Roma, Bari 1925).
Per Fustel ciò che tiene insieme, identifica l’assetto della città antica è il sistema
religioso che ha il suo perno nel culto dei morti, i morti del gruppo divenuti
antenati, sono resi presenti attraverso la costanza ripetitiva del rituale. La
religione dei morti è la spina dorsale del corpo politico.
Importante l’enfasi posta sulla funzione sociale della struttura convenzionalmente
interpretata come religione.
Il religioso sociale è esplicitamente posto al centro dell’attenzione da Emile
Durkheim e dalla sua scuola.
Emile Durkheim (1858-1917) inizia la ricerca dell’origine della religiosità umana
intesa come modello di organizzazione del simbolico partendo dalla collettività,
dal sociale.
La forma religiosa della società umana primitiva deve essere strettamente legata
ai bisogni della organizzazione del gruppo, della società.
Questa forma primitiva di simbolico sarebbe data dal totemismo. Il concetto base è
suggerito dall’isolamento del concetto di totem. Totem da ototeman - termine in
uso presso gli Ojibwa indiani nordamericani del grande gruppo algonchino -
riportato in un libro di viaggi da J. Long già nel 1791, rimanda al rapporto tra
fratello e sorella uterini e poteva essere usato genericamente per indicare un
rapporto di parentela e di amicizia tra due persone ma anche l’appartenenza ad
un gruppo che si riconosceva, ad esempio attraverso un rapporto di eponimia, in
relazione con un animale o una specie vegetale o altro. Questo rapporto
comportava una serie di interdizioni (proibizione di uccidere e mangiare
quell’animale o raccogliere e mangiare quel frutto). Le interdizioni, i tabu,
definivano le identità di ciascuno attraverso l’appartenenza ad un clan coinvolto
esplicitamente nel sistema delle proibizioni legate al suo totem.. I membri di un
clan infatti sono identificati dai particolari rapporti che intrattengono con
l’animale - pianta - oggetto totemico, sono vincolati al totem soprattutto
attraverso una serie di negazioni, il non poter fare una certa cosa, o non poter
mangiare un certo cibo, ecc.
Tabu diventa così, insieme a totem, termine di straordinaria rilevanza che entra nel
parlar comune, per così dire, attraverso l’antropologia del primo ‘900. Coloro che
si trovano in relazione totemica sono soggetti ad una serie di divieti: non possono
uccidere l’animale totemico né mangiare la pianta totemica ma neppure
intrattenere relazioni matrimoniali con coloro che hanno lo stesso tipo di rapporto
con lo stesso totem ecc.
Il sistema totem - tabu si rivela così come un primo modello simbolico
tassonomico di grande importanza, paragonabile ad altri sistemi dicotomici
registrati nella storia, come il fas-nefas, lecito-illecito, sacro-profano, oppure ai
sistemi di divieto imposti dalle “regole” delle religioni monoteistiche legate
all’osservanza di una ortoprassi rivelata come l’ebraismo e l’islam.
La differenza sta nel fatto che le proibizioni nelle religioni cd. superiori ,non solo
nei monoteismi, sono presentate come volontà di una entità superiore, un dio, dio
mentre nelle religioni cd. “primitive”, quelle studiate da Durkheim, la proibizione
riguarda la cosa o la situazione in sé in quanto posta in una relazione
strutturalmente pericolosa che è fondata miticamente. E’ il mito infatti, il racconto
complesso, che fonda la situazione cosmica attuale: il paesaggio terrestre, i generi
maschile e femminile, i modelli del nascere e del morire, gli aspetti e qualità di
piante e animali. Una situazione che il principio di evitazione, il tabu, permette di
essere “animata” dai circuiti delle reciproche ed obbligate relazioni.
Il totemismo, sorto come sistema eminentemente classificatorio, ha potuto
assolvere il ruolo di una “prima religione”, una prima religione “sociale” che
proprio nell’articolazione della dipendenza genealogica da un punto forte pensato
potente, l’antenato totemico, e la serie di divieti vincolanti - tabu che regolano i
rapporti con il totem, assolveva al compito di dare un’organizzazione visibile
basata sul riconoscimento delle differenze e dei necessari rapporti regolari di
scambio, all’altrimenti caotico gruppo. La “religione” classificatoria del totem e
del tabu diventa per Durkheim la prima necessaria piattaforma dell’umanità nel
cammino della sua autorappresentazione sociale.
Per Durkheim il totemismo sarebbe una piattaforma di base conosciuta nella
lontana preistoria da tutti i diversi popoli, dalle varie culture.
La critica recente ha negata la presenza universale del modello totemico ma in
ogni caso il “totemismo sociologico” di Durkheim - nonostante la sua
vanificazione - ha avuto comunque il merito di evidenziare l’importanza
strutturale, la “razionalità” dei sistemi classificatori garantiti dall’intreccio dei
miti e dei riti e usati dalle “primitive” tribù (ad esempio quelle australiane) per
dare forma, cosmicizzare il gruppo in rapporto al territorio.
Di contro possiamo osservare che assai meno razionale appare il sistema di
proibizioni che troviamo nei sistemi monoteisti che si poggia e giustifica
essenzialmente sull’accettazione di un enunciato divino che vincola in modo
arbitrario.
La “razionalità” dei sistemi totemici basati sull’articolazione del divieto,
imperativo negativo, ed i suoi effetti sull’organizzazione del tessuto sociale, è
evidenziata già nel saggio che Durkheim scrive in collaborazione con il nipote
Marcel Mauss “De quelques formes primitives de classification” (1901), tradotto
in italiano in Hubert – Mauss, L’origine dei poteri magici; e altri saggi di
sociologia religiosa, Roma , Newton Compton, 1977 (ma vedi l’edizione inglese
E. Durkheim – M. Mauss, con prefazione importante di R. Needham, Primitive
classification, Chicago, 1963). I dati sono tratti dalle pubblicazioni degli etnologi
di campo Spencer e Gillen sulle tribù australiane del Nord, in particolare sono
considerati gli Arunta (The Northern Tribes of Central Australia London 1899).
Nel saggio del 1901 Durkheim e Mauss prendono in considerazione le tribù di
Mont Gambier come esempio che pur nella sua incompletezza può rivelare come
funziona un sistema “totemico” sulla base di rapporti obbligati per negazione. Per
molti aspetti l’analisi risulta esemplare anche se non dimostra l’assunto di base, la
realtà di una “religione” totemistica come modello religioso base di tutte le
esperienze umane.
La tribù si presenta come un insieme organizzato anzi tutto attraverso la divisione
in due parti, divisione binaria che ritorna ripetutamente, a livello fenomenologico,
al di fuori dell’Australia. Le due parti, convenzionalmente definite fratrie nella
percezione occidentale, sono a loro volta suddivise in vari sottogruppi definiti a
loro volta per convenzione clan. Clan e fratrie si determinano attraverso una
registrazione del cosmo altamente significante espressa attraverso i modelli del
mito e del rito, che organizzano attraverso la reciprocità dei divieti il simbolico
religioso ed insieme determinano l’assetto sociale in atto.
Le due fratrie, KUMITE e KROKI, comprendono una serie di clan a loro volta
collegati con elementi, situazioni, presenti nel cosmo che in base alla bipartizione
delle fratrie vengono a trovarsi in rapporto di opposizione. Riassumiamo le
tabelle dei modelli relazionali elaborate da Durkheim- Mauss:
Esiti neofunzionalisti
Il relativismo culturale, nel quale viene coinvolta la produzione del sacro, cioè la
dimensione religiosa, giunge ad affermare che le singole soluzioni culturali sono
comprensibili solo all’interno del proprio quadro di referenza, le scelte di vita
culturale proprie del gruppo , quindi fondamentalmente non sono neppure
“comparabili” ma devono essere accettate nella loro “incomunicabile” integrità.
Il relativismo culturale innescato da F. Boas rappresentò il lascito teorico
concettuale per una vasta schiera di allievi più o meno diretti.
Alla Columbia University è assistente di Boas Ruth Benedict (1887-1948).
Anche la Benedict è convinta della necessità di dover accettare ogni singola
cultura per come quella cultura sceglie di presentarsi.
Così Ruth Benedict scrive nel volume diventato un classico Patterns of Culture
(1934 ) Modelli di cultura ( tr.it 1966): Per l’antropologo i nostri costumi e
quelli della Nuova Guinea sono due possibili schemi sociali per risolvere un
problema comune e fino a quando egli rimane antropologo deve evitare di dare
maggior peso all’uno o all’altro”
Ovviamente l’orizzonte del religioso compreso nel culturale, porta con sé il fatto
che ogni modello religioso, ogni “religione” vale di per sé in quanto parte
essenziale dello “stile”di una cultura. Ne consegue che ogni modello religioso
deve essere accettato su un piano egualitario di rispetto.
Sullo sfondo la prospettiva del relativismo culturale si delinea come arma di
pensiero potente spesa in difesa delle identità fragili messe in discussione dalle
pressioni globalizzanti .
Prospettiva tuttavia che finisce spesso ed inevitabilmente con il contrastare la
piattaforma dei Diritti Umani , indubbia elaborazione del razionalismo culturale
occidentale creando ingorghi problematici di non facile soluzione.
Excursus
Un convegno organizzato da quella che tra luci e molte ombre rimane la più
vasta organizzazione internazionale per lo studio delle religioni, la I.A.H.R.(
International Association for the History of Religions ), a Roma nel settembre del
1990 aveva posto come tema centrale “La nozione di religione nella ricerca
comparata”.
Un intervento ( Irmischer) si occupa della etimologia di religio, il termine latino
che sta dietro la definizione di religione nella maggior parte delle lingue europee.
L’ambiguità sta nel “senso” dato dalla interpretazione etimologica circostanziale:
rapportare il termine a religare oppure a religere ,relegere.
Religare significa unire insieme ed è scelto per indicare nella religio il legame
che l’umanità sceglie di avere con il divino. E’anche l’etimologia scelta dal
grande padre della Chiesa S.Agostino (IV d.C.)
L’altro etimo è inserito invece nella realtà del politeismo romano. Lo si trova in un
passo del De Inventione ( 2,161) di Cicerone, opera giovanile dedicata ai
problemi della retorica. Il famoso avvocato avversario di Cesare qui dà la
definizione della “sua” religione, il politeismo, organizzazione del simbolico
funzionale alla respublica romana, allo “stato” romano.
E’una definizione perfetta per capire il valore della religio nel politeismo di stato
romano.Religio riguarda “tutto ciò che comporta la cura e gli onori riservati ad
un essere superiore la cui natura definiamo divina “(Religio est quae superioris
cuiusdam naturae quam divinam vocant,curam caerimoniamque effert
La religione si risolve nella prassi rituale inserita nel culto, una dimensione
cerimoniale che deve essere assolutamente corretta. Religione come prassi
liturgica, rito,è vista come mezzo necessario per mantenere il giusto ordine tra le
due differenti situazioni, uomini e dei.
Poco dopo il termine religio si specializza in modo esplicito. Nel lessico latino di
Aulo Gellio (II secolo d.C) il valore ritualistico è esemplificato: il “religiosum”
ciò che riguarda la religio corrisponde al “nefas”, ciò che è proibito per motivi
non definibili. Ma la proibizione significa sottrazione all’uso comune , Cadono
nella categoria del religioso comportamenti sottoposti a prescrizioni negative
proponendosi come strumento di articolazione di quella dialettica tra lecito e
illecito, puro ed impuro che comincia ad avere un ruolo assai rilevante nella storia
allargata del Mediterraneo già a partire dalla metà del V secolo a.C.
E’ l’epoca nella quale gli ebrei liberati dall’esilio in Babilonia dall’intervento
persiano di Ciro e Dario organizzano il corpus delle Leggi Speciali che fondano la
identità ebraica ortodossa - la Torah .Periodo durante il quale in contemporanea
cominciano a emergere dalla testimonianza epigrafica tutta la vasta e articolata
gamma di proibizioni che scandiscono la vita dei cittadini nelle diverse poleis,
nelle città come nei santuari del Mediterraneo politeista di lingua greca. Il nodo
del rapporto cronologico tra le due circostanze parallele è ancora da risolvere
Nel contesto dei modelli politeistici gli imperativi negativi, le proibizioni, non
assumono comunque la rilevanza che hanno nel regime severissimo
dell’ortoprassi comandata dalle leggi speciali ebraiche.
Nel politeismo romano divieti ben noti , tabu ,isolano la figura importante del
flamen Dialis ,il sacerdote principale del dio Juppiter, massima divinità del
pantheon .Per il flamen religio est “è vietato” (senza possibilità di appello )
montare su un cavallo, vedere un esercito ecc. Per sua moglie la flaminica, è
religiosum, vietato, salire su una scala con più di tre gradini ecc.
Sempre Aulo Gellio riporta la definizione di religiosi dies, ”giorni religiosi” per
quei giorni del calendario nei quali non si deve fare niente di “religioso”, è
impedito” res divinas facere”, occuparsi di cose divine ( Noctes Atticae, IV, 9, 5).
Quindi i giorni religiosi sono giorni “lavorativi”!
Accanto a questi giorni “religiosi” segnati riguardo l’uso del tempo, troviamo
luoghi segnati nello spazio, i loca religiosa. Sono luoghi segnati da eventi
naturali, ad esempio colpiti dai fulmini, i bidentalia. Oppure luoghi scelti per
segnare nella memoria un evento naturale ed inevitabile che tutte le culture
variamente culturalizzano come la morte: in Roma sono loca religiosa le tombe.
Religioso dunque è qualche cosa che viene indicato come in rapporto con ciò che
è stato posto al di fuori della immediata fruizione dell’umano,non necessariamente
extraumano,comunque “vietato”.
Il concetto di “religioso almeno a Roma è dunque un modello eminentemente
“classificatorio “di fare ordine, costruire cosmo indicando ciò che si può o non si
può fare. Ovviamente è una interpretazione esplicitamente legislativa che fa parte
dello ius romano.
Questo excursus sul lessico storico di religio – religione si ferma dinanzi alla
soluzione rigida del valore che il termine assume ponendosi come “categoria
autoritaria”.
In questo senso è da considerare il valore di religione nell’uso politico
contemporaneo dall’assolutismo fondamentalista del “nuovo cristianesimo”
americano al nuovo fondamentalismo islamico.
Con la formula diritti umani si rimanda ad una piattaforma legislativa super partes
– al di fuori dei codici tradizionali, compresi ovviamente quelli delle varie
ortoprassi religiose secondo una prospettiva aperta in epoca moderna
dall’Illuminismo.
Tuttava l’idea del mondo come luogo comune nel quale vivere secondo regole
comuni , non di natura ma di cultura comune è ben presente nel mondo antico
come finalità perseguita dalle scuole filosofiche greche e sottintesa nel
programma di globalizzazione attribuito ad Alessandro Magno Il giovane
principe macedone voleva unificare il mondo unendo tutti gli uomini ,al di la di
ogni differenza di ethnos,di razza , nella pratica della arete ,della virtu, quella
virtu greca per eccellenza che è la pratica politica ,nel senso di saper vivere nella
polis ,la città
Vivere il mondo come la città comune.
Nel 1948 si arriva alla Dichiarazione dei Diritti Umani elaborata nell’ambito delle
Nazioni Unite, 58 allora, tra le quali solo 4 paesi africani, Egitto, Etiopia, Liberia,
Unione Sudafricana, 14 paesi asiatici, 6 repubbliche socialiste dell’est . Nel
preambolo si afferma l’auspicio di un mondo nel quale siano espresse le 4 libertà
già formulate da Roosvelt per gli americani nel messaggio al Congresso del 6
gennaio 1941 : la nuova società che doveva sorgere dopo la guerra doveva basarsi
sul rispetto da parte di tutti ( in ogni pare del mondo ) del diritto di parola e di
pensiero, di religione, di libertà dal bisogno, dalla paura.
Il filosofo cattolico Jacques Maritain (I diritti dell’uomo ed il diritto naturale,
1941) interpreta la globalizzazione dei diritti come estensione dell’ecumene
cristiana nel senso del riconoscimento primario dell’esistenza di Dio come “fonte
principale del diritto naturale e dell’autorità tra gli uomini”. Palese l’angolazione
occidentale nel segno del monoteismo in particolare cristiano come modello
assoluto al quale si può aggiungere il concetto altrettanto assoluto di “religione” al
singolare come “categoria” ontologica.
Fonte primaria del “diritto naturale” è così il Dio creatore,il dio del monoteismo,
che si pone come garante di quei diritti di base che stanno anche dietro le leggi
rivelate
Da riconsiderare i termini dell’ostilità dei regimi marxisti alla definizione dei
diritti interpretati come emanazione dei bisogni di una società borghese.
Nella società comunista ideale gli individui non avrebbero bisogno di tutele in
quanto perfettamente integrati nella globalità di una esistenza organizzata in modo
da garantire tutte le libertà.
Il delegato dell’Ucraina, Visijnski al momento del voto - 9 dicembre 1948 -
dichiarò – in questo caso giustamente -la palese contraddizione tra i diritti
proclamati sulla carta e ciò che avveniva nella quotidianità nei paesi capitalisti.
I paesi socialisti imposero l’inserimento nella dichiarazione dei diritti basati sulla
uguaglianza - divieto di discriminazione per razza, sesso, colore, lingua, religione,
opinioni politiche, proprietà, nascita ecc - il diritto di ribellione, di
autodeterminazione dei popoli coloniali, di avere a disposizione i mezzi di
comunicazione per difendere le proprie rivendicazioni.
I paesi socialisti si opposero alla libertà incondizionata accordabile a tutti, anche a
coloro che miravano alla ricostruzione di modelli autoritari, con una serie di
emendamenti che furono respinti.
Il delegato sovietico propose nella seduta del 10 dicembre ’48 la
regolamentazione dei Diritti universali anche all’interno degli statuti dei singoli
stati.
Questa tesi si opponeva alla sottintesa libertà accordata alle Nazioni Unite di
intervenire a livello internazionale dove venivano violati i diritti universali.
L’articolo 29 della Dichiarazione prevede delle “limitazioni ammissibili” dei
diritti umani – accogliendo così indirettamente il richiamo alla sfera del Costume,
dell Tradizione come strumento di controllo sociale,discrezionale nelle singole
realtà statali. Articolo ambivalente molto pericoloso come il contemporaneo
immediato dimostra.
I Diritti Umani così come organizzati nella dichiarazione del 1948 propongono
attualmente il nodo che si trova ad affrontare quella che è stata definita la
Multicultural Jurisdiction ,cioè il sistema o i sistemi giuridici che devono
affrontare singolarmente i problemi posti dal rispetto delle diverse identità culturalii.
Problemi che inevitabilmente si pongono nell’ottica dell’interculturalità
Un caso emblematico il problema delle mutilazioni genitali, infibulazione,
clitoridectomia ed altri tipi di interventi invasivi praticati attualmente in ambito
islamico sulla base di regole consuetudinarie inserite senza effettivi riscontri nel
quadro di un obbligo di obbedienza “religiosa”. Il Corano ad esempio non ne fa
cenno.
Sono pratiche riconducibili in senso lato agli interventi sui corpi prepuberi o appena
puberi presso svariate culture nell’ambito dei cosiddetti “riti di passaggio” ,secondo
la nota definizione di van Gennep Les rites de Passage (1902) , elaborati per
introdurre simbolicamente le nuove generazioni nel gruppo adulto.
Attualmente il problema delle mutilazioni genitali femminili risponde invece
all’obbligo di sottoporre genericamente tutta la popolazione femminile al rispetto
della “tradizione”,il “costume “
Il costume era stato considerato dalla giurisprudenza evoluzionista del XIX secolo
una specie di prediritto come fondamento di un ordine non scritto tradizionale,
immutabile e garante della identità del gruppo e della sua riproduzione nelle società
preletterate.
La moderna ricerca etnoantropologica ha rivendicato invece anche a tutte le culture
anche alle culture non scritte, la flessibilità intesa come capacità di mutare le
situazioni di “costume”.
La qualità immobile del costume, della tradizione, irrompe invece oggi alla ribalta
nel conflitto giuridico tra necessità di rispettare regole consuetudinarie considerate
indispensabili per il mantenimento dell’identità - diritto universalmente riconosciuto
- e la necessità di far accettare la piattaforma dei diritti umani riguardanti la persona.
La casistica è molto nota, anche attualmente in Italia .
Urgente il ripensamento sulla base della elaborazione nella demartiana prospettiva
di etnocentrismo critico per la costruzione di rapporti di alterità che non perdano di
vista consapevolmente le distanze dell’emic e dell’ethic.
I termini emic ethic presi dalla linguistica che li utilizza per indicare l’opposizione
tra fonema e suono sono stati elaborati in primis da Franz Boas nell’ambito
dell’antropologia culturale determinando la svolta molto importante verso il
relativismo culturale. I due termini sono ripresi con insistenza dalla New
Ethnography americana sulla suggestione della metodologia strutturale e della
linguistica dove il metodo “etico” indica un approccio metodologico basato sulla
assunzione a priori della esistenza di parametri concettuali universali . Emico è
invece il metodo di indagine che rinuncia ad assunti aprioristici e parte dalla
assunzione programmatica del punto di vista cognitivo interno alla cultura che si va
ad incontrare.
Il punto di vista emic che riflette oltre la terminologia linguistica anche le posizioni
estreme della fenomenologia porta alle difficoltà del relativismo culturale di
scuola boasiana La necessaria accettazione dei singoli modelli culturali – anche sul
piano morale e religioso nel senso della prassi - come determinati dalle singole
scelte operate dalle singole culture finisce con il provocare un insostenibile impasse
giuridico operativo. La legge della repubblica, dello stato, verso la legge della
tradizione .Un ennesimo rimando al problema della celebre eroina di Sofocle ,
Antigone. Quale Legge ?
Con l’espressione “Nuovi movimenti religiosi” sono indicati in senso lato una serie
di movimenti legati a fondazioni mitico-rituali recenti del XIX e XX secolo e di varia
matrice. Moltissime delle nuove esperienze religiose chiamano in causa le esperienze
degli stati modificati di coscienza .
Possiamo inserire sotto questa etichetta i “movimenti religiosi di libertà e di
salvezza” studiati da V. Lanternari presso i popoli coinvolti nei processi repressivi
della colonizzazione. Movimenti degli indiani nord-americani contro la conquista del
west come la Ghost Dance degli Sioux o i Cargo Cults melanesiani ispirati a
interpretazioni millenaristiche forse su suggerimento mediato dalle predicazioni
missionarie cristiane o i movimenti profetici africani, Simon Kimbangu e altri,
sicuramente di derivazione missionaria.
Rientrano nella stessa etichetta anche le soluzioni più recenti di adattamento e
trasformazione delle religioni tradizionali al di là della crisi del momento
rivoluzionario.Ad esempio le Native american religions, alle quali l’American
Indian Religions Freedom Act del 1978 (AIRFA) ha garantito diritto di espressione,
riconfermato con un ulteriore rinforzamento delle garanzie con il Native American
Cultural Protection and Free Exercise of Religion Act del 1994. Situazione che ha
provocato non pochi problemi di contrasto con la legislazione federale che organizza
e vincola i comportamenti di individui e gruppi a individuate piattaforme comuni (S.
Staiger Gooding, 1996).
Sotto l’etichetta di Nuove Religioni (New Religions secondo la dizione
anglosassone) sono inseriti i vari movimenti più o meno legati alle grandi religioni
monoteiste o ai modelli tradizionali dell’induismo e del buddismo esportati in
occidente ma non solo
Ma anche tutti quei movimenti proliferati sotto impulso delle varie sette
protestanti soprattutto negli Usa a partire dal secolo XIX , base dei fondamentalismi
cristiani riformati del XX secolo.
Appartengono al secolo XIX la formazione dei Disciples of Christ come espressione
dei presbiteriani americani, i Testimoni di Geova, i Mormoni fondati da Joseph Smith
nel 1830, gli Avventisti del Settimo Giorno, fondati nel 1861 ecc.
Si tratta sempre di varianti nuove nell’ambito della cristianesimo della Riforma
avviata da Martin Lutero che ha come sua base la libertà di interpretazione delle
scritture ,quindi la legittimità della fondazione di nuove chiese
Bibliografia di minima
Una droga vegetale ,il cactus peyotl è al centro della liturgia della più importane
nuova religione sincretica dei native Americans .
La “Chiesa” del peyotl (Native American Church) nasce come “movimento di
liberazione e salvezza” profetico messianico nell’ambito della lotta condotta dagli
indiani d’America nel tentativo di arrestare la conquista yankee del West.
Il consumo del peyotl tradizionale nella valle del Rio Grande ai confini tra USA e
Messico e usato già dalle popolazioni del Messico della conquista, viene elaborato
nell’ambito di un movimento religioso “di salvezza” (il riferimento è sempre a V
Lanternari sui Movimenti religiosi di libertà e di salvezza dei popoli oppressi, prima
ed. 1960, ultima ed. 2003) .
Il movimento peiotista si pone come successore della Ghost Dance, la Danza degli
Spiriti nata come movimento millenarista diffuso nelle praterie del Nord tra gli
Arapaho e gli Sioux a cominciare dalle visioni di Toro Seduto (Sitting Bull), Sitting
Bull che apparteneva al gruppo degli indiani Sioux del South Dakota, nel 1875
previde in visione la sconfitta degli yankee occupanti – che minacciavano
l’annientamento delle tribù indiane. L’apparente veridificazione della profezia per la
sconfitta del generale Caster e delle sue truppe nel 1876 nella battaglia di Little
Bighorn River galvanizzò questa certezza. In realtà la vittoria su Caster finì con la
cacciata degli indiani oltre i confini canadesi in una situazione di grave difficoltà e
condusse ad una resa incondizionata al governo degli Stati Uniti sotto promessa di
amnistia nel 1881. Poco dopo, alla fine degli anni ‘80, il movimento visionario della
Ghost-Dance riprese con il profeta Wowoca (Jack Wilson), sotto influsso dei gruppi
“apocalittici” cristiani del protestantesimo USA (Avventisti del settimo giorno,
Pentecostali, ecc.) Si attendeva un nuovo diluvio,e il ritorno degli spiriti - i ghosts -
degli antenati ed il ritorno dei bisonti sterminati dai bianchi. Il momento poteva
essere affrettato dai complessi rituali coreutico-musicali che coinvolgevano gli
adepti e nei quali rientrava il consumo della sostanza psicotropa, il cactus peyotl.
La Ghost Dance come noto si risolse nel dicembre del 1890 a Wounded Knee Creek,
dove una folla di Sioux comprendente donne e bambini protetti solo da camicie
pensate miracolose, dipinte con gli emblemi del movimento, riunitasi per danzare il
ritorno degli antenati, fu annientata dal fuoco americano.
Il movimento peiotista fu perfezionato in una forma di sincretismo indigeno -
cristiano, la religione della Grande Luna, così denominata per la forma a falce di luna
dell’altare del rito.
La “religione” si propagò come un movimento panindiano identitario tra varie tribù
come i shawni, i caddo, i delaware, sotto la guida dei vari profeti e messia locali Si
trasformò essenzialmente in un movimento di pacificazione e integrazione
intertribale ma anche in movimento di pacificazione con i bianchi americani invasori
Al centro rimase sempre il consumo rituale del cactus peyotl, inteso come momento
eucaristico e volto ad assicurare una piattaforma simbolica condivisa panindiana,
garante anche della rinuncia alla lotta antibianca.
Peyotl è nome messicano della specie vegetale identificata come Lophophora
Williamsii, un cactus carota, varietà senza spine tra le numerose cactacee presenti in
natura e ricchissima di alcaloidi. La sua ingestione provoca effetti violenti di nausea
e di vomito, ai quali seguono situazioni soporose prodotte dall’intervento dei principi
attivi etichettati erroneamente con il termine di mescalina (dagli indiani Mescalero
del New Mexico, annoverati tra i primi consumatori del peyotl).
Accanto agli effetti di SMC,di trance, l’ingestione del cactus peyotl risponde ad un
ampio raggio di indicazioni terapeutiche, come forfora, ferite, tumori (vedi W. La
Barre, The Peyote Cult, 1959). Una inchiesta pubblicata nel 1951 dalla autorevole
rivista Science aveva comunque assicurato sulla non tossicità del cactus in questione
e quindi si era espressa in favore della sua sperimentazione nell’ambito del diritto di
accesso alla libertà religiosa come modello di costruzione simbolica dell’identità.La
Chiesa Peiotista, ufficialmente riconosciuta, costituisce oggi un forte modello
identitario delle minoranze indigene.
Abbondante letteratura in web su vari siti, anche se spesso i temi non sono stati
sottoposti ad analisi antropologiche e storico-religiose precise.