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Charles Bukowsky. Racconto. Trascrizione elettronica e revisione curata da Luigi Perotti ad uso esclusivo de i privi della vista.

a Philadelphia mi mettevo a sedere in fondo, facevo il camerierino, raccoglievo ordinazioni per guadagnarmi un panino, eccetera. Jim, il barista del turno mattutino, mi lasciava entrare alle 5 e mezza mentre d ava lo straccio e io potevo bere gratis finch non arrivavano i primi clienti, all e 7. chiudevo il bar alle 2 di notte, e cos non avevo molto tempo per dormire. ma non combinavo molto all'epoca - in fatto di sonno, di cibo o di qualunque altra cosa. il bar era ridotto cos male, vecchio, olezzante urina e morte, che quando entrava una puttana ci sentivamo particolarmente onorati. come facessi a pagarmi l'affitto o a cosa pensassi non sono sicuro. pi o meno in quello stesso periodo un mio racconto era stato pubblicato su PORTFOLIO III, insieme ad altri di Henry Miller, Lorca, Sartre e molti altri. il Portfolio costava dieci dollari ed era una cosa enorme fatta di pagine staccate, tutte stampate in caratteri diversi su una costosa carta colorata e pazzi disegni introspettivi. Caresse Crosby, la di rettrice, mi scrisse: "un racconto insolito e veramente magnifico. ma lei chi E' ?", le risposi: "Cara Signora Crosby, non so chi sono. cordiali saluti, Charles Bukowski." subito dopo smisi di scrivere per dieci anni. ma prima di smettere un a notte sotto la pioggia con PORTFOLIO, un vento molto forte, le pagine che svol azzavano per strada, la gente che le rincorre, io che sto a guardare, ubriaco; u n lavavetri gigantesco che mangiava sempre sei uova a colazione piazz il fettone nel bel mezzo di una pagina: "ehi! ecco! ne ho presa una." "vaffanculo, mollala, molliamole tutte!" dissi io alla gente, e rientrammo. avevo vinto una specie di scommessa. ero contento cos. ogni mattina alle 11 Jim mi diceva che avevo bevuto abbastanza, che non mi avreb be dato pi da bere, e che potevo andare a fare un giretto. facevo il giro dell'is olato per arrivare poi al retro del bar e mi stravaccavo per strada. mi piaceva far cos perch c'erano sempre dei camion che andavano avanti e indietro per il vico lo e sentivo che ogni momento avrebbe potuto essere quello buono. ma mi andava s empre male. e ogni giorno i bambini negri m'infilavano dei bastoncini nella schi ena, poi sentivo la voce della madre, "basta adesso, basta, lasciate in pace que ll'uomo!" dopo un po' mi rialzavo e tornavo dentro a bere. il problema principal e del vicolo era la calce. c'era sempre qualcuno che mi spruzzava la calce addos so e non ero mica contento, io. un giorno stavo l seduto quando domandai a un tal e, "ma perch non va mai nessuno nel bar in fondo alla strada?" la risposta fu, "m a quello un bar di gangster. se ci vai, ti fanno fuori." finii il drink, mi alza i e m'incamminai. quel bar era molto pulito. un bel numero di giovanottoni sparsi in giro, piuttos to cupi. scese la calma. "vorrei uno scotch con dell'acqua," dissi al barista. finse di non sentire. alzai il volume: "barista, ho detto che voglio uno scotch con dell'acqua!" lui attese un bel po', poi si gir, torn con la bottiglia e mi serv il drink. l'ingollai. "adesso ne vorrei un altro." notai che c'era una giovane signora tutta sola. aveva l'aria di sentirsi sola. era bella, bella e sola. avevo dei soldi. non so dove me li fossi procurati. presi il bicchiere, mi avvicinai a lei e le sedetti accanto. "vorrebbe ascoltare qualche canzone particolare al juke-box?" "una canzone qualsiasi. faccia lei." misi in funzione il juke-box. non sapevo chi ero ma sapevo far funzionare il juk e-box. lei era bella. ma com'era possibile che una donna cos bella se ne stesse l da sola? "barista! barista! altri due drink! uno per me e uno per la signora!" fiutavo morte nell'aria. e adesso che la fiutavo non ero poi cos sicuro che avess

e un buon profumo. "che ti succede, bellezza? dillo a me!" bevevamo da una mezz'ora quando uno dei due giovanottoni seduto verso il fondo d el bar si alz e mi si avvicin lentamente. era in piedi dietro di me, si pieg in ava nti. lei era andata al cesso. "ascolta, fratellino, vorrei dirti una parola." "d pure. un piacere." "quella la ragazza del capo. continua a far lo stronzo e vedrai se non troverai il modo di finire sotto terra." us proprio quelle parole: "sotto terra." come in un film. torn al suo tavolo e si mise a sedere. lei usc dal cesso, mi sedette accanto. "barista," dissi, "altri due drink." continuavo a far funzionare il juke-box e a chiacchierare. poi al cesso dovetti andarci io. andai alla porta dove c'era scritto UOMINI e notai che bisognava sce ndere per una lunga scala. il cesso degli uomini era proprio sotto terra. avevo appena cominciato a scendere i gradini quando m'accorsi d'esser seguito da due giovanottoni che stavano in fondo al bar. il problema non era la paura ma l a stranezza della situazione. non potevo far altro che scendere le scale. arriva i al pisciatoio, tirai gi la lampo e cominciai a pisciare. pur essendo vagamente ubriaco, vidi volarmi addosso un manganello. mossi la testa impercettibilmente e invece che sull'orecchio lo beccai sulla nuca. le luci cominciarono ad ondeggia re e a mandar lampi ma il dolore non era poi cos acuto. finii di pisciare, me lo rimisi dentro, e tirai su la lampo. girai sui tacchi. i due erano l in attesa che crollassi. "scusatemi," dissi, risalii le scale e mi rimisi a sedere. avevo dim enticato di lavarmi le mani. "barista," dissi, "altri due drink." il sangue cominciava ad uscire. tirai fuori il fazzoletto e me lo piazzai sulla nuca. poi i due giovanottoni uscirono dal cesso e si sedettero. "barista," dissi accennando a loro con la testa, "due drink per quei signori lag gi." ancora juke-box, ancora chiacchiere. la ragazza continuava a starmi vicina. non riuscii a capir molto di quel che mi disse. poi dovetti tornare a pisciare. mi a lzai e mi diressi nuovamente verso il cesso degli UOMINI. uno dei due giovanotto ni disse all'altro mentre passavo, "non possiamo uccidere quel figlio di buona d onna. pazzo." questa volta non mi seguirono di sotto, ma quando rientrai nel bar non andai a s edermi vicino alla ragazza. avevo fatto la mia bella figura e ormai la storia no n m'interessava pi. rimasi l a bere per il resto della serata e quando il bar chiu se uscimmo tutti a parlare, a ridere, a cantare. le ultime due ore le avevo tras corse sbevazzando con un ragazzo coi capelli neri. mi si avvicin: "senti, vorremmo che ti unissi alla banda. hai i coglioni duri tu. abbiamo bisog no di un tipo come te." "grazie, amico. la tua proposta mi fa piacere ma non posso accettare. grazie com unque." poi mi allontanai. sempre il mio solito teatro. qualche isolato pi avanti feci cenno ad una macchina della polizia, dissi che un paio di marinai m'avevano colpito con un manganello in testa e che mi avevano de rubato. mi portarono al pronto soccorso dove venni fatto sedere sotto una lampad a potente in compagnia di un medico e di un'infermiera. "adesso le far male," mi disse lui. l'ago entr in funzione. non sentivo niente. mi sembrava di poter tener e sotto controllo me e tutto il resto. mi stavano mettendo una benda di qualche tipo quando allungai una mano per stringere una gamba all'infermiera. le pizzicai un ginocchio. mi faceva sentir bene. "ehi! ma cosa le prende?" "niente. stavo solo scherzando," dissi al dottore. "vuole che lo sbattiamo dentro?" chiese uno dei poliziotti. "no, portatelo a casa. ha avuto una nottata dura." i poliziotti mi accompagnarono a casa in macchina. mi trattarono bene. se fosse successo a Los Angeles sarei finito in guardina. quando arrivai in camera, scola i una bottiglia di vino e m'addormentai. non riuscii ad alzarmi alle 5,30 per l'apertura del vecchio bar. mi capitava qua

lche volta. qualche volta restavo a letto tutto il giorno. intorno alle 2 del po meriggio sentii due donne che parlavano fuori della mia finestra. "non so propri o cosa fare con quell'inquilino nuovo. qualche volta resta a letto tutto il gior no con le tapparelle abbassate ad ascoltare la radio. non fa altro." "l'ho visto," disse l'altra, " quasi sempre ubriaco, un uomo orribile." "penso che sar costretta a mandarlo via," disse la prima. ah, merda, pensai. ah, merda, merda, merda, merda, merda. spensi Stravinsky, mi vestii e m'incamminai verso il bar. entrai. "ehi, eccolo l!!!" "pensavamo che ti avessero fatto fuori!" "sei poi andato a quel bar di gangster?" "gi." "racconta." "prima ho bisogno di un drink." "certo, certo." lo scotch con dell'acqua arriv. mi misi a sedere sullo sgabello pi lontano. il rag gio di sole sporco tra la 16esima strada e Fairmount trov il modo d'entrare. la mia giornata era cominciata. "le voci," cominciai, "secondo cui quello un locale di duri, sono decisamente ve re..." poi raccontai a loro, pi o meno, quel che ho raccontato a voi. il resto della storia che non potei pettinarmi per un paio di mesi, tornai una v olta o due in quel bar di gangster, venni trattato bene, e che lasciai Philadelp hia non molto tempo dopo in cerca di altri guai o di qualcunque altra cosa cerca ssi. i guai li trovai, quanto al resto di quel che cercavo, beh, non l'ho ancora trovato. forse lo troviamo quando si muore. forse no. voi avete i vostri libri di filosofia, il vostro prete, il vostro predicatore, il vostro scienziato, cos n on venitelo a chiedere a me. e state lontani dai bar con il cesso per gli UOMINI sotto terra. da Notes of a dirty old man (c)1969 by Charles Bukowski traduzione dall'americano in Taccuino di un vecchio sporcaccione, (c)1979 Guanda Editore.

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