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Amore condizionato

Se un padre vede il figlio come un suo


prolungamento, se desidera ardentemente che nella
vita realizzi certi traguardi, ottenga determinati
risultati, occupi una certa posizione, si può dire che
ami suo figlio? Se si sacrifica per lui, se fa in modo
che abbia più del necessario, se lo protegge da ogni
sofferenza? Se lo guida passo a passo nelle scelte
che compie, in modo che corrispondano alle sue
aspettative? In modo che suo figlio impari ad
assecondare il tipo di esistenza che ha sognato per
lui? E’ questo che si intende per amore?
Un figlio che vive un tale rapporto con il padre, può
dirsi libero? Libero di esplorare, di cercare la sua
strada, di sbagliare, pagarne il prezzo, cercare
ancora?
Chi, dosando attenzione, affetto, cura, condiziona
un’altra persona, la ama davvero?
Che cosa è il condizionamento, se non l’utilizzo della
paura per privare altri della libertà di scegliere, di
rischiare? della libertà di conoscere autonomamente,
in primo luogo se stesso, i propri talenti, aspirazioni,
sentimenti, bisogni?
E’ compatibile l’amore con il condizionamento?
E’ compatibile l’amore con la paura, con la
privazione della libertà di conoscere e di conoscersi?

Se si riflette su tali domande, si comprende che


l’amore condizionato è un’ossimoro, cioè una
contraddizione in termini. Dove c’è condizionamento,
dove c’è privazione o riduzione di libertà, non ci può
essere amore. La parola corretta, il proper name,
non è amore, ma possesso.

Eppure è attraverso questo tipo di non amore che


molti genitori credono di educare i figli. E’ questa
educazione? O non è piuttosto una forma di
condizionamento diretto a stimolare paura,
sottomissione e adattamento?
La famiglia è la cinghia di trasmissione della società.
La società, qualsiasi società, pone dei limiti alla
libertà di pensare, di credere, di formarsi libere
opinioni. E in tal modo forgia le menti dei suoi
appartenenti mediante l’interiorizzazione di schemi
mentali, schemi percettivi, schemi di pensiero, che
passano inosservati, in quanto condivisi da tutti.
Diventano come l’aria che respiriamo.
Questi schemi sono come gabbie di una prigione di
cui avvertiamo il peso, senza più riuscire a vederne
le sbarre.

Secondo Krishnamurti, l’educazione, la vera


educazione, dovrebbe svolgere una funzione del
tutto diversa, direi opposta: rendere libere le
persone dai condizionamenti sociali. Come?
Imparando a vederli, a riconoscerli per quelli che
sono: fardelli imposti alla nostra libertà di pensiero.
Perduta la libertà di pensare, perdiamo anche la
capacità di amare. E qui inizia la sofferenza, in
quanto siamo fatti per amare. Amare è una funzione
che ci accomuna, come camminare, mangiare o
dormire.

Essere educati alla società comporta quindi un


prezzo spesso molto elevato.
Freud aveva intuito questa verità (v. Il disagio della
civiltà). Ma solo parzialmente, in quanto aveva
considerato questo disagio necessario e inevitabile.
Krishnamurti concorda con Freud su un punto:
finché non ci risvegliamo dall’ipnosi del
condizionamento, viviamo in una sorta di prigione. I
nostri tentativi di ribellione sono solo diretti a
spostarci da una parte all’altra della stessa prigione.
Ma Krishnamurti non ritiene questa condizione
insuperabile. Al contrario, ritiene che il suo
superamento sia l’essenza stessa dell’educazione,
quella vera, non quella diretta ad ammaestrarci e a
sottometterci. Su questo punto la distanza tra
Krishnamurti e Freud non potrebbe essere più
grande.

Quando riceviamo amore condizionato, impariamo


ad amarci in modo condizionato: posso volermi
bene, posso stimarmi, apprezzarmi, SOLO SE
SODDISFO CERTE CONDIZIONI (vedi file amore e
giudizio):

essere gentile e affidabile


essere generoso
essere capace e competente

essere ineccepibile
essere prestante
essere forte
ecc.

Le condizioni di amabilità, o condizioni di valore,


diventano condizioni di felicità. Non posso essere
felice, non posso essere amato, non ho valore se…
Una volta interiorizzato questo schema, la libertà
cessa di esistere. E con essa la capacità di conoscere
e amare sé e gli altri.

Approfondimento
Chi in famiglia, anche solo da uno dei genitori,
riceve amore condizionato, impara a non amarsi o
ad amarsi solo se soddisfa certe condizioni (non
commettere errori, non creare fastidi,
primeggiare, ecc.). Impara quindi a vivere in una
situazione di stress o paura, che toglie la libertà e
assorbe una parte più o meno grande di energia
vitale, o energia creativa.

E’ come un alpinista che si carica sulle spalle un


sacco pieno di pietre. Anche un passaggio
relativamente semplice diventa difficile o
impossibile.
Come se non bastasse, l’alpinista si porta dietro
anche un compagno che lo critica o lo insulta ogni
volta che tentenna o rallenta. Questo compagno
di cordata è il giudice interno, al quale l’alpinista
si affida per valutare le sue performance!

Mettiamoci nei panni delle cellule, dei tessuti,


degli organi interni di quest’uomo o donna. Come
si sentiranno? Avranno fiducia nella politica di
governo che le guida? Saranno disposti a
collaborare, o cercheranno di cambiare la
situazione, di far aprire gli occhi all’io-governo, in
modo che cambi politica?

E se il governo continua ad essere sordo alle loro


sane richieste, non accadrà che cellule, tessuti,
organi, prima o poi inizino uno sciopero parziale o
generale, o comincino a danneggiare le
infrastrutture, o ad opporsi in modi più o meno
violenti? E come risponderà il governo se è così
ipnotizzato da non riuscire a vedere l’ovvio?
Probabilmente chiamerà malattia, debolezza,
handicap, quello che invece è espressione
autentica delle forze più intelligenti e libere del
suo paese.

E se il governo continuerà così per tanti anni,


quale destino lo attende?

Un governo di questo tipo, probabilmente,


passerà buona parte del tempo a cercare di
risolvere quelli che lui definisce problemi. Ma in
che modo cerca di risolverli? Continuando a fare
ancora di più quello che già stava facendo:
mettendo ulteriori pietre nello zaino e
continuando a dare ascolto alle critiche e ai
giudizi del suo tribunale interiore, che si fanno
sempre più pesanti.

E di fronte a questi crescenti restrizioni e


inasprimenti fiscali, come reagirà la popolazione
delle cellule, organi e tessuti?

Con le migliori intenzioni – risolvere i problemi –,


l’io-governo ha innescato quello che i cibernetici e
gli informatici chiamano loop: un LOOP
DISTRUTTIVO. Un loop che giorno dopo giorno
rende più profonda l’ipnosi nella quale è
sprofondato.

Schematicamente, si danno diverse varianti


dell’auto-condizionamento iniziale, che dà origine
a tutto il processo (ho scritto “auto-
condizionamento” perché la sua forma dipende da
una scelta, da una decisione personale. Decisione
che viene presa quando il bambino ha pochi anni
di vita):

1. Sono amabile e posso essere felice solo

finché continuo a
soddisfare certe condizioni
2. Non sono amabile e non posso essere felice

finché non riesco a


soddisfare certe condizioni
3. Non sono amabile e non posso essere
felice

poiché non sarò mai in grado


di soddisfare certe condizioni

L’alpinista ha il sacco leggero, senza pietre, solo


se è libero da ogni forma di condizionamento.
Solo allora dispone di tutta la sua forza e
intelligenza.
Passando dal condizionamento 1 a quello 3, il
sacco si fa sempre più pesante e la mente
dell’alpinista più ottusa. E può diventare così
pesante da convincere l’alpinista che non riuscirà
mai ad arrivare in cima. L’unico modo per
scendere dalla parete è quello di annullarsi,
sparire.

Una delle pietre più pesanti che si possono


mettere nel sacco è quella di credere che, per
essere degni d’amore, bisogna continuare a
soffrire. Infatti, posso credere che, se nella mia
famiglia c’è tanto dolore, e io me ne libero e vivo
bene, io sto abbandonando i miei famigliari, li
lascio da soli nella loro sofferenza. E questo non
posso farlo, sarebbe crudele, malvagio. Solo
soffrendo anch’io dimostro il mio amore per loro.
Soffro, quindi amo.
Una tale visione è spesso alla base del corpo di
dolore di tante persone. Finché tale visione viene
mantenuta, non c’è formazione o terapia che
possa liberarle.

Gregory Bateson direbbe che tali persone sono


imprigionate in un doppio legame, cioè sono
esposte a due ingiunzioni contraddittorie. Se
soddisfi una, violi l’altra. L’unica soluzione
sarebbe abbandonare il campo. Ma non puoi farlo,
pena la tua sopravvivenza.
In sintesi:

per essere felice devo amare i miei genitori,


così sarò amato, sicuro, protetto

per amare i miei genitori, se soffrono, devo stare


con loro e condividere la loro sofferenza

quindi per me

amare = soffrire

star bene = non amare = soffrire

Come si esce da questo doppio legame?


Comprendendo che nelle due ingiunzioni si
mischiano due differenti livelli: anima ed Ego,
grande mente e piccola mente.

L’ingiunzione di amare viene dall’anima, di


genitori e figli. L’ingiunzione di soffrire viene dal
loro Ego o piccola mente.
Nella distorta visione dell’Ego, la sofferenza è una
prova d’amore: soffri per me, così saprò che mi
ami; io soffro per te, perché ti amo. Ma questo
NON è amore, è possesso.
L’anima, di fronte alla sofferenza del proprio Ego
o dell’Ego degli altri, prova compassione, non
sofferenza. E la compassione può nascere solo se
si coglie la realtà nel suo insieme, cioè se si è
nella grande mente.
La piccola mente si concentra su un aspetto per
volta: la sua è una visione a tunnel, che
impedisce di vedere l’insieme.
Nella piccola mente non c’è soluzione al dolore:
può solo crescere e indurirsi. Nella grande mente
c’è spazio per tutto, anche per il dolore, che nel
grande spazio trova il suo posto naturale, come
un cavallo imbizzarrito in una grande prateria. La
prateria rimane tranquilla, e il cavallo dopo un po’
si mette a brucare.

Conversazione sul tema

Perché è così difficile liberarsi dalle pietre? Una


volta che si sono viste, perché non le si butta?
Perché quelle pietre le abbiamo messe nel sacco
quando eravamo piccoli, credendo che ci
salvassero la vita. Buttarle, a livello inconscio,
significherebbe morire o rimanere soli e
abbandonati.

Ma adesso sappiamo che non è così!


Lo sa la nostra parte adulta, non il bambino che
vive ancora dentro di noi. Per convincere quel
bambino a mollare le pietre, occorre dargli adesso
ciò di cui lui ha sempre avuto bisogno.

Che cosa?
Amore incondizionato.

E come possiamo dare questo amore?


Non dando più credito a ciò che dice il giudice
interno, che è un elemento portante della
struttura del condizionamento. Chi continua ad
ascoltarlo, dimostra al bambino interiore che
anche da adulto è ancora condizionato,
spaventato, confuso.
Un adulto così non è minimamente affidabile. Non
può fungere da guida al bambino.

Quindi è l’adulto, è l’io-governo che deve


cambiare per primo?
Si.
Come?
Ponendo fine al racket che tiene in piedi tutta la
struttura. Racket significa rifiuto di assumere la
responsabilità, scaricandola su altri. Per altri
intendo non solo altre persone, ma anche altre
parti di sé, le proprie sensazioni, il proprio
carattere. Lamentele, pretese, accuse, sono le più
comuni manifestazioni di racket. Sono forme di
mistificazione che servono a giustificare la politica
disfunzionale del governo.

Stai dicendo che il racket è assai diffuso?


Occupa tutti gli spazi disponibili. E coloro che lo
praticano, anche se in conflitto su tutto, sono
d’accordo almeno su una cosa: sul non
confrontarsi, sul non aprire gli occhi sulla loro
mancanza di responsabilità.
Solo una persona libera da condizionamenti è
privo di paura, e può parlare liberamente. Tutti gli
altri temono le ritorsioni, che puntualmente
arriveranno ogni volta che utilizzano parole vere.
In un mondo dove domina l’ombra, la
manipolazione, la falsità, chi si dedica alla verità
diventa un nemico da cui difendersi.

Sono affermazioni un po’ pesanti!


La cronaca politica fornisce ogni giorno prove
convincenti sulla loro correttezza. E non parlo
solo della politica nazionale o internazionale;
parlo della politica delle famiglie e dei gruppi,
compresi quelli che si ispirano alla c.d. cultura
benevola. All’interno di questi gruppi, se si ha
occhi per vedere al di sotto della superficie, si
assiste a continue lotte di potere, non diverse
nella struttura da quelle tanto criticate della
politica nazionale.
E ancora prima, mi riferisco alla politica
personale, o politica interna alla mente
individuale. L’ombra, scoperta da Freud e da
Jung, è la prova definitiva, scientificamente
attendibile, che frammentazione, lotta di potere,
giudizio, colpa, punizione, abitano al nostro
interno. Buona parte delle nostre energie le
impieghiamo per negare questi aspetti,
proiettandoli sugli altri e sul mondo esterno.

In questo modo non ce ne libereremo mai?


Ciò che neghiamo in noi stessi ci viene
continuamente riflesso dalla realtà. La realtà ci fa
da specchio. Se solo usciamo dall’ipnosi, se solo
vediamo non una di queste cose, separata dalle
altre, ma impariamo a vederle tutte insieme, – la
politica interiore, la politica familiare, quella dei
gruppi e delle nazioni –, allora ciò che vediamo ci
avvicina alla verità. E se vediamo ciò che è vero,
la paura sparisce.

Perché?
Perché comprendiamo che è frutto di una
colossale illusione, alla quale tutti partecipiamo e
attivamente sosteniamo, condividendo la stessa
danza, gli stessi virus del pensiero, gli stessi
racket.
Allora ci rendiamo conto che non esiste qualcosa
come la “mia” paura, la “mia” rabbia, il “mio”
dolore, il “mio” carattere, la “mia” ombra, la
“mia” disonestà, la “mia” debolezza. Esistono solo
la paura, la rabbia, la sofferenza. Ogni volta che
utilizziamo l’aggettivo possessivo, stiamo
implicitamente confermando e rafforzando
l’illusione di separatività, che è all’origine di ogni
sofferenza.
Così come esistono i virus informatici, che
possono mettere in crisi un computer, così
esistono i virus del pensiero. Non siamo noi a
produrli. Vengono da fuori. Noi li lasciamo solo
entrare.
Ciò di cui abbiamo bisogno non è buttare il
computer, ma liberarlo e proteggerlo dai virus.

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