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REN DESCARTES

REGOLE PER LA GUIDA DELLINTELLIGENZA [I-XII]

a cura di Dario Zucchello

Sommario
SOMMARIO .........................................................................................................................................2 INTRODUZIONE.................................................................................................................................3 Un metodo senza metafisica................................................................................................................4 BIBLIOGRAFIA.................................................................................................................................13 Edizioni:............................................................................................................................................13 Saggi: ................................................................................................................................................13 REGOLE PER LA DIREZIONE DELLINTELLIGENZA (I-XII)..............................................14 REGOLA PRIMA ......................................................................................................................................15 Commento .........................................................................................................................................16 REGOLA SECONDA .................................................................................................................................19 Commento .........................................................................................................................................20 REGOLA TERZA ......................................................................................................................................23 Commento .........................................................................................................................................24 REGOLA QUARTA ...................................................................................................................................27 Commento .........................................................................................................................................28 REGOLA QUINTA ....................................................................................................................................31 Commento .........................................................................................................................................31 REGOLA SESTA.......................................................................................................................................33 Commento .........................................................................................................................................35 REGOLA SETTIMA...................................................................................................................................37 Commento .........................................................................................................................................39 REGOLA OTTAVA ...................................................................................................................................41 Commento .........................................................................................................................................43 REGOLA NONA .......................................................................................................................................44 Commento .........................................................................................................................................45 REGOLA DECIMA ....................................................................................................................................46 Commento .........................................................................................................................................47 REGOLA UNDICESIMA ............................................................................................................................49 Commento .........................................................................................................................................50 REGOLA DODICESIMA ............................................................................................................................51 Commento .........................................................................................................................................58

Introduzione

Introduzione

Un metodo senza metafisica


1 Il manoscritto di quelle che noi oggi chiamiamo Regulae ad directionem ingenii fu rinvenuto a Stoccolma, tra le carte del filosofo improvvisamente deceduto durante la sua permanenza presso la locale corte (1650). Fortunosamente trasferito con altro materiale in Francia, ebbe immediatamente una limitata ma significativa circolazione, per poi sparire nel nulla (certamente fu nelle mani di Chanut, Clerselier, J.-B. Legrand e Marmion). La tradizione testuale delle Regulae , dunque, legata a versioni originariamente ricavate dal manoscritto cartesiano, senza alcuna possibilit di riscontro oggettivo, che non sia quello mediato dal reciproco confronto. Sostanzialmente tre sono le varianti del testo: il manoscritto di Amsterdam [A] (copia delloriginale), edito nel 1701 nellambito degli Opuscula posthuma, physica et mathematica, su cui poggia la versione proposta da Adam e Tannery 1 , il manoscritto [H] ritrovato da Foucher de Careil nel Nachlass (lascito) leibniziano a Hannover, corretto dallo stesso Leibniz [L] 2 , la traduzione olandese del 1684, curata da J.H. Glazemaker, che si ritiene ricavata da unulteriore tradizione manoscritta [N]. Ovviamente, la possibilit di collazionare le diverse lezioni trdite, e quindi di rilevarne gli scarti testuali, le ripetizioni, contraddizioni e correzioni (come nel caso di [L]), ha consentito di procedere a una definizione dei contorni del probabile dettato cartesiano 3 , abbozzandone addirittura una storia evolutiva 4 . Accanto ai problemi testuali, abbiamo poi quelli secondari connessi alla titolazione del lungo frammento, che nelloriginale del catalogo di Stoccolma conservata come Trait des rgles utiles et claires pour la direction de lesprit en la recherche de la Vrit, resa quindi variamente nella tradizione, ad esempio come Regulae de inquirenda veritate [H], a conferma della probabile assenza di unoriginaria denominazione, surrogata dalle indicazioni del contenuto (Leibniz parla anche di Methodus veritatis inquirendae) 5 . Laspetto per noi introduttivamente pi interessante , tuttavia, quello relativo alla collocazione cronologica dellopera incompiuta allinterno della produzione cartesiana, che dovrebbe consentirne anche una valutazione in prospettiva culturale. Operazione non del tutto semplice, trattandosi di un inedito, ma soprattutto perch presuppone coordinate, non sempre disponibili, circa la biografia del filosofo e la datazione di altri inediti tematicamente affini: mi riferisco in particolare a altri due frammenti, lo Studium bonae mentis e la Recherche de la Verit par la Lumiere naturelle, che, con il Discours de la Mthode, costituiscono le costanti di una delle piste cardinali della ricerca cartesiana, quella del metodo, appunto. 2 Le 33 pagine della Recherche [nell'edizione Adam-Tannery] rappresentano il brano di un imponente piano originario, esposto dal personaggio principale (Eudoxe) nella parte iniziale del dialogo: sostanzialmente, la intelaiatura del progetto sembra riflettere limpianto sistematico alla base ) uvres de Descartes publies par C. Adam et P. Tannery, 12 vol., Paris, 1897-1909. ) Si tratta della versione qui utilizzata, secondo ledizione Descartes, Regulae ad directionem ingenii, kritisch revidiert, bersetzt und herausgegeben von H. Springmeyer, L. Gbe, H.G. Zekl, Hamburg, 1972. 3 ) Fondamentale in questo senso il contributo di G. Crapulli in R. Descartes, Regulae ad directionem ingenii. Texte critique tabli par G. Crapulli. Avec la version Hollandaise du XVIIme sicle. Den Haag, 1966. 4 ) il caso di J.P. Weber, La constitution du texte des Regulae, Paris, 1964. 5 ) J.-L. Marion, Sur lontologie grise de Descartes, Paris, 1981, pp.13-14.
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Introduzione

dei Principia Philosophiae, semmai con una pretesa enciclopedica che nel testo del 1644 non dato riscontrare: <<Bisogner cominciare dallanima razionale, poich in essa, che risiede ogni nostra conoscenza; e dopo aver considerato la sua natura e i suoi effetti, ci volgeremo al suo Autore; e una volta riconosciuto chi esso , e come egli ha creato tutto quanto al mondo, rileveremo ci che vha di pi certo riguardo alle altre creature, ed esamineremo in qual maniera i nostri sensi ricevono gli oggetti, e per qual ragione i nostri pensieri risultano veri o falsi. In seguito metter in mostra le opere degli uomini riguardo alle cose corporee; e dopo avervi fatto ammirare le pi potenti macchine, i pi rari automi, le pi appariscenti cose illusorie, e le pi sottili imposture, che lartificio possa escogitare, io ve ne scoprir i segreti, che saranno cos semplici e cos innocenti, che voi ne avrete motivo per non avere pi nessuna ammirazione per le opere delle nostre mani. Io mi volger alle opere della natura e dopo avervi fatto vedere la causa di tutti i suoi cangiamenti, la diversit delle sue qualit, e in qual modo lanima delle piante e degli animali differisca dalla nostra, vi far considerare tutta larchitettura delle cose sensibili; e dopo avervi dato ragguaglio di ci che sosserva nei cieli e di ci che se ne pu giudicare con certezza, mi inoltrer nelle pi assennate congetture riguardanti ci che non pu essere determinato dalluomo, allo scopo di spiegare il rapporto tra le cose sensibili e le intellettuali, e di ambedue col Creatore, limmortalit delle creature e quale sar la condizione della loro esistenza dopo la consumazione dei secoli. Dipoi verremo alla seconda parte di questa conversazione, ove tratteremo di tutte le scienze in particolare, cercheremo ci che vha di pi sicuro in ciascuna e proporremo il metodo per spingerle molto pi avanti di quanto non siano state spinte, e per trovare da s, pur avendo un ingegno mediocre, tutto ci che possono trovare gli ingegni pi sottili. Dopo aver, cos, preparato il nostro intendimento a giudicare in maniera perfetta della verit, bisogner anche che noi apprendiamo a regolare la nostra volont, distinguendo le cose buone dalle cattive, e marcando la vera differenza che passa tra le virt e i vizi>> 6 In questo senso, la caratteristica di summa, la scelta della forma dialogica, il modo di trattare singoli argomenti danno al frammento unimpronta arcaica rispetto ai testi editi del filosofo 7 , sebbene lo sviluppo della prima parte (lunica effettivamente articolata), con il suo concentrarsi sullame raisonnable, denoti lattenzione per uno dei pilastri della metafisica ufficiale del Discours e delle Meditationes, allineando, di fatto, per questo aspetto, il tentativo della Recherche alla riflessione della maturit. Daltra parte, che essa debba essere ascritta allepoca della composizione delle opere maggiori del filosofo - come tradizionalmente ritenuto, sulla scorta del biografo Baillet (che propose una datazione tarda, 1648), dellAdam (1641), del Gouhier (1647-8) 8 e del Cassirer (1649) 9 , sembrerebbe contraddetto dalle analisi puntuali condotte da Bortolotti, il quale, dopo aver rimarcato la implausibilit di un'elaborazione che riprendesse quasi letteralmente passi di testi cartesiani gi pubblicati, ha insistito sulla qualit peculiare della Recherche: le affermazioni del filosofo rivelerebbero aspetti singolari e di notevole interesse, in particolare lardita idea della comunicabilit e accessibilit di tutta la scienza e di tutta la filosofia, di tutto il sapere, insomma, anche nei suoi aspetti pi complessi e elevati, a tutti gli uomini. Unidea che, per certi aspetti almeno, scavalca addirittura la stessa impostazione illuministica: la fiducia che la scienza possa divenire cos accessibile, cos universale e propria di tutti gli uomini, che non vi debbano pi essere scienziati e filosofi distinti dagli altri uomini. Questa la convinzione alla base della Recherche de la Verit: unidea che lo stesso Descartes avrebbe trovato difficolt a sviluppare, abbandonandola in seguito del tutto 10 .
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) Cartesio, Opere, Bari, 1967, vol. I, pp.107-8. ) A. Bortolotti, Saggi sulla formazione del pensiero di Descartes, Firenze, 1983, p.164. 8 ) H. Gouhier, La pense religieuse de Descartes, Paris, 1924. 9 ) E. Cassirer, Descartes. Lehre-Pershnlichkeit-Wirkung, Stockholm, 1939. 10 ) A. Bortolotti, op. cit, pp.156-7.

Introduzione

Lingenuit, ma anche larditezza e genialit, dellintuizione cartesiana, fanno trasparire lentusiasmo di scoperte importanti, la convinzione di possedere i fondamenti di una nuova scienza, la sicurezza e la fiducia del giovane filosofo, che si appresta a unopera estremamente ambiziosa. Temi che sembrano richiamare pi da vicino testi sicuramente anteriori alle prime opere pubblicate, testi, appunto, come lo Studium bonae mentis e le Regulae, dove campeggia lideale della universalis sapientia, della sagesse. A cui si dovrebbe poi aggiungere il tono della polemica antiscolastica, certamente pi aspra rispetto a quella pur presente nelle edizioni destinate alla circolazione ufficiale, e riscontrabile negli inediti pi antichi. Queste considerazioni hanno spinto lo studioso italiano 11 a suggerire, come probabile datazione del frammento, i primi mesi del soggiorno olandese del filosofo, tra il 1628 e il 1629, epoca cui risalirebbe il primo approfondimento metafisico, secondo lindicazione fornita nel Discours, che potrebbe riflettersi nel taglio enciclopedico, ma con una nuova, forte impronta metafisico-teologica, dellinedito in questione. 3 Per quanto riguarda lo Studium bonae mentis, le coordinate cronologiche sono senzaltro pi agevoli, trattandosi di una raccolta di frammenti conservati dalle parafrasi di Baillet, che gi dai contemporanei erano attribuiti alla giovinezza di Descartes, ricevendo poi, nella storia della critica successiva, una sistemazione tra i primissimi testi cartesiani. Se la Recherche, accanto allapproccio metodologico, palesava decisamente la propria aspirazione sistematica, innestando sui temi delle Regulae (come avremo modo di mettere in evidenza) lideale della fondazione inattaccabile del sapere, lo Studium rivela la propria immaturit nel pesante debito culturale con la tradizione rinascimentale, attraverso cui, pure, s'abbozzavano i tratti della svolta che sar poi rappresentata dal Discours. Infatti, secondo la testimonianza di Baillet, lopuscolo giovanile aveva in varie parti un andamento autobiografico, che richiama da vicino la prima parte del saggio del 1637. Il tema della bona mens (bon sens) doveva, insomma, dominarne lapertura, probabilmente coniugandosi con laltro, classico, del naturale desiderio di sapere e delle sue estrinsecazioni settoriali nelle varie branche scientifiche (classificate in cardinales, exprimentales e librales, secondo una terminologia che non ha riscontro in altri testi, editi o inediti 12 ). Da quanto si evince dal resoconto di Baillet, pur essendo privilegiato il modello di certezza garantito da la vraye Philosophie, qui dpend de lentendement e da la vraye Mathmatique, qui depend de limagination, nellambito delle scienze sperimentali (della natura) non trovava ancora posto lidea di una scienza fisico-matematica, che tanta parte avr nelle ricerche posteriori, a partire dallincontro con il fisico olandese Beeckman, nellautunno del 1618, come verificheremo anche nelle Regulae. A confermare la giovinezza dellautore, che potrebbe quindi aver composto le note dello Studium prima della partenza per i Paesi Bassi, nellottobre del 1618 13 . Daltra parte, per il nostro scopo interessante rimarcare alcuni risvolti: la polemica pi evidente (rispetto al Discours) contro la cultura tradizionale, in un contesto sicuramente pi ampio e articolato della rievocazione posteriore; la curiosit rivolta verso le tendenze occultistiche. Lart.5 attesta la profondit e radicalit, il carattere netto, decisivo, totale della rottura del giovane Descartes con la cultura scolastica (fatta propria dalla Ratio studiorum dei Gesuiti 14 ), nonch linteresse per la contemporanea tarda scienza rinascimentale, incarnata dallesperienza rosa) Anche sulla scia del precedente di G. Cantecor, quelle date a-t-il crit la Recherche de la Verit?, in <<Revue dHistoire de la Philosophie>>, II, 1928, pp.254-289. 12 ) A. Bortolotti, op. cit., pp.26 ss. 13 ) la convinzione di Bortolotti, op. cit., p.31. 14 ) Ibidem, p.43.
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Introduzione

crociana. A ci dovremmo aggiungere un ulteriore elemento, desumibile, secondo Bortolotti, dal resoconto di Baillet: una possibile breve parentesi scettica, seguita alla delusione per il sapere di scuola, in cui s'inserirebbero le ricerche intorno alla lezione dei, e la speranza riposta nei Rosacroce. Una proposta che consentirebbe di valutare in una nuova ottica le incidenze, riscontrabili nei testi posteriori, di Montaigne e Charron. 4 Il dato cronologico delle Regulae pu essere introdotto a questo punto: tra lacerbo disegno dello Studium e lambizioso progetto della Recherche. Quasi universalmente stato accettato come limite della loro composizione il 1628, data del definitivo trasferimento di Descartes in Olanda, mentre alla loro maturazione avrebbero contribuito in modo decisivo i colloqui con il gi citato Isaac Beeckman, in occasione del primo viaggio olandese, dieci anni prima. Le Regulae, in altre parole, coprirebbero la fase di svolgimento della riflessione cartesiana sul metodo, innescata dalle ricerche in ambito latamente matematico, fino ai primi spunti di indagine metafisica, probabilmente da collocare tra il 1628 e il 1629. Da qui limportanza del testo, anche tenendo conto della posteriore ricostruzione del Discours. Ci detto, non va sottovalutato lo spettro tematico delle Regulae, che per molti versi ancora si confrontano con motivi della cultura rinascimentale (la catena delle scienze, larte della memoria, la dialettica), per altri anticipano in alcuni passaggi le classiche stazioni della filosofia prima cartesiana, quali il dubbio e il cogito, introducendo di fatto concetti squisitamente metafisici, come quello delle nature semplici e della loro estraneit alle categorie della ontologia aristotelica, o della implicita distinzione tra qualit primarie e qualit secondarie. Gli studi di Weber hanno, in questo senso, fatto emergere tutto lo spessore storicoculturale del testo, distribuendone la composizione tra il 1619 (Regula I) e il 1628 (Regula XII), e seguendone le evoluzioni e involuzioni, tra conferme e riprese, nelle varie tradizioni manoscritte, e tra regola e regola. Come ribadiscono anche le ricerche pi recenti, il metodo delle Regulae sar poi quello sinteticamente, quasi cripticamente presentato nel Discours, esemplificato nei saggi che laccompagnavano, e particolarmente documentato e approfondito nella Geometrie 15 . La parte qui tradotta la prima (lunica sostanzialmente completata) del progetto abbozzato nellultimo paragrafo della Regula XII, di una redazione, in pratica, avanzata dellopera, secondo lo scavo di Weber. Le prime dodici norme svolgevano, infatti, la metodica delle propositiones simplices, la seconda dozzina quella dei problemi perfettamente compresi, la terza quella dei problemi non perfettamente compresi: in altre parole, la prima parte affrontava le questioni di fondo e di carattere generale, nella seconda e nella terza si metteva mano a una tecnica di definizione dei dati incogniti a partire da quelli conosciuti (sufficienti o meno alla soluzione del problema). Si trattava, in questa accezione, del tentativo di trasformare, con la astrazione, lalgebra geometrica in una sapientia universalis. I motivi universalistici, intravisti nello Studium, erano qui ripresi in un contesto matematizzante, che rinveniva il filo della catena scientiarum, sia come collegamento, sia come enciclopedia, nella struttura del procedimento razionale, con la connessa convinzione di poter conoscere tutto, di poter risolvere ogni problema con le regole del metodo, enucleate dallesercizio dellunica forma di sapere certo e evidente, quello matematico appunto. Daltra parte, come in precedenza registrato nei frammenti giovanili, laffidabilit epistemologica delle scienze matematiche emergeva da un quadro sconfortante della cultura contemporanea, scolastica e non, che
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) D. Garber, Descartes et la Mthode en 1637 in AA.VV., Le Discours et sa mthode, sous la direction de N. Grimaldi et J.-L. Marion, Paris, 1987.

Introduzione

nemmeno la precedente disponibilit per le scienze curiose (per usare il linguaggio del Discours) poteva ormai riscattare. Un quadro dal sapore scettico, secondo la probabile lezione di Charron, come vuole il Sirven 16 , e Montaigne, come rilancia tra gli altri Bortolotti: di l dalla posizione culturale cui, in ogni modo, Descartes si sottrae con lapprodo nella certezza, da valutare il senso teoretico di questo passaggio, che ricorda da vicino la contemporanea fruizione baconiana dei temi montaignani. Nellinglese, infatti, il rilievo del carattere meramente disputativo del sapere di scuola, o della sterile delicatezza di quello retorico-umanistico funzionale alla forte denuncia di un atteggiamento colpevolmente rinunciatario di fronte al mondo naturale, che avrebbe segnato la tradizione metafisica platonica e aristotelica - disponibili a risolvere sul piano esclusivamente verbale il paziente confronto umilmente sviluppato dai primi autori greci. Lautore delle Regulae fa, a sua volta, sporgere sulla vuota inconcludenza delle presunzioni scolastiche (capaci di sortire solo risultati discutibili) linequivocabile univocit e conclusivit delle matematiche. Come ha giustamente rilevato Alqui, esse sono preferite alla logica sillogistica non semplicemente per il loro rigore, in ogni caso non superiore a quello degli sterili sillogismi, semmai proprio per la loro fecondit 17 . La polemica, comune a Bacone e Descartes, nei confronti dei pregiudizi di scuola e della vacuit delle pretese della filosofia, conduceva cos, positivamente, a costatare lurgenza di una riforma del metodo, che avrebbe dovuto assicurare non la ricerca di una verit puramente speculativa, ma di un sapere in grado dincidere efficacemente nella vita. Tuttavia, di l da assonanze pi o meno puntuali - il mito di Teseo, la centralit della memoria (debito da entrambi pagato alle fortune rinascimentali dellars Raimundi) - il programma cartesiano diverge in modo netto da quello baconiano. Alla preoccupazione dellinglese (che si tingeva culturalmente del probabile afflato puritano per la renovatio) per una restaurazione del corretto approccio umano al mondo naturale, emendato dalle presunzioni platonicoaristoteliche, che garantisse un rispecchiamento ex analogia universi preliminare e funzionale alle possibilit di manipolazione della natura a vantaggio dellumanit stessa -, il giovane Descartes contrapponeva unoperazione di marca pi decisamente mentalistica, supponendo, in altre parole, meccanismi gnoseologici rigorosamente vincolati allingenium, cui subordinare la stessa oggettiva alterit del mondo. Un procedimento che Bacone avrebbe annoverato tra quelli distorcenti, ex analogia hominis. 5 A improntare tale operazione erano due passaggi essenziali: lidea dellunit delle scienze, a dispetto della diversit dei loro rispettivi oggetti (Regula I), lidea dei limiti della conoscenza umana (Regula VIII) 18 . Ogni conoscenza certa e evidente tale nella misura in cui ci consente di evitare lerrore, in forza della sua struttura concettuale: questa, a sua volta, rappresenta la sola condizione di ogni certezza gnoseologica. Le prime dodici regole non fanno, nella sostanza, che modulare queste idee, precisando in particolare la natura di tale struttura concettuale. Anche in questo caso si possono indicare le stazioni cardinali del discorso cartesiano: 1. assoluto privilegiamento del modello matematico in quanto indiscutibile nei suoi esiti, 2. focalizzazione delle modalit conoscitive intorno a cui esso si costruisce, 3. ulteriore determinazione della specificit del loro oggetto,
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) J. Sirven, Les annes dapprentissage de Descartes, Paris, 1930, p.261. ) F. Alqui, La dcouverte mtaphysique de l homme chez Descartes, Paris, 1987, p.62. 18 ) L. Gbe, in Descartes, Regulae ad directionem ingenii cit. p.XXXVII.

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4. individuazione degli strumenti atti a favorire la piena funzionalit della conoscenza, assicurando quel livello dintelligibilit che deve essere proprio di ogni scienza. Il riferimento alla struttura concettuale direttamente implicato ai punti 2 e 3, dal momento che lintuizione e la deduzione sono da Descartes distinte soprattutto per la natura semplice o complessa del loro oggetto, e quindi per la puntualit o linearit dellatto cognitivo. La novit cartesiana , in questo senso, costituita dal trapianto dellordine astratto che essenzia le matematiche in altri ambiti, cui dovr applicarsi, secondo le esigenze proprie della razionalit, lartificiale riduzione del complesso al semplice, per garantire la stessa trasparenza intelligibile manifestata in quelle scienze. Con un ulteriore, fondamentale riconoscimento: che in tale riduzione non si dovr tenere conto della natura ontologica del problema considerato, ma, appunto, solo della possibilit di elaborazione dei suoi dati in funzione del nostro intelletto. Lenucleazione della mathesis universalis quale nocciolo di ogni procedimento razionale capace di produrre certezza, comportava, insomma, la estensione delle tecniche di idealizzazione matematica, alla luce della relativa dicotomia semplice-complesso. nella Regula V (una delle pi antiche, secondo Weber) che Descartes prospetta un procedimento a due tappe: una di progressiva reductio delle proposizioni involute e oscure a altre pi semplici, laltra di ricostruzione del complesso, a partire dalla intuizione del pi semplice. In tal modo, ogni indagine avrebbe preso le mosse da una questione, con metodo successivamente ridotta a questioni pi semplici, la cui soluzione presupposta per la risoluzione della questione originaria. Secondo la pi tarda Regula VIII, questa procedura ci avrebbe invece condotto da problemi relativamente specifici a altri pi elementari, generali e fondamentali: seguendo coerentemente la serie riduttiva si sarebbe approdati a una intuizione ultima, punto di partenza per la ricostruzione, attraverso cui sarebbero state serialmente dedotte le soluzioni delle questioni sollevate, nellordine inverso alle riduzioni 19 . Come pu ricavarsi dalla Regula XII, nel corso della propria riflessione il giovane filosofo doveva aver maturato la convinzione che ogni procedimento di analisi era destinato a terminare con un ventaglio ristretto di nature semplici, che si trattava poi di disporre per la soluzione finale. La struttura di ogni conoscenza rimandava, cos, allordine di composizione di tali elementi intuitivi, in successive stratificazioni di proposizioni meno generali. In questo modo, effettivamente, la mathesis universalis si rivela essenzialmente come scienza dellordine, di un ordine, come gi abbiamo avuto occasione di segnalare, logico, imposto arbitrariamente dalla nostra mente al proprio oggetto, per illuminarlo intelligibilmente. Su questo terreno si faceva chiaro il confronto con la tradizione aristotelica. La natura simplicissima, la res simplex, come stato giustamente rilevato 20 , non n semplice, n propriamente una natura. Infatti, invece della cosa considerata in se stessa, secondo la sua ousia o physis, la espressione denota la cosa considerata respectu nostri intellectus, o in ordine ad cognitionem nostram, con lesplicito rilievo della sua relativit rispetto allo status delle categorie della lezione aristotelica. Noi, dunque, non cogliamo la verit di unessenza, ma quel che in primo luogo per conoscibile dellente, e conoscibile facilmente, quindi con certezza. Le nature semplici costituiscono non i preesistenti referenti ontologici su cui deve ritagliarsi il processo gnoseologico, piuttosto i prodotti finali di tale processo 21 .

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) D. Garber, op. cit., p.70. ) J.-L. Marion, Cartesian metaphysics and the role of the simple natures in AA.VV., The Cambridge Companion to Descartes, ed. by J. Cottingham, Cambridge, 1992, p.115. 21 ) Ibidem.

Introduzione

Daltra parte, esse non sono neppure semplici nel senso in cui si dicono semplici gli atomi o gli elementi: la semplicit sempre relativa al nostro ingenium. Nellesempio cartesiano estensione, figura e movimento non sono reali elementi del corpo, ma ci cui la nostra illuminazione intellettuale riduce il corpo: la loro semplicit , di conseguenza, funzionale e epistemologica. 6 Che rapporto si pu rintracciare tra questi temi e il concetto di mathesis universalis? Nella Regula IV, discutendo dellesigenza di un metodo per la ricerca della verit, Descartes ricorda (come far ancora nel Discours) come la sua attenzione fosse stata originariamente attratta dalle matematiche, dal cui studio non fu in ogni caso del tutto soddisfatto: ci che realmente lo interessava non era lintegumentum dapparati segnici, ma la logica essenziale del procedimento, che, a sua detta, si poteva intravedere nei testi di alcuni autori antichi, come Pappo e Diofanto, in cui la vera matematica era di fatto un metodo di scoperta. Lanalisi praticata (teoretica, quando procedeva a stabilire la verit di un teorema, problematica quando, al contrario, puntava a determinare qualcosa di sconosciuto - ma il filosofo riconoscer sostanzialmente solo questo secondo tipo) poteva essere facilmente trapiantata dal tradizionale terreno del computo, nella misura in cui se ne fossero privilegiati gli aspetti strutturali 22 . La strategia di Descartes rivela il suo peculiare contributo alla matematica classica, cui pure pretendeva di richiamarsi: contributo da individuare soprattutto nel livello di astrazione conseguito, in primo luogo svincolando il numero dalle intuizioni spaziali (caratteristiche della matematica antica), quindi liberando ulteriormente lalgebra dallinterpretazione rigorosamente numerica (introducendo lettere al posto di cifre). La natura astratta di tale algebra garantiva la sua forza, la sua potenziale estendibilit, come dimostra in particolare la Regula XII. Il progetto di una fisica matematica apriva, semmai, una serie di problemi di traducibilit di quelle astrazioni in termini fisici, che, nelle Regulae, in genere, il filosofo cerca di risolvere rinviando alle nature semplici. Esse sono in questa sede classificate in puramente intellettuali (la cui conoscenza richiede solo un certo grado di razionalit), puramente materiali (che richiedono il contributo dellimmaginazione) e comuni. Se il primo gruppo costituisce la diretta premessa del lavoro metafisico, il secondo era il perno della nuova interpretazione del mondo naturale. Colte dallintelletto nella propria rarefazione intuitiva, le nature semplici puramente materiali potevano essere rappresentate nellimmaginazione come grandezze estese, con una traduzione della notazione algebrica astratta nel linguaggio geometrico, quindi ulteriormente riferirsi allestensione materiale degli oggetti, secondo uno schema che avr particolare fortuna nella cultura scientifica secentesca, quello delle qualit primarie (riducibili, in ultima istanza, a estensione e movimento) e di quelle secondarie (di natura percettiva, soggettiva). Cos la matematizzazione, rigorizzazione del metodo scientifico da applicare a ogni ambito dindagine, primo fra tutti quello fisico, s'avvaleva da un lato della generalizzazione delle procedure algebriche, cos da ridurre lanalisi dei problemi a esercizio di ordinata disposizione di entit astratte, dallaltro, in virt della loro traducibilit geometrica, della possibilit per la immaginazione di trasformare quel linguaggio in rappresentazioni spaziali, a loro volta applicabili a un mondo fisico adeguatamente idealizzato. 7

) S. Gaukroger, The nature of abstract reasoning: philosophical aspects of Descartes work in algebra in AA.VV., The Cambridge Companion to Descartes cit. pp.105-6.

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Introduzione

Si detto in precedenza delleco rinascimentale di questo testo, in particolare per lentusiasmo enciclopedico che esso sembra dischiudere. La convinzione tipicamente rinascimentale nella possibilit di costruire unenciclopedia del sapere, fondata su alcuni, pochi, semplici principi, come abbiamo visto, si manifesta nei concetti di universalis sapientia e mathesis universalis. Pur essendo le Regulae composte con uno spirito gi decisamente rivoluzionario, nella mathesis universalis ancora si rifrangono le grandi illusioni che circolavano, allepoca, tra molti studiosi, sulla possibilit di scoprire una sapienza universale capace di risolvere tutto. Come ha rilevato Bortolotti 23 , tra coloro che in quegli anni usarono pi frequentemente il termine mathesis troviamo uno dei pi caratteristici esponenti dellideale enciclopedico-pansofico, lo Alsted, la cui lezione giunger a influenzare anche la formazione del giovane Leibniz. A questo dato culturale possiamo subito collegarne un altro, riguardante proprio limpronta matematica del progetto. Un riscontro significativo offerto dagli appunti giovanili classificati come Cogitationes privatae: da esse risulta lintenzione cartesiana di comporre unopera di argomento matematico (Thesaurus mathematicus), nel cui progetto savverte una concezione ancora mitica della disciplina, la speranza che con il suo avallo si possa dirimere ogni difficolt 24 . Una concezione che riflette la partecipazione del giovane Descartes al clima culturale che aveva fatto registrare gli sviluppi della mistica del numero, dellharmonia mundi, della divina proportio, e che si pu percepire nel giovanile Compendium musicae e nellinteresse manifestato per scritti matematici permeati della mistica neoplatonica e neopitagorica. C, tuttavia, a mio modo di vedere, un elemento culturale ulteriore che sembrerebbe chiaramente riportare le Regulae, nonostante la loro carica di rottura e il loro innovativo contributo metodologico, nellalveo delle prove segnate dallesperienza rinascimentale. Mi riferisco al carattere tecnico delle norme proposte, quasi si trattasse di una ars. Sebbene la Regula I sottolinei nettamente lo scarto tra pura cognitivit delle scienze e condizionamento sensibile-materiale delle arti (che sempre presuppongono particolari attributi corporei e il loro continuo esercizio), poi vero che la tendenza di fondo cartesiana nel nostro testo quella di individuare gli strumenti che intervengono a favorire lefficacia delle procedure della nostra razionalit. Cos le matematiche offrono la palestra ideale per cogliere in trasparenza lattivit fisiologica della mente, consentendo quindi, con lesatta determinazione di intuizione e deduzione, di approntare la strategia metodologica della semplicit. La successiva attenzione per quanto pu giovare a quellattivit, il rilievo della sagacia e perspicacia fanno pensare a unidea del metodo cui, nonostante lastrattezza del modello algebrico, non pu mancare, anche per i motivi che in precedenti passaggi abbiamo chiarito, la pratica e la padronanza tecnica. Il fatto che le Regulae affrontino tematiche apparentemente metafisiche, come quella delle nature semplici puramente intellettuali (che avrebbero in seguito ricevuto nella produzione cartesiana ben altro approfondimento), rimarcando il proprio disimpegno ontologico, pu, a mio avviso, spiegarsi proprio con la probabile esasperazione tecnicistica, e con lillusione di poter risolvere analiticamente i problemi senza scadere sul piano del confronto scolastico, assicurando un rigore che lanalogo tentativo dialettico, portato avanti dalla tradizione retorica rinascimentale, non poteva vantare. Questa lettura tecnica del testo potrebbe essere ancora suffragata dal ruolo centrale svolto dalla enumerazione. Come risulter dal commento, essa per un verso associata direttamente allelaborazione dellordine artificiale, funzionale alla comprensione del problema o delloggetto di studio; per altro, invece, si collega allinterpretazione cartesiana dei processi razionali, per cui la deduzione si costruisce come catena di passaggi in23 24

) A. Bortolotti, op. cit., pp.106-7. ) Ibidem.

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Introduzione

tuitivi, in cui la certezza non pu coniugarsi con levidenza, associata alla puntualit dellintuire. Le tecniche di revisione e velocizzazione dei passaggi avevano in fondo il compito di trasformare tendenzialmente il movimento deduttivo nellimmediatezza intuitiva, mutuandone levidenza. Con il conseguente ricorso, direttamente ricavato dalla tradizione dellarte della memoria, alle risorse della strategia mnemotecnica proprio per annullare lipoteca rappresentata dai possibili fallimenti della memoria, quasi a volerne cancellare il ruolo.

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Introduzione

Bibliografia
Si fa qui di seguito riferimento a alcuni testi essenziali unintroduzione al problema del metodo, avendo cura di segnalare lasterisco quelli che lo studente potrebbe utilizzare con profitto: per con

Edizioni:
(*) Cartesio, Opere, a cura di E. Garin, Bari, 1967. R. Descartes, Regulae ad directionem ingenii (Regeln zur Ausrichtung der Erkenntnis), herausgegeben von H. Springmeyer, L. Gbe, H.G. Zekl, Hamburg, 1973. [Edizione qui seguita per la traduzione]. R. Descartes, Rgles utiles et claires pour la direction de lesprit, par J.-L. Marion, The Hague, 1977.

Saggi:
J. Sirven, Les annes dapprentissage de Descartes, Paris, 1930. L.J. Beck, The method of Descartes, Oxford, 1952. J.P. Weber, La constitution du texte des Regulae, Paris, 1964. (*) AA.VV., Cartesio, a cura di G.B. Gori, Milano, 1977. J.-L. Marion, Sur lontologie grise de Descartes, Paris, 1981. W. Rd, Descartes. Die Genese des cartesianischen Rationalismus, Mnchen, 1982. (*) A. Bortolotti, Saggi sulla formazione del pensiero di Descartes, Firenze, 1983. (*) J. Cottingham, Descartes, Oxford, 1986. F. Alqui, La dcouverte mtaphysique de l homme chez Descartes, Paris, 1987. AA.VV., Le Discours et sa mthode, sous la direction de N. Grimaldi et J.-L. Marion, Paris, 1987. (*) G. Crapulli, Introduzione a Descartes, Roma-Bari, 1988. D. Judovitz, Subjectivity and representation in Descartes. The origins of modernity, Cambridge, 1988. (*) F. Bonicalzi, Lordine della certezza. Scientificit e persuasione in Descartes, Genova, 1990. (*) A. Koyr, Lezioni su Cartesio, Milano, 1990. E.R. Grosholz, Cartesian method and the problem of reduction, Oxford, 1991. AA.VV., The Cambridge Companion to Descartes, edited by J. Cottingham, Cambridge, 1992. (*) J. Cottingham, A Descartes dictionary, Oxford, 1993.

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Regole per la direzione dellintelligenza (I-XII)

Regole per la guida dellintelligenza

Regola prima Il fine degli studi deve essere quello di guidare la mente nella formulazione di giudizi sicuri e veri, intorno a tutte le cose che si presentino. 1. consuetudine degli uomini, ogni qual volta scoprano qualche somiglianza tra due cose, giudicare d'entrambe, anche per ci in cui esse sono differenti, in conformit a quello che hanno verificato vero delluna o dellaltra. Cos, accostando maldestramente le scienze, che consistono interamente nella cognizione dellanimo, alle arti, che richiedono un certo esercizio e una certa abitudine del corpo, e vedendo che non tutte le arti si possono apprendere contemporaneamente da uno stesso uomo, ma che riesce pi facilmente ottimo artista colui che ne esercita una soltanto, poich le stesse mani non possono adattarsi tanto agevolmente a coltivare i campi e suonar la cetra, o a svariati mestieri di tal genere, quanto a uno solo di essi, credettero che accadesse lo stesso anche con le scienze, e, distinguendole tra loro per la diversit degli oggetti, hanno ritenuto che siano da conseguire ognuna per s, prescindendo da tutte le altre. In ci si sono completamente ingannati. Infatti, non essendo tutte le scienze altro che lumano sapere, che rimane sempre uno e medesimo per quanto applicato a soggetti differenti, n mutua da essi maggior distinzione di quanta la luce del sole dalla variet di cose che illumina, non necessario vincolare lintelligenza a alcun limite: dal momento che la conoscenza di una verit non ci distoglie dalla scoperta di unaltra, come invece lesercizio di unarte, risultando piuttosto daiuto. Certamente desta la mia meraviglia il fatto che la maggior parte degli uomini indaghi in modo estremamente diligente le virt delle piante, i moti degli astri, le trasformazioni dei metalli e gli oggetti di simili discipline, e che nel frattempo quasi nessuno si dia pensiero della retta mente, o di quest'universale Sapienza, sebbene tutte le altre cose siano da stimare non tanto per s, quanto perch a essa contribuiscono in qualche modo. Cos non senza motivo proponiamo prima di tutte questa regola, poich nulla ci allontana di pi dalla corretta via dindagine della verit che il dirigere gli studi a qualche fine particolare, piuttosto che a tal fine generale. Non parlo di fini perversi e riprovevoli, come sono la vana gloria e il turpe guadagno: evidente che a ci aprono un percorso assai pi spedito i falsi argomenti e le beffe preparate per lingegno del volgo, di quel che non sia possibile alla solida conoscenza del vero. Piuttosto intendo riferirmi a quelli onesti e lodevoli, perch da questi siamo ingannati spesso in modo pi sottile: come quando ricerchiamo scienze utili alle comodit dellesistenza, o a quel piacere che si ritrova nella contemplazione del vero, e che in questa vita quasi lunica integra felicit, non turbata da alcun dolore. Possiamo infatti attenderci questi frutti legittimi delle scienze, ma se pensiamo a quelli mentre studiamo, spesso essi fanno s che, da parte nostra, s'ometta molto di ci necessario alla conoscenza d'altre cose, o perch a prima vista poco utile, o perch apparentemente poco interessante. da ritenere, dunque, che tutte le scienze siano cos collegate tra loro che risulti di gran lunga pi semplice impararle tutte insieme che non separarne una dalle altre. Se quindi qualcuno ha intenzione d'investigare seriamente la verit delle cose, non deve preferire una scienza particolare: sono infatti tutte congiunte tra loro e reciprocamente dipendenti. Pensi, piuttosto, unicamente a incrementare il natural lume di ragione, non per risolvere questa o quella difficolt di scuola, ma perch lintelletto possa indicare alla volont, nei singoli casi della vita, quel che sia da scegliere; presto verificher con meraviglia d'aver fatto progressi di gran lunga pi consistenti di quelli conseguiti da chi sapplica a discipline particolari, e d'aver rag-

Regole per la guida dellintelligenza

giunto non solo tutte le cose che gli altri desiderano, ma anche quelle che superano le loro possibili aspettative.

Commento
Lopera si apre con una netta presa di posizione (di sapore platonico) contro la confusione generata dai giudizi fondati su aliquam similitudinem, che, condotti di fatto superficialmente su somiglianze, finiscono poi con il lasciarsi sfuggire le differenze strutturali. Un appunto, questo cartesiano, funzionale alla successiva, sottolineata demarcazione tra arte e scienza, tra l'habitus specifico, implicito nella pratica particolare di ogni singola arte, e lunit dell'humana scientia. Quello che lautore esplicitamente contrappone (a dispetto delle sfocature che possono nascere nellaccostamento) , da un lato, la cognitio animi, costitutivamente fondante il sapere scientifico, dallaltro labitudine e lesercizio che qualificano le arti. In questo senso, Descartes pu effettivamente concludere che, nel caso delle scienze, la loro organizzazione puramente intellettiva escluda la parcellizzazione dellattivit sui singoli oggetti di studio come invece inevitabile nella prassi delle arti, che richiedono addestramento specifico -, garantendo in tal modo la densit, omogeneit e unit dellumano sapere. Introdotta questa puntualizzazione teoretica, agile approdare a una prima fondamentale acquisizione (cum scientiae omnes nihil aliud sint quam humana scientia, quae semper una et eadem manet, quantumvis differentibus subjectis applicata), illustrata dal pregnante accostamento metaforico (di chiara matrice platonica) alla luce solare nel suo rapporto con gli oggetti illuminati. La tradizionale (nel platonismo e nellagostinismo) centralit dellilluminazione trascendente (e quindi del Bene o di Dio come condizioni trascendentali) cos rovesciata per concentrare nella mens quella facolt di illustrare, che si risolver, come vedremo, in un rapporto immediato della ragione con se stessa 25 . Come il sole, l'humana scientia rimane invariabilmente identica a se stessa, riversando la propria "luce incolore" (Cassirer) e imponendo la propria uniforme signoria sugli oggetti. In tal modo si compie anche una conversione del punto di vista scientifico, dallintelligibilit intrinseca delloggetto, allintelligibilit proiettata nella cognitio animi. In che senso debba intendersi il richiamo cartesiano allunit della scienza, lo chiarisce efficacemente uno dei maggiori interpreti delle Regulae 26 : <<Tutte le scienze sono cos strettamente interdipendenti, talmente legate insieme, che pi facile apprenderle tutte insieme che isolarle luna dallaltra. Non deve esserci per Descartes che una sola specie di conoscenza, un solo livello di intelligibilit, una sola forma di certezza scientifica e un solo metodo per acquisire questa certezza, che ci d la garanzia irrevocabile di essere in possesso della verit. La scienza una, perch si riduce a una legge semplice di evidenza, perch determinata dalla stessa mente umana, nella quale il lumen naturale sempre identico a se stesso, in ogni circostanza. La scienza una, infine, perch non vi sono molte specie di conoscenza, dal punto di vista dellintelligibilit>>. Ricondotte in precedenza la scienza a esercizio cognitivo della mente, e larte a esercizio (e quindi disposizione) del corpo, Descartes ha buon gioco a condensare nella logica stessa dellesercizio cognitivo la soluzione del nesso interno alle diverse discipline scientifiche, risultando sostanzialmente ininfluente la specificit degli oggetti quando centrale

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) F.Alquie, in R. Descartes, Ouvres philosophiques, Paris, 1963, vol. I, p.78. ) L.Beck, Unit del pensiero e del metodo in AA.VV., Cartesio, Milano, 1977, p.40.

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latto dellintelligenza. Recentemente la Judovitz 27 effetti di questa scelta cartesiana:

ha sintetizzato gli

<<Cos la basilare separazione di arti e scienze ha tre maggiori conseguenze: la separazione di mente e corpo, limplicita esclusione dellesperienza e la definizione della ragione come un processo puramente cognitivo>>. Si comprender allora come Descartes possa sostenere che la cognitio unius veritatis non ci allontani dalla scoperta (inventio) di ulteriori verit, rivelandosi, al contrario, di ausilio: se, come recita questa prima regola, il fine degli studi deve essere quello di guidare la mente nella formulazione di giudizi sicuri e veri, intorno a tutte le cose che si presentino, sar proprio dalla riflessione sulla peculiare facolt illuminatrice della bona mens, sulla sua fisiologica attivit, che si potr chiaramente definire quella humana universalis Sapientia, radice di ogni acquisizione veritativa, su cui ritagliare le indicazioni di metodo. Una posizione anticipatrice delle fondamentali pagine del Tractatus de intellectus emendatione di Spinoza (che conosceva un manoscritto di queste Regulae cartesiane), dove il metodo , appunto, riflessione sullidea vera (idea ideae). Anche in questo caso il punto di riferimento sicuramente spostato, dalla sostanza, che assicura la universalit ontologica del sapere aristotelico, allesercizio corretto della mente, in cui risiede luniversale sapienza. Daltra parte, come hanno segnalato Sirven 28 , Marion 29 e Gbe 30 , si fa strada, gi da queste primissime pagine del testo, la tensione polemica verso la tradizione aristotelica: la sottolineatura dellunit delle scienze sottintende uno spostamento di baricentro, eversivo della sillogistica aristotelica, o, almeno, delle premesse epistemologiche di quel modello inferenziale, in cui la specificit dei principi implicava larticolarsi delle scienze sulla specificit degli oggetti. La necessit della struttura della scienza in Aristotele dipendeva dalla necessit dei principi (oltre che dalla coerenza formale dellinferenza), costitutivi della natura delloggetto; Descartes, sin dalla prima regola, si trova a fondare la necessaria validit del sapere scientifico sulla natura stessa della mente, e sulla trasparenza dei suoi processi gnoseologici. Da un punto di vista culturale questo intervento cartesiano potrebbe rievocare il dibattito tardo scolastico di Suarez (secondo la puntuale indicazione di Sirven), presente indubbiamente nella formazione a La Fleche, ma tanto pi le intenzioni metodologiche di P. Ramo (Scholae dialecticae, 1569). Questi, ribaltando la strategia anti-platonica di Aristotele nei confronti della dialettica come episteme fondante, aveva rilanciato proprio il progetto di una scienza universale, terreno comune a tutte le scienze, coincidente con la potenza e natura della ragione che s'applica a tutte le cose per comprenderle. Il discorso ramista culminava con la stessa immagine impiegata da Descartes: <<come nel mondo c un unico sole, dalla cui luce qualunque cosa illuminata, cos c ununica, comune, universale ragione, con cui ogni cosa sviluppata e portata a decisione>> 31 . La direzione della svolta cartesiana potrebbe, quindi, in qualche modo esser stata ricavata dalla concezione dialettico-retorica del ramismo: i contenuti e lo sbocco sono in ogni caso del tutto originali, come vedremo. Il senso di questa prima regola quello di richiamare la ricerca metodologica dalla dispersione nelle tecniche (anche dialettico-retoriche) alla
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) D.Judovitz, Subjectivity and representation in Descartes. The origins of modernity, Cambridge, 1988, p.44. ) J.Sirven, Les annes dapprentissage de Descartes, Paris, 1928, p.161 ss.. 29 ) J.L.Marion, Sur lontologie grise de Descartes, Paris, 1981, pp.30 ss.. 30 ) L.Gbe, Anmerkungen in R. Descartes, Regeln zur Ausrichtung der Erkenntniskraft, Hamburg, 1973, pp.1823. 31 ) Citato in L. Gbe, op. cit., p.184.

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messa a fuoco di quegli aspetti cognitivi che, soli secondo lautore, giustificano lesser scienza della scienza, e ne individuano i caratteristici livelli di trasparenza intelligibile. La rilevanza del cogitare de bona mente si inquadra dunque nellorizzonte della corretta via di indagine intorno alla verit, nella misura in cui si risolve nel cogitare tantum de naturali rationis lumine augendi. Ogni scienza, cos ridotta allumano sapere, deve condurre allanalisi di questo sapere come tale. Per dirla con F. Bader 32 , nessun sapere particolare possibile senza sapere del sapere, e questo deve essere riconosciuto come ci che principalmente lo determina e lo fonda. Daltro canto, questa riflessione sulluniversale sapienza non implica una mera esercitazione scolastica sulla struttura formale della scienza: proprio muovendo dallintreccio delle scienze, dalla loro connessione, possibile a Descartes proporre quellesame, capace di focalizzare e sviluppare le dinamiche del sapere, come passo decisivo per la soluzione dei problemi concreti, nei singoli casi della vita, rimarcando come, giustamente in virt di quellimpronta puramente cognitiva che la costituisce, la scienza, in altre parole lumana facolt di conoscere, tanto pi efficacemente risolutrice, quanto pi esclusivamente auto-trasparente.

) F. Bader, Die Ursprnge der transzendentalphilosophie bei Descartes. Band I: Genese und Systematik der Methodenreflexion, Bonn, 1979, p.253.

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Regola seconda Occorre occuparsi solo di quelle cose alla cui certa e indubitabile conoscenza la nostra intelligenza appare essere sufficiente. 1.Ogni scienza cognizione certa e evidente; n chi dubita di molte cose pi dotto di chi non abbia mai pensato a esse, ma, nondimeno, appare pi ignorante di quello, se riguardo a alcune concepisce falsa opinione; perci meglio non studiare piuttosto che occuparsi d'oggetti cos difficili che si sia poi costretti, incapaci di discernere il vero dal falso, a assumere come certo quanto invece dubbio, dal momento che in quelle non c tanto speranza d'aumentare la conoscenza, quanto pericolo di diminuirla. Cos con questa proposizione respingiamo tutte quelle cognizioni soltanto probabili, e stabiliamo che non si debba prestare fede se non a quelle perfettamente note e di cui non sia possibile dubitare. E sebbene i dotti siano anche convinti che di simili ne esistano ben poche, perch purtroppo, per un qualche vizio ricorrente nel genere umano, hanno evitato di riflettere su tali cognizioni, come troppo facili e ovvie per chiunque, io ammonisco comunque che sono di gran lunga pi numerose di quanto ritengano, e tali da essere sufficienti alla dimostrazione certa d'innumerevoli proposizioni, intorno a cui finora hanno potuto discutere solo in termini di probabilit. E dal momento che credettero indegno per un dotto riconoscere di non sapere qualcosa, essi si sono abituati a adornare le loro false ragioni, cos da persuadere poi, un po alla volta, se stessi, spacciandole dunque per vere. 2. In vero, se osserviamo bene questa regola, si presentano pochissime cose al cui apprendimento sia lecito dedicarsi. A mala pena c, infatti, nelle scienze qualche questione su cui spesso uomini dingegno non abbiano dissentito tra loro. Ma ogni volta che i giudizi di due persone sulla medesima cosa vanno in direzioni opposte, certo che luno o laltro almeno si sbaglia, e nessuno di loro dimostra di possedere scienza; se in effetti largomento di uno fosse certo e evidente, egli potrebbe proporlo allaltro, cos da convincere anche lintelletto. Di tutte le cose, quindi, che sono oggetto di simili opinioni probabili, riteniamo non si possa acquistare perfetta scienza, perch non lecito, senza temerit, sperare per noi stessi pi di quanto gli altri abbiano conseguito; in modo che, se calcoliamo bene, tra le scienze gi scoperte non rimangono che laritmetica e la Geometria, cui losservanza di questa regola ci riporti. 3. N tuttavia condanniamo con ci quel modo di filosofare che gli altri hanno finora elaborato, e quegli strumenti, adattissimi alla polemica, costituiti dai sillogismi probabili delle scuole, che esercitano e promuovono, con una certa dose d'emulazione, lintelligenza dei fanciulli, la quale di gran lunga pi efficacemente formata con tali opinioni, seppur dapparenza incerta risultando controverse tra gli eruditi, che se fosse lasciata a se stessa. Senza guida, infatti, essa s'affretterebbe forse verso il precipizio; ma, sin tanto che insista sulle tracce dei precettori, pu anche deviare talvolta dal vero, tuttavia certamente imboccher un cammino che sar pi sicuro, almeno per il fatto dessere stato sperimentato da persone pi prudenti. E noi stessi siamo felici dessere stati un tempo educati cos nelle scuole; ma giacch siamo ormai sciolti dallimpegno che ci legava alle parole del Maestro, e finalmente, per let abbastanza matura, abbiamo sottratto la mano alla ferula, se vogliamo seriamente proporre a noi stessi delle regole con il cui aiuto sia possibile ascendere ai vertici della conoscenza umana, questa deve trovare posto tra le prime, che ammonisce di non abusare dellozio, come fanno molti che trascurano qualunque cosa sia facile, e non s'occupano che di cose ardue, intorno a cui ingegnosamente costruiscono congetture certamente sottilissime e argo-

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menti assai probabili, ma, dopo molta fatica, si rendono conto, troppo tardi, d'aver aumentato soltanto la quantit dei dubbi, e di non aver appreso invece alcuna scienza. 4. Ora comunque, dal momento che poco fa abbiamo detto che tra le discipline conosciute solo laritmetica e la Geometria sono pure da ogni vizio di falsit o incertezza, per valutare con pi diligenza la ragione per cui ci si verifica, da notare che noi giungiamo alla conoscenza delle cose per una duplice via, cio attraverso esperienza o attraverso deduzione. da notare inoltre che lesperienza delle cose spesso fallace, mentre la deduzione, ossia la pura illazione di una cosa dallaltra, pu certamente essere omessa, se non colta, ma non pu mai essere condotta male da un intelletto che appena sappia ragionare. E mi sembra che a ci poco siano di giovamento quei vincoli dei Dialettici, con cui essi ritengono di governare la ragione umana, anche se non nego che possano essere adattissimi per altri usi. In vero, ogni inganno in cui possano cadere gli uomini, dico, non le bestie, non proviene mai da cattiva illazione, ma da ci solo, che sono supposte certe esperienze poco comprese, oppure sono avanzati giudizi fortuiti e senza fondamento. 5. Da queste cose s'evince chiaramente per quale motivo Aritmetica e Geometria si mostrino di gran lunga pi certe delle altre discipline: perch esse sole vertono su un oggetto cos puro e semplice, non supponendo proprio nulla che lesperienza abbia reso incerto, ma consistono totalmente nella deduzione razionale delle conseguenze. Esse sono quindi fra tutte massimamente facili e perspicue, e hanno un oggetto quale richiediamo, risultando lerrore, nel loro ambito, quasi non umano, a parte il caso di uninavvertenza. N ci si deve per ci meravigliare, se lintelligenza di molti si rivolge piuttosto a altre arti o alla Filosofia: ci accade, infatti, perch ognuno si permette di divinare con pi confidenza in una cosa oscura che non in una evidente, e di gran lunga pi facile congetturare qualcosa intorno a una qualsiasi questione, che non pervenire alla verit nel caso di una questione anche facile. 6. In vero gi da tutto ci si deve concludere non certamente che si debba apprendere solo Aritmetica e Geometria, ma semplicemente che chi ricerca il retto cammino verso la verit non debba occuparsi d'altro oggetto che non possa vantare una certezza pari a quella della dimostrazioni aritmetiche e geometriche.

Commento
La seconda stazione della ricerca cartesiana si apre con una definizione o, meglio, caratterizzazione della scienza come cognitio certa et evidens, che consente allautore di approfondire in prospettiva il sondaggio avviato con loriginaria distinzione tra arte e scienza. Dopo aver messo in guardia dalle superficiali analogie che fraintendono limpianto epistemico delle scienze, Descartes rimarca la natura evidente, autocertificante del vero sapere, cos nettamente circoscritto tanto rispetto al contraddittorio, quanto alle cognizioni soltanto probabili. Con un ulteriore, significativo rilievo: che la riflessione su tali cognizioni rischia di far regredire il sapere, invece di aumentarlo. Il sottinteso (anche in considerazione di quanto emerso nella precedente ricerca) che solo lanalisi di un modello epistemico forte possa autorizzare la speranza di incrementare il natural lume di ragione. Di qui la indicazione a prestare fede solo alle cognizioni perfettamente note e di cui non si pu dubitare, dove solo la disponibilit di tutti i dati sufficienti alla soluzione\intellezione di un problema giustifica la compiutezza e trasparenza dellanalisi. Ovviamente, introducendo una simile certificazione, Descartes prende commiato dalle strategie della cultura tradizionale, colpevole di mancanza di coraggio critico e dappiattimento su unapparente sapienza, meramente verbale (o verbifica, in senso baconiano).

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Attenendosi coerentemente alla regola d'occuparsi soltanto di quelle cose alla cui certa e indubitabile conoscenza la nostra intelligenza appare essere sufficiente (di fatto, come vedremo, riflettere su oggetti che il nostro ingenium sia in grado di ricostruire nella trasparenza dei propri processi razionali), il campo dindagine si restringe notevolmente. Si riconosce, infatti, che a mala pena c nelle scienze qualche questione su cui uomini dingegno non abbiano dissentito spesso tra loro: riallacciandosi probabilmente al precedente ramista, Descartes coinvolge il nesso tra certezza (requisito del vero sapere) e persuasione. La scienza come cognizione certa e evidente sar, dunque, necessariamente persuasiva, in forza della propria struttura logica, in polemica con il presunto sapere dei dotti contemporanei, e a dispetto degli artifici retorici. La definizionecriterio introdotta comporta allora un approdo rigorosamente esclusivo: se calcoliamo bene, tra le scienze gi scoperte rimangono soltanto laritmetica e la Geometria, cui losservanza di questa regola ci riporti. Il canone epistemologico forte preludeva appunto al privilegiamento del modello matematico, per limmediatezza dei processi di verifica e certificazione, fondati sulla speculare adesione ai meccanismi della ratio. In questo senso, la purezza e trasparenza cristallina della struttura epistemica delle matematiche offriva a Descartes lopportunit di esaminarne la logica, preparandone leventuale trapianto in altro contesto. La certezza delle matematiche assicurava, insomma, latmosfera adatta per isolare, nella rarefazione dalle impurit empiriche, e nellintensit della illuminazione razionale, la dinamica logica del nostro ingenium, cos approntando una metodologia conseguente. Non a caso, a questo punto del testo si inserisce il primo esplicito richiamo gnoseologico: alla conoscenza delle cose giungiamo per una duplice via, cio attraverso esperienza o attraverso deduzione. Con la scontata, ulteriore dicotomizzazione tra esperienza fallace (o in ogni modo incerta) e deduzione cogente, da un lato, e laccentuazione dei rischi di facili contaminazioni, dallaltro. Alla luce di quelle differenze e di questi rischi, si legittima nuovamente (dopo il precedente riconoscimento di persuasivit) il privilegiamento delle matematiche: esse sole vertono intorno a un oggetto cos puro e semplice, non supponendo proprio nulla che lesperienza abbia reso incerto, ma consistono totalmente nella deduzione razionale delle conseguenze. La facilit e chiarezza derivante da questo peculiare statuto comporta necessariamente un vantaggio assoluto, quello della inerranza (risultando lerrore, nel loro ambito, quasi non-umano, a parte il caso di uninavvertenza), realizzandosi proprio nelle matematiche, in tutta evidenza, la situazione canonica di piena autosufficienza della nostra intelligenza. Coerentemente, lultimo capoverso rileva lintima relazione tra matematiche e metodo, e quindi la strumentalit e funzionalit paradigmatica del loro studio in vista della definizione del retto cammino verso la verit. Allontanata ogni scoria sensibile e ogni inquinamento corporeo, riportato lingenium alla propria dimensione puramente cognitiva (applicandolo a un oggetto semplice e puro), rimarcata linfallibile cogenza della razionalit umana esercitata nei limiti della sua logica intrinseca, finalmente possibile osservare la mente al lavoro (Beck): <<Lo studio delle scienze matematiche costituisce una sorta di propedeutica propria a ogni pensiero corretto, perch esse sono un esempio dellesercizio della mente che si applica a pensare rettamente>> 33 . <<Le scienze, sottratte alla molteplicit cui le condanna la pluralit degli oggetti e ricondotte allunicit dellumano sapere, guardano alle matematiche come ad una guida, in quanto hanno gi realizzato, spontaneamente, quanto a tutte promette il metodo>> 34 .

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) L. Beck, op. cit., p.41. ) F. Bonicalzi, Lordine della certezza. Semplicit e persuasione in Descartes, Genova, 1990, p.40.

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Le matematiche sono cos parametri di conoscenza perch in esse il metodo gi allopera, ragion per cui, interpretando la loro certezza un ruolo svelante rispetto al metodo stesso, la riflessione meta-matematica ne assicura lestensibilit e quindi lutilit 35 . Facilmente individuabile loggetto della polemica cartesiana nella parte centrale della regola: il sapere disputatorio, sterile della scolastica, ancora studiata a La Fleche, la sua valenza esclusivamente didattica, essenzialmente condizionata dal rapporto di subordinazione allautorit, e quindi in contrasto con lesigenza di persuasivit e trasparenza del vero sapere, che, vedremo, sar infatti caratterizzato dalla criticit.

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) Ibidem, p.41.

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Regole per la guida dellintelligenza

Regola terza Intorno agli oggetti proposti si deve ricercare non ci che altri abbiano opinato o che noi stessi sospettiamo, ma ci che chiaramente e evidentemente possiamo intuire o dedurre per certo; infatti la scienza non s'acquisisce in altro modo. 1. Si devono leggere i libri degli Antichi, dal momento che un notevole beneficio che noi si possa utilizzare le fatiche di tanti uomini: sia per conoscere quelle cose che gi una volta sono state correttamente rintracciate, sia anche per essere messi sullavviso di quali rimangano ulteriormente da cercare in tutte le discipline. Intanto, per, molto pericoloso che qualche macchia derrore, contratto per eccessivo zelo nella loro lettura, aderisca a noi, contro la nostra volont e malgrado ogni attenzione. Gli scrittori hanno la tendenza, infatti, ogni volta che nel decidere intorno a qualche opinione controversa siano caduti in uninconsulta credulit, a impegnarsi per trarci in quella direzione con sottilissimi argomenti; al contrario, tutte le volte che abbiano scoperto felicemente qualcosa di certo e evidente, non l'esibiscono mai se non involuto in varie ambiguit, temendo forse che con la semplicit sia diminuita la dignit dellargomento trovato, o perch c'invidiano laperta verit. 2. Ora invece, anche se tutti fossero ingenui e sinceri, e non spacciassero a noi per vere delle cose dubbie, ma le esponessero tutte in buona fede, dal momento che tuttavia non quasi mai detta una cosa da qualcuno, senza che da qualche altro non sia sostenuto il contrario, saremmo sempre incerti a chi dei due si debba credere. Non servirebbe a nulla calcolare i voti, per seguire quellopinione sostenuta dal maggior numero di Autori: se infatti si tratti di questione difficile, pi credibile che la sua verit possa essere ritrovata da pochi, piuttosto che da molti. Ma anche quando tutti consentissero tra loro, non sarebbe sufficiente la loro dottrina: non riusciremo mai, in vero, a essere, per esempio, Matematici, sebbene si tenga a memoria tutte le dimostrazioni d'altri, se non siamo poi dingegno adatti a risolvere qualunque problema; oppure Filosofi, se avremo letto tutti gli argomenti di Platone e Aristotele, ma non siamo poi in grado di portare stabile giudizio sulle cose proposte: cos infatti mostreremmo d'avere appreso non conoscenze scientifiche, ma storia. 3. Si tenga conto, inoltre, che nessuna congettura si deve mescolare ai nostri giudizi sulla verit delle cose. Il badare a ci non cosa di poco momento: non c infatti ragione pi forte, per cui nulla ormai si trovi nella Filosofia volgare di cos evidente e certo da non poter essere trascinato in controversia, del fatto che dapprima gli studiosi, non contenti di conoscere le cose perspicue e certe, hanno osato asserire anche cose oscure e ignote, che attingevano con congetture solo probabili; prestando poi loro stessi a tali cose, un po alla volta, una fede totale e mescolandole indiscriminatamente con le vere e evidenti, non hanno infine potuto concludere nulla che non sembrasse dipendere da qualche proposizione di tale specie, e dunque non fosse incerto. 4. Ma perch in futuro non si cada nello stesso errore, saranno qui censite tutte le azioni del nostro intelletto, attraverso cui possiamo pervenire alla conoscenza delle cose senza alcun timore dinganno: ne sono ammessi solo due, in pratica lintuizione e la deduzione. 5. Per intuizione intendo non lincostante testimonianza dei sensi, o il fallace giudizio dellimmaginazione malamente combinatrice, ma il concetto della mente pura e attenta, tanto facile e distinto, che intorno a ci che conosciamo non rimanga assolutamente alcun elemento di dubbio; ovvero, ci che lo stesso, un concetto non dubbio della mente pura e attenta, che nasce dalla sola luce della ragione, e, in quanto pi semplice, pi certo di quella stessa deduzione, di cui pure sopra notammo come non possa essere fatta male dalluomo. Cos ognuno pu intuire con lanimo che egli esiste, che il triangolo delimitato solo da tre linee, la sfera

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da una sola superficie, e simili, cose di gran lunga pi numerose di quanto ritengano i pi, giacch essi disdegnano di volgere la propria mente a cose tanto facili. 6. Del resto, perch non accada che qualcuno sia colpito dal nuovo uso del termine intuizione e degli altri che, di seguito, tenter analogamente d'allontanare dalla comune significazione, qui in generale avverto che non mi curo affatto di come ogni vocabolo nei tempi recenti sia stato utilizzato nelle scuole, poich sarebbe difficilissimo utilizzare gli stessi nomi ma associarvi nellanimo cose del tutto diverse; ma che presto attenzione solo al significato latino delle singole parole, affinch tutte le volte che manchino espressioni adeguate io possa portare al mio significato quelle che mi sembrano pi adatte. 7. Ma quest'evidenza e certezza dellintuizione richiesta non per i soli enunciati, ma anche per qualsiasi altro discorso. Infatti, per esempio, si dia questa sequenza: 2 e 2 danno lo stesso risultato di 3 e 1; non si deve soltanto intuire che 2 e 2 fanno 4, e 3 e 1 ancora 4, ma, oltre a ci, che da queste due proposizioni ricavata necessariamente quella terza. 8. Di qui pu gi essere sorto il dubbio sulla nostra aggiunta, oltre allintuizione, di un altro modo di conoscenza, che avviene attraverso deduzione, per la quale intendiamo tutto ci che concluso necessariamente a partire da altre cose conosciute con certezza. Ma ci stato indispensabile, dal momento che moltissime cose si sanno con certezza, sebbene di per s non evidenti, nella misura in cui siano dedotte da veri e noti principi, attraverso un moto continuo e mai interrotto di pensiero, che intuisca in modo perspicuo le singole cose. Non diversamente conosciamo che lultimo anello di una lunga catena connesso con il primo, anche se con un solo e medesimo sguardo non contempliamo tutti gli anelli intermedi da cui dipende quella connessione, ma, avendoli semplicemente verificati in successione, ricordiamo che i singoli sono tra loro connessi, dal primo allultimo. Qui, dunque, distinguiamo lintuizione della mente dalla deduzione certa per questo motivo, che in questa si concepisce un moto o una certa successione, in quella invece no; e inoltre, perch a questa non necessaria la contemporanea evidenza, come allintuizione: essa, piuttosto, mutua dalla memoria la sua certezza. Da cui s'evince come si possa affermare che quelle proposizioni, le quali siano ricavate immediatamente da principi primi, da un diverso punto di vista, possono essere conosciute ora per intuizione, ora per deduzione, mentre gli stessi principi primi solo per intuizione e le conclusioni remote in nessun altro modo che per deduzione. 9. Cos, queste due sono vie certissime alla scienza, n se ne devono ammettere di pi numerose dal lato dellintelligenza, mentre tutte le altre sono da rigettare come sospette e passibili di errore; il che, tuttavia, non impedisce che noi si creda, come pi certe di ogni altra conoscenza, quelle cose che siano divinamente rivelate, giacch la fede in esse, sebbene investa cose oscure, non atto dellintelligenza ma della volont; e che, se tale fede debba avere nellintelletto delle fondamenta, esse, pi di ogni altra cosa, si possano e debbano ricavare attraverso una delle vie indicate, come forse un giorno mostreremo pi ampiamente. Commento
Laspetto critico rilevato in conclusione della regola precedente limpidamente ripreso in questo terzo passaggio del testo cartesiano, sin dalle primissime battute. Il confronto con gli Antiqui si mostra complesso, riproponendo modalit gi riscontrabili in Bacone. Da un lato, Descartes riconosce il contributo consistente desumibile dalla letteratura, sia per quanto concerne le conoscenze acquisite, sia per orientare lulteriore ricerca. Tuttavia non sfugge allautore, anche in questa prospettiva positiva, il limite intrinseco a quella letteratura: lo scarso rigore, la tendenza a rivestire scelte controverse di abiti logici estremamente complessi a scopo persuasivo, o, in altra direzione, laltrettanto istintuale atteg-

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giamento della tradizionale filosofia, di celare la limpidezza del risultato dietro un velame d'ambiguit, quasi che la semplicit potesse svilirne limportanza. Daltra parte, la stessa impronta cognitiva, scientifica (nel senso in precedenza emerso) del vero sapere a spiazzare o rendere superflua qualsiasi sudditanza culturale a grandi maestri. Lesigenza del giudizio sicuro esclude possa esserci spazio per un rapporto probabilistico, calcolato sulle adesioni alle soluzioni offerte dalla tradizione: il problema, come dovrebbe essere ormai chiaro, quello di unintelligenza che sia messa in grado di risolvere ogni difficolt (alla propria portata), in altri termini, quello, gi intravisto, del metodo. Il ricorrere allesempio degli Antiqui un escamotage del tutto empirico, mnemonico, che non pu che produrre storia, mai scienza. Questa si costituisce a un livello differente, nella trasparenza e asetticit dellintrinseca dinamica dei nostri processi cognitivi, come emerge limpidamente dalla riflessione metamatematica. Lemarginazione dellesperienza, prima, lo svuotamento di senso (scientifico) della tradizione, dopo: Descartes, muovendo dal paradigma matematico, termina questo preliminare lavoro di ripulitura dellorizzonte della propria ricerca escludendo ulteriormente, e in modo radicale, ogni forma di congettura probabile, che, comunque, pretenda di mescolarsi e assimilarsi (sulla base dellabitudine) a conoscenze certe e evidenti. La scienza, cos, in ultima analisi tale in quanto si concentra rigorosamente su ci che non pu essere intaccato dal dubbio (essendo sottratto allincertezza dellesperienza), e pu vantare, a sua volta, unassoluta autonomia nel determinare e risolvere i propri problemi (essendo attivit puramente cognitiva, e non storico-mnemonica). La seconda parte delle indicazioni cartesiane investe direttamente il problema gnoseologico (e, mediatamente, quello epistemologico), approfondendo quanto gi avanzato nel testo a commento della regola precedente (la distinzione tra esperienza e deduzione). Qui Descartes interessato a definire tutte le azioni del nostro intelletto, attraverso cui possiamo pervenire alla conoscenza delle cose senza alcun timore dinganno: registriamo, insomma, le risultanze della riflessione epistemologica sulle matematiche, che permette di focalizzare la natura e la funzionalit proprie del nostro ingenium. Gli atti individuati sono intuitus e deductio. Sar solo dalla determinazione delle loro caratteristiche (facilmente trasparenti nellesercizio matematico) che potr essere approntata una strategia metodologica universalizzabile. Lintuizione si qualifica dapprima negativamente (non fluctuantem sensuum fidem) per lesclusione del riferimento ai sensi e allimmaginazione, rinviando alla sfera rigorosamente cognitiva della mente pura e attenta, concentrata puntualmente e non contaminata dalle funzioni del corpo. Quindi, rimarcando forse la puntualit e laderenza dei due poli dellatto intellettuale, si insiste sul concetto non dubbio (della mente pura e attenta), individuandone la matrice nella sola rationis lux. Lintuitus in fondo proposto come latto pi intimo e esclusivo della mente, pi immediatamente radicato nella dimensione intellettiva (pi certo di quella stessa deduzione). Alla puntualit dellatto corrisponde limmediatezza del rapporto alloggetto (ognuno pu intuire con lanimo che egli esiste, che egli pensa), o dei nessi colti nelloggetto (che il triangolo delimitato soltanto da tre linee, la sfera da una sola superficie e simili - non a caso esempi matematici). La certezza e evidenza scaturiscono proprio da questo scrutare dentro (Descartes sottolinea luso della terminologia nel significato latino), da questo illuminare che investe direttamente e integralmente il proprio oggetto, cogliendolo nella sua semplicit, e svelandone i nessi immediati. Essi simpongono al soggetto, ma non nel senso di una sua passivit, bens in quello del loro rivelarsi, nella loro originariet e ultimativit, alla luce investigante della mente. Di qui le differenze rispetto al processo deduttivo.

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Limmagine cui ricorre Descartes per porre l'accento sulla diversit strutturale dei due atti quella della catena, di cui si sa che gli anelli estremi sono congiunti, anche se con un solo e medesimo sguardo non contempliamo tutti gli anelli intermedi, da cui dipende quella connessione, ma, avendoli semplicemente verificati in successione, ricordiamo che i singoli sono tra loro connessi, dal primo allultimo. Nel caso della deduzione, quindi, si divaricano certezza e evidenza. Limpronta visiva dellintuire cartesiano assicura il primato dei nessi immediati tra elementi semplici, ma impotente rispetto a quanto debba ricostruirsi attraverso una serie di mediazioni. Se in questo caso viene meno levidenza, permane in ogni modo la certezza, garantita proprio dalla immediatezza del nesso tra ogni singola maglia e la successiva. La complessit dellintermediazione tra gli estremi della catena deduttiva introduce la successione e il movimento, e quindi la necessit di conservare levidenza di ogni singolo passaggio intuitivo, per fondare la certezza dellinferenza. Allevidenza in atto, la deduzione sostituisce la garanzia della sua memoria. Confermando la cogenza del processo deduttivo gi introdotta nella regola precedente, qui se ne precisa la natura composita, che rinvia alla luce originaria dellevidenza intuitiva, e quindi il limite strutturale rispetto allimmediatezza e puntualit di quella. Una precisazione decisiva per la messa a punto del metodo. Per le prime implicazioni in questo senso, vale la pena leggere quanto scrive Beck: <<Ci che Descartes ci dice nelle Regole come nel Discorso che la mente umana non pu cadere nellerrore nella misura in cui funziona conformemente alla sua natura; questo vuol dire che, in virt della sua stessa natura, la mente capace di cogliere le implicazioni necessarie e immediate degli elementi semplici di un dato evidente. Ci ci d le caratteristiche di ogni pensiero corretto e di ogni metodo efficace di pensiero, che consistono nel partire dalla evidenza: le regole che sono relative alla deduzione sono la conseguenza logica e naturale di queste premesse metodologiche>> 36 . Risulta chiaro allora uno dei primi compiti del metodo: quello di indicare i modi per superare, almeno tendenzialmente, la divaricazione apertasi, con la deduzione tra certezza e evidenza. Detto in altri termini: studiare il modo di disinnescare preventivamente i limiti intrinseci alla memoria, riducendo lo iato in direzione di un'intuizione pi comprensiva.

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) L. Beck, op. cit., p.43.

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Regola quarta Per linvestigazione della verit necessario un metodo. 1. I mortali sono posseduti da tanto cieca curiosit che spesso conducono lintelligenza per vie ignote, senza alcuna fondata speranza, piuttosto solo per esaminare se l per caso non si trovi quel che vanno cercando: come se uno ardesse di tanto sciocca cupidigia di scoprire un tesoro, da andar vagando continuamente per le strade, per verificare leventualit di recuperarne uno, perduto da qualche viaggiatore. Cos lavorano quasi tutti i chimici, la maggior parte dei geometri, e non pochi filosofi; e certo non nego che essi talvolta errino cos felicemente, da ritrovare qualcosa di vero; non concedo per questo, in ogni modo, che essi siano pi industriosi, semmai solo pi fortunati. molto meglio non pensare mai a alcuna ricerca della verit, che farlo senza metodo: infatti certissimo che, per tali studi disordinati e oscure meditazioni, il lume naturale confuso e lintelligenza accecata; e chiunque s'abitui a vagare cos nelle tenebre, a tal punto indebolisce la capacit degli occhi, da non poter poi sopportare la luce del giorno. Il che anche comprovato dallesperienza, quando spessissimo vediamo che quelli che non hanno mai atteso alle lettere, giudicano molto pi solidamente e chiaramente delle cose che capita loro d'incontrare, di coloro che sono stati sempre impegnati nelle scuole. Per metodo, invece, intendo regole certe e facili, osservando esattamente le quali nessuno mai supporr il falso per il vero, senza sprecare inutilmente alcuno sforzo della mente, ma, incrementando sempre gradatamente il sapere, perverr alla vera conoscenza di tutte quelle cose di cui sar capace. 2. Si devono in ogni caso notare queste due cose: non supporre per vero nulla che sia certamente falso, e pervenire alla conoscenza di tutte le cose. Infatti, se ignoriamo qualcosa di tutto quel che possiamo sapere, ci accade soltanto o perch non abbiamo mai colto una via che ci conducesse a tale conoscenza, o perch siamo caduti nellerrore contrario. Se per il metodo spiega correttamente in che modo si debba utilizzare lintuizione della mente, per non cadere nellerrore contrario al vero, e in che modo siano da escogitare le deduzioni, per giungere alla conoscenza di tutto, nientaltro mi pare sia richiesto perch la conoscenza sia completa, dal momento che non si pu avere alcuna scienza se non attraverso lintuizione della mente o la deduzione, come gi stato detto. N infatti il metodo pu essere esteso anche a insegnare in che modo debbano essere condotte tali operazioni, in quanto sono tra tutte le pi semplici e primitive, cos che, se il nostro intelletto non fosse in grado di servirsene preventivamente, esso non comprenderebbe alcun precetto, per quanto facile, di tale metodo. Altre operazioni della mente, invece, che la Dialettica si sforza di dirigere in aiuto di queste prime, qui sono inutili, o addirittura da annoverare tra gli impedimenti, dal momento che al puro lume di ragione non si pu aggiungere nulla che in qualche modo non l'oscuri. 3. Poich, quindi, lutilit di questo metodo cos notevole che, senza di esso, occuparsi di scienze sembra essere dannoso piuttosto che proficuo, mi persuado facilmente che gi in passato esso debba essere stato colto in qualche modo dai maggiori ingegni, magari semplicemente per inclinazione naturale. La mente umana possiede, appunto, un non so che di divino, in cui sono dispersi i primi semi di utili pensieri cos da produrre spesso, sebbene negletti e soffocati da studi poco lineari, una messe spontanea. Il che sperimentiamo nelle scienze pi facili, laritmetica e la Geometria: ben avvertiamo infatti che gli antichi geometri utilizzarono una specie di analisi, che estendevano alla soluzione di tutti i problemi, anche se poi non lhanno palesata ai posteri. Di questi tempi c una branca dellaritmetica, che chiamano Algebra, dedicata allapplicazione numerica di quel che gli antichi facevano intorno alle

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figure. Queste due non sono altro che messe spontanea nata dai principi ingeniti di tale metodo, che non mi meraviglio si sia sviluppata intorno ai semplicissimi oggetti di tali discipline, pi felicemente che in altre dove maggiori impedimenti normalmente le soffocano, ma dove, in ogni caso, se coltivate con gran cura, potranno raggiungere senza dubbio una perfetta maturazione. 4. Ci, in vero, mi sono principalmente impegnato a fare in questo trattato; n infatti attribuirei gran valore a queste regole, se non fossero sufficienti a risolvere quei futili problemi con cui i Logici o i Geometri hanno la consuetudine di giocare oziosamente: poich cos crederei di non aver fatto nientaltro che occuparmi di frivolezze, magari pi sottilmente di altri. E sebbene io qui stia per dire molte cose a proposito di figure e numeri, dal momento che da nessunaltra disciplina possono essere recuperati esempi tanto evidenti e tanto certi, chiunque tuttavia abbia attentamente esaminato il mio intento, avvertir facilmente come, in questo caso, io non abbia avuto in mente per nulla la volgare Matematica, ma abbia esposto una certa altra disciplina, di cui figure e numeri sono solo linvolucro e non le parti. Questa disciplina deve contenere infatti i rudimenti primi della ragione umana, e estendersi alle verit che si possono ricavare da qualsiasi soggetto; e, parlando chiaramente, sono convinto che essa sia pi importante di ogni altra conoscenza concessa alluomo, in quanto fonte di tutte le altre. Ho detto, in verit, involucro non perch voglia coprire e avvolgere questa dottrina per difenderla dal volgo, piuttosto per vestirla e ornarla in modo da renderla pi conforme allintelligenza umana. Commento
Necessaria est methodus ad veritatem investigandam. In questi termini lapidari Descartes esplicita quanto gi, in modi pi o meno velati, il contenuto delle tre precedenti regole aveva preparato: lurgenza di una strategia di ricerca che, ritagliata sulle modalit cognitive proprie del nostro ingenium, quali emerse in trasparenza nellesercizio matematico (in virt delle particolari, asettiche condizioni di purezza delloggetto), intervenisse a favorire il miglior utilizzo dellintuitus e della deductio, e di produrre quindi una scienza forte. Nel caso specifico di questa regola, esistono poi problemi di tradizione del testo manoscritto: ledizione qui seguita (quella di H. Springmeyer e H. G. Zekl 37 ) riproduce il manoscritto in possesso di Leibniz, e presenta i primi quattro capoversi dellaltra tradizione manoscritta, riprodotta nelledizione canonica Adam-Tannery 38 . La seconda parte del testo, presentata dai due curatori tedeschi in appendice, manca nella nostra edizione, ma ne daremo notizia nel corso di questo commento. Lattacco decisamente baconiano, non solo per il rilievo metodologico, ma anche per la reiterata sottolineatura del disorientamento e della casualit di un ricercare senza metodo, da Descartes rintracciato, tra laltro, nellambito della chimica e della filosofia, come dire tra il fantasioso sapere dellalchimia, e il contenzioso disputare scolastico, imputati nella disamina critica baconiana. In fondo, la stessa definizione di metodo, nella sua presunzione di certezza e semplicit discriminanti, di economia e gradualit (si pensi alle tabulae del Novum Organon), sembra confermare quellascendenza baconiana. Anche se poi si fa gi strada una prospettiva in qualche modo critica, che punta alla determinazione del limite della certezza conseguibile (la vera conoscenza di tutte quelle cose di cui sar capace). Significativo, rispetto alla regola precedente, il riferimento a intuizione e deduzione, che il metodo deve insegnare a sfruttare nel modo pi
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) R. Descartes, Regulae ad directionem ingenii, cit. ) uvres de Descartes, pubblies par C. Adam et P. Tannery, Paris, 1897-1909.

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efficace, perch a ci tutto si riduce in ambito propriamente scientifico: quel riferimento imprescindibile per il sapere, e lautore si preoccupa piuttosto di rimarcare come il metodo necessariamente debba orientarsi su quelle modalit cognitive, non potendole propriamente fondare o insegnare, a motivo della loro originariet e intrinsecit allingenium. In questo senso il modello matematico costituisce effettivamente unideale palestra nella quale, dallosservazione dello sforzo puramente intellettivo, possibile trarre da un lato conclusioni definitive riguardo alle nostre capacit gnoseologiche e potenzialit epistemologiche (vincolate dalla puntualit intuitiva e dalla cogenza deduttiva), dallaltro predisporre quegli accorgimenti che ne favoriscano le operazioni. Si tratta in ogni caso (a dispetto delle tecniche dialettico-retoriche di impronta ramista) di rimanere su un piano rigorosamente cognitivo, in altre parole puramente intellettuale, riconoscendo la centralit e autosufficienza della mens: al puro lume di ragione non pu essere aggiunto niente che in qualche modo non lo oscuri. Il successivo capoverso illustra ulteriormente il nesso tra metodo e matematiche - accennando forse a ci che nella seconda parte (qui non riprodotta) sar definito mathesis universalis - insistendo, per un verso, nel garantire il metodo con il rinvio ai primi semi, strumentale patrimonio innato, destinato a produrre messe spontanea, per altro nel presentare lanalisi matematica degli antichi geometri (Pappo e Diofanto) come testimonianza dellefficacia di un processo squisitamente a priori, e della sua portata universale (oltre lambito originario delle matematiche). Il reiterato rilievo della spontaneit (e quindi purezza) dei frutti nati dagli ingeniti principi di tal metodo mi pare confermare tanto il carattere privilegiato delle scienze matematiche, come risultati pi immediati della sorgiva potenzialit razionale. Cos, nellultimo capoverso, precisando ulteriormente, Descartes ribadisce la portata esemplare della scienza dei numeri e delle figure, in forza dellevidenza con cui manifestano gli effetti del metodo. Segnalando nel frattempo, esplicitamente, come la matematica comune non rappresenti che linvolucro (integumentum) di quaedam alia disciplina: Haec enim prima rationis humanae rudimenta continere, et ad veritates ex quovis subjecto eliciendas se extendere debet. Unaffermazione fondamentale perch mostra in qualche modo la natura trascendentale, condizionante, originaria e irrinunciabile per un sapere autentico, di tale metodo, e, conseguentemente, rivela come per ogni impegno veritativo, in qualsiasi ambito, il successo venga a dipendere esclusivamente dalla manipolazione operata dalla ragione umana, conformemente ai propri, ingeniti principi, in altre parole, alla propria logica intrinseca. La parte del testo qui non riprodotta ripresentava, con ulteriore articolazione, lo stesso materiale. Alcune precisazioni sono in ogni caso da riprendere, perch intervengono a illuminare quanto gi illustrato a commento. Intanto da rilevare la puntualizzazione del nesso metodo-involucro. Descartes, recuperando probabilmente argomenti di matrice platonica, a pi riprese stigmatizza la propria originaria insoddisfazione per laritmetica e la geometria tradizionali, troppo legate alle risultanze del calcolo su numeri e figure. Daltra parte, laltrettanto tradizionale vincolo propedeutico tra matematica e sapienza nelle scuole classiche dellantichit, denotava, secondo lautore, lesistenza di una specie di matematica diversa da quella comunemente praticata, una specie che, se non perfetta, doveva senzaltro contenere le vere idee. Ci in ragione del fatto che certi primi semi di verit, deposti dalla natura dentro lumana intelligenza, dovevano essere tanto pi vigorosi presso codesta rude e schietta gente antica. Oltre a rivelare nuovamente il complesso rapporto di Descartes con gli antichi, tali affermazioni ripropongono il tema delle tecniche d'analisi dei geometri (con esplicito riferimento a Pappo e Diofanto), che avrebbero costituito il vero sfondo cognitivo delle varie discipline matematiche, con lulteriore prerogativa della universalizzabilit. Questa vera matematica, per tema che dalla divulgazione potesse risultare svilita, in conseguenza

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della sua semplicit e facilit, fu poi in qualche modo celata dietro certe sterili verit dimostrate sottilmente per via di deduzione, quasi effetti spacciati per larte stessa. Tale lettura cartesiana, che potrebbe risentire dellattitudine, largamente documentata nella cultura cinquecentesca, di legittimare gli sviluppi moderni richiamando pi o meno plausibili modelli antichi, testimonia lintenzione cartesiana d'individuare nelle matematiche lesercizio logico del metodo, cogliendolo come loro matrice originaria. Lultima parte di quest'appendice rafforza energicamente quest'interpretazione, dal momento che Descartes esprime linteresse per una precisa definizione di matematica, che ne consenta una netta distinzione dalle discipline cui viene applicandosi. Nella sua essenza essa gli si presenta allora come la scienza cui si riferiscono soltanto tutte quelle cose nelle quali si esamina lordine e la misura, indipendentemente dalle specifiche applicazioni. In questo senso ristretto la matematica (in realt si dovrebbe dire meta-matematica) assunta quale scienza generale (mathesis universalis), rappresentando il fondamento teorico delle altre discipline scientifiche, il nucleo logico ricoperto poi dagli integumenta funzionali ai diversi ambiti (numeri, figure ecc.).

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Regola quinta Tutto il metodo consiste nellordine e disposizione di quelle cose cui deve essere diretta la forza della mente, per scoprire qualche verit. E tale metodo osserveremo esattamente, se ridurremo le proposizioni involute e oscure, un po alla volta, a altre pi semplici, e poi dallintuizione di tutte le pi semplici tenteremo d'ascendere per gli stessi gradi alla conoscenza di tutte le altre. 1. In questa unica indicazione contenuta la somma di tutta lumana capacit, e tale regola non da osservarsi meno, da parte di chi stia per avventurarsi nella conoscenza delle cose, del filo di Teseo da parte di chi si stia per inoltrare nel labirinto. Ma molti o non riflettono a ci che essa prescrive, o lignorano completamente, o presumono di non averne bisogno, e spesso trattano le questioni pi difficili in modo cos disordinato, che mi sembrano fare la stessa cosa che se si sforzassero di pervenire, con un solo salto, dalla parte pi bassa al culmine di un edificio, o non curandosi dei gradini della scala, destinati a tale uso, o non avendoli visti. Cos fanno tutti gli Astrologi, i quali, non conoscendo la natura dei cieli e non avendone nemmeno osservato perfettamente i movimenti, sperano di poterne individuare gli effetti. Cos la maggior parte di coloro che studiano Meccanica senza Fisica, e fabbricano fortunosamente nuovi strumenti per produrre movimenti. Cos pure quei Filosofi, i quali, trascurando gli esperimenti, ritengono che la verit possa sorgere dal loro cervello, quasi Minerva da quello di Giove. 2. Di certo tutti questi peccano evidentemente nei confronti di questa regola. Ma poich spesso lordine, che qui richiesto, cos oscuro e intricato che non tutti possono riconoscere quale sia, essi sono appena nella posizione di guardarsi abbastanza dagli sviamenti, se non osservano diligentemente quelle cose che sono esposte nella proposizione seguente. Commento
Regola interlocutoria, la quinta ha in ogni caso limportante funzione di riportare lanalisi sulla logica del metodo (si badi, il discorso si riallaccia al punto in cui l'abbiamo lasciato, nella nostra scelta editoriale, alla fine del quarto capoverso della regola precedente: nessun riferimento o sviluppo dellidea pi impegnativa di mathesis universalis), mettendo a frutto gli esiti della incursione logico-gnoseologica meta-matematica. Cos, reiterando la centralit dellordine, emerge progressivamente il nesso tra soluzione di un problema e intervento manipolatore-demiurgico della mente: lordine e la disposizione non sono semplicemente trovati nelloggetto, ma proiettati, escogitati dallingenium (esplicito in questo senso il ricorso allimmagine baconiana del filo di Teseo). Alla base dellordine la riduzione del complesso al semplice, quindi il privilegiamento di una tessitura intuitiva che globalmente fondi la struttura deduttiva della ricerca. La ragione della riduzione dovrebbe essere evidente alla luce appunto della precedente riflessione gnoseologica sul sapere scientifico, che aveva identificato nella puntualit, certezza e evidenza dellintuitus la fonte di ogni vera conoscenza, implicando contestualmente la irriducibilit dellatto e del suo oggetto (la loro sostanziale semplicit). Centrale lordine (e la disposizione) non solo per quanto attiene la riduzione funzionale allatto apprensivo della mente, ma anche per la ricostruzione sintetica (complessivamente deduttiva) del problema di partenza. Descartes insiste continuamente sullelementarit, facilit (nel senso di naturale spontaneit) del processo metodico, che indubbiamente non garantisce, secondo lui, la sua affermazione pubblica, a motivo di un certo scolastico pregiudizio. Il privilegiamento delle matematiche nellorizzonte delle presunzioni del sapere contemporaneo, lulteriore enucleazione di una

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originaria dimensione fondativa meta-matematica, sono imperniati sulla scelta (direi quasi assiologica) della semplicit e della chiarezza che, per Descartes, ne consegue. Certamente, proporre come centrale il tema dellordine (di matrice metamatematica) funzionale alla logica intrinseca ai nostri atti gnoseologici significava anche introdurre implicitamente laltra importante questione, dei limiti della nostra conoscenza, coincidenti con i limiti di quella manipolazione cosmogonica (creatrice dordine) della nostra mente.

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Regola sesta Per distinguere le cose semplicissime dalle involute, e per perseguirle con ordine, necessario in ogni serie delle cose, nella quale abbiamo dedotte direttamente alcune verit le une dalle altre, osservare che cosa sia massimamente semplice, e in che modo da ci tutte le altre si allontanino pi, o meno, o ugualmente. 1. Anche se questa proposizione sembra non insegnare proprio nulla di nuovo, tuttavia contiene il principale segreto di questarte, e nessuna pi utile in tutto questo trattato: ammonisce infatti che tutte le cose possono essere disposte in certe serie, non gi perch si riferiscano a qualche genere dellessere, come i Filosofi le divisero nelle loro categorie, ma in quanto le une possono essere conosciute dalle altre, cos che, ogni qualvolta intervenga qualche difficolt, subito possiamo accorgerci se sar pi utile esaminare prima alcune altre cose, e quali, e in quale ordine. 2. Perch ci possa essere fatto correttamente, si deve in primo luogo notare che tutte le cose nel senso in cui possono essere utili al nostro proposito, dove non consideriamo la loro natura propria, ma le confrontiamo reciprocamente, per conoscere le une dalle altre, possono essere dette assolute o relative. 3. Chiamo assoluto tutto quanto contenga in s la natura pura e semplice di cui si discuta, come tutto ci che considerato quasi indipendente, causa, semplice, universale, uno, uguale, simile, retto, o altre cose analoghe; e ci definisco primariamente semplicissimo e facilissimo, per usarlo nel risolvere i problemi. 4. Relativo, in vero, ci che partecipa della stessa natura o almeno di qualcosa di essa, secondo cui pu essere riferita allassoluto, e per una certa serie essere dedotto da esso; ma oltre a ci nel suo concetto implica certe altre cose, che chiamo relazioni: tale ogni cosa che si dice dipendente, effetto, composto, particolare, molti, ineguale, dissimile, obliquo, ecc. Queste cose relative si allontanano tanto pi dalle assolute, quanto pi contengono numerose, analoghe relazioni, subordinate reciprocamente, che in questa regola ammoniamo a distinguere completamente, e il cui nesso reciproco e ordine naturale deve essere cos osservato, che da ultimo possiamo pervenire a ci che massimamente assoluto, passando per tutte le altre. 5. In questo consiste il segreto di tutta larte, che in ogni cosa diligentemente si presti attenzione a ci che massimamente assoluto. Alcune cose, infatti, sotto una certa considerazione sono pi assolute di altre, ma diversamente prospettate sono pi relative: come luniversale pi assoluto del particolare, dal momento che ha natura pi semplice, ma pu anche essere definito pi rispettivo, poich dipende dagli individui per esistere, ecc. Analogamente alcune cose sono in vero pi assolute di altre, tuttavia non ancora pi di tutte le altre: cos come, considerando gli individui, la specie qualcosa di massimo, rispetto al genere, invece, qualcosa di relativo. Tra le cose misurabili lestensione qualcosa d'assoluto, ma tra le estensioni la longitudine, ecc. Analogamente, infine, per far comprendere meglio che noi qui consideriamo la serie delle cose da conoscere, non la natura d'ognuna, abbiamo a ragione annoverato tra le cose assolute causa e uguale, sebbene la loro natura sia in verit relativa: infatti presso i Filosofi la causa e leffetto sono correlativi. Qui, in ogni caso, se ricerchiamo quale sia leffetto, necessario prima conoscere la causa, e non viceversa. Anche le cose eguali si corrispondono reciprocamente, ma quelle che sono ineguali non le conosciamo che per comparazione alle eguali, e non viceversa, ecc. 6. In secondo luogo si deve notare che a esser precisi sono poche le nature pure e semplici, le quali dato intuire subito e per s, senza dipendenza da alcunaltra, ma o immediatamente nei dati desperienza, o per un qualche lume insito in noi; e affermiamo che esse sono da

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osservare con diligenza. Sono infatti le medesime che in ogni serie chiamiamo massimamente semplici. Tutte le rimanenti, invece, non possono essere percepite se non dedotte da queste, e ci o immediatamente e prossimamente, oppure attraverso due o tre o pi conclusioni diverse, il cui numero pure da notare, per conoscere se quelle s'allontanino dalla prima e massimamente semplice proposizione per pi o meno gradi. E tale dovunque il contesto delle conseguenze, dalle quali nascono quelle serie delle cose da ricercare, cui ogni questione si deve ridurre, per poterla esaminare con metodo certo. Poich in verit non facile censirle tutte, e, soprattutto, poich non si devono tanto ritenere a memoria, quanto discriminare con un certo acume dellintelligenza, si deve ricercare qualcosa che formi lintelligenza in modo tale che subito le riconosca, ogni volta che sia necessario; a ci, so per esperienza, nulla certamente pi adatto che la nostra abitudine a riflettere con una certa sagacia anche sulle minime tra quelle che gi prima abbiamo percepito. 7. da notare, infine, per terzo, che non dobbiamo fare iniziare il nostro studio con lindagine di cose difficili; ma, prima d'accingerci a qualche questione determinata, bisogna innanzi tutto e senza altra scelta raccogliere le verit pi ovvie, e un po alla volta verificare, in seguito, se altre possano essere dedotte da quelle, e ancora altre da queste, e cos via di seguito. Dopo aver fatto ci, si deve riflettere attentamente sulle verit ritrovate, e pensare diligentemente perch abbiamo potuto trovare le une prima e pi facilmente delle altre, e quali siano; per giudicare quindi, quando affronteremo qualche determinata questione, quali altre cose sia utile affrontare per prime. Per esempio, se mi verr in mente che il numero 6 il doppio di 3, io cercherei poi il doppio di 6, cio 12; cercherei di nuovo, se serve, il suo doppio, cio 24, e ancora il doppio di questo, cio 48, ecc.; di qui dedurrei, come facile fare, che tra 3 e 6 c la stessa proporzione che tra 6 e 12, e cos anche tra 12 e 24, ecc., e che quindi 3, 6, 12, 24, 48, ecc. Sono continuamente proporzionali. Di qui, sebbene tutte queste cose siano cos perspicue da sembrare quasi puerili, riflettendo attentamente comprendo per quale ragione siano tra loro connesse tutte le questioni che possono essere proposte circa le proporzioni o relazioni delle cose, e in quale ordine debbano essere indagate: il che da solo comprende lessenziale di tutta la scienza puramente matematica. 8. In primo luogo, infatti, m'accorgo che il doppio di sei non stato ritrovato con fatica maggiore del doppio di tre; e, ugualmente, in tutte le cose, trovata la proporzione tra due grandezze qualsiasi, se ne possono dare innumerevoli che abbiano tra loro la stessa proporzione; n muta la natura delle difficolt se ne siano indagate tre, o quattro o pi di tale specie, dal momento che devono essere indagate per s, senza riferimento alle rimanenti. M'accorgo poi che, sebbene, date le grandezze 3 e 6, io abbia trovato facilmente la terza in proporzione continua, in altre parole 12, tuttavia non in modo altrettanto facile, date le due estreme, cio 3 e 12, posso trovare la media, in pratica 6; a chi osservi con attenzione si palesa che la ragione di ci sta nel fatto che qui ci si trova di fronte a un genere di difficolt, completamente diverso dal precedente; perch, per trovare il medio proporzionale, necessario contemporaneamente prestare attenzione a due estremi e alla proporzione che intercorre tra i due, in modo da ottenerne una nuova dalla loro divisione; cosa molto diversa da ci che si richiede, date due grandezze, per trovare la terza in proporzione continua. Procedo anche pi oltre e esamino, date le grandezze 3 e 24, se si possa trovare in modo altrettanto facile una delle due medie proporzionali, in altre parole 6 e 12; qui si presenta ancora un altro genere di difficolt, pi complesso dei precedenti: poich qui si deve prestare attenzione, contemporaneamente, non a una cosa sola o a due, ma a tre diverse, per trovare la quarta. inoltre possibile andare ancora pi avanti, e vedere se, dati soltanto 3 e 48, sia anche pi difficile trovare uno dei tre medi proporzionali, in pratica 6, 12 e 24; cos sembra davvero, da principio. Ma subito dopo si mostra che tale difficolt pu essere divisa e diminuita, se infatti in primo luogo si ricerca il

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medio proporzionale tra 3 e 48, cio 12, quindi il medio proporzionale tra 3 e 12, cio 6, e laltro tra 12 e 48, cio 24; cos sono tornato al secondo genere di difficolt in precedenza esposto. 9. Da tutto ci inoltre m'accorgo in che modo la conoscenza di una stessa cosa possa essere conseguire per vie diverse, di cui luna di gran lunga pi difficile e oscura dellaltra. Cos, per trovare questi quattro proporzionali continui, 3, 6, 12, 24, quando se ne suppongano due conseguenti, cio 3 e 6, o 6 e 12, o 12 e 24, e si voglia ricavarne gli altri, la cosa sar facilissima a farsi; sosterremo dunque che la proposizione da trovare esaminata direttamente. Se, in vero, ne siano supposti altri due, cio 3 e 12, o 6 e 24, per trovare da essi i rimanenti, sosterremo che la difficolt esaminata indirettamente nel primo modo. Se quindi siano supposti due estremi, cio 3 e 24, per ricercare da essi gli intermedi 6 e 12, allora sar esaminata indirettamente nel secondo modo. E cos potrei andare avanti, e da questo solo esempio ricavarne molti altri; ma questi basteranno perch il lettore avverta ci che intendo, quando affermo che una proposizione dedotta direttamente, o indirettamente, e si convinca che dalla conoscenza di qualsiasi cosa, facilissima e prima, si possono ricavare molte cose anche in altre discipline, da parte di chi rifletta attentamente e indaghi con sagacia. Commento
Il tema dellordine, proposto come fondamentale nellambito del metodo per linvestigazione della verit, nelle due regole precedenti, centrale in questa regola, nella sua accezione specifica cartesiana, eversiva di ogni disposizione categoriale, nel senso della metafisica aristotelica: enim res omnes per quasdam series posse disponi, non quidem in quantum ad aliquod genus entis referuntur, sicut Philosophi in categorias suas diviserunt, sed in quantum unae ex aliis cognosci possunt. Questo sarebbe il principale segreto del metodo, limposizione di un ordine artificiale rispetto alla natura delloggetto, ma naturale rispetto alla logica del soggetto conoscente; un ordine, quindi, orientato a esaltare le possibilit intuitive della mens (rispettandone le priorit) e la sua capacit dimostrativa (facilitandone lesercizio). Descartes insistente su questo punto: il secondo capoverso non fa altro che riproporre il concetto, accentuando il ruolo demiurgico del soggetto nella definizione dellordine. alla luce di questa esigenza, di non esaminare, in altre parole, le cose secondo la loro natura particolare, ma paragonarle piuttosto tra loro per conoscere le une dalle altre, che lautore pu ricavare la distinzione tra assoluto e relativo. Lassoluto di cui si discorre ci che contiene in s la natura pura e semplice in esame: si tratta, insomma, del massimamente semplice riguardo alle nostre possibilit gnoseologiche, che funge da strumento per la risoluzione dei problemi pi complessi. Lordine cui pensa Descartes appunto il risultato di una proiezione delle priorit e implicazioni gnoseologiche sulloggetto, ricostruito in tal modo sulla base della semplicit, facilit, relazione, subordinazione. Inoltre, come ha ben focalizzato la Bonicalzi 39 , nel riformulare il significato di assoluto Descartes riafferma la propria distanza da Aristotele, gi dichiarata con la negazione della ripartizione categoriale. Il termine assoluto ha in realt un valore che potremmo definire relativo: lautore usa infatti le espressioni massimamente assoluto, pi assoluto, rilevando cos che lassoluto tale in connessione alla prospettiva di soluzione di un certo problema, e secondo il punto di vista: <<La nozione di assoluto si demarca cos dal linguaggio aristotelico. Lassoluto non tale in s, ma in una rete di relazioni. Lordine, nella formula della serie, presiede lassoluto e lo costituisce come inizio
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) F. Bonicalzi, op. cit., p.54.

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(natura pura e semplice). Tale attribuzione di inizio si giustifica per una evidenza di ordine epistemico che ha la sua certezza proprio nella relazione che istituisce la serie>>. In questo modo, come evidente, il metodo non si costituisce intorno a una logica dipendente dal piano ontologico, ma sulla funzionalit del conoscere. Invece degli absoluta ontologici (essenze) il metodo sostituisce, come absoluta, le condizioni di possibilit della conoscenza stessa 40 . Nella cartesiana accezione di ordine si rivela ancora una volta il carattere meta-matematico del metodo, in altri termini, la logica che, non impegnandosi direttamente con numeri e figure, si limita a disporre delle serie artificiali di nozioni a partire da nozioni prime, con tale duttilit e generalit, da poter facilmente essere trapiantata dal terreno tradizionalmente garantito delle matematiche, a ogni altro ambito scientifico. Il problema pi grave che questo approccio metodologico sollevava era allora proprio quello dellindividuazione e statuto delle nature semplici: per un verso esse si presentano quali strumenti concettuali primari, garantiti dallevidenza e semplicit, in grado di fornire in ogni serie dordine il massimamente semplice (quasi si accennasse alla loro portata a priori). Per altro sono come residui irriducibili nel processo di analisi di un problema o situazione, atomi di evidenza (Hamelin), atomi di verit, dal momento che attraverso la loro enucleazione che si possono istituire quelle serie, da cui, in ultimo, dipende la soluzione cercata. In considerazione della centralit dellordine e della sua natura relazionale, non rigida, che punta, secondo le condizioni, a isolare come assoluto quel termine che garantisca poi, nella successiva subordinazione degli altri, di risolvere il problema; alla luce di questo modello logico che richiama (meta-matematicamente) lequazione, si potrebbe concludere che la natura pura e semplice, il massimamente semplice rappresentano, per la mente che indaga, i dati cogniti, tramite i quali, nella serie istituita, sar possibile individuare lincognito. Questo anche il senso emergente dallabituale, semplice esemplificazione cartesiana, fondata sulla proporzione e sulla ricerca del medio proporzionale: lesercizio sui rapporti proporzionali pi elementari consente di discernere con acume le implicazioni tra le grandezze disposte in serie, cos da trovare le medie proporzionali anche pi complesse tra gli estremi. La conclusione di Descartes che con attenzione e sagacia, a partire da proposizioni semplici e conosciute per prime, molte cose si possano ritrovare anche in altre discipline.

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) J.L. Marion, op. cit., p.90.

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Regola settima Per il completamento della scienza bisogna esaminare tutte le cose e ciascuna in particolare, pertinenti al nostro obiettivo, con un moto continuo e mai interrotto del pensiero, e abbracciarle con unenumerazione sufficiente e ordinata. 1. Losservazione delle cose che qui sono proposte, necessaria per ammettere tra le verit certe quelle che sopra dicemmo essere dedotte non immediatamente da principi primi e per s noti. Ci, infatti, avviene talvolta attraverso un contesto cos lungo di conseguenze, che, quando giungiamo a esse, non ricordiamo facilmente lintero percorso che ci ha condotto fin l; perci affermiamo che allinfermit della memoria si deve portare soccorso con un continuo moto del pensiero. Allora, se, per esempio, attraverso diverse operazioni ho conosciuto, in primo luogo, quale sia il rapporto tra le grandezze A e B, quindi tra B e C, poi tra C e D, infine tra D e E, non per questo vedo quale sia il rapporto tra A e E, n posso comprendere precisamente dalle cose gi conosciute, se non mi ricordo di tutte. Per questo motivo le percorrer con un certo moto continuo dellimmaginazione, intuente le singole cose e nello stesso tempo trasferentesi a altre, finch non abbia imparato a percorrerle dalla prima allultima cos velocemente, che, quasi non lasciando alcuna parte alla memoria, mi sembri d'intuire tutta la cosa simultaneamente; in questo modo, in effetti, mentre si sovviene la memoria, si emenda anche la lentezza dellintelligenza, estendendone la capacit in una certa misura. 2. Aggiungiamo, inoltre, che questo moto non deve essere mai interrotto; infatti, di frequente, quelli che tentano di dedurre qualcosa troppo rapidamente e da principi lontani, non percorrono tutta la concatenazione di conclusioni intermedie in modo tanto accurato da non trascurarne, sconsideratamente, molte. Ma certamente, quando anche solo qualche minuzia tralasciata, immediatamente la catena rotta, e crolla tutta la certezza della conclusione. 3. Qui poi affermiamo che lenumerazione richiesta a completamento della scienza: poich altri precetti giovano senzaltro alla soluzione di molteplici questioni, ma solo con lausilio dellenumerazione pu avvenire che, a qualunque questione noi s'applichi lanimo, sempre su quella si possa giungere a un giudizio vero e certo, e quindi nulla ci sfugga completamente, ma su tutto mostriamo di sapere qualcosa. 4. Quindi questa enumerazione, o induzione, un esame cos diligente e accurato di tutte quanto attiene a qualche questione proposta, da concluderne in modo certo e evidente che nulla da parte nostra stato omesso per svista: perci, tutte le volte che ce ne siamo serviti, anche se la cosa ricercata sia rimasta a noi celata, almeno questo abbiamo imparato, che percepiamo con certezza come essa non possa essere trovata per alcuna via a noi nota; e se per caso, come spesso accade, fossimo in grado di sondare tutte le vie che agli uomini si dischiudono verso di essa, potremmo asserire audacemente che la sua conoscenza posta al di l dogni capacit dellumana intelligenza. 5. da notare, inoltre, che per sufficiente enumerazione o induzione noi intendiamo soltanto quella dalla cui verit si conclude in modo pi certo che per ogni altro genere di prova, a eccezione della semplice intuizione; tutte le volte che qualche conoscenza non pu essere ridotta a ci, ci rimane, rigettati tutti i vincoli sillogistici, questa unica via, cui dobbiamo attribuire ogni fiducia. Infatti, qualsiasi cosa abbiamo dedotto immediatamente da altre, se lillazione stata evidente gi ridotta alla vera intuizione. Se, invece, da molte cose disgiunte inferiamo qualcosa d'unitario, spesso la capacit del nostro intelletto non sufficiente a afferrare tutte quelle in ununica intuizione; nel qual caso gli deve bastare la certezza di tale operazione. Allo stesso modo, non possiamo con una sola intuizione visiva distinguere tutti

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gli anelli di una catena piuttosto lunga; ma, non di meno, se vediamo la connessione dei singoli con i vicini, ci sufficiente per sostenere anche daver visto in che modo lultimo sia connesso con il primo. 6. Ho affermato che questa operazione deve essere sufficiente, dal momento che spesso pu essere difettosa, e per conseguenza inquinata dallerrore. Talvolta, infatti, seppure indaghiamo con lenumerazione molte cose che sono altamente evidenti, se tuttavia omettiamo anche un minimo particolare, la catena rotta, e tutta la certezza della conclusione viene meno. Talvolta abbracciamo anche tutti gli elementi con certezza, per mezzo dellenumerazione, ma non distinguiamo tra loro i singoli, cos che conosciamo tutto solo confusamente. 7. Inoltre quest'enumerazione deve essere una volta completa, unaltra distinta, una terza volta, invece, pu non esserci bisogno di nessuna delle due; perci stato detto soltanto che essa deve essere sufficiente. Infatti, se voglio provare, mediante enumerazione, quanti generi di enti siano corporei, o in quale modo cadano sotto il senso, non sosterr che essi sono tanti e non pi, se prima non avr riconosciuto con certezza che con lenumerazione li ho afferrati tutti, avendo distinto ogni genere dallaltro. Se davvero intendo mostrare per la stessa via che lanima razionale non corporea, non sar necessaria unenumerazione completa, piuttosto baster considerare tutti i corpi insieme in un certo numero di classi, perch dimostri come lanima razionale non possa essere riferita a nessuna di quelle. Se, infine, voglio mostrare per enumerazione che larea del circolo maggiore di tutte le aree delle altre figure, il cui perimetro sia uguale, non necessario censire tutte le figure, ma basta in particolare dimostrare ci di alcune, per concludere induttivamente la stessa cosa anche di tutte le altre. 8. Aggiunsi anche che lenumerazione deve essere ordinata: sia perch ai gi enumerati difetti non c alcun rimedio pi efficace che osservare con ordine ogni cosa; sia, anche, perch spesso si registra che se le singole cose che riguardano il problema proposto fossero da esaminare separatamente, non sarebbe sufficiente la vita di nessun uomo, o perch sono troppo numerose, o perch troppo frequentemente s'incontrerebbero le stesse cose da ripetere. Ma se le disponiamo tutte nellordine migliore, cos da ridurle il pi possibile a certe classi, sar sufficiente vedere esattamente una sola di queste, o qualcosa d'ognuna, o alcune piuttosto che le altre, e almeno non percorreremo mai nulla due volte invano; la qual cosa serve a tal punto che, spesso, a motivo dellordine ben istituito, in breve tempo e con facilit si compiono cose che, a prima vista, sembravano immense. 9. Questordine delle cose da enumerare, tuttavia, pu essere per lo pi vario, e dipende dallarbitrio di ciascuno; quindi per escogitarlo pi acutamente necessario ricordarsi di quanto stato detto nella quinta proposizione. Tra le opere pi superficiali degli uomini ce sono anche molte per il cui ritrovamento tutto il metodo consiste nella disposizione di quest'ordine: cos se vuoi formare lottimo anagramma per combinazione delle lettere di qualche nome, non necessario passare dalle cose pi facili alle pi difficili, n distinguere gli assoluti dai relativi (infatti ci non ha luogo in questa situazione), ma sufficiente proporsi, per esaminare le trasposizioni di lettere, un ordine tale che mai si ripetano due volte le stesse, e che il loro numero sia, per esempio, cos distribuito in certe classi da far apparire subito in quale ci sia maggiore speranza di trovare ci che si cerca; cos, infatti, il lavoro sar spesso non lungo, ma soltanto puerile. 10. Del resto queste tre ultime proposizioni non sono da separare, dal momento che per lo pi si deve meditarle contemporaneamente, e ugualmente concorrono tutte alla perfezione del metodo; n era molto importante quale per prima fosse insegnata, e qui le abbiamo spiegate con poche parole, perch non abbiamo quasi pi altro da fare nel resto del trattato, dove mostreremo in particolare quelle cose che qui abbiamo colto in generale.

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Commento
A conclusione del discorso sullordine avviato nella quinta regola, Descartes introduce nella presente il connesso (e complesso) tema della enumerazione, direttamente implicato, almeno in una delle sue accezioni, nellesercizio deduttivo, laddove di fronte a lunghe catene di passaggi non ricordiamo facilmente lintero percorso [...] perci affermiamo che allinfermit della memoria si deve portare soccorso con un continuo moto del pensiero. Due elementi problematici emergono cos sin dalle prime righe della regola: da un lato lo strettissimo rapporto tra enumerazione e ordine, quindi (come si legge alla fine) il suo carattere arbitrario, funzionale alla focalizzazione di tutte le cose [...] che si riferiscono al nostro scopo; dallaltro, laltrettanto spinosa relazione tra enumerazione e memoria. Le due questioni sono a loro volta intimamente collegate, qui per in una certa misura si cercher di mantenerle distinte per chiarirne gli aspetti. Il primo punto rappresenta senzaltro lo sviluppo dellargomento articolato nelle precedenti note: evidente in questo senso che il ruolo dellenumerazione non si esaurisce nella revisione. Il terzo e quarto capoverso dimostrano la fondamentale funzione organizzativa dellenumerazione o induzione, come ricerca diligente e accurata di tutto quanto riguarda qualche questione proposta, s che da essa si possa concludere con certezza e evidenza che da noi non stato omesso nulla per qualche svista. Si tratta di una specie di esplorazione sommaria del campo della conoscenza (Beck), si potrebbe anche affermare che attraverso questo preliminare esame vengano enucleandosi le tappe del procedimento ordinato che solo pu produrre la certezza del risultato. Ed indicativa in questo contesto la polemica contro la sillogistica, e il riferimento alla variet possibile dellordine da enumerare, la sua indifferenza e arbitrariet, che l'emancipano da implicazioni di carattere ontologico, da una gerarchia di essenze, con leffetto, tuttavia, di trasformare questa manipolazione cosmogonica in una nuova garanzia del sapere: <<Lenumerazione costituisce un nuovo ordine la cui sintesi non implica pi le categorie dellessere. La certezza investe meno le cose sotto esame che il fatto che esse possono essere correttamente ordinate e disposte. La nozione di concatenazione assicura la possibilit di ridurre loggetto a una serie di semplici proporzioni successive>> 41 . Lenumerazione, insomma, viene a sovrapporsi in parte allordine (esplicitandone la funzionalit rispetto al progetto scientifico), che serve offrendo, secondo le situazioni, la classificazione pi idonea e facile per le esigenze euristiche, di orientamento e risoluzione, della nostra razionalit. Unosservazione di P. Rossi ci consente un aggancio con laltro aspetto della questione 42 . Egli, rimarcando il nesso tra enumerazione e ordine, per cui, con il primo termine, Descartes sembra far riferimento anche allordinamento delle condizioni dalle quali dipende la soluzione di un problema particolare, e a quelliniziale ordinamento dei dati che preliminare a ogni ricerca e che mira allisolamento e alla determinazione del problema stesso, ha insistito sulla sostanziale convergenza tra questa accezione del termine e la topica baconiana, a sua volta funzionale a una strategia di soccorso della memoria. Anche Bacone avrebbe quindi puntato a una delimitazione e determinazione dei campi dindagine, per mostrare quali fossero le cose da ricercare intorno a un dato problema, e favorire lindirizzo dellattivit induttiva, assicurando un contributo ausiliario alla realizzazione di un nuovo metodo.

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) D. Judovitz, op. cit., p.66. ) P. Rossi, La memoria artificiale come sezione della logica in Cartesio in AA.VV., Cartesio op.cit. p.32.

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A me pare che il tendenziale sovrapporsi di enumerazione e ordine implichi una svolta pi radicale nellambito della formulazione di una nuova metodologia scientifica, con un baricentro pi decisamente spostato sul soggetto e sulle sue peculiari esigenze gnoseologiche (intuizionededuzione). Certamente, per, quell'accezione del termine enumerazione legata in Descartes allaltra, forse immediatamente pi accessibile nel testo, di revisione, che introduce anche in Descartes il problema della memoria e degli aiuti che essa richiede. Alla luce delle indicazioni della terza regola, non sorprende che intorno alla catena deduttiva lautore organizzi una strategia di soccorso, mirata a ridurre lincidenza negativa della memoria, favorendo, di conseguenza, il dominio del materiale con uno sguardo dinsieme, tendenzialmente intuitivo. In questo senso il ruolo dellenumerazione sarebbe duplice: 1. da un lato, come sopra illustrato, le toccherebbe lufficio di saggiare e preparare il terreno in considerazione della logica e funzionalit della mente, 2. dallaltro, sarebbe investita di un compito di delicata rifinitura, costituito da un momento di mera revisione analitica dei passaggi intuitivi, e da un vero e proprio esercizio di ricostruzione sintetica, tale da consentire (nel movimento deduttivo) una celerit sufficiente a annullare lo scarto rispetto allimmediatezza (e evidenza) dellatto intuitivo. Tenuto conto che la sua puntualit e la sua certezza sono condizionate dalla semplicit delloggetto intuito (o dal nesso colto tra due nature semplici), potremmo concludere che il ruolo dellenumerazione, riguardo al processo deduttivo, sia quello distituire un ordine artificiale, il quale, riducendo il problema di partenza a una trama sostanzialmente elementare di concetti atomici, garantisca poi uno svolgimento estremamente semplificato, e quindi facilmente controllabile: <<Il fine che si propone questa ministratio ad memoriam (per usare il termine baconiano) lacquisizione di una rapidit o celerit nella deduzione tale da ridurre al minimo, pur senza totalmente eliminarlo, il ruolo esercitato dalla stessa memoria e tale da conferire a un insieme di conoscenze troppo complesse per essere abbracciato da una sola intuizione limmediata evidenza che privilegio della stessa capacit intuitiva>> 43 . Se quindi il concetto di enumerazione mette, senza dubbio, lautore in relazione con la tradizione della mnemotecnica, come dimostrato da Rossi, e riconosciuto da una specialista come la Yates, per anche vero che la tendenziale, schematica riduzione della deduzione a intuizione sembrerebbe per altri versi rompere con quella tradizione, nella misura in cui la dimensione puntuale dellatto intuitivo esula dallorizzonte stesso della memoria. Lenumerazione, sovrapponendosi, con il proprio ordine artificiale e arbitrario, alla consistenza ontologica delloggetto, fa emergere le trame interne alla nostra razionalit, dallo sviluppo delle quali possibile trascendere il limite stesso della complessit delloggetto, verso una piena comprensione intuitiva: <<Lo scopo finale dellenumerazione e deduzione di essere ridotte e in ultima analisi cancellate per produrre la pura intuizione>> 44 .

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) P. Rossi, op. cit., p.31. ) D. Judovitz, op. cit., p.68.

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Regola ottava Se nella serie delle cose da ricercare intervenga qualcosa che il nostro intelletto non sia in grado d'intuire sufficientemente bene, l ci si deve fermare, n si devono esaminare le altre cose che seguono, ma ci si deve astenere da una fatica del tutto vana. 1. Le tre regole precedenti prescrivono un ordine e lo spiegano; questa invece mostra quando esso sia assolutamente necessario, e quando soltanto utile. Poich ogni cosa che costituisca un grado intero in quella serie per cui si deve giungere dalle cose relative a qualcosa d'assoluto, o viceversa, deve essere esaminata necessariamente prima di tutto quel che segue. Se in vero, come spesso accade, allo stesso grado appartengano molte cose, certamente sempre utile sondarle tutte con ordine; tuttavia non siamo costretti a osservare ci cos rigorosamente e rigidamente, e per lo pi, anche se conosciamo perspicuamente non tutte ma solo poche o addirittura una sola di quelle, lecito in ogni caso avanzare ulteriormente. 2. Questa regola segue necessariamente dagli argomenti portati nella seconda; n tuttavia da stimare che non contenga nulla di nuovo per la promozione della scienza, sebbene sembri soltanto tenerci lontano dalla discussione di certe cose, e non esporre invece alcuna verit: poich ai principianti non insegna in vero altro che evitare di sprecare fatica, quasi nello stesso modo che la seconda. Ma a quelli che conoscano perfettamente le precedenti sette regole, mostra in che modo possano talmente soddisfare se stessi in qualsiasi scienza, da non desiderare niente di pi: infatti, chiunque abbia osservato esattamente le precedenti nella soluzione di qualche difficolt, e tuttavia in qualche luogo sia da questa esortato a fermarsi, certamente riconoscer di non poter assolutamente trovare con sforzo alcuno la scienza desiderata, e ci non per colpa dellintelligenza, ma perch s'oppone la natura stessa della difficolt, o la condizione umana. La quale conoscenza non minore scienza di quella che esibisce la natura della cosa stessa; e non sembrerebbe di mente sana chi estendesse ulteriormente la propria curiosit. 3. Per non essere sempre incerti su ci che possa lanimo e perch esso non s'affatichi invano e sconsideratamente, prima che ci accingiamo a conoscere le cose nel particolare, bisogna una volta nella vita aver ricercato diligentemente di quali cognizioni lumana ragione sia capace. Perch ci riesca meglio, devono sempre essere indagate per prime, tra quelle ugualmente facili, le cose che sono pi utili. 4. Questo metodo imita infatti quelli delle arti meccaniche, che non hanno bisogno dellaiuto di altre, ma indicano esse stesse le modalit di costruzione dei propri strumenti. Se qualcuno dunque intendesse esercitare una di esse, per esempio, larte del fabbro, e fosse privo di ogni strumento, inizialmente sarebbe costretto a usare una pietra dura, o qualche blocco di ferro grezzo come incudine, a servirsi di un sasso in luogo del martello, a adattare a forcipi dei pezzi di legno, e a raccogliere altre cose del genere per necessit; infine, preparatele, non s'impegner subito a martellare per uso degli altri spade o elmi, n altro che si faccia con il ferro, ma, prima di tutto, fabbricherebbe martelli, incudini, forcipi e tutto quanto di utile per lui rimanga. Con il quale esempio siamo edotti sul fatto che quando, allinizio, non abbiamo potuto trovare che alcuni precetti solo sbozzati, e che sembrano ingeniti alla nostra mente piuttosto che preparati dallarte, non si deve tentare per loro tramite di dirimere le liti dei Filosofi, oppure di risolvere i problemi dei Matematici; ma di essi ci si deve servire per indagare con la massima attenzione le altre cose che sono pi necessarie per lesame della verit, quando particolarmente non ci sia alcun motivo per cui sembri pi difficile trovare queste che risolvere alcune di quelle questioni che, in Geometria o Fisica e in altre discipline, di solito sono proposte.

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5. Ma in vero nulla di pi utile si pu qui cercare, di ci che sia la conoscenza umana e fin dove essa s'estenda. Dunque ora concentriamo tutto ci in ununica questione, che riteniamo, per le regole in precedenza introdotte, debba essere esaminata per prima, e che ci si debba fare, una volta nella vita, da parte d'ognuno di quelli che amino la verit almeno un poco: dal momento che in tale investigazione sono compresi i veri strumenti del sapere e tutto il metodo. Nientaltro invece mi sembra pi sciocco che disputare accanitamente sugli arcani della natura, sulla virt dei cieli in questo mondo inferiore, sulla predizione delle cose future e simile, come fanno molti, e non aver poi mai ricercato se la ragione umana sia sufficiente a risolverle. N deve sembrare cosa ardua o difficile definire i limiti di quellintelligenza che riconosciamo in noi stessi, quando spesso non esitiamo a giudicare anche di ci che fuori di noi e del tutto estraneo. N opera immensa voler concentrare nel pensiero tutte le cose contenute in quest'universo, per identificare in che modo ciascuna di esse sia soggetta allesame della nostra mente: nulla infatti pu essere tanto multiforme o disperso che non possa essere circoscritto in limiti certi tramite quellenumerazione, di cui abbiamo trattato, e disposto secondo un certo numero di capitoli. Perch poi ci sia esperito, nella questione proposta in primo luogo, dividiamo tutto ci che le attiene in due parti: deve infatti riferirsi o a noi, che siamo capaci di conoscenza, o alle cose stesse, che possono essere conosciute; di ci, separatamente, discutiamo. 6. E certamente avvertiamo in noi che solo lintelletto capace di scienza; ma che pu essere favorito o impedito da tre altre facolt, in altre parole dallimmaginazione, dal senso e dalla memoria. dunque da vedere con ordine in che cosa ognuna di queste facolt possa essere dostacolo o di giovamento, per utilizzare tutte le sue risorse. E cos questa parte sar discussa mediante unenumerazione sufficiente, come sar mostrato nella proposizione seguente. 7. Si deve giungere quindi alle cose stesse, che sono da considerare solo in quanto siano attinte dallintelletto; nel qual senso le dividiamo in nature massimamente semplici e in complesse o composite. Delle semplici nessuna pu essere se non spirituale, o corporea o riferentesi alluna o allaltra; infine, delle composte alcune lintelletto esperisce essere tali, prima che giudichi di poter determinare qualcosa intorno a esse, alcune invece compone esso stesso. Le quali cose saranno esposte pi diffusamente nella dodicesima proposizione, dove sar dimostrato come non possa esserci alcuna falsit, se non in queste ultime composte dallintelletto, che perci distinguiamo in quelle che si deducono dalle nature semplicissime e per s note, di cui tratteremo in tutto il libro seguente, e in quelle che ne presuppongono altre e che sperimentiamo essere oggettivamente composte, alla cui esposizione destiniamo integralmente il terzo libro. 8. E certamente in tutto il trattato ci sforzeremo di perseguire tanto accuratamente e di mostrare tanto facili tutte le vie che sono aperte agli uomini per la conoscenza della verit, cos che chiunque abbia appreso tutto questo metodo perfettamente, per quanto dingegno mediocre, veda tuttavia che nessuna gli assolutamente preclusa pi che agli altri, e che nulla ignora pi ampiamente per difetto dingegno o dabilit. Ma ogni volta che applicher la mente alla conoscenza di qualcosa, o la scoprir assolutamente, o certamente verificher dipendere da qualche esperienza che non in suo potere, e perci non incolper il suo ingegno, sebbene sia costretto a fermarsi l, oppure, infine, dimostrer che la cosa ricercata eccede ogni capacit dellumana intelligenza, e quindi non si riterr per questo pi ignorante, dal momento che ci non minore scienza che conoscere qualunque altra cosa.

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Commento
Questa regola si pone in coda alle tre precedenti: essa segnala la necessit di prescrivere un ordine (artificiale) nel quale nulla rimanga effettivamente indeterminato. Dellattivit ordinatrice qui si rimarcano il momento risolutivo - in altre parole quello attraverso cui si risale dal problema complesso alle sue determinazioni semplici (per il nostro intelletto), levidenza delle quali garantita intuitivamente - e quello compositivo. infatti dalla successiva ricostruzione delle trame fra assoluto e relativo (emersi nel corso dellanalisi), dei nessi intuitivi di cui viene a strutturarsi quella gerarchia, che pu scaturire la soluzione e comprensione del problema. In altri termini, emerge indirettamente dal corpo della regola il fondamentale riscontro della coestensione tra ordine risolutivocompositivo e possibilit epistemologiche: i limiti dellordine sono cos i limiti della conoscenza umana. Essendo lordine desunto dalla logica intrinseca della nostra stessa razionalit, ne scaturisce un isomorfismo tra la disposizione concettuale mirata alla comprensione di un qualsiasi problema (scandita da quella funzionale gerarchia di assoluto e relativo) e i modi propri della nostra attivit conoscitiva (intuizione-deduzione). Cos, laddove lordine non sia efficace, consegue necessariamente limpossibilit della soluzione e quindi lignoranza. Il tema che lautore affronta di grande rilevanza teoretica, investendo direttamente il problema critico dellestensione e dei limiti della conoscenza umana. Come affermato pi avanti, in vero nulla di pi utile si pu qui cercare, di ci che sia la conoscenza umana e fin dove essa s'estenda. Descartes riconosce che listituzione dellordine secondo i principi stessi della nostra razionalit determina la soluzione di un problema: in assenza di tale possibilit di manipolazione non ha senso procedere oltre. Il procedimento di riduzione e composizione implica lassoluta (o relativa) trasparenza dellordine: quandanche un solo passaggio non fosse intuitivamente evidente, lintero edificio della serie finirebbe con lessere compromesso. Al di fuori dellordine, dunque, non si d possibilit di risoluzione: questa convinzione giustifica la posizione del problema critico: per non essere sempre incerti su ci che possa lanimo e perch esso non s'affatichi invano e sconsideratamente, prima che ci accingiamo a conoscere le cose nel particolare, bisogna una volta nella vita aver ricercato diligentemente di quali cognizioni lumana ragione sia capace. Lesempio che segue, ripreso poi da Spinoza nel suo Tractatus de intellectus emendatione, illustra come, a partire da precetti ingeniti della nostra mente, sia possibile focalizzare il problema della verit e delle esigenze fondamentali connesse al suo conseguimento, e quindi come questo si ponga essenzialmente in relazione alla nostra potenzialit d'idealizzazione del dato di partenza. Lultima parte del testo di questa ottava regola anticipa lulteriore sviluppo della trattazione: esamina infatti, introduttivamente, il ruolo di immaginazione, senso e memoria in rapporto allintelletto (che solo capace di scienza), articolato poi nella regola dodicesima, rilevando come lanalisi delle cose stesse sia profondamente vincolato alle scelte di priorit del nostro intelletto.

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Regola nona necessario rivolgere tutto il vigore dellintelligenza alle cose minime e massimamente facili, e in quelle indugiare pi a lungo, fino a quando non ci s'abitui a intuire la verit in modo distinto e perspicuo. 1. Esposte le due operazioni del nostro intelletto, intuizione e deduzione, che sole, sostenemmo, si devono utilizzare per apprendere le scienze, proseguiamo, in questa e nella seguente proposizione, a spiegare con quali mezzi possiamo renderci pi idonei al loro esercizio, e contemporaneamente coltivare due fondamentali facolt dellintelligenza, in altre parole la perspicacia nellintuire distintamente le cose singole, e la sagacia nel dedurre le une dalle altre con abilit. 2. E certamente, in qual modo si debba usare lintuizione della mente lo veniamo a conoscere dalla semplice comparazione degli occhi: infatti, chi voglia scorgere molti oggetti simultaneamente con una medesima intuizione, nulla di essi vede distintamente; e, ugualmente, chi con un unico atto del pensiero ha labitudine d'attendere a molte cose simultaneamente, dintelligenza confusa. Ma quegli Artefici che s'esercitano nelle opere minute, e hanno la consuetudine di concentrare lacutezza degli occhi attentamente sui singoli punti, acquisiscono con luso la capacit di distinguere perfettamente le cose per quanto esigue e sottili possano essere; cos, anche quelli che non distraggono mai il proprio pensiero con oggetti vari allo stesso tempo, ma lo occupano sempre, completamente, nella considerazione delle cose semplicissime e facilissime, diventano perspicaci. 3. in ogni caso vizio comune ai mortali che a loro sembrino pi attraenti le cose difficili; e i pi stimano di non sapere nulla, quando di qualche cosa intravedono una causa molto chiara e semplice; nel frattempo ammirano certi argomenti dei Filosofi, sublimi e molto artefatti, anche se quelli s'appoggiano in gran parte su fondamenti mai sufficientemente esaminati da alcuno, e non sono nemmeno persone sensate, dal momento che ritengono le tenebre pi chiare della luce. Ma si deve anche notare che chi veramente sa, riconosce con uguale facilit la verit, sia che labbia ricavata da un soggetto semplice, sia da uno oscuro: infatti comprende ogni verit con un atto simile, unico e distinto, dopo che una volta riuscito a pervenire a essa; ma tutta la differenza nella via, che certamente deve essere pi lunga, se conduca alla verit pi lontana dai principi primi e massimamente assoluti. 4. quindi necessario che tutti s'abituino a accogliere con il pensiero cos poche cose, e nello stesso tempo cos semplici, da ritenere di non sapere mai niente che non sia intuito in modo altrettanto distinto di quel che conosciuto il pi distintamente possibile. A ci certamente alcuni nascono pi adatti di altri, ma con larte e lesercizio lintelligenza pu essere resa anche di gran lunga pi adatta; e una cosa tra tutte quella che qui mi sembra si debba stigmatizzare, cio che ognuno si persuada fermamente che le scienze, per quanto occulte, si devono ricavare non da cose grandi e oscure, ma soltanto da quelle facili e pi ovvie. 5. Infatti, se voglio, per esempio, esaminare se qualche potenza naturale possa nello stesso tempo passare a un luogo distante, e attraversare tutto quanto sta in mezzo, non volger subito la mente alla forza magnetica, o allinflusso degli astri, ma neppure alla rapidit della luce, per ricercare se per caso tali azioni accadano in un istante: ci appunto potrei provare pi difficilmente di quanto ricercato; piuttosto rifletter sui moti locali dei corpi, dal momento che nulla in tutto questo ambito pu essere pi facilmente percepibile, e m'accorger che una pietra non pu in un istante pervenire da un luogo a un altro, giacch corpo; che, in vero, una potenza, simile a quella che muove la pietra, non pu essere comunicata se non in un

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istante, se pervenga nuda da un oggetto a un altro. Per esempio, se muovo un solo capo di un bastone lungo quanto si voglia, facilmente concepisco che la potenza per cui quella parte del bastone mossa, in un solo e medesimo istante muove necessariamente anche tutte le altre parti di quello, perch allora comunicata nuda, n esiste in qualche corpo, come nella pietra, da cui sia trasportata. 6. Allo stesso modo, se voglio conoscere come da una sola e medesima causa semplice possano essere contemporaneamente prodotti effetti contrari, non prender dai Medici i farmaci, che espellono alcuni umori, altri ritengono; non vanegger a proposito della luna, che essa si riscalda per la luce e si raffredda per una qualit occulta; piuttosto guarder la bilancia sulla quale, in un solo e medesimo istante, lo stesso peso solleva uno dei piatti, mentre abbassa laltro, e simili. Commento
Il testo confermerebbe lapprossimazione del lavoro cartesiano, rinviando piuttosto alla prima regola che non alle ultime esaminate. Tanto linsistenza sulla necessit di muovere dalle cose pi facili, che la ripresa delle due principali facolt dellintelligenza e quindi dellurgenza di disporre accorgimenti per facilitarne lesercizio, sembrerebbero collegare il discorso interlocutorio di questa regola con quello fondamentale della seconda, della terza e in parte della quarta. Il metodo appare come il modo pi appropriato per sfruttare le due operazioni dellintelligenza che fondano il discorso scientifico. Cos, accanto alla disposizione dellordine, qui rimarcata limportanza dellesercizio per la messa a punto dellatto intuitivo e del procedimento deduttivo. Con una singolare contraddizione rispetto allimpostazione della prima regola: laccanimento sulle metafore visive solleva un po di confusione, tanto che un puro atto mentale, di cui si aveva con forza messo in evidenza lalterit rispetto al corpo, in ultimo sembrerebbe richiedere un vero e proprio allenamento, quasi si trattasse di unarte. A parte questa nuova accentuazione della perspicacia e della sagacia, il testo non offre spunti particolari. Descartes sviluppa il proprio discorso ricorrendo a argomenti gi incontrati. Il pi ricorrente quello che interessa il primato delle verit facili da acquisire e quindi la priorit, nellindagine, di ci che semplice, in polemica con la cultura contemporanea che allautore pareva, invece, privilegiare linvoluta complessit, incapace di produrre da s chiarezza. Con lulteriore implicazione metodologica che dalla verit (e quindi tanto pi sicuramente da quella pi semplice da comprendere) che si deve prendere le mosse per la riflessione sulle possibilit intrinseche, e sulle conseguenti modalit di soccorso, della nostra intelligenza.

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Regola decima Perch lintelligenza si faccia perspicace, si deve esercitare nella ricerca delle medesime cose che gi sono state trovate da altri, e con metodo passare in rassegna anche gli artifici umani pi insignificanti, ma in modo particolare quelli che sviluppano lordine o lo suppongono. 1. Confesso d'essere nato con unintelligenza che sempre mi ha fatto porre il sommo piacere degli studi non nelludire le argomentazioni degli altri, ma nel ritrovarle con i propri strumenti; avendomi ci stimolato, sin da giovane, a imparare le scienze, tutte le volte che qualche libro prometteva nel titolo una nuova invenzione, prima di leggere oltre provavo se, per caso, non fossi stato in grado di raggiungere qualcosa di simile, per qualche ingenita sagacia, e facevo bene attenzione a che una lettura affrettata non mi precludesse questo innocuo piacere. La qual cosa successe tante volte da farmi infine accorgere come giungessi alla verit delle cose non pi, come gli altri sono soliti fare, attraverso disquisizioni vaghe e cieche, con laiuto della fortuna piuttosto che dellarte, ma come, per lunga esperienza, avessi percepito regole certe, che giovano non poco a quest'obiettivo; di cui dopo ho fatto uso per escogitarne di pi. Cos coltivai diligentemente tutto questo metodo, e mi persuasi che dal principio avevo seguito, tra tutti, il modo di studiare massimamente utile. 2. In vero, dal momento che non lintelligenza di tutti cos propensa per natura a indagare le cose con le proprie forze, questa proposizione insegna che non bisogna impegnarsi subito nelle cose difficili e ardue, piuttosto valutare dapprima le arti pi insignificanti e facili, e particolarmente quelle in cui lordine regna maggiormente, come sono quelle degli artigiani che tessono tele e tappeti, o quelle delle donne che ricamano, o intrecciano i fili della tessitura in una variet infinitamente modulata; analogamente tutti i giochi di numeri e tutto ci che appartiene allaritmetica, e simili; globalmente stupefacente quanto ci eserciti lintelligenza, purch se ne mutui non da altri la scoperta, ma da noi stessi. Infatti, nulla rimanendo in esse docculto, e essendo tutto adeguato alla capacit della conoscenza umana, esse c'esibiscono in modo assai distinto innumerevoli forme dordine, tutte reciprocamente diverse e non di meno regolari, nellosservanza attenta delle quali consiste quasi tutta lumana sagacia. 3. Ammoniamo perci che esse devono essere indagate con metodo, che in queste cose pi insignificanti non suole essere diverso dalla costante osservanza dellordine, quello esistente nella cosa stessa, oppure quello escogitato sottilmente: se vogliamo, per esempio, leggere un testo celato dietro caratteri ignoti, certamente non v'appare nessun ordine, tuttavia ne immaginiamo uno, sia per esaminare ogni pregiudizio che si possa avere circa le singole note, parole o proposizioni, sia anche per disporle cos che si conosca per enumerazione tutto ci che se ne pu dedurre. Massimamente si deve aver cura di non sprecare tempo a divinare a caso e senza metodo simili cose; infatti, sebbene possano spesso essere trovate casualmente, e forse, dai fortunati, anche pi celermente che attraverso un metodo, tuttavia indebolirebbero il lume dellintelligenza, assuefacendolo cos a cose puerili e vane, che dopo s'orienterebbe solo tra cose superficiali, n sarebbe in grado di procedere a approfondimenti. Ma non si cada in ogni caso nellerrore di coloro che occupano il pensiero soltanto con cose serie e piuttosto impegnative, di cui, dopo molta fatica, non acquistano se non una scienza confusa, mentre la pretendono profonda. Dapprima necessario dunque esercitarsi in queste cose pi facili, ma con metodo, per abituarsi a penetrare sempre, attraverso vie aperte e conosciute, quasi per gioco, allintima verit delle cose: infatti, in questo modo, avvertiremo che a poco a poco in seguito,

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in uno spazio di tempo pi breve di ogni nostra speranza, potremo dedurre con eguale facilit, da principi evidenti, numerose proposizioni, che appaiono molto difficili e intricate. 4. Qualcuno forse si meraviglier del fatto che, in questo luogo, dove ricerchiamo in che modo possiamo renderci pi adatti a dedurre le verit le une dalle altre, omettiamo i precetti dei Dialettici, con i quali essi stimano di governare la ragione umana, quando prescrivono certe forme dargomentazione, le quali tanto necessariamente concludono che, affidata loro la ragione, sebbene si disinteressi in qualche misura dellevidente e attenta considerazione della stessa illazione, essa possa tuttavia concludere in forza della forma qualcosa di certo. Daltronde ci rendiamo conto che la verit spesso sfugge a tali vincoli, mentre coloro che se ne servono rimangono in essi irretiti, cosa che agli altri non accade tanto frequentemente. E sperimentiamo che i sofismi, per quanto acuti, di solito non ingannano mai nessuno che utilizzi la pura ragione, semmai proprio i Sofisti. 5. Di conseguenza, noi che qui abbiamo cura precipuamente di non far distrarre la nostra ragione mentre esaminiamo la verit di qualche cosa, respingiamo queste forme come avverse al nostro progetto, ricercando piuttosto ogni soccorso con cui il nostro pensiero si mantenga attento, come si mostrer di seguito. In ogni caso, affinch appaia pi evidente che quellarte d'argomentare non contribuisce in alcun modo alla conoscenza della verit, si deve tenere presente che i Dialettici non possono formare a arte alcun sillogismo che concluda il vero, se non disponendo preventivamente della materia, in altre parole, se non conoscendo gi a priori la verit che in esso si deduce; per cui evidente che da tale forma loro stessi non percepiscono nulla di nuovo, e la volgare Dialettica assolutamente inservibile per coloro che desiderino investigare la verit delle cose, ma giova soltanto talvolta a unesposizione pubblica pi semplice degli argomenti gi conosciuti, e quindi da trasferire piuttosto dalla Filosofia alla Retorica. Commento
I temi della regola precedente sono ripresi, ma per essere messi in relazione pi stretta con il discorso sullordine. Cos non solo ritroviamo linsistenza sullesercizio e quindi sulloperativit della mente, ma anche ribadita la necessit di procedere con ordine, perch solo nellordine si costruisce la soluzione di un problema. Particolarmente indicativo lattacco del testo, perch rivela in tutta la sua portata rivoluzionaria il senso dellordine, come ha puntualmente segnalato la Judovitz: <<Comunque, Descartes non contento di rompere con la tradizione, egli vuole rimpiazzarla realmente con il suo metodo. La descrizione cartesiana del proprio metodo di lettura di altri autori riflette la predisposizione tecnologica della sua posizione matematica. Egli intende infatti riferirsi a altri autori solo per reinventare il contenuto del loro lavoro. Il suo metodo assiomatico, ora applicato alla lettura, l'incoraggia a usare i titoli di opere sconosciute per anticipare e progettare preventivamente il loro contenuto>> 45 . Dal primo capoverso emerge insomma tutta la cifra idealizzante del metodo cartesiano: a prescindere dalle specificit stilistiche e dai modi di rappresentazione dei contenuti, ogni testo sussumibile nel proprio progetto di ricerca, le gerarchie artificiali si sovrappongono ai percorsi dindagine di altri autori, il nuovo ordine sfida i passaggi argomentativi e i successi della possibile concorrenza. In tal modo Descartes, forse anche troppo schematicamente, contrappone lefficacia e semplicit della propria metodicit alla contorta e casuale ricerca altrui. evidente, pur in assenza dei riferimenti meta-matematici della prima parte dellopera,
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) Op. cit., pp.78-9.

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come il metodo altro non sia che la costante osservazione dellordine: lordine facilmente riscontrabile, oppure quello che sottilmente escogitato, laddove non sia oggettivamente e immediatamente identificabile. Tutta la seconda parte del testo poi un polemico confronto con la dialettica e la retorica classiche e umanistiche, coinvolte nellaccusa di produrre vuoti sofismi. Daltra parte la dialettica pu illudersi con la cogenza formale delle proprie inferenze, dimenticandosi, secondo Descartes, che la verit non pu risiedere nella forma ma nel contenuto, sempre presupposto nella deduzione. Essendo la verit oggetto della Filosofia, lautore pu cos concludere che la dialettica comune, che non produce alcuna nuova conoscenza, va trasferita dallambito della Filosofia a quello della Retorica, in altri termini, essa pu essere utile solo allesposizione dun contenuto conquistato con altro metodo.

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Regola undicesima Dopo che abbiamo intuito un certo numero di proposizioni semplici, se da esse concludiamo qualche altra cosa, utile percorrerle con un moto continuo e mai interrotto del pensiero, per riflettere sui loro mutui rapporti, e concepire distintamente pi cose simultaneamente, per quanto possibile: cos, infatti, anche la nostra conoscenza diventa di gran lunga pi certa, e aumenter massimamente la capacit dellintelligenza. 1. Questa loccasione per esporre pi chiaramente quanto stato detto in precedenza a proposito dellintuizione della mente, nelle regole terza e settima: dal momento che opponemmo quellintuizione in un luogo alla deduzione, in altro invece allenumerazione soltanto, che definimmo essere lillazione raccolta a partire da molte cose disgiunte; in vero l affermammo che la semplice deduzione di una cosa da altre avviene per intuizione. 2. Ci si dovuto fare poich per lintuizione della mente si richiedono due cose, in pratica che una proposizione sia compresa in modo chiaro e distinto, quindi anche tutta insieme e non per passaggi successivi. La deduzione invece, se ragioniamo di essa come nella terza regola, non sembra avvenire tutta insieme, ma coinvolge un certo moto della nostra intelligenza, che inferisce una cosa dallaltra; per questo l la distinguemmo a buon diritto dallintuizione. Se in vero attendiamo a essa, quando gi stata fatta, come si sostenuto nella settima regola, allora non designa pi un movimento, ma un limite terminale di movimento, per cui supponemmo che essa si potesse vedere per intuizione, quando semplice e perspicua, non quando articolata e involuta. In questo caso le abbiamo assegnato il nome di enumerazione o di induzione, dal momento che non pu essere compresa tutta insieme dallintelletto, ma la sua certezza dipende in qualche modo dalla memoria, nella quale si devono ritenere i giudizi sulle singole parti enumerate, per collegarle tutte in un unico intero. 3. Tutte queste cose erano da distinguere per linterpretazione di questa regola: infatti dopo che la nona ha trattato soltanto dellintuizione della mente, la decima della sola enumerazione, questa spiega a quale patto queste due operazioni s'aiutino e perfezionino reciprocamente, cos che sembrano fondersi in ununica operazione, attraverso un certo movimento del pensiero, che intuisce attentamente le cose singole e allo stesso tempo passa a altre. 4. A ci attribuiamo una duplice utilit, per la conoscenza pi certa delle conclusioni intorno a cui siamo impegnati, e per rendere lintelligenza pi adatta al ritrovamento d'altre cose. In effetti la memoria, da cui, stato detto, dipende la certezza delle conclusioni, le quali sono abbracciate in numero superiore a quanto, con una sola intuizione, siamo in grado dafferrare, essendo labile e inferma, deve essere richiamata e rafforzata attraverso questo movimento continuo e ripetuto del pensiero: se io, ad esempio, mediante numerose operazioni fossi venuto dapprima a conoscere quale sia la relazione tra le grandezze prima e seconda, quindi tra la seconda e la terza, poi tra la terza e la quarta, e finalmente tra la quarta e la quinta, non per ci vedo quale sia la relazione tra la prima e la quinta, n posso dedurre da quelle gi conosciute, se non mi ricordo di tutti. Di conseguenza mi necessario passarle in rassegna ripetutamente, finch non passer dalla prima allultima tanto velocemente, che, non lasciando quasi alla memoria alcuno spazio, mi sembri intuire tutta la cosa simultaneamente. 5. Evidentemente non c nessuno che non veda come con tale sistema si rimedi alla lentezza dellintelligenza, e se ne incrementi anche la capacit. Ma in pi si deve notare che la massima utilit di questa regola consiste in ci che, riflettendo sulla mutua dipendenza delle proposizioni semplici, acquisiamo labitudine a distinguere subito che cosa sia pi o meno relativo, e per quali gradi si riduca allassoluto. Per esempio, se percorro un certo numero di grandezze continuamente proporzionali, prester attenzione a tutte queste cose, cio che

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conosco ugualmente e non pi o meno facilmente la relazione tra la prima e la seconda, la seconda e la terza, la terza e la quarta, ecc.; ma che non posso al contrario tanto facilmente concepire quale sia la dipendenza della seconda dalla prima e dalla terza contemporaneamente, e inoltre assai pi difficilmente quella della seconda dalla prima e dalla quarta, ecc.. Da ci quindi riconosco per quale ragione, se sono date la prima e la seconda soltanto, posso facilmente trovare la terza e la quarta, ecc., dal momento che ci avviene attraverso concetti particolari e distinti; se invece sono date solo la prima e la terza, non distinguo tanto facilmente il medio, dal momento che ci non pu avvenire se non mediante un concetto, che ne implica contemporaneamente due dei precedenti. Se sono date solo la prima e la quarta, ancora pi difficilmente intuir i due medi, dal momento che qui sono implicati contemporaneamente tre concetti. Cos che, di conseguenza, sembrerebbe anche pi difficile trovare i medi tra la prima e la quinta. Ma c un altro motivo per cui le cose accadano diversamente, cio che, sebbene qui siano contemporaneamente congiunti quattro concetti, possono tuttavia essere separati, quando il quattro si divida per altro numero, in modo che io possa cercare solo la terza dalla prima e dalla quinta, quindi la seconda dalla prima e dalla terza, ecc.. Chi abbia la consuetudine di riflettere su queste e simili cose, tutte le volte che esamina una nuova questione, subito riconosce che cosa in essa generi difficolt, e quale sia il modo pi semplice di tutti; il che di massimo aiuto per la conoscenza della verit. Commento
Come riconosce esplicitamente lo stesso Descartes, la regola si riallaccia alle precedenti, dedicate al tema dellenumerazione, in altre parole della disposizione dordine e revisione delle serie concettuali che sole possono assicurare la soluzione di un problema. Nuovamente il discorso verte sulloperativit razionale, sullesercizio necessario per renderla pi efficace, sulla puntualit dellatto intuitivo rispetto al movimento implicito nel processo inferenziale, quindi, in ultima analisi, sulla esigenza di soccorrere la memoria, per ridurre tendenzialmente la catena dimostrativa alla simultaneit della comprensione intuitiva. Nel complesso il testo non si caratterizza per il contributo originale rispetto a quel che precede: mi pare vi sia ulteriormente esasperato proprio laspetto dellesercizio che deve preparare a un pi rapido orientamento nellindividuazione dei passaggi e delle mediazioni richiesti per la soluzione del problema in esame.

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Regola dodicesima Infine si deve far ricorso a tutti gli aiuti dellintelletto, dellimmaginazione, del senso, e della memoria, sia per intuire le proposizioni semplici distintamente, sia per confrontare rettamente le cose ricercate con quelle gi note, al fine di giungere alla loro conoscenza, sia per trovare quelle che tra loro devono essere correlate, perch nessun aspetto dell'umana capacit sia omesso. 1. Questa regola conclude tutto quanto stato affermato sopra, e insegna in generale quelle cose che si dovevano spiegare in particolare, nel modo seguente. 2. Per la conoscenza delle cose sono da considerare solo due elementi, cio noi che conosciamo e le stesse cose da conoscere. In noi ci sono solo quattro facolt di cui possiamo servirci allo scopo, in altre parole intelletto, immaginazione, senso e memoria: solo lintelletto capace propriamente di percepire la verit, e tuttavia esso deve essere coadiuvato da immaginazione, senso e memoria, perch non sia tralasciato casualmente quanto rientra nelle nostre capacit. Dalla parte degli oggetti sufficiente esaminare tre elementi: in primo luogo quel che da s ovvio, poi in che modo una cosa si conosca da unaltra, e infine che cosa si deduca da ogni cosa. Tale enumerazione mi sembra sia completa e non ometta soprattutto nulla di ci cui pu estendersi la capacit umana. 3. Rivolgendomi dunque al primo elemento, intenderei in questo luogo esporre che cosa sia la mente delluomo, che cosa il corpo, in che modo questo sia informato da quella, quali siano in tutto il composto le facolt che servono alla conoscenza delle cose, e che cosa faccia ogni singola cosa, se non mi sembrasse troppo angusto per contenere tutto quanto dovrebbe essere premesso, prima che la verit di tali cose possa aprirsi a tutti. Desidero infatti scrivere sempre cos da non asserire nulla di ci che di solito trascinato in controversia, se non abbia premesso le ragioni stesse che mi condussero a ci, con cui ritengo che anche gli altri possano essere persuasi. 4. Ma dal momento che ci non certamente proponibile, mi sar sufficiente spiegare, il pi brevemente possibile, quale modo di concepire tutto ci che in noi per la conoscenza delle cose sia massimamente utile per il mio scopo. N dovete credere, se non volete, che la questione stia cos: ma che cosa impedir che non si segua le stesse supposizioni, se appaia che esse non sminuiscono la verit delle cose, ma soltanto le rendono tutte assai pi chiare? Non diversamente che in Geometria, dove si suppone qualcosa circa la quantit, che per nessun motivo indebolisce la forza delle dimostrazioni, sebbene spesso in Fisica si pensi diversamente intorno alla sua natura. 5. Si deve quindi concepire, in primo luogo, che tutti i sensi esterni, in quanto sono parti del corpo, anche se li applichiamo agli oggetti per mezzo di unazione, in altre parole per moto locale, propriamente sentono per soltanto per passione, al medesimo modo della cera che riceve la forma dal sigillo. N si deve ritenere che ci si dica per analogia, piuttosto pensare che la figura esterna del corpo senziente realmente sia mutata dalloggetto, come quella che sulla superficie della cera mutata dal sigillo. Il che non si deve ammettere soltanto quando tocchiamo qualche corpo come figurato, o duro, o aspro, ecc., ma anche quando con il tatto percepiamo calore, o freddo, e simili; lo stesso vale per gli altri sensi, cio la prima superficie opaca che nellocchio riceve cos la figura impressa dalla luce diversamente colorata, e la prima delle orecchie, delle nari e della lingua, impenetrabile per loggetto, in tal modo mutua una nuova figura dal suono, dallodore e dal sapore. 6. E concepire cos tutte le cose giova molto, poich niente di pi facile cade sotto il senso che la figura: infatti toccata e vista. Niente invece di falso si dimostra seguire da questa

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supposizione pi che da qualsiasi altra, per ci che il concetto di figura tanto comune e semplice da essere implicito in ogni sensibile. Per esempio, supponi che il colore sia quel che vuoi, tuttavia non negherai che sia esteso, e per conseguenza figurato; quale incomodo seguir, dunque, se, prestando attenzione a non ammettere inutilmente e a non figurare invano qualcosa di nuovo, non neghiamo del colore nulla che piaccia agli altri, ma soltanto astraiamo da tutto ci che non abbia la natura di figura, e concepiamo la diversit che c tra il bianco, il ceruleo, il rosso ecc., come quella che c tra queste semplici figure, ecc.:

. La stessa cosa si pu dire di tutto, poich certo che linfinita moltitudine di figure sufficiente per esprimere tutte le differenze tra le cose sensibili. 7. In secondo luogo si deve pensare che, mentre il senso esterno mosso dalloggetto, la figura che esso riceve trasferita in una certa altra parte del corpo, che si chiama senso comune, nello stesso istante e senza il transito d'alcun ente reale dalluna allaltra cosa: del tutto analogamente al modo in cui ora, mentre scrivo, nel medesimo istante in cui i singoli caratteri sono espressi sulla carta, comprendo che non si muove soltanto la parte inferiore della penna, ma che in questa non pu registrarsi alcun movimento, anche minimo, che non sia ricevuto immediatamente in tutta la penna; e che tutte quelle variet di moti sono disegnate nellaria anche dalla parte superiore di essa, sebbene non concepisca che qualcosa di reale trasmigri da un estremo allaltro. Chi infatti crederebbe esserci minore connessione tra le parti del corpo umano che tra quelle della penna, e che cosa pu essere escogitato di pi semplice per esprimere ci? 8. In terzo luogo si deve concepire che il senso comune ricopra anche il ruolo di sigillo, per formare le stesse figure o idee, che arrivano dai sensi esterni pure e senza corpo nella fantasia o immaginazione come nella cera; e che questa fantasia sia una parte vera del corpo e di tanta grandezza che diverse sue porzioni possano rivestire diverse figure, distinte le une dalle altre, che abitualmente ritengono assai a lungo. In questo caso essa quel che si dice memoria. 9. In quarto luogo, si deve pensare che la forza motrice o gli stessi nervi traggano la propria origine dal cervello, in cui si trova la fantasia, da cui quelli sono mossi in diversi modi, come il senso comune dal senso esterno, o come tutta la penna dalla sua parte inferiore. Il quale esempio mostra, anche, in che modo la fantasia possa essere causa di molti moti nei nervi, di cui tuttavia non ha in s espresse le immagini, ritenendone, invece, certe altre da cui questi moti possono conseguire: n infatti tutta la penna si muove, come la sua parte inferiore, semmai, considerandone la parte maggiore, sembra spostarsi con moto completamente diverso e contrario. Da ci possibile comprendere come tutti i moti degli altri animali possano accadere, sebbene in essi non sia ammessa assolutamente alcuna conoscenza delle cose, ma soltanto fantasia puramente corporea; analogamente, in qual modo si verifichino in noi quelle operazioni che facciamo senza alcun contributo della ragione. 10. In quinto luogo, infine, si deve pensare che quella forza per cui conosciamo propriamente le cose puramente spirituale, e non meno distinta da tutto il corpo di quanto non sia il sangue dallosso, o la mano dallocchio, e che unica quella che o accoglie le figure dal senso comune insieme con la fantasia, o s'applica a quelle conservate nella memoria, o ne forma di nuove, da cui limmaginazione cos presa che spesso non contemporaneamente in grado di ricevere le idee dal senso comune, o a trasferirle alla forza motrice secondo la disposizione

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puramente corporea. In tutte queste cose questa forza conoscitiva talvolta patisce, talaltra agisce, ora imita il sigillo, ora la cera; ci qui in ogni caso da assumere soltanto per analogia, n infatti nelle cose corporee si trova nulla di simile. Una e medesima la forza che, se s'applica con limmaginazione al senso comune, si dice vedere, toccare ecc.; se allimmaginazione sola come rivestita di diverse figure, si dice ricordare; se alla stessa immaginazione perch ne finga di nuove, si dice immaginare o concepire; se infine agisce da sola, si dice comprendere: il quale ultimo, in che modo si verifichi, esporremo pi diffusamente a suo luogo. Perci tale forza, secondo queste diverse funzioni, si chiama o intelletto puro, o immaginazione, o memoria, o senso; propriamente invece si chiama intelligenza, quando o forma nuove idee nella fantasia, o si sofferma su quelle gi fatte; e la consideriamo come adatta a queste diverse operazioni: la distinzione di questi nomi sar da osservare in quel che segue. Concepite cos tutte queste cose, il Lettore attento avvertir facilmente quali aiuti siano richiesti da ciascuna facolt, e fino a che punto le capacit degli uomini si possano estendere a supplire i difetti dellintelligenza. 11. Infatti, potendo lintelletto essere mosso dallimmaginazione, o, al contrario, agire su di essa, e, analogamente, limmaginazione potendo agire sui sensi attraverso la forza motrice applicandoli agli oggetti, o, al contrario, questi possono agire su di essa, nella quale, in pratica, dipingono le immagini del corpo; la memoria, in vero, quella almeno che corporea e simile al ricordo dei bruti, non nulla di distinto dallimmaginazione: con certezza si conclude che se lintelletto s'occupa di quelle cose in cui non ci sia nulla di corporeo o simile al corporeo, non possa giovarsi di queste facolt; ma che, al contrario, per non essere da esse ostacolato, necessario che siano tenuti lontani i sensi e limmaginazione, per quanto possibile, sia spogliata di ogni impressione. Se in vero lintelletto si proponga d'esaminare qualcosa, che si possa riferire al corpo, la sua idea, il pi distintamente possibile, deve essere formata nellimmaginazione; per provvedere a ci nel modo pi adeguato, la cosa stessa, che tale idea rappresenter, deve essere esibita dai sensi esterni. N una pluralit di cose pu giovare allintelletto per intuire distintamente le singole cose. Per dedurre qualcosa di unico da una pluralit di cose raccolte insieme, bisogna rigettare dalle idee delle cose tutto ci che non richieda presente attenzione, perch le rimanenti possano essere ritenute pi facilmente nella memoria; allo stesso modo, non le medesime cose saranno da proporre ai sensi esterni, piuttosto certe loro compendiose figure, le quali, purch sufficienti ad evitare le cadute della memoria, sono tanto pi comode quanto pi brevi. Chiunque osservi tutto ci, non mi sembrer aver omesso nulla di quel che concerne questa parte. 12. Ma per affrontare anche la seconda parte, distinguere accuratamente le nozioni delle cose semplici da quelle che sono composte per loro tramite, vedere, in entrambi i gruppi, dove possa essere la falsit, per essere in guardia, e quali cose per certo si possano conoscere, per curarcene esclusivamente, in questo luogo, come gi sopra, sono da assumere alcune cose che forse non sono ammesse da tutti; ma poco importa se non siano credute pi vere di quei circoli immaginari, con cui gli Astronomi descrivono i loro fenomeni, se per mezzo loro si distingua poi quale conoscenza, su qualsiasi soggetto, possa essere vera o falsa. 13. Affermiamo dunque in primo luogo che le singole cose devono essere considerate diversamente riguardo alla nostra conoscenza, di quando ne parliamo come effettivamente esistenti. Infatti, se, per esempio, consideriamo qualche corpo esteso e figurato, concederemo certamente che quello sia, dal punto di vista della cosa, uno e semplice, n pu dirsi in questo senso composto dalla natura del corpo, dallestensione e dalla figura, nella misura in cui queste parti non sono mai esistite separate le une dalle altre; rispetto al nostro intelletto, invece, lo definiamo un composto di quelle tre parti, dal momento che le abbiamo concepite singolarmente distinte, prima che potessimo giudicare che si trovano tutte e tre in un unico e

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medesimo soggetto. Per questo motivo, non trattando qui delle cose se non in quanto sono percepite dallintelletto, chiamiamo semplici solo quelle la cui conoscenza tanto perspicua e distinta da non poter essere analizzate dalla mente in ulteriori elementi conosciuti pi distintamente: tali sono la figura, lestensione, il moto ecc.; tutte le rimanenti, invece, in qualche modo si concepiscono composte da quelle. Ci deve assumersi in termini cos generali, che non si eccettuino neppure quelle che talvolta astraiamo dalle stesse cose semplici, come accade se affermiamo che la figura il termine della cosa estesa, intendendo per termine qualcosa di pi generale che figura, dal momento che si pu dire termine di durata, termine di moto, ecc.. Allora infatti, sebbene il significato di termine sia astratto dalla figura, non per ci deve in ogni modo sembrare pi semplice di quanto sia la figura, piuttosto, essendo attribuito anche a altre cose, come estremi di durata o di moto, ecc., che differiscono completamente dalla figura, deve essere astratto anche da questi, e quindi qualcosa di composto da pi nature del tutto diverse, cui s'applica non senza equivoci. 14. Affermiamo, in secondo luogo, che quelle cose che rispetto al nostro intelletto sono dette semplici, sono o puramente intellettuali, o puramente materiali, o comuni. Puramente intellettuali sono quelle che, per un certo lume ingenito e senza contributo d'alcuna immagine corporea, sono conosciute dallintelletto; certo infatti che alcune sono tali, n si pu fingere alcuna idea corporea, che ci rappresenti che cosa sia la conoscenza, che cosa il dubbio, che cosa lignoranza, e ugualmente che cosa sia lazione della volont che si possa chiamare volizione, e simili: cose che in ogni caso conosciamo tutte realmente e cos facilmente, che a ci sufficiente essere partecipi della ragione. Puramente materiali sono quelle che non si conoscono se non nei corpi, come figura, estensione, moto, ecc.. Infine, comuni sono da definirsi quelle che ora alle cose corporee, ora alle spirituali sono attribuite senza discriminazione, come esistenza, unit, durata e simili. A queste sono da riportare anche quelle nozioni comuni che costituiscono come dei legami per collegare tra loro altre nature semplici, la cui evidenza alla base di tutto ci che concludiamo con largomentazione: in altre parole, che quelle cose sono identiche a una terza, sono identiche tra loro; che quelle che non possono riferirsi allo stesso modo a una terza, hanno anche tra loro qualcosa di diverso, ecc.. Certamente tali nozioni comuni possono essere conosciute o dallintelletto puro, o dallintelletto intuente le immagini delle cose materiali. 15. Del resto, tra queste nature semplici mi piace enumerare anche le loro privazioni e negazioni, per quanto da noi comprese, dal momento che non conoscenza meno vera quella per il cui tramite intuisco che cosa sia il nulla, o listante, o la quiete, rispetto a quella per cui comprendo che cosa sia lesistenza, o la durata, o il moto. Questo modo dintendere sar utile per poter dire, in seguito, che tutte le altre cose che conosciamo sono composte da queste nature semplici; cos come quando giudico che una certa figura non si muove, dir che il mio pensiero si compone in qualche modo di figura e quiete, e analogamente per il resto. 16. Diciamo in terzo luogo che quelle nature semplici sono tutte note per s, e mai contengono qualche falsit, cosa che si pu facilmente mostrare se distinguiamo quella facolt dellintelletto, attraverso cui la cosa si intuisce e conosce, da quella con cui esso giudica, affermando o negando; pu infatti accadere che noi riteniamo d'ignorare quelle cose che in realt conosciamo, come quando sospettiamo che ci sia qualcosaltro di misterioso, oltre a ci che intuiamo, o a ci che attingiamo con la riflessione, e che questo nostro pensiero sia falso. Da ci evidente che ci sbagliamo quando giudichiamo di non conoscere completamente qualcuna di queste nature semplici: infatti se di quella attingiamo con la mente anche un minimo, il che certamente necessario, essendo presupposto che noi giudichiamo intorno a essa qualcosa, da ci stesso si deve concludere che la conosciamo completamente; n infatti

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potrebbe essere detta semplice, ma composta di ci che in essa percepiamo e di ci che giudichiamo d'ignorare. 17. Diciamo in quarto luogo, che la reciproca congiunzione di tali nature semplici necessaria o contingente. necessaria quando luna, per qualche confusa ragione, cos implicata nel concetto di unaltra, che non possiamo concepire distintamente n luna n laltra, se giudichiamo che siano tra loro disgiunte: in questo modo la figura congiunta allestensione, il moto alla durata o al tempo, ecc., dal momento che non si pu concepire n la figura priva di ogni estensione, n il moto di ogni durata. Cos anche se affermo: 4 e 3 fanno 7, questa composizione necessaria, infatti non concepiamo distintamente il numero sette se non includiamo in esso, in qualche maniera confusa, il numero tre e il numero quattro. Allo stesso modo tutto ci che dimostrato intorno alle figure e ai numeri, necessariamente connesso con ci su cui si fa laffermazione. N tale necessit si trova solo nei sensibili, ma anche, per esempio, se Socrate dice di dubitare di tutto, ne segue necessariamente che egli sa almeno di dubitare; dunque sa anche che qualcosa pu essere vero o falso, ecc.: infatti queste cose sono connesse necessariamente alla natura del dubitare. invece contingente lunione di quelle cose che non sono congiunte da alcuna relazione inscindibile: come quando affermiamo che il corpo animato, luomo vestito, ecc.. E inoltre molte cose, spesso necessariamente congiunte tra loro, sono annoverate tra le contingenti dai pi, che non percepiscono la loro relazione, come questa proposizione: io sono, dunque Dio esiste; cos, io comprendo, quindi ho una mente distinta dal corpo, ecc.. Infine si deve notare che la conversione della maggior parte delle proposizioni necessarie, le rende contingenti: cos, per esempio, sebbene dal fatto che io sono, certamente possa concludere che Dio esiste, non si pu in ogni caso affermare che, dal fatto che Dio esiste, debba esistere anchio. 18. Affermiamo, in quinto luogo, che non possiamo comprendere mai altro allinfuori di queste nature semplici, e di una certa loro mescolanza o composizione; e certamente spesso pi facile avvertirne simultaneamente parecchie congiunte insieme, che separarne una dalle altre; infatti, per esempio, posso conoscere il triangolo, sebbene non abbia mai pensato che in tale concetto sia contenuto anche quello di angolo, linea, numero tre, figura, estensione, ecc.; ci in ogni caso non impedisce che si dica che la natura del triangolo sia composta di tutte queste nature, e che esse siano pi note del triangolo, essendo proprio ci che in esso compreso; e nel triangolo sono forse coinvolte molte altre nature che ci sfuggono, come la grandezza degli angoli, che sono eguali a due retti, e innumerevoli relazioni che intercorrono tra i lati e gli angoli, o la capacit dellarea, ecc.. 19. Affermiamo, in sesto luogo, che quelle nature che chiamiamo composte sono da noi conosciute o perch sperimentiamo quali esse siano, o perch noi stessi le componiamo. Sperimentiamo tutto ci che percepiamo con il senso, che udiamo da altri, e generalmente qualsiasi cosa pervenga al nostro intelletto o dallesterno o dalla sua stessa contemplazione riflessa. Dove si deve notare come lintelletto non possa mai essere ingannato da alcuna esperienza, se solo intuisca precisamente la cosa che gli oggetto, cos come l'ha o in se stesso o nellimmaginazione, e non giudichi soprattutto che limmaginazione riproduca fedelmente gli oggetti dei sensi, n che i sensi prendano le vere figure delle cose, n infine che le cose esterne siano sempre come appaiono. In tutte queste cose siamo in effetti soggetti allerrore: cos come se qualcuno ci narrasse una favola e credessimo la cosa veramente accaduta; come se chi soffra d'itterizia giudicasse che tutte le cose siano gialle, dal momento che ha locchio tinto di colore giallo; come se, infine, a causa di unaffezione dellimmaginazione, come accade ai melanconici, giudicassimo che le sue immagini turbate rappresentino cose vere. Ma queste cose non inganneranno lintelletto del sapiente, poich tutto quello che ricever dallimmaginazione, giudicher in vero dipinto in essa; mai, in ogni caso, asserir che ci sia

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passato integro e senza alcuna mutazione dalle cose esterne ai sensi, e dai sensi alla fantasia, a meno di non essere dapprima arrivato a tale conclusione anche con altro argomento. Noi stessi componiamo al contrario le cose che comprendiamo, tutte le volte che crediamo essere presente in esse quanto non percepito attraverso alcuna esperienza immediatamente dalla nostra mente: cos se litterico si persuade che le cose viste sono gialle, questo suo pensiero sar composto da ci che gli rappresenta la sua fantasia, e da ci che assume di suo, in altre parole che il colore giallo appare non per vizio dellocchio, ma poich le cose viste sono realmente gialle. Donde si conclude che noi possiamo essere ingannati solo quando le cose che crediamo sono in realt da noi stessi composte in qualche modo. 20. Affermiamo, in settimo luogo, che tale composizione pu essere condotta in tre modi, cio per impulso, per congettura o per deduzione. Per impulso compongono i propri giudizi sulle cose coloro che sono portati per loro disposizione a credere a qualcosa, non persuasi da qualche argomento, ma solo determinati o da qualche potenza superiore, o dalla propria libert, o dalla disposizione della fantasia. La prima non sbaglia mai, la seconda raramente, la terza quasi sempre: tuttavia la prima non pertiene a questo luogo, dal momento che non rientra nellarte. Per congettura, ad esempio partendo dal fatto che lacqua, pi distante dal centro che la terra, anche di sostanza pi tenue, e similmente che laria, sovrastante lacqua, a sua volta pi rarefatta, congetturiamo che sopra laria non possa esserci altro che un etere purissimo, e di gran lunga pi tenue dellaria. Tutto ci che poi componiamo in tal modo non c inganna certamente, se solo lo giudichiamo probabile e mai affermiamo sia vero, ma non ci rende neppure pi dotti. 21. Rimane quindi la sola deduzione, per il cui tramite possiamo comporre cos le cose, da essere certi della loro verit; nella quale tuttavia possono esserci anche numerosi difetti: come se dal fatto che in questo spazio pieno daria non percepiamo nulla, n con la vista, n con il tatto, n con altro senso, concludiamo che esso vuoto, confondendo malamente la natura del vuoto con quella di questo spazio. Cos accade tutte le volte che da una cosa particolare o contingente giudichiamo possa essere dedotto qualcosa di generale e necessario. Ma evitare questo errore in nostro potere, certamente, se non congiungiamo mai tra loro delle cose, a meno che non s'intuisca che la congiunzione delluna con laltra sia assolutamente necessaria: cos come deduciamo che nulla pu essere figurato se non sia esteso, da ci, che la figura ha necessaria connessione con lestensione, ecc. 22. Da tutto ci si ricava, in primo luogo, che distintamente e, come credo, attraverso unenumerazione sufficiente abbiamo esposto ci che allinizio potevamo esporre soltanto in modo confuso e rozzo: in altre parole, che nessuna via si apre, agli uomini, per la conoscenza certa della verit, al di fuori dellintuizione evidente e della necessaria deduzione; analogamente abbiamo esposto che cosa siano quelle nature semplici, di cui si parlato nellottava proposizione. chiaro che lintuizione della mente s'estende sia alla conoscenza di tutte quelle verit, sia alle loro reciproche connessioni necessarie, sia, infine, a tutte le rimanenti che lintelletto esperisce precisamente in se stesso o nella fantasia. Sulla deduzione poi si dir di pi in quel che segue. 23. Si ricava, in secondo luogo, che nessuna attivit da profondere per conoscere tali nature semplici, dal momento che esse sono di per s sufficientemente note; ma solo per separarle reciprocamente, e intuirle a parte, singolarmente, con mente attenta. Nessuno infatti dintelligenza cos ottusa, che non percepisca come, mentre sta seduto, differisca in qualche modo da se stesso mentre sta in piedi; ma non tutti separano in modo altrettanto netto la natura del luogo dal resto che in tale pensiero contenuto, n possono asserire che niente allora mutato a eccezione del luogo. Ci non richiamiamo qui allattenzione in vano, dal momento che spesso gli uomini di lettere hanno labitudine d'essere cos ingegnosi da trovare il modo di

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diventare ciechi anche in quelle cose che sono per s evidenti, e non sono ignorate neppure dai rustici; ci accade loro tutte le volte che tentano d'esporre tali cose note di per s mediante qualcosa di pi evidente. Infatti o spiegano altro o non spiegano assolutamente nulla: chi c che non percepisca tutto quello, qualunque esso sia, per cui mutato quando cambiamo luogo, e chi che concepisce quella stessa cosa, quando gli si dica che il luogo sia la superficie del corpo ambiente? Questa superficie in effetti pu mutare, mentre io rimango fermo e immobile, o, al contrario, pu muoversi con me cos che, sebbene mi circondi la stessa superficie, io non sia tuttavia pi nello stesso luogo. Ma veramente non sembrano forse profferire parole magiche, capaci di presa occulta e superiore alle possibilit dellintelligenza umana, coloro i quali sostengono che il moto, cosa notissima a chiunque, latto dellente in potenza, in quanto in potenza? Chi infatti comprende queste parole? Chi ignora che cosa sia il moto? E chi non ammette che essi ricercano il nodo in un giunco? Si deve quindi affermare che le cose non sono mai da spiegare con simili definizioni, perch non s'apprenda in luogo delle cose semplici quelle composte; ma devono essere intuite soltanto quelle, separate da tutte le altre, e da ognuno attentamente e mediante il lume della propria intelligenza. 24. Si desume, in terzo luogo, che tutta la scienza umana consiste solo in questo, nel vedere distintamente in che modo queste nature semplici concorrano insieme alla composizione di tutte le altre. Ci molto utile rilevare, dal momento che tutte le volte che proposta allesame qualche difficolt, quasi tutti s'arrestano al limite, incerti su quali pensieri debbano volgere la mente, e convinti che si debba ricercare qualche nuovo genere di ente, prima ignoto: cos, se si domanda quale sia la natura del magnete, quelli, che s'aspettano una cosa ardua e difficile, subito spostano lattenzione da tutto ci che evidente, per volgerla a quel che difficilissimo, e indecisi aspettano se per caso, vagando per lo spazio vuoto di molteplici cause, non possano trovare qualcosa di nuovo. Ma chi pensa che nulla possa conoscersi nel magnete che non consti di alcune nature semplici e per s note, non incerto su ci che si debba fare, in primo luogo raccoglie diligentemente tutto ci che si pu avere dallesperienza su questa pietra, da cui poi cerca di dedurre quale mescolanza di nature semplici sia necessaria per produrre tutti gli effetti che ha sperimentato nel magnete. Una volta trovatala, pu asserire decisamente d'aver percepito la vera natura del magnete, per quanto dalluomo, e partendo da esperienze date, pu essere reperito. 25. Infine, in quarto luogo, da quanto detto si ricava che le conoscenze delle cose non si devono giudicare pi oscure le une delle altre, essendo tutte della stessa natura, e consistendo nella sola composizione delle cose per s note. Di ci quasi nessuno si rende conto, ma prevenuti dallopinione contraria, i pi confidenti si permettono d'affermare le proprie congetture come vere dimostrazioni, e nelle cose che ignorano del tutto spesso fanno credere di vedere, come attraverso la nebbia, verit oscure, che non s'impegnano a proporre, attribuendo ai propri concetti certe parole, con laiuto delle quali usano discutere di molte cose e parlare conseguentemente, ma che in realt n loro stessi, n gli ascoltatori comprendono. I pi modesti, in vero, spesso s'astengono dallesaminare molte cose, sebbene facili e grandemente necessarie alla vita, soltanto perch si ritengono impari a esse, e stimando che possano essere percepite da altri dotati di maggiore intelligenza, abbracciano le opinioni di coloro sulla cui autorit fanno maggiore affidamento. 26. Diciamo, in quinto luogo, che si possono soltanto dedurre o le cose dalle parole, o la causa dalleffetto, o leffetto dalla causa, o il simile dal simile, o le parti o il tutto stesso dalle parti [...]. 27. Del resto, affinch a qualcuno non rimanga celata la concatenazione dei nostri precetti, dividiamo tutto ci che si pu conoscere in proposizioni semplici e questioni. Sulle proposizioni semplici non diamo altri precetti tranne quelli che preparano la forza conoscitiva

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allintuizione pi distinta e allesame pi sagace di qualsiasi argomento, poich esse devono presentarsi spontaneamente, n possono essere ricercate; di ci ci siamo interessati nelle dodici regole precedenti, nelle quali riteniamo d'aver esibito tutto ci che giudichiamo possa in qualche modo rendere pi facile luso della ragione. Tra le questioni, invece, alcune sono comprese perfettamente, anche se s'ignori la loro soluzione, e di queste tratteremo nelle dodici regole seguenti; alcune infine non sono comprese perfettamente, e le riserviamo alle dodici successive. Questa divisione stata trovata non senza motivo, sia per non essere costretti a dire nulla che presupponga la conoscenza delle cose seguenti, sia per insegnare prima quelle cose cui avvertiamo si debba anche affidare il compito d'educare lintelligenza. Si deve notare che tra le questioni che sono comprese perfettamente noi poniamo soltanto quelle in cui percepiamo distintamente tre cose: cio, con quali segni possa esser riconosciuto quanto si cerca, quando si presenti, che cosa sia precisamente ci da cui dobbiamo dedurlo, e in che modo sia da provare che quelle cose cos dipendono luna dallaltra, che luna non pu in nessun modo essere mutata, restando laltra immutata: cos abbiamo tutte le premesse, n rimane altro da insegnare se non in che modo si trovi la conclusione, non certo deducendo una cosa sola da una cosa semplice (ci infatti, stato gi detto, si pu fare senza regole), ma sviluppando con tanta arte una cosa dipendente da molte implicate insieme, che mai si richieda maggiore capacit dingegno, che per fare una semplicissima illazione. Simili questioni, dal momento che per lo pi sono astratte, e si presentano praticamente solo in Aritmetica e Geometria, sembreranno poco utili agli inesperti; tuttavia voglio porre l'accento sul fatto che piuttosto a lungo devono dedicarsi a imparare questarte e esercitarsi coloro che desiderino possedere perfettamente la parte ulteriore di questo metodo, nella quale trattiamo di tutto il resto. Commento
Il testo, molto articolato, di questa regola rappresenta per molti versi una sintesi, per altri un approfondimento. In questo senso i primi dodici capoversi affrontano il problema della conoscenza, isolandolo nellanalisi della polarit soggetto-oggetto. Analisi nella quale in qualche modo gi allopera quel metodo di cui la regola primo, provvisorio suggello. Cos, muovendo dal tema delle facolt del soggetto, Descartes procede a enumerarle (intelletto, immaginazione, sensi, memoria), mettendo in rilievo le implicazioni reciproche. Daltra parte lesplicazione del procedimento gnoseologico sviluppata in via ipotetica (analogamente alle postulazioni geometriche), nella convinzione che niente esse tolgano alla verit delle cose, ma soltanto le rendono tutte di gran lunga pi chiare. Lautore provvede quindi a un modello di spiegazione sostanzialmente meccanicistico, in cui, per, pi che sul dinamismo del moto locale, s'insiste sulla possibilit di concentrare la teoria della percezione intorno a un concetto di figura dallo statuto abbastanza ambiguo, perch se ne indica la portata oggettiva (niente cade sotto i sensi pi facilmente della figura: essa infatti si tocca e si vede), ma, contestualmente, elencandola tra le nature semplici materiali, se ne rimarca altrettanto decisamente il carattere di strumento concettuale di analisi. questo particolare statuto, per cui la figura costituisce un ponte tra sensazione, immaginazione e intelletto, che la fa privilegiare nella riduzione di tutto il sensibile a schema geometrico, in una direzione che ovviamente va al di l del mero dato empirico: la figura un prius [...] che appartiene a ogni sensibile, ma che - come tale - non sensibile 46 . Lintelligibilit propria della figura, in quanto natura semplice materiale, ha dunque la funzione decisiva di illuminare, illustrare, fornire indirettamente intelligibilit a ci che immediatamente non lavrebbe: il
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) F. Bonicalzi, op. cit., p.67.

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sensibile. A riprova della matrice idealizzante (sulla scia della contemporanea rivoluzione scientifica) del metodo cartesiano, che emerge limpidamente laddove lautore procede allastrazione da tutti gli elementi qualitativi per concentrare lindagine fisica sulla figura. La rottura con la concezione puramente sensibile della figura, la sua centralit come schema in grado di riassumere (nelle infinite modulazioni possibili) tutte le differenze delle cose sensibili, rivelano, mi sembra, in modo piuttosto netto, la sua funzione concettuale: il concetto di figura tanto comune e semplice, da essere implicato in ogni sensibile. Quanto precede nellopera ci ha gi messo sullavviso circa il rilievo metodologico delluniversale e semplice; non sorprende quindi il privilegiamento della figura nel fondamentale compito di omogeneizzazione razionale di tutti i dati empirici: <<La figura riscrive la realt secondo le esigenze dellintelletto, delineando una costruzione immaginata omogenea allesteso geometrico [...] La figura prodotto ermeneutico e produce ermeneutica>> 47 . Per il resto la teoria della percezione presentata in queste pagine, nella sua insistenza sul movimento (istantaneo) si presenta tipicamente meccanicistica, e in questo senso anticipa la dicotomizzazione tra corpo e spirito, tra esterno e interno, con cui Descartes chiude il proprio discorso gnoseologico. Da un lato, quindi, i moti corporei, dallaltro quellenergia per la quale propriamente conosciamo le cose, riconosciuta come puramente spirituale. Se per modificazione riceviamo informazioni, secondo il modello del meccanismo, in virt dellarticolarsi dellunica energia spirituale che conosciamo. Un articolarsi che, anche alla luce di quanto abbiamo letto sopra a proposito della figura, fa s che da una sola e medesima energia, secondo lapplicazione, si possa parlare di immaginazione, senso, memoria, comprensione. La percezione non cos mera ricezione meccanica: Descartes prevede il meccanismo, ma la percezione appannaggio spirituale. Nella prospettiva del metodo, cio dei soccorsi alle debolezze della intelligenza, diventa allora essenziale tenere conto di quellarticolazione, per provvedere rispetto agli oggetti possibili di indagine, nonostante il primato della comprensione (come puro intelligere), il raccordo tra intelletto, immaginazione e sensi, o la loro netta, mutua esclusione. In tal senso riproposto quanto gi osservato circa il privilegiamento della figurazione: lorientamento richiede un lavoro di idealizzazione, di astrazione dal dato immediatamente empirico. Per quanto attiene al polo oggettivo della conoscenza, Descartes ribadisce la propria concezione delle nature semplici, in polemica con la tradizionale gerarchia delle specie e dei generi. Il carattere ideale della nuova classificazione cartesiana sembrerebbe confermato dallattacco del discorso al tredicesimo capoverso: [a]ffermiamo dunque in primo luogo che le singole cose devono essere considerate diversamente riguardo alla nostra conoscenza, di quando ne parliamo come effettivamente esistenti. respectu nostri intellectus che un corpo pu essere analizzato in estensione e figura, rimanendo per altro, come reale in s, uno e semplice. Ci significa che nellanalisi lintelletto, per concepire adeguatamente il proprio oggetto, si serve di strumenti ermeneutici la cui oggettivit si basa sul fatto che sono i residui ultimi dellanalisi stessa, i fattori da cui essa non che prendere le mosse per la ricostruzione: Per questo motivo, non trattando qui delle cose se non in quanto sono percepite dallintelletto, chiamiamo semplici solo quelle [nature] la cui conoscenza tanto perspicua e distinta da non poter essere analizzate dalla mente in ulteriori elementi conosciuti pi distintamente: tali sono la figura, lestensione, il moto ecc.; tutte le rimanenti, invece, in qualche modo si concepiscono composte da quelle. Tenendo conto di tutta la complessa tematica dellordine, queste righe cartesiane non possono sorprendere per la loro impronta idealizzante, per
47

) Ibidem, p.69.

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la centralit dellattivit di concettualizzazione da parte del soggetto. Loggetto ridotto a quegli elementi concettuali non ulteriormente riducibili, che, in virt della propria semplicit, hanno garantita quella evidenza che sola capace di illuminare cognitivamente. In quella direzione, lautore procede a una classificazione delle stesse nature semplici in puramente intellettuali (che escludono il coinvolgimento dei sensi), puramente materiali (quelle che riconosciamo esistere solo nei corpi) e comuni. Soltanto nel caso delle prime si richiama esplicitamente la innatezza, anche se poi dal contesto si pu evincere che anche per le seconde il riferimento allesperienza non esclude la apriorit. Per Descartes le nature semplici sono tutte note per s e non contengono mai alcun elemento di falsit; in quanto atomi devidenza non richiedono che di essere colte, n possibile che vengano colte solo parzialmente, sempre a motivo della loro semplicit. Per questo, pi avanti, egli pu affermare che non possiamo comprendere mai altro allinfuori di queste nature semplici, e di una certa loro mescolanza o composizione. Tutta la scienza pu dunque essere ripresentata come illuminante gioco compositivo di tali nature, dove il limite delle nostre capacit conoscitive segnato dalla possibilit, in ogni ambito, della loro individuazione. Dario Zucchello, Como 1995-6

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