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Nim Libri n 5 Giugno 2006 IL PATTO DI LUCIDIT O LINTELLIGENZA DEL MALE

Autore:Jean Baudrillard Publisher:Raffaello Cortina, Milano Copyright:2006 ISBN:88-6030-003-7 Pagine:185 Price: 19,00 Che succede quando il mondo diventa matrice? O, per dirla con le parole usate dallo stesso Baudrillard, quando la realt, satura del suo stesso principio, si fa Realt Integrale, potenza assoluta, progetto operazionale senza limiti? Succede che, per rimanere alla "metafora matriciale" da cui siamo partiti, dobbiamo cominciare tutti a fare il tifo per l'agente Smith, stringere con questo genietto maligno un patto di lucidit, condividere l'intelligenza del Male di questa sorta di agente virale e autodistruttore. Dobbiamo metterci dalla Parte del Male, partecipare alla disgregazione suicida che la Potenza rivolge contro se stessa, assumerci la responsabilit di quella denegazione radicale che il Sistema sta spontaneamente germogliando. questo l'annuncio che viene oggi a recarci colui che gi fu il messaggero del simulacro. Visto che il tono che stiamo prendendo assolutamente e non metaforicamente apocalittico converr precisare subito che lo strumento principale di questa violenta abreazione, di questo irriducibile antagonismo l'Ironia (una gigantesca ironia obiettiva, [...] un'intuizione superiore dell'illusione di questo processo, scrive Baudrillard), il suo ambito il Gioco, la sua filosofia la Patafisica. Ora, non credo sia possibile restituire la ricchezza, a volte irritante, pi spesso affascinante, con cui Baudrillard ci sommerge (anche) in questa occasione. Possiamo per provare a focalizzare l'attenzione su quegli aspetti o fenomeni della Realt Integrale che meglio ce ne restituiscano l'ambigua complessit. Il primo tema quello delle immagini e dell'immaginario. Viviamo in un'epoca dall'immaginario ipertrofico, obeso e onnivoro, straripante e totalizzante. Gli schermi ci grandinano addosso una quantit inimmaginabile di immagini. Le consumiamo con una voracit inferiore
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soltanto alla frenesia con cui le produciamo. Nulla accade senza che si trasmuti in una immagine. A nessuno preclusa l'opportunit di produrre immagini. uno dei grandi doni del digitale. Eppure siamo iconoclasti, ci dice Baudrillard: malgrado il nostro culto degli idoli, noi siamo sempre degli iconoclasti: distruggiamo le immagini sovraccaricandole di significato, uccidiamo le immagini attraverso il senso. Assurdo. Ma di un'assurdit condivisibile. E condivisa: Dovremo forse concludere che la condizione postumana una condizione in cui e di cui non si danno immagini? (Franco Rella, Pensare per Figure). Non si danno immagini perch non ci sono immagini. La Realt Integrale, uccidendo il reale e il suo principio, il suo senso e la sua rappresentazione, si macchia anche dell'omicidio dell'immagine. esattamente e inevitabilmente lo stesso destino che tocca in sorte all'arte contemporanea: inesistente, perch tra essa e il mondo si ha solo un'equazione perfetta. Quest'arte ormai contemporanea solo a se stessa, si rispecchia perfettamete nel non-godimento di uno spettatore che consuma letteralmente il fatto di non capirci niente e di non vedere alcuna necessit in tutto questo nessuna, se non l'imperativo della cultura, dell'affiliazione al circuito integrato della cultura. Proprio come Remo e Augusta (Alberto Sordi e Anna Longhi) nelle loro vacanze intelligenti alla Biennale, ma meno consapevole, forse pi chic, magari meno inadeguato, sicuramente meno ironico. A questa crisi radicalmente moderna del sistema mondo non pu sfuggire il tempo. Ammalatosi gi a partire dal XIX secolo, ma di una schizofrenia lucida e folle, il tempo sembra oggi sul punto di precipitare in un coma profondo, privo di sussulti, assoluto. Un tempo in cui nemmeno l'istante, lo choc ha pi senso; un istante in cui non si consuma pi il non-ancora/nonpi di un presente inafferrabile ma soltanto l'astrazione assoluta di un tempo ironicamente definito reale. Un tempo che cerca di anestetizzare il mondo annullando la potenzialit dell'evento. Ma l'anomalia paradigmatica e nuovamente mette in scacco ogni pretesa di totalit. L'evento precipita nel tempo come un fulmine, come un aereo scagliato contro una torre. Il terrorismo come doppio mostruoso clonato da un sistema ormai troppo vicino alla sua formula definitiva, un malefico fiore che la potenza ha premurosamente coltivato contro se stessa. Questo di Baudrillard dunque un libro compiutamente moderno perch animato da una tensione costante ad esporre l'inferno, a mostrare l'ambivalenza irrisolvibile di un mondo che voleva essere principio e fine di stesso. A ogni imperativo di questo mondo che si illude di poter essere Assoluto e Integrale Bartleby-Baudrillard risponde I would prefer not to, annunciandoci cos lindefettibile trionfo della dualit: la dualit che frantuma la Realt Integrale, che spezza ogni sistema unitario o totalitario attraverso il vuoto, il crash, il virus, il terrorismo. Crash, virus, terrorismo. Agente Smith...

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Nim Libri n 7 Febbraio 2007 LA VETRINIZZAZIONE SOCIALE. Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della societ

Autore:Vanni Codeluppi Publisher:Bollati Boringhieri, Torino Copyright:2007 ISBN:978-88-339-1741-2 Pagine:109 Price: 11 L, davanti alla vetrina, lindividuo occidentale ha imparato per soprattutto una fondamentale modalit di rapporto con il mondo (p. 8). Dunque la vetrina non soltanto il primo palcoscenico della merce che la nascente societ industriale mette in scena per mostrare al suo nuovo pubblico di massa se stessa e i sui prodotti. qualcosa di pi, appunto il vettore di una nuova modalit di rapporto con il mondo. La vetrinizzazione sociale, che poi vetrinizzazione del sociale, rappresenta cio un vorticoso processo di sconfinamento della logica espositiva dalla cornice circoscritta della vetrina nel territorio complessivo della metropoli prima, nelle pratiche e nellimmaginario del sistema mediale poi e infine nei tessuti del corpo stesso di uno spettatore-consumatore divenuto esso stesso, contemporaneamente, la vetrina e la merce che in essa esposta. Quella della vetrina si impone allora, seguendo il percorso di Codeluppi, come la storia di una tecnologia caratterizzante che progressivamente permea con le sue metafore le diverse dimensioni dellabitare: quella urbana, facendo della metropoli tutta una mostruosa supermerce; quella fisica, confezionando il corpo stesso in un packaging sfavillante e trasparente; quella mediale, aprendo un passage tra ribalta e retroscena (Goffman) che se-duce direttamente in quella che Jean Baudrillard ha definito la fase video; e, in conclusione, seppur in modo imperfetto, quella della morte, anchessa divenuta feticcio vetrinizzato e consumabile in una processione di fedeli videotelefoni alla cattura delle esequie papali. Inizialmente dunque, in un processo ancora oggi in atto, la logica spettacolare della vetrinizzazione fuoriuscita dalla cornice della finestra
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del negozio per diffondersi con mirabile virulenza nella citt, andando a riempire con il suo spettacolo ogni interstizio dellallora nascente spazio metropolitano. lo schermo-soglia della vetrina, la sua profondit superficiale a porre come principio organizzativo della citt non pi lordine, ma lofferta (Alain Bourdin). La seconda cornice spezzata dal processo di vetrinizzazione sociale , come accennato, quella che delimitava il confine tra lo spazio visibile della ribalta e quello nascosto del retroscena. La vetrina, con la sua trasparenza assoluta, il primo medium a illuminare quelle zone della vita, della metropoli, del sociale, che fino a quel momento avevano ancora potuto riservarsi una zona dombra. Il reality televisivo e le nuove spazialit pubbliche-private della rete non sono altro allora che lultima avventura di quella colonizzazione voyeuristica dellinvisibile cominciata pi di due secoli orsono dallo spettacolo della vetrina. Il corpo laltra dimensione su cui oggi sembrano imperversare le metafore determinate dalla logica della vetrinizzazione. Il corpo sembra oggi complessivamente indirizzato verso il perfetto confezionamento dellArtificial Kid immaginato da Bruce Sterling. Vistoso oggetto di consumo totale, artificialmente modificato, eternamente giovane, diffusamente erotizzato ma perfettamente desessualizzato come limmagine di una pinup, perennemente esposto allo sguardo di uno sciame di videocamere personali, il corpo del personaggio creato da Sterling, puro packaging, sembra mostrare, esasperandolo, il futuro della nostra vetrinizzazione somatica. Lultimo territorio che la vetrinizzazione sta cercando di illuminare quello della morte. Ma le incursioni delle sue logiche, che siano artistiche (Von Hagens, Hirst o Cattelan) o massmediatiche (i funerali di Papa Giovanni Paolo II), nello spazio sacro della morte non sembrano ancora sufficienti a riscattare il dispendio assoluto di un gesto capace ancora di fermare eternamente il circuito dialettico del consumo desiderio-appagamentofrustrazione-nuovo desiderio.

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Nim Libri n 8 Settembre 2007 LA CITT. La societ europea nello spazio globale

Autore:Paolo Perulli Publisher:Bruno Mondatori, Milano Copyright:2007 ISBN:978-88-424-2051-4 Pagine:181 Price: 14 Pensare la citt significa ancora e inevitabilmente pensarla attraverso Simmel. Pensarla attraverso Simmel significa pensarla come spazio per il conflitto. questo il solco (urvuum) che lautore ha inizialmente bisogno di tracciare per dare senso ai molteplici s-confinamenti con cui descriver lambigua evoluzione della forma urbana, dalla citt moderna a quella dei bit. Se il conflitto loriente e il porto da cui prende il largo questa movimentata navigazione, tra tutte le coppie di concetti in tensione permanente con lorigine della citt che lautore-timoniere scruta certamente quella chiusura-apertura a costituirne lattraente nord. su questasse infatti che si sempre giocata la partita dellabitare la citt, dalla polis alla megalopoli, da Platone a Gottmann. lenergia scaturita dalla tensione tra queste due opposte polarit che ha da sempre dato forma alla spazialit urbana, incarnandosi in una moltitudine di dualit di differente astrazione: mercato versus oikos, nella ricostruzione tipologica weberiana (ricalcata poi dallantitesi sovranit circolazione di Foucault); comunit versus societ, non solo nel nostalgico rimpianto di Tnnies ma anche e soprattutto nelle ambigue reciprocit tra libert e anomia, tra riserbo e coinvolgimento in cui si imbatte ancora Simmel, anticipando Nancy che nella lontananza losangelena ribalta lordine dei fattori svelando la comunit come ci che accade a partire dalla societ; stato versus processo, che anche dire razionalit pubblica orientata allo scopo contro razionalit processuale, policy-making contro sense-making (Weick), il Principe di Macchiavelli contro quello petit di Saint-Exupry. Ma nel dna della coppia apertura/chiusura sono anche iscritte le caratteristiche dominanti di quegli spaesamenti digitali che con rinnovata
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irruenza stanno modificando la fisionomia dellabitare contemporaneo: a quellinteriour perfetto che lutopia si sovrappone la permeabilit instabile delle-topia/entropia (Castells; Scott); la presunta fissit dello spazio fisico si cortocircuita con la trascendenza in potenza dello spazio fluido (ancora Castells); larrogante disporre della griglia incontra il totale essere a disposizione della rete. Il rischio era quello di cedere alla tentazione di risolvere tutte queste dicotomie, di iscriverle in un rapporto di causa/effetto, nella linearit temporale di un ante-/post-, di neutralizzarle riconducendole allipotetica rivoluzione di una frattura epistemologica, alla fine della storia. Ma la lezione simmeliana era un vaccino troppo efficace per cadere nel tranello e cos Perulli sembra non dimenticarsi mai che lanomalia paradigmatica e lambivalenza irrisolvibile: ogni chiusura ha una falla da cui filtra un raggio di luce, ogni apertura rivela un limite a cui ci aggrappiamo nei momenti di terrore e smarrimento, la rete pu stringere le sue maglie e intrappolarci, la griglia abbandonarsi al delirio della vertigine newyorchese. E la vera utopia sembra risiedere nella capacit di connettere in un rinnovato spazio pubblico lo spazio dei flussi e quello dei luoghi. Raffreddo i miei entusiasmi e cerco di fare il bravo recensore: quello di Perulli un ottimo libro, pieno di spunti, i riferimenti richiamati sono moltissimi, ma la ricchezza non si traduce comunque in approssimazione e se a volte si vorrebbe che la scrittura si fermasse un po pi a lungo su qualche concetto, ci accade pi per la curiosit suscitata nel lettore che non in ragione delle sbrigative argomentazioni dellautore. Certamente un prezioso strumento nella mani dello studioso e dello studente questo di Perulli; peccato solo per la colpevole assenza di una bibliografia finale: lindice dei nomi e i riferimenti alla francese non sono infatti sufficienti a mettere ordine nella ricchezza dei testi citati.

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Nim libri n 6 Ottobre 2006 SICURI DA MORIRE. La violenza nell'epoca della globalizzazione

Autore:Arjun Appadurai Publisher:Meltemi, Roma Copyright:2005 ISBN:88-8353-233-3 Pagine:189 Price: 17 Quella di Appadurai unantropologia bastarda capace di indagare le zone dombra che si addensano ai margini delle pi attuali definizioni sociologiche, regalando spesso nuova ricchezza e una profondit sconosciuta alla loro pervasiva e omologante diffusione. Ecco allora lo stereotipizzato motto think global, act local, che declina il fortunato neologismo glocal di Ronald Robertson, connotarsi sotto lo sguardo moderno di Appadurai di una sfumatura schizofrenica e macabra, oscena e inquietante: le astrazioni incontrollabili e inassimilabili della globalizzazione implodono sulle iperlocalit dei corpi violati delle minoranze etniche. Il corpo (il pi locale dei siti globali), reso manipolabile da una violenza che illusoriamente e forse consolatoriamente qualcuno si ostina a considerare primordiale, come velenoso antidoto allintangibile della globalizzazione; le torture, gli stupri, le penetrazioni, le vivisezioni iscritte sul corpo dellaltro come tentativo di esorcizzare il nuovo, limminente, lincerto. La violenza etnica come lerpice glocale a cui ricorrono maggioranze incerte e insicure per scrivere sui corpi dellaltro non la colpa commessa, ma la nuova mappa di un nuovo ordine globale, e per tracciare sulla carne gli incerti confini che separano il noi e il loro. come se la relazione globale-locale avesse bisogno di innalzare esponenzialmente e disumanamente la temperatura della sua violenza intra-societaria e inter-etnica per raggiungere e/o conservare la propria costante dequilibrio. Quella di Appadurai anche, proprio in virt di questa sua natura geneticamente ibrida, sporca intendendo con sporco ci che fuori posto (Mary Douglas, ripetutamente citata in questo testo)
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unantropologia che mette in discussione la sequenzialit e dunque la validit di quei pochi nessi causali che ancora sembravano in grado di spiegare qualcosa allinterno di una societ e di un sapere sociologico che avevano ormai fatto piazza pulita del paradigma meccanicista. Cos non sono le minoranze a innescare la violenza ma la violenza di stampo nazionale ad aver bisogno di immaginare le minoranze. Il genocidio non elimina le differenze, ma le ricerca, le inventa e le produce: il genocidio, dopo tutto, una pratica di costituzione della comunit (Philip Gourevitch). Non sono le etichette ebreo, hutu o kurdo a legittimare la violenza ma la violenza pi intima e pi efficace a legittimare e a dare un senso a quelle stesse etichette. La violenza vivisezionatrice che si esercita sul corpo dellaltro etnico come una sorta di profezia autoavverantesi. Troviamo qui una curiosa analogia, culturale, tra le ragioni della violenza etnica e le motivazioni della guerra in Afghanistan (e in Iraq), che Appadurai definisce come una guerra diagnostica o addirittura istruttoria, ossia programmata per fare delle scoperte. Anche questa volta lantropologo indiano si diverte a togliere il terreno da sotto i piedi alle nostre correnti tassonomie capovolgendo prospettiva temporale e nesso di casualit nel descriverci una guerra che da preventiva si fa diagnostica. Sullo scenario di una civilt degli scontri, entrambe, la violenza etnica come la guerra a lunga distanza, si propongono come forme schizofreniche della riflessivit moderna. Quella di Appadurai dunque unantropologia ambivalente, o unantropologia del caos, come la definisce brillantemente Piero Vereni nella postfazione. Ambivalenti sono i suoi oggetti (il capitalismo globale, per esempio, conteso tra la proliferazione delle forme cellulari terrorismo globale ma anche la cellularit utopica dei movimenti per la globalizzazione dal basso e la morale vertebrata del sistema classico degli stati nazionali). Ambivalente il suo metodo che mescola teoria sociologica, studi darea, scienza politica, psiconalisi e passione etnografica per l inessenziale (ancora Vereni). Questo di Appadurai allora un testo che vale la pena leggere, soprattutto in questi giorni. A cinque anni di distanza dalla polverizzazione delle Torri Gemelle, mentre in tanti ci ricordano che quella mattina dellundici settembre tutto cambiato per sempre, la dimensione culturale dellantropologia caotica di Appadurai infatti una prospettiva a cui non possiamo permetterci di rinunciare.

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