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NUMERO 10 LUGLIO 2012

Il Nord dopo la Lega

contributi di Marco Alfieri Giuseppe Berta Roberto Briorcio Stefano Camatarri Ferruccio Capelli Mauro Ceruti Paolo Corsini Aldo Cristadoro Lorenzo Dellai Guglielmo Epifani Vasco Errani Piero Fassino Paolo Feltrin Giuseppe Galasso Enrico Letta Mauro Magatti Maurizio Martina Gianluca Passarelli Graziella Priulla Debora Serracchiani Leonida Tedoldi Walter Tocci Dario Tuorto

Stefano Di Traglia
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www.tamtamdemocratico.it

SOMMARIO
FOCUS_LALETTURA FOCUS_LARISPOSTA

La questione settentrionale dopo la crisi dellasse del nord

70 75 79 84 89 94 100 104 109

Missione Europa Enrico Letta Ora tocca a noi Piero Fassino Il nostro federalismo Vasco Errani Zaino in spalla: il civismo delle Terre Alte Lorenzo Dellai Il nord e noi Debora Serracchiani Patto sociale per crescita ed equit Guglielmo Epifani Una piattaforma per lo sviluppo del nord Giuseppe Berta Una bussola umanistica Ferruccio Capelli Documento: Per la ricostruzione nazionale Maurizio Martina

Roberto Biorcio

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Il voto al nord : tengono ancora i blocchi tradizionali? Aldo Cristadoro e Paolo Feltrin La Lega oltre i clich Gianluca Passarelli e Dario Tuorto Travaglio e prospettive della Lega

E-MAIL
redazione@tamtamdemocratico.it

Marco Alfieri
L'Italia in s e per s passa per Milano e Roma Walter Tocci Dove va il nord dopo la Lega Giuseppe Galasso Finalmente un federalismo che unisce Mauro Ceruti Movimento 5 stelle, oltre lantipolitica Stefano Camatarri Beppe Grillo e i figli delle stelle Paolo Corsini Parole tossiche Graziella Priulla

Tam Tam Democratico spazio di approfondimento del Partito Democratico

Proprietario ed editore Partito Democratico Sede Legale - Direzione e Redazione VIa SantAndrea delle Fratte n. 16, 00187 Roma Tel. 06/695321 Direttore Responsabile Stefano Di Traglia Registrazione Tribunale di Roma n.270 del 20/09/2011 I testi e i contenuti sono tutelati da una licenza Creative Commons 2.5 CC BY-NC-ND 2.5 Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate

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ALTRICONTRIBUTI

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Lo Stato nella globalizzazione Leonida Tedoldi Seconda globalizzazione: un nuovo inizio Mauro Magatti

COMUNICAZIONE
progetto grafico/sito internet dol - www.dol.it

La lettura

FOCUS

Il Nord dopo la Lega

La Lettura

La questione settentrionale dopo la fine dellasse del Nord


Roberto Biorcio
insegna Sociologia Politica allUniversit di Milano Bicocca

risultati delle elezioni amministrative del 2012 hanno segnato la fine del cosiddetto asse del Nord: lalleanza fra Belusconi e Bossi che aveva condizionato la politica italiana negli ultimi venti anni. La crisi della coalizione di centrodestra ha permesso al centrosinistra di conquistare molti comuni, soprattutto nelle regioni del Nord. Ma il forte aumento dellastensione e i successi imprevisti del movimento 5 stelle rendono pi incerto e problematico il quadro politico. Si aprono molti interrogativi su quale pu essere il futuro della questione settentrionale. La sconfitta della Lega nelle ultime elezioni amministrative non solo leffetto degli scandali provocati dagli affari del tesoriere Belsito. Le difficolt della Lega erano gi emerse con le elezioni amministrative dello scorso anno. in crisi il modello di rappresentanza politica che il partito di Bossi aveva cercato di dare al Nord? La questione settentrionale era emersa nel dibattito pubblico venti anni fa. Gli effetti dalla globalizzazione delleconomia, una pressione fiscale in aumento e l'inefficienza di molti servizi pubblici creavano molte difficolt per le possibilit di sviluppo delle regioni del Nord. Questi problemi si intrecciavano con una forte insofferenza verso i partiti e la politica tradizionale. La Lega aveva proposto un nuovo modello di rappresentanza: da un lato si presentava come partito regionalista, come portavoce di specifici interessi locali (il sindacato del territorio), dellaltra gestiva la protesta populista contro Roma ladrona. A questi contenuti, il Carroccio ha successivamente aggiunto un forte impegno per contrastare limmigrazione. Si

Il Nord dopo la Lega

FOCUS

La Lettura cos affermato un partito con una identit forte, radicato sul territorio, con un numero rilevante di attivisti e un vasto consenso elettorale. La situazione per notevolmente cambiata negli ultimi dieci anni. La Lega ha via via ridimensionato il ruolo dell'antipolitica nelle sue campagne, spostando l'attenzione su altre tematiche. Le pratiche sempre pi disinvolte degli amministratori leghisti nel gestire i rapporti fra politica e affari vanificavano le differenze rispetto agli altri partiti. Le accuse della magistratura a Bossi e ai suoi familiari colpivano poi una componente fondamentale dellidentit leghista, costringendo alle dimissioni lo stesso leader carismatico. Maroni ha cercato di mobilitare lantipolitica e la rabbia su bersagli interni al movimento, riuscendo a conquistare la segreteria. Ma non riuscito a rilanciare la mobilitazione e il consenso elettorale. E ha prodotto l'effetto indesiderato di accreditare l'idea che la Lega non sia diversa da tutti gli altri partiti, e che i suoi dirigenti appartengano a pieno titolo alla casta. In parallelo alla crisi della Lega si sviluppata quella del Pdl, con la sconfitta di un modello di rappresentanza che era apparso vincente per molti anni. Berlusconi aveva inventata nel 1994 una proposta politica che riprendeva e superava la stesa formula del partito personale. Il nuovo leader metteva in scena il progetto della conquista del potere politico da parte di un soggetto forte della societ civile, che recuperava le idee diffuse fra gli imprenditori, i professionisti e gli operatori economici delle regioni settentrionali: liberismo, antistatalismo, riduzione delle aree protette dal welfare state. La retorica di Berlusconi riproponeva due elementi essenziali del populismo: l'appello diretto al popolo, come sede di virt e valori autentici, e il legame diretto fra popolo e leadership. Non caso, il Cavaliere ha cercato di trasformare tutte le scadenze elettorali in un plebiscito sulla propria persona. La vittoria nelle elezioni poteva per essere garantita solo con la formazione del cosiddetto asse del Nord fra i due populismi, rappresentati da Berlusconi e dalla Lega. I due partiti alleati offrivano una rappresentanza a diverse strutture sociali e alle differenti aree territoriali del Nord. Fra il due tipi di populismo si erano inizialmente prodotti conflitti e concorrenza, ma dal 2001 era stata soprattutto ricercata la convergenza. Gli scandali nella vita privata e le inchieste della magistratura
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La Lettura hanno progressivamente logorato limmagine personale di Berlusconi. La crisi economica ha fatto poi emergere problemi ancora pi gravi. La crescita dei livelli di pressione fiscale smentiva tutte le speranze di riduzione delle tasse. Non solo Berlusconi, ma anche i ministri leghisti sono stati considerati responsabili degli insuccessi rispetto alle attese suscitate. Nelle elezioni amministrative del 2011 sia il Pdl e che Lega, ancora alleate, hanno subito una netta sconfitta elettorale. Falliva lultimo tentativo di Berlusconi di trasformare (a Milano) le elezioni in un referendum sulla sua persona. Nelle elezioni amministrative del 2012 la sconfitta stata ancora pi marcata. Erano ormai gravemente incrinati i punti di forza fondamentali dei due partiti: per la Lega, lidentit di soggetto politico diverso dagli altri partiti, per il Pdl la fiducia nelle qualit e nelle capacit del leader. Restano per, e si aggravano, molti dei problemi che avevano consentito alla Lega di affermarsi come portavoce della questione settentrionale. La situazione attuale diversa rispetto agli anni Novanta: pi che sulla redistribuzione delle risorse fra Nord e Sud, il malcontento e le proteste si orientano contro le politiche di austerit imposte dalla Bce e dal Fmi. Aumentano le difficolt per le piccole e le medie imprese anche all'interno delle regioni dell'Italia settentrionale, mentre crescono sempre pi la disoccupazione e la precariet. E daltra parte molto diffusa la sfiducia verso i partiti e il ceto politico, che raggiunge livelli superiori a quelli di venti anni fa, al tempo delle inchieste di mani pulite. Chi pu oggi rappresentare le proteste e le domande, pi forti, ma anche pi frammentate, che emergono nelle regioni settentrionali? La Lega di Maroni cerca di valorizzare il ruolo di sindacato del territorio, ma si fortemente indebolita le capacit del Carroccio di guidare l'opposizione alle politiche del governo Monti. Viene proposto come riferimento il modello della Csu bavarese: una
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La Lettura formazione politica che si allea con un partito conservatore nazionale, per ottenere in cambio maggior potere e pi autonomia di gestione degli interessi regionali. In questa prospettiva, la Lega dovrebbe abbandonare progressivamente l'identit di partito populista/regionalista per assumere quella di partito regionalista/conservatore. Questo progetto appare per molto problematico per la crisi profonda che investe il Pdl, ed difficile ricostruire un altro asse del nord. La nuova discesa in campo di Berlusconi e i tentati di riproporre lalleanza con la Lega di Maroni non sembrano in grado di invertire le tendenze in corso. Il movimento di Grillo ha raddoppiato i consensi dopo le ultime elezioni amministrative, grazie alla enorme sovraesposizione mediatica del suo leader. Il comico genovese da diversi anni si impegnato come imprenditore politico del movimento, utilizzando soprattutto le possibilit di mobilitazione offerte dal web e le sue capacit di grande comunicatore. Il movimento 5 stelle assume come lo stesso Grillo sembra auspicare una funzione analoga a quella svolta della Lega rispetto ai partiti della Prima repubblica. Il nuovo soggetto politico per molto diverso dal Carroccio e presenta forti analogie con il partito dei Piraten tedeschi, che cercano di offrire nuovi canali alla domanda di partecipazione dei cittadini. Restano per molti dubbi sulle capacit del movimento di Grillo di assumere funzioni di rappresentanza e di governo a livello nazionale o almeno per ampie comunit territoriali. La crisi e la dissoluzione dellasse del nord ha consentito al centrosinistra di conquistare il governo di molte amministrazioni locali nellItalia settentrionale: ma la sua capacit di intercettare, rappresentare e interpretare la domanda di cambiamento apparsa indebolita rispetto alle elezioni dellanno scorso. Le vittorie spesso inattese nelle amministrative del 2011 erano state caratterizzate dal nuovo modo di presentarsi di molti candidati sindaci che riuscivano a intercettare le proteste e le richieste di cambiamento rispetto alle politiche del governo e degli amministratori locali. Un diverso modo di rapportarsi ai cittadini, pi attento alle loro domande e a sollecitare la partecipazione, riusciva a ridimensionare fortemente gli atteggiamenti antipolitici. Queste tendenze sono state meno evidenti nelle recenti elezioni, anche se il centrosinistra nelle regioni del Nord ha nettamente aumentato il numero dei sindaci e governa ormai tutte le citt capoluogo di regione.
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Il voto al nord: tengono ancora i blocchi tradizionali?


Aldo Cristadoro direttore del Dipartimento politico elettorale di Tolomeo Studi e Ricerche Paolo Feltrin insegna Scienza politica allUniversit di Trieste

remessa Secondo molti commentatori le ultime elezioni amministrative costituiscono un punto di svolta nei comportamenti di voto degli ultimi anni, in particolare al Nord. E davvero cos? In soli due anni lorientamento degli elettori, in particolare quelli del Nord, ha subito davvero mutamenti cos profondi da oscurare i protagonisti della vita politica italiana degli ultimi 20 anni? Anche se le prime impressioni sembrano confermare convincimenti di questo genere, unanalisi attenta dei risultati elettorali conduce a conclusioni meno scontate e lascia spazio a pi di un interrogativo. Il Nord e la frattura territoriale: una storia lunga 30 anni Negli ultimi lustri il dibattito pubblico stato spesso incentrato sulla questione settentrionale, in contrapposizione polemica con la tradizionale questione meridionale, vale a dire sulle conseguenze della frattura territoriale che fin dalla nascita dello stato unitario caratterizza il nostro Paese. Specificit ed esigenze delle regioni settentrionali hanno modellato da un lato la domanda degli elettori, dallaltro lato hanno contribuito in maniera sostanziale a definire lofferta politica che a essi veniva proposta. Gi a partire dai primi anni 80, infatti, in molte realt settentrionali si afferma con forza questo tema, agli inizi attraverso organizzazioni regionaliste e/o localiste, poi con un movimento sempre pi organizzato, facendo scoprire una pulsione latente nellopinione pubblica settentrionale lantimeridionalismo fino a quel momento tenuta a bada dai partiti tradizionali. Di qui unimprovvisa frattura tra

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La Lettura politica tradizionale e territorio. Il protagonista principale di questo processo, la Lega Nord, ha avuto la capacit di farsi interprete (e imprenditore politico) di istanze che fino ad allora nessuno aveva raccolto: al conflitto redistributivo di tipo verticale, a base sociale, la propaganda del partito guidato da Bossi ha avuto la capacit di dare voce ad un conflitto latente, redistributivo di tipo orizzontale, a base territoriale. Con in pi lastuzia di rivestire la polemica antimeridionale delle mille nobili sfumature dellideologia federalista. Il Carroccio in primis e, in alcune fasi, la stessa Forza Italia, hanno avuto la capacit di trasformare queste rivendicazioni in consenso elettorale e di porre questi temi al centro delle campagne elettorali e dellagenda di governo. I risultati delle recenti amministrative: il centro sinistra vince sulle ceneri del centro destra Sono passati solo 4 anni dallo straripante successo del ticket Bossi Berlusconi alle ultime elezioni politiche e ancor meno dalle regionali 2010 quando, fra gli altri, i successi di Zaia (in Veneto) e Cota (in Piemonte) hanno portato la Lega ai vertici di due importanti regioni e spostato almeno in maniera simbolica il baricentro del potere politico italiano al Nord e, in parte, sulla Lega. Dal marzo del 2010, invece di stabilizzarsi, il quadro politico mutato repentinamente, in particolare per le conseguenze della crisi economica e le difficolt derivanti dal debito pubblico nazionale. A pagarne lo scotto sono stati inevitabilmente i partiti di centro destra al governo, e una prima avvisaglia dei malumori dellelettorato moderato si era vista con la vittoria di Pisapia a Milano nel 2011. Il centro sinistra in quelloccasione aveva ottenuto un successo con una caratterizzazione territoriale molto evidente: il maggior numero di passaggi di amministrazioni da destra a sinistra si erano verificati in Piemonte, Lombardia e Veneto, vale a dire nelle regioni settentrionali che fino ad allora erano sempre state il serbatoio pi sicuro di voti per la coalizione di centro destra. A distanza di un anno i risultati delle recenti amministrative indicano una notevole accelerazione delle tendenze allora appena accennate, ma con alcune incognite nuove. Se facciamo il conto aritmetico delle amministrazioni conquistate, il centro sinistra registra nel 2012 un successo ben pi ampio di quello ottenuto un anno prima: a livello nazionale conquista 103 amministrazioni comunali su 168 (ne aveva 57), mentre il centro destra nel suo complesso ne
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La Lettura

Nelle regioni settentrionali stupisce per il risultato negativo dei due protagonisti della vita politica locale. Il Pdl con le proprie liste ufficiali ottiene circa il 13% dei voti, 15 punti in meno rispetto alle regionali del 2010

conquista 40 (2 monocolore leghista) a fronte dei 101 comuni amministrati in precedenza. Il successo stato molto forte nelle regioni settentrionali e soprattutto nel Nord Ovest (Piemonte e Lombardia in particolare), dove sindaci del centro sinistra sono stati eletti anche in alcune roccaforti storiche di Pdl e Lega. Alessandria, Asti, Como e Monza sono solo gli esempi pi eclatanti di una tendenza diffusa anche nei comuni pi piccoli e che porta il centro sinistra a triplicare il numero di sindaci. Se si ragiona in termini di amministrazioni conquistate linterpretazione quindi univoca: il centro sinistra vince e Pdl e Lega subiscono una pesante sconfitta; se invece si studiano i flussi di voti il discorso cambia e, almeno in parte, si fa pi complesso. Il peso dei partiti al Nord: la vittoria di Grillo con uneco leghista Pur coscienti delle difficolt che comporta cercare di calcolare il bacino di voti di ciascun partito alle elezioni comunali e cercare di metterlo in relazione con le elezioni pi recenti, possiamo per delineare alcune tendenze soprattutto per quanto concerne il Nord Italia. In queste regioni il primo dato evidente che i partiti del centro sinistra vincono le amministrative pur non guadagnando voti : in particolare Idv (3,7%) subisce un arretramento consistente (oltre la met dei voti) rispetto alle regionali con flussi in uscita verso il Movimento 5 Stelle; Sinistra e Libert aumenta il suo bacino complessivo recuperando al Nord (3,5%) ci che perde nel resto del Paese; il Partito Democratico si attesta al 20%, perdendo oltre 6 punti nel confronto con le recenti regionali. Il trend negativo solo in parte controbilanciato dai voti recuperati da liste civiche direttamente o indirettamente riconducibili al Pd. Nelle regioni settentrionali stupisce per il risultato negativo dei due protagonisti della vita politica locale. Il Pdl con le proprie liste ufficiali ottiene circa il 13% dei voti, 15 punti in meno rispetto alle regionali del 2010. Pur tenendo conto delle difficolt di valutazione complessiva del bacino del Pdl, simili a quelle del Pd, per la presenza di numerose liste civiche e di candidati di area che sottraggono voti alle liste ufficiali, non possiamo che registrare un calo senza precedenti. Discorso simile pu essere fatto per la Lega Nord presente, anche nei comuni pi piccoli, con il proprio simbolo: il partito di Bossi ottiene un risicato 10,9%

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La Lettura riportando perdite di oltre 11 punti. Dove vanno i voti in uscita dai principali partiti tradizionali? Non certamente verso il Terzo Polo e lUdc, che non riescono ad attirare i consensi degli elettori delusi (di centro destra in primis) e rimangono sostanzialmente sui livelli delle ultime consultazioni. Lunica formazione che sembra in grado di catalizzare i flussi in uscita dai competitor quella guidata da Beppe Grillo che oltre a conquistare Parma, Mira e Sarego, aumenta sensibilmente il proprio bacino elettorale. Nei 101 comuni italiani in cui si presentato, il Movimento 5 Stelle ha conquistato complessivamente l8,7%

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La Lettura con una forte caratterizzazione di tipo territoriale: all11,7% ottenuto nel Nord, corrisponde una performance altrettanto positiva nelle cosiddette regioni rosse e un risultato molto pi contenuto nel Sud. Lanalisi dei flussi elettorali, utilizzando il metodo di Goodman, rafforza lidea del Movimento 5 Stelle come lunico partito in grado di intercettare gli elettori del Nord (e delle regioni rosse), delusi dai partiti tradizionali. Una formazione in grado quindi di raccogliere da una parte il voto di protesta di centro sinistra che si riconosceva non solo nellIdv ma anche in un certo voto di appartenenza genericamente di sinistra (o Ulivista), dallaltra il consenso di ampie fette dellelettorato leghista deluso dai propri rappresentanti. La questione settentrionale: gli scenari e i possibili interpreti Nellinterpretare i risultati delle recenti elezioni, molti commentatori spesso hanno fatto ricorso alla categoria dellantipolitica, al distacco fra partiti e cittadini che ha favorito Grillo. Si tratta di una chiave di lettura condivisibile ma, a nostro avviso, parziale. I partiti politici infatti non godono di buona salute in nessun grande Paese europeo. La politica viene guardata con sospetto anche da gran parte degli elettori francesi, tedeschi, spagnoli e inglesi, con percentuali non dissimili da quelle italiane, come testimoniano le ultime ricerche Eurobarometro. Tuttavia, nelle grandi democrazie europee, la crisi delle forme tradizionali della politica, amplificata negli ultimi anni dallandamento negativo delleconomia, dallaumento della disoccupazione e dalla riduzione delle politiche redistributive, ha s provocato avvicendamenti alla guida dei governi, ma non ha comportato profonde ristrutturazioni nellofferta politica paragonabili a quelle avvenute in Italia dagli anni 90 in poi. Se la crisi dei partiti e la sfiducia nei politici sono un male comune, la provvisoriet delle sigle politiche e la debolezza del radicamento sociale e territoriale costituiscono unanomalia. E da questa diversa sorte dei partiti politici tradizionali dipende la fragilit tutta italiana dellofferta politica e la conseguente volubilit degli orientamenti elettorali. Specie in elezioni ritenute non decisive, come sono quelle locali, partiti come quello di Grillo possono trarre vantaggio dal cavalcare il malessere dellopinione pubblica.
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La Lettura Quali sono quindi gli scenari possibili? Come evolveranno le preferenze partitiche degli elettori settentrionali? Si potrebbe immaginare il ritorno in forza, per quanto improbabile, dei vecchi protagonisti. Sulla falsa riga di quanto avvenuto nel 2006, Lega Nord e Pdl potrebbero riuscire a riattivare il proprio elettorato e riportarsi su un livello di consensi simile a quello del passato pi recente. Come gi osservato, si tratta dello scenario meno realistico a causa, in particolare, della crisi economica che continua a mettere in discussione la capacit di governo della coalizione di centro destra. Si potrebbe immaginare la nascita di nuovi soggetti politici di centro destra capaci di riempire il vuoto lasciato da Pdl e Lega Nord: si tratta per di uno scenario che in questo momento sta affascinando troppi protagonisti, con un conseguente aumento dei rischi di insuccesso. Secondo molti sondaggi le prossime elezioni politiche dovrebbero incoronare il Movimento 5 Stelle, addirittura con percentuali sopra il 20%, come nuovo interprete della frattura centro-periferia. Si tratta di uno scenario possibile ma altamente improbabile, a causa della diversa decisivit del voto nazionale e delle conseguenti diverse logiche che motivano le scelte di voto degli elettori. Quanto pi la campagna elettorale si giocher in termini di drammatizzazione della congiuntura economica internazionale, tanto meno gli elettori saranno tentati dalla carta del voto di protesta. Lo stesso clima di drammatizzazione, come avvenuto nel 1948, 1976, 1994 e 2006, potrebbe avere conseguenze negative anche sulla performance del centro sinistra. Dopo le recenti amministrative, sono in molti a ipotizzare un rafforzamento della coalizione, in quanto capace di catalizzare il consenso di elettori delusi e di attrarre voti anche in regioni tradizionalmente avverse. A nostro avviso, si tratta di una convinzione, che per molti versi ricorda il clima di opinione che si respirava nellestate del 1993, a pochi mesi dallesito infausto della gioiosa macchina da guerra guidata da Occhetto. Per una forza politica nazionale, che non pu fare leva sulla frattura territoriale per conquistare gli elettori del Nord, la vera sfida sar quindi riuscire a formulare una proposta credibile per il Paese, offrendo garanzie sulla capacit di governo (anche alle aree pi sviluppate) e sulla tenuta della compagine stessa. Cosa fin qui non troppo ben riuscita al centro sinistra anche quando la congiuntura politica gli stata favorevole.
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La Lega oltre i clich


Gianluca Passarelli Dario Tuorto
ricercatore di ricerca presso la facolt di Scienze Politiche, Universit di Bologna ricercatore presso la facolt di Scienze della Formazione, Universit di Bologna

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a Lega Nord morta, que viva la Lega Nord! Nonostante la politica, e i partiti, come tutte le vicende sociali siano molto complesse, il partito di Bossi stato sovente osservato e analizzato attraverso un atteggiamento che definire schizofrenico appare eufemistico. Purtroppo gli abbagli, gli ammiccamenti e le censure sono state sovente impressionistiche, congiunturali e non ben meditate n approfondite. Le semplificazioni, le visioni olografiche e rassicuranti sono durate quasi quanto lesistenza del Carroccio e connesse, e si tratta di unaggravante, alla cattiva comprensione di cosa fosse la questione settentrionale che della Lega in qualche modo figlia. Le recenti vicende giudiziarie e politiche hanno potentemente enfatizzato gli aspetti contradditori, ma non hanno affatto scoraggiato affrettate analisi sulle sorti future del partito ex bossiano. Il de profundis del Carroccio stato immediatamente evocato, confondendo per la mesta, prevedibile e inevitabile, uscita di scena del Senatur con la disgregazione, per ora presunta e rinviata, del partito. La sovrapposizione concettuale ha raggiunto lacme nelle considerazioni di chi fa risalire la crisi del movimento con linizio della malattia di Bossi, cio al 2004 quando sarebbe terminata la spinta propulsiva leghista. In realt proprio dal 2005, e fino al 2011, il costante progresso elettorale stato celebrato ma a volte incompreso. Qual , dunque, alla luce degli eventi attuali, il futuro politico ed elettorale del partito nato ormai ventanni fa? Partiamo da un dato, o meglio da una considerazione, ossia la spesso evocata diversit leghista. Che cosa si intende con questo termine? Bisogna
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La Lettura distinguere vari aspetti: quello elettorale, ideologico, organizzativo, etico. La commistione tra le varie dimensioni analitiche ha generato sovente confusione, fino a creare dei veri e propri ossimori concettuali. Il rischio che il disordine si ripresenti, sotto le mentite spoglie della vicenda giudiziaria e umana della famiglia Bossi, e che sfugga perci il cuore dellanalisi. Del resto la distorsione ottica su cosa fosse la Lega si ebbe gi nel 2008, quando si teorizz che lexploit leghista alle elezioni politiche fosse dovuto al flusso di voti da sinistra solo perch qualche giornalista della porta accanto si affrett a sentenziare che siccome il calo della sinistra era percentualmente pari alla crescita delle camicie verdi, allora non poteva che esserci stato un travaso di voti. E via tutti a declamare le virt del leghismo di lotta che riesce a insediarsi nelle fabbriche mentre la sinistra sarebbe ormai solo presente nei salotti, il vetero padanismo alla conquista dei sindacati e della Cgil, degli operai orfani della rappresentanza storica dei movimenti progressisti. Quando si provava ad argomentare, magari con lausilio dei dati, che tale collasso di movimento da sinistra verso la Lega Nord in realt non cera stato o comunque non con dimensioni titaniche, anche i politici pi accorti ammettevano una maggiore complessit della questione rimanendo intimamente convinti del contrario perch come ammiccavano al collega politico seduto accanto dandogli di gomito conosco uno che iscritto alla Fiom e ha votato Ln . Fatica sprecata, il pregiudizio pi solido di un atomo, come direbbe Einstein. In realt, a volere essere spietati, la Lega Nord aveva conquistato il cuore e il consenso di molti operai gi prima del 2008, e poi non era pi scontato (se mai lo fosse stato) che la classe operaia per andare in paradiso preferisse il traghetto del centrosinistra. By the way difendere gli operai delle fabbriche minacciati (si pu scrivere?) dalla protervia patronale di Marchionne, che incidentalmente viola lart. 3 della Costituzione escludendo lavoratori iscritti a un certo sindacato, NON implica condividere le posizioni della FIOM, ma avrebbe consentito di ri-avvicinare, almeno idealmente, la politica riformista alla societ italiana.
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La Lettura La miopia sulla Lega cela in realt un tab ben pi saldo e un velo di ipocrisia che avvolge da anni il Carroccio e che difficile da squarciare. Solo alcuni autorevoli commentatori e qualche politico, ma senza continuit, hanno segnalato quanto per non mai (ancora) diventato pensiero diffuso: la Lega Nord un partito di estrema destra, xenofobo e razzista. Da qui la domanda che, forse, il Paese non vorrebbe porsi perch non pronto alla risposta sottesa: Come stato possibile che la Lega Nord abbia governato lItalia per quasi dieci anni negli ultimi diciotto? Il razzismo rubricato a boutade, la trasversale ammirazione per la franca (e sgrammaticata) vis verbale finanche a trattiinvidiata. Il biasimo per i modi grevi e le provocazioni salutate come folclore, mentre in molti casi si trattava di (incitazione alla) violenza, e in Francia o Germania molti esponenti leghisti sarebbero stati gi condannati e/o arrestati proprio per le loro dichiarazioni en plein air. La Lega stata al governo grazie a Berlusconi certo (e viceversa!), ma non solo. Oltre a una pudica paura di confessare che questo stato, e al martellante refrain dei media allineati, la favola della Lega quale movimento solo sopra le righe stata reiterata e sbandierata in ragione della malcelata condiscendenza di parte dellopposizione, della strumentale alleanza del centrodestra e della debolezza del ceto intellettuale e della borghesia. Nonch alimentata da una subdola e forse inconscia ammirazione per alcuni suoi tratti peculiari. Non ultimo lassioma, e come tale mai dimostrato, che la Lega Nord altro non fosse che una costola della sinistra: una provocazione mai confermata, quasi una profezia e uno sconcio pio desiderio. Detto altrimenti, stato sacrificato sullaltare della ragion di Stato di partiti, coalizioni e carriere personali, il livello di decenza che in altri contesti (vedi Chirac vs Le Pen) non mai stato in pericolo, mentre anche le forze progressiste e riformiste in Italia hanno manifestato debolezza culturale e politica, altro che egemonia! Sul versante delle politiche linnovazione apportata dalla Lega e da Bossi stata certamente efficace. Praticamente tutti i partiti ripetono oggi come un mantra la necessit di riforme federaliste, salutate da strali e
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La favola della Lega quale movimento solo sopra le righe stata reiterata e sbandierata in ragione della malcelata condiscendenza di parte dellopposizione

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La Lettura accuse quando a teorizzarle era Gianfranco Miglio. La Lega riuscita a mettere in agenda la questione settentrionale superando e sparigliando anni di politiche basate su un concetto accompagnato da riflessioni opposte: la questione meridionale. Alla scontata uscita di scena del partito diversi commentatori hanno pertanto accompagnato unaltrettanto ineludibile rappresentanza Nord orfana del suo primo imprenditore politico. Addirittura Luca Ricolfi ha ipotizzato un legame tra la fine della Lega Nord e labbandono delle posizioni oltranziste sul tema del federalismo, anche se cos non si spiega la sopravvivenza di Forza Italia alle mancate liberalizzazioni o del Pci allabbandono della via verso il sol dellavvenire. In ogni caso essere riuscita a inserire un tema, il federalismo, nellagenda delle riforme, un merito da ascrivere principalmente al lavoro della classe dirigente leghista. Anche la questione settentrionale stata unoccasione persa, per la politica italiana e anche per il PD, si parva licet. La politica riformista si attestata su posizioni difensive, conformiste e timide. Viceversa sarebbe stato opportuno e meritevole rilanciare la questione nazionale, avendo in mente il Paese come complesso sociale da sanare e salvare. Purtroppo antiche e mai sopite antipatie per il concetto di nazione e il timore di essere non la page con lo spirito del tempo, hanno reso marginale e residuale lattenzione per la vera tematica nazionale, la questione meridionale. Se lazione fosse stata costante ed empatica lanniversario del 150 dellUnit dItalia sarebbe stata loccasione per proporre il PD come vero e unico partito nazionale (alle politiche del 2008 il PD risultato primo partito in molti centri medio-grandi del Nord-Est e finanche nel Veneto era dietro al Pdl di soli 25.000 voti, ma oggi del partito sul territorio si ha poca o punto traccia e si intravede un difficile dialogo non solo con i ceti produttivi ma addirittura con i pendolari dei treni...), mentre le celebrazioni ipso facto hanno lasciato in bocca un sapore da naftalina risorgimentale senza condivisione popolare, ma anzi acuito tanti localismi a nord e a sud. Rimanendo sul versante leghista, emerge
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La Lettura chiaramente quanto sia utile tenere distinti i vari aspetti della vita del partito. Solo cos possibile provare a (intra) vedere meglio quali siano le plausibili prospettive del partito fondato da Umberto Bossi. Ideologia, politiche, organizzazione e raccolta del consenso possono, come accennato, far riferimento a schemi e codici diversificati e persino contradditori senza che questo per rappresenti per forza un ibrido. A volte lo solo nel pre-concetto di chi analizza. Un partito di estrema destra, pu avere unorganizzazione solida, diffusa, personale spesso competente e militanti attivi e legati allorganizzazione da vincoli volontaristici e incentivi collettivi. I due aspetti non sono mutuamente esclusivi anche se la predilezione per le dicotomie, a volte truci, e lostilit per gli approfondimenti un segno dei tempi. Grami. La giusta attenzione alle squallide vicende di uso del denaro pubblico a fini personali da parte di alcuni esponenti leghisti rischia di oscurare le potenzialit del partito. Che serba molte risorse. Non solo per la persistente questione settentrionale o meglio per la sperequazione tra Nord e Sud , che si ri-candida a rappresentare, ma anche per le caratteristiche politiche e organizzative. Iscritti altamente fidelizzati, organizzazione efficiente e rilancio di tematiche quanto mai attuali: immigrazione, sicurezza e soprattutto lavoro. A una prima lettura, il terremoto che ha investito la cerchia di Bossi e lo stesso capo non sembra derivare direttamente da un indebolimento della presenza leghista sul territorio, da un appannamento delle ragioni che ne hanno promosso la ripresa durante gli ultimi anni. Per quanto dirompente, lo scandalo interno al partito si pone su un piano squisitamente politico, destinato sicuramente a scompaginare la configurazione del suo apparato e a provocare pi di un mal di pancia a iscritti e fedelissimi, turbati nel ritrovarsi a combattere contro la casta di casa loro. Non sintravedono invece, con la stessa nettezza, ragioni oggettive tali da mettere in discussione la funzione sociale sin qui esercitata dalla Lega, riflesso o conseguenza di questa crisi politica. Si potrebbe osservare come lo spostamento
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La Lettura allopposizione seguito allinsediamento del governo Monti abbia consentito al partito di riposizionarsi come attore politico in grado di interpretare in modo radicalmente altro le istanze dei ceti sociali investiti dalla crisi. Lontano dai banchi del governo non stato difficile per la Lega ritrovare il monopolio (certo politico, non sociale) della contestazione alle riforme economiche. Fuori dalle secche del governo Berlusconi e contro la soluzione dallalto prospettata dal governo dei tecnici. Neolaburismo e preferenza per i lavoratori nazionali, difesa dei diritti acquisiti e lotta contro le nuove tasse, contro un riformismo iniquo. Questo repertorio, vecchio ma efficace, non viene scalfito dalla crisi interna alla classe dirigente leghista. E non da escludere che la stessa dissonanza cognitiva, potenzialmente lacerante per i militanti divisi tra una rappresentazione gloriosa e una assai meno nobile del loro partito, venga sorprendentemente digerita. I militanti, la cerchia pi solida e originale del partito. Pi che manifestare spinte centrifughe, nei primi giorni successivi allo scandalo si sono mossi come un corpo unico, compattamente fedele, pronti a sostenere il partito, innanzitutto e nonostante tutto. Scossi dallappannamento del loro leader, ma anche determinati nel chiedere pulizia e rinnovamento. Daltro canto, il disvelamento del mito del capo non pi un tab anche per la Lega. Basti ricordare che, solo qualche mese fa, la retromarcia clamorosa sul caso Maroni aveva gi fatto intravedere elementi di laicismo, corredo indispensabile per la sopravvivenza nellera del dopo Bossi. Lo stesso banco di prova delle elezioni amministrative ha riservato in questo senso alcune sorprese. Il risultato negativo stato certamente il cuore della prestazione leghista. Ma la vicenda di Verona, con labile azione di Tosi, e lanalisi del voto a livello territoriale forniscono informazioni interessanti. A fronte di una perdita di circa 2/3 del proprio elettorato (in valore assoluto!) degli anni 2007, 2008, 2009 e 2010, la Lega perde solo il 25% nei centri con meno di 15.000 abitanti. Questa fase potrebbe cio rappresentare un momento di arroccamento per ripartire proprio dai luoghi di storico insediamento. Nonch lorgoglio dellaltra Lega che si autorappresenta diversa dal suo apparato centrale. Una
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La Lettura prova di autonomia e protagonismo degli amministratori locali che rispondono con la politica dei fatti alla crisi morale della loro classe dirigente. Il PD pu insinuarsi in questa frattura, una vera e propria faglia tellurica, ma necessaria unazione al tempo stesso rapida, per rispondere a eventi congiunturali, ma anche di lungo periodo per recuperare credibilit. Anzich ritrarsi e aspettare unalleanza centrista elettoralmente incompresa. Il Nord oggi una prateria elettorale, con il PdL in rotta, la Lega in fase di ri-organizzazione e la montante protesta. O meglio richiesta di nuova politica. Il PD pu ripartire da Milano, Genova, Bologna, ma deve fronteggiare anche le sacrosante richieste provenienti dai cittadini impegnati in politica, come nel caso del Movimento 5 stelle. Troppo frettolosamente derubricato ad antipolitica demagogica, come avvenne nel caso del Carroccio nel 1992. Meditiamo. Intanto il futuro della Lega Nord appare dunque lapalissianamente connesso alla sua natura che ne influenza vizi e virt, potenzialit e limiti. Evitare le dicotomie, gli assiomi, non mitizzare il partito sul territorio, vicino ai cittadini e il giorno dopo denigrarlo, saltando a pi pari lesperienza di governo. Si tratta di un partito carismatico (non anche patrimoniale o personale come Forza Italia) ed era difficile che una forza politica tale riuscisse a istituzionalizzarsi, a succedere cio al proprio fondatore/padre nobile/capo. In realt nella Lega Nord il processo di transizione della classe dirigente era iniziato da tempo. Laffaire Belsito lo ha fatto esplodere. La presenza di fratture, fazioni e correnti ci ricorda che la politica non un beauty contest. crudele. Uno scontro di persone che lottano per il potere. Forse non stato sottolineato abbastanza quanto rilevante sia quello che accaduto nella LN in quanto organizzazione: il partito, di natura carismatica, come Forza Italia-PDL, ma senza aggravante padronale, si istituzionalizzato. E i casi del genere sono al mondo poche unit. stato cio in grado, grazie allabilit di Maroni (e alla debolezza fisica e politica di Bossi), a condurre in porto una transizione democratica, a sostituire la leadership, a rinnovare i quadri dirigenti e, per ora il messaggio. Ma anche a condizionare, come con la Bicamerale DAlema il dibattito sulle riforme
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Forse non stato sottolineato abbastanza quanto rilevante sia quello che accaduto nella LN in quanto organizzazione: il partito, di natura carismatica, come Forza Italia-PDL, ma senza aggravante padronale, si istituzionalizzato

istituzionali. La Lega sta cambiando pelle, ma la sua azione nel sistema politico potrebbe ancora essere rilevante se il nuovo imprenditore politico, Maroni, ne raccogliesse e rilanciasse in tempi brevi le molte potenzialit. Del resto lo spazio per una Lega Nord stile neo-DC del Nord che ne rappresenti le istanze ancora disponibile, anche se permangono rischi di divisioni, di fratture promosse da gruppi ortodossi e oltranzisti. Vedremo.

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Travaglio e prospettive della Lega


Marco Alfieri
giornalista della Stampa

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un futuro per la Lega Nord? Dopo Umberto Bossi ci pu essere una seconda stagione padana? Con tutto limpegno che ci mette lex delfino Roberto Maroni ci sono almeno due fattori che remano contro: uno di sistema e investe il nord Italia; laltro interno a quel che resta del Carroccio. In termini macro siamo al capolinea di un lungo ciclo politico: quello del forzaleghismo. Bossi pi Berlusconi e legemonia del nord. Una stagione politica che ha monopolizzato la parola territorio, calamitando a destra imprenditori e lavoratori insieme. E poi agricoltori, artigiani, operai, pensionati. Un movimento interclassista che per anni ha maneggiato senza rivali le parole della politica: sicurezza, impresa, infrastrutture, immigrazione, crisi, tasse, federalismo. Dopo il biennio tragico di Mani Pulite lo sviluppo locale stata la via italiana alla modernizzazione del Paese. Anche se il mitico territorio, dopo ventanni di boom mediatico, deve fare i conti con un bilancio piuttosto scarno. Il piatto piange. A pagare il conto sono anzitutto gli attori politici che ne hanno fatto una bandiera: in primis la Lega che
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La Lettura nel 1992 aveva certificato la morte della Prima Repubblica. Spostando il baricentro del Paese dal centro alla periferia. Per capire la zeppa che ha davanti Maroni occorre fare un passo indietro. In principio fu il triangolo industriale Milano-Torino-Genova. Per quasi trentanni teatro del miracolo economico italiano. Vi emigrava chi voleva lavorare in fabbrica, alla catena di montaggio Fiat e Pirelli ma anche negli uffici della Olivetti. Nord Ovest e grande impresa manifatturiera, sindacati e partiti di massa, paesaggio urbano fordista e le grandi famiglie del capitalismo raccolte nel salotto della Mediobanca di Enrico Cuccia. Con la fine degli anni Settanta e la crisi/ristrutturazione delle grandi imprese private e pubbliche il paese scopre la Terza Italia dellimpresa diffusa lungo la dorsale nordestinaemiliana-adriatica. Inizia il ciclo dei distretti industriali a cui si deve la gran parte della presenza italiana sui mercati internazionali. Poi, dopo Tangentopoli, i sistemi di sviluppo locale si riattiveranno in chiave localista accompagnando lesplosione elettorale della Lega di Bossi. Nasce mediaticamente la Padania a trazione lombardoveneta. Passa ancora qualche anno e il forzaleghismo diventa talmente egemone da esondare dalla Pedemontana al Piemonte e alla bassa Lombarda, veicolando la lettura di un unico grande Nord integrato politicamente a destra e, sul terreno economico, egemonizzato dal modello della piccola media impresa, dal protagonismo delle fondazioni di territorio e dalla rete delle Camere di commercio. Dopo il 2007 il vento del Nord scende addirittura sulla via Emilia, fino ad allora espulsa dal perimetro padano. Gli analisti parleranno di leghizzazione del centro Italia. Sembra labbrivio di una egemonia destinata a pesare sugli assetti di potere della galassia del Nord. Penetrando dietro le baionette leghiste i consigli di amministrazione di banche e fondazioni, fiere, aeroporti e assicurazioni che contano con una nuova classe dirigente diffusa, pescata dal territorio e decisa a prendersi il suo spazio. Bene, con la crisi mondiale tutto cambia alla radice con una velocit mai vista prima. Il paradigma del Piccolo e bello mostra la corda nella nuova economia globale. Al nord prima ancora che al sud. Al pari di una stagione forzaleghista che per anni parsa essere la casa politica e il modello di un intero territorio che andava a letto la sera
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La Lettura sognando il federalismo. Insieme alla risacca arrivano i nodi al pettine: bassa crescita e non riforme che oggi ci espongono alla speculazione sono infatti il riflesso del fallimento della Seconda Repubblica, morta delle troppe promesse mancate di chi ha preso in mano un paese uscito dallabisso del 9293, doveva riformarlo per tenerlo al passo della globalizzazione, invece lo ha ricacciato nel baratro, costringendo i tecnici a tornare in campo. Unaltra volta. Lo dicono i numeri. Se compariamo 20 anni dopo i principali indicatori del sistema paese (debito, spesa pubblica, Pil, redditi, evasione, pressione fiscale, produttivit, Borsa, dualismo nord-sud e commercio mondiale) scopriamo che lItalia del 2011 ereditata dal governo Monti messa uguale, se non peggio, al terribile 1993, quando nasce in emergenza la Seconda Repubblica e, da Maastricht, comincia il lungo viaggio verso la moneta unica. di questo che morto il forzaleghismo: delle troppe promesse mancate. Gli scandali del premier, il Rubygate, la malattia di Bossi, il familismo di Gemonio e gli intrallazzi di Belsito sono solo il degno corollario. I primi a saperlo sono gli elettori del nord. La mitica base dei produttori non la beve pi. Quando si governano due grandi regioni come la Lega, quasi 400 comuni e una dozzina di province, sbraitare contro Monti pu servire a rifarsi una verginit ma non risolve la vera urgenza: traghettare il sistema produttivo, il cuore dellelettorato padano, fuori della crisi. La gente vuole risposte concrete sui ritardi di pagamento, le banche che non danno fidi, la disoccupazione, le crisi industriali, i tagli ai comuni. E che fa il Carroccio? Organizza manifestazioni No Imu ma il giorno dopo, archiviata la propaganda, i suoi sindaci alzano come tutti le addizionali. Il focus leconomia, non la demagogia. Vale lo stesso per il federalismo, la specialit della casa: oggi si assiste ad una potente ri-centralizzazione delle scelte. Purtroppo lautonomia e il decentramento non sembrano in cima alle priorit dei tecnici alle prese con lo spread. Ma le colpe non nascono con Monti. Ad una discreta legge delega sul federalismo varata dal governo Berlusconi nel 2009 ha fatto seguito una serie di misure di attuazione pilotate dal tandem Tremonti-Calderoli francamente deludenti. Il senso del federalismo fiscale consiste nella

Insieme alla risacca arrivano i nodi al pettine: bassa crescita e non riforme che oggi ci espongono alla speculazione sono infatti il riflesso del fallimento della Seconda Repubblica

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La Lettura trasformazione delle risorse trasferite agli enti locali in una compartecipazione ai tributi e in autonomia impositiva. Peccato che i tagli delle ultime due finanziarie del centrodestra a valere sul 2011-2014, pari al 40% delle risorse 2010, abbiano prosciugato il tesoretto dei trasferimenti fiscalizzabili. Peggio. Secondo i calcoli dellAnci, dal 2001 al 2011 la spesa dello Stato addirittura aumentata di 300 miliardi mentre se ne sono spostati 100 dai territori verso Roma. Dovera in quei mesi la Lega, al netto di un federalismo a parole? La caduta del consenso, ma soprattutto lipoteca su un possibile rilancio futuro, si spiega anche cos. Qualcuno in questi mesi gi lo chiama grilleghismo: il travaso dallex partito sindacato di territorio, infarinatosi al mulino romano, al M5S. A fidarsi del movimento di Grillo, secondo i sondaggi, sarebbero soprattutto uomini di et 25-44 anni, di professione impiegati, imprenditori, liberi professionisti e disoccupati, insomma tipico ceto medio leghista. Quanto ai temi, sarebbe proprio la protesta anti casta e anti partiti il segreto del successo a 5 Stelle. Parole dordine simili a quando il Carroccio nacque 25 anni fa. Solo che nel mazzo da scartare questa volta finita anche la Lega in discredito. Il mutato contesto di sistema al nord sotto la sferza della crisi, ossia il primo ostacolo che gioca contro al rilancio maroniano, si abbina poi ad un secondo nodo, quello interno al partito. Riassumibile in una domanda: ci pu essere un leader unitario dopo Bossi, dentro un movimento nato come formazione tribale, con uno sciamano alla guida, protagonista di unascesa formidabile grazie a questo tratto? In realt, dopo la malattia del Senatr, sembrava che il Carroccio stesse evolvendo in qualcosa di pi tradizionale. Si pensava avesse raggiunto una sua governance corale, un consiglio di trib capace di affiancarsi allo sciamano malato. Con un primus inter pares, Maroni, a cui spettava naturalmente il passaggio del testimone. Era il profilo adatto: neutrale, leghista dialogante, buon amministratore. Maroni incarna la continuit dei valori leghisti da istituzionalizzare in partito, grazie al passaggio di consegne con il capo trib. Questo schema si per complicato con gli scandali, che hanno lesionato fortemente lidentit e il marchio del Carroccio: fine della diversit antropologica del partito dalle mani pulite. Il cuore coraggioso, mitologico, del leghismo, si
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La Lettura smarrito definitivamente, bruciando la naturale staffetta Bossi-Maroni. A questo punto il neo segretario potr davvero diventare il leader autentico della Lega solo cambiando schema di gioco, differenziandosi fortemente dal presepe esistente. Non potr pi tenere unita la Lega nella continuit con Bossi, dovr entrarci in collisione. Meno democristiano e pi rivoluzionario, per rigenerare il partito e dargli una seconda identit, tanto pi quanto il Senatr gli far la fronda. Ne avr il coraggio? Difficile. Lalternativa, nel medio termine, di ereditare solo un feudo post leghista, con il partito che si frammenta in lighe, leghe, ex bossiani dissidenti e territori in conflitto. In molti gioiscono della rotta leghista. Ma il problema vero che il declino del territorio come base del governo, della rappresentanza e dellidentit politica, si sta consumando senza che emergano altre soluzioni. Altri riferimenti. Senza che lo Stato e la politica nazionale abbiano assunto maggiore autorevolezza, al di l della tecnocrazia indispensabile ma emergenziale incarnata da Mario Monti. Di pi. Senza che lopacit del progetto federalista sia compensata da un progetto abbozzato, se non definito, di riforma dello Stato e del governo. Il risultato che unintera agenda resta inevasa, ventanni dopo. Per dire: lo spaesamento dei piccoli della vallate pedemontane che la Lega degli inizi quot al mercato della politica, riecheggiano nella crisi dei piccoli comuni di oggi; gli orfani del fordismo di allora, artigiani e Pmi vessati da fisco e burocrazia, in questi mesi si sono trasformati nei drammatici suicidi di imprenditori e nella crisi del capitalismo molecolare. E ancora. Il debito pubblico abnorme causato nella vulgata leghista da Roma ladrona, richiama da vicino il quasi default di oggi, senza che il federalismo sia arrivato a bersaglio. In una parola: la questione settentrionale monopolizzata dal leghismo, certo mutata di segno (dalle originarie pulsioni anti stataliste dei ceti del nord fino al pi recente spaesamento per la modernizzazione incompiuta, la paura dellinvasione cinese e la protezione della roba), resta sul tavolo. Anzi con la crisi riemergono profili e interessi diversi. Il debito pubblico, la globalizzazione, la trasformazione dei distretti produttivi, per anni sigillati sotto il manto Lega-Pdl,

Il debito pubblico abnorme causato nella vulgata leghista da Roma ladrona, richiama da vicino il quasi default di oggi

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La Lettura stanno stressando i territori. Anche il dualismo nord-sud rischia di esplodere. Paradossalmente Bossi e Berlusconi, certo in un mix simbolico di populismo e liberismo, hanno tenuto insieme il quadro. Per anni hanno ottenuto consensi oceanici sopra il Po, e quando i rapporti di forza si spostavano, avveniva solo dentro al centrodestra. Ora quello schema finito. Sia che Maroni corra da solo con la sua Lega sia che nel 2013 torni allovile del centrodestra, la stagione doro non torner. Domanda fatidica: chi sar in grado di sostituirsi e di dare rappresentanza al nord?

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La Lettura

L'Italia in s e per s
passa per Milano e Roma
Walter Tocci
deputato del Pd

sempre utile tornare a riflettere sulla relazione tra Roma e Milano per comprendere presente e futuro del nostro paese. La globalizzazione non solo non archivia il vecchio dualismo nazionale, ma per certi versi ne illumina aspetti prima nascosti. Le due citt, diceva Prezzolini, sono come due annotazioni sul passaporto spirituale degli italiani, due caratteri irriducibili e non di meno entrambi indispensabili per definire la fisionomia italiana. Tutto ci la conseguenza dell'eccentricit o meglio della mancata centralit di Roma, una capitale anomala che non mai riuscita a rappresentare da sola l'intero carattere nazionale, come invece hanno saputo fare, ad esempio, Londra o Parigi. Dopo aver accolto gli immigrati meridionali per oltre un secolo riuscita almeno a rappresentare l'Italia del centro-sud, senza mai introiettare per la mentalit lombarda. Questa, d'altro canto, si fatta rappresentare per l'intera Seconda Repubblica dall'unilateralit leghista, rinunciando all'ambizione del primato morale sulla sensibilit nazionale, come invece ha avuto dalla fine dell'Ottocento, quando, in seguito alle delusioni del mito risorgimentale per la Terza Roma e alla rivoluzione industriale settentrionale, comincia il dualismo spirituale tra le due citt. Questa abdicazione milanese nel passaggio di secolo ha lasciato a Roma per la prima volta la possibilit di rappresentare lo spirito di coesione nazionale. Le amministrazioni capitoline di centro-sinistra riuscirono a cogliere l'occasione dando l'impressione che davvero potesse diventare la vera capitale per i meriti contemporanei e non solo in virt delle glorie antiche. Il successo del Grande Giubileo costru un'immagine
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La Lettura inedita, riconquist la fiducia degli italiani e il prestigio internazionale. La grande narrazione veltroniana propose al Paese un Modello Roma di governo mite e solidale che sembr un buon ritiro di serenit rispetto alle spacconate leghiste e forzaitaliote. Poi la sconfitta del 2008 rivel la fragilit dell'illusione e improvvisamente emersero gli istinti del vecchio plebeismo romano che trovarono immediata rappresentazione nella destra postfascista. L'inadeguatezza del sindaco Alemanno ha riportato indietro le lancette verso la citt burocratica e clientelare. Oltre tutto per pagare i debiti delle sue follie, come un questuante ha ottenuto da Tremonti finanziamenti speciali alle spalle degli altri comuni, riaprendo cos un conflitto tra gli interessi romani e quelli del paese. Il centro-sinistra che vincer le prossime elezioni avr non solo da risanare l'amministrazione cittadina ma dovr ricostituire una credibilit nazionale della capitale. Con la fine del leghismo possibile aprire un discorso nuovo tra il settentrione e il paese. Le parole lombardo e ambrosiano perdono il significato aggressivo di questi anni per tornare ad indicare risorse preziose dell'italianit. Di colpo cambiato anche lo stile dei politici lombardi: da Bossi e Berlusconi a Pisapia e Monti la sobriet e la responsabilit sono tornate come virt che parlano al Paese. possibile che Roma e Milano convergano nell'interesse nazionale. I loro caratteri irriducibili potranno ancora distinguere il passaporto italiano se non saranno rivolti al passato e, anzi, se verranno rielaborati nel nuovo mondo. Da sempre essi sono rappresentati da paradigmi opposti, uno orizzontale e l'altro verticale. Mediolanum la citt di mezzo, anche etimologicamente, che mette in relazione i territori, le culture e le economie. Non ha mai comandato sul contado, ma ha saputo alimentarsi della sua linfa restituendo i frutti della civilt urbana. Non mai rimasta chiusa nei confini nazionali, ma ha sempre cercato le strade del mondo. Al contrario, la Citt Eterna ha rappresentato sempre il potere che agisce dall'alto e in virt di questa memoria storica ha realizzato la centralizzazione statale, lasciando ai suoi codici simbolici di mantenere i rapporti col mondo. Intorno a s ha creato il vuoto, prima con l'inerzia dello Stato pontificio e poi con lo sprawl immobiliare. Si confrontano due modelli: la relazione regione-mondo e il

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La Lettura potere citt-Stato. La rete e l'obelisco ne costituiscono i simboli e lasciano tracce peculiari nelle rispettive immagini urbane. Non a caso il monumento di Milano la fabbrica del Duomo come frutto di una comunit operosa. Mentre Roma, solo nell'unica riforma urbanistica della sua storia stata pensata come una rete, ma delimitando i grandi assi sistini con l'obelisco per indicare ai pellegrini la direzione del cammino e l'innalzamento del potere. Tutto ci appartiene ai geni delle due citt, ma in futuro dovranno imparare qualcosa l'una dall'altra. Milano deve diventare un po' obelisco per aiutare l'economia dei distretti a percorrere le vie del mondo, perch essi non ce la fanno pi solo con le proprie gambe e hanno bisogno di una leadership che li sostenga con i servizi del terziario avanzato e con i saperi contemporanei. E poi anche nel suo interesse porsi di nuovo il problema dell'unit nazionale, in modo diverso dal passato, collocando la questione meridionale all'interno della politica euromediterranea. Molto pu fare il rigore ambrosiano per convincere i tedeschi che al sud non ci sono solo dei perdigiorno, ma esistono le potenzialit per una nuova fase di crescita civile ed economica, come ha gi capito la Camera di Commercio. Se la politica europea sar generosa con le nuove democrazie nordafricane, pi di quanto sia stata con i tiranni, raccoglier molti frutti della cooperazione mediterranea. Se l'Expo risolvesse i problemi gestionali e si dedicasse davvero al tema del Nutrire il pianeta sarebbe la grande occasione di Milano per affermarsi come capitale della cooperazione internazionale, proprio come riusc con le grandi Esposizioni di fine Ottocento a creare il mito della capitale morale. La vera discontinuit da individuare nella politica territoriale. Non pi solo una citt, ma una vera macroregione che distende le sue funzioni in un territorio amorfo, diradato e non strutturato. La citt infinita, come stata chiamata dai suoi apologeti, una galassia di villette, capannoni e svincoli stradali che costituisce oggi uno dei pi preoccupanti casi di sprawl in Europa. Le classi dirigenti si sono consolate descrivendo come sindrome di Nimby gli ostacoli insormontabili che si pongono alla realizzazione di qualsiasi nuova opera, ma la causa invece nella sciagurata saturazione a bassa densit che ha compromesso troppo territorio rispetto a quanto sarebbe stato
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L'aeroporto di Malpensa non degno di una grande capitale europea; l'alta velocit ha rincorso i deboli flussi del corridoio Lisbona-Kiev, trascurando le strategiche connessioni della logistica nella direzione del Sempione e del Gottardo

necessario per le funzioni insediate. Si sarebbe dovuto condensare e strutturare questa conurbazione e invece l'establishment ambrosiano ha mancato le occasioni pi importanti degli ultimi trenta anni. L'aeroporto di Malpensa non degno di una grande capitale europea; l'alta velocit ha rincorso i deboli flussi del corridoio Lisbona-Kiev, trascurando le strategiche connessioni della logistica nella direzione del Sempione e del Gottardo verso l'area tedesca e l'asse verticale europeo molto pi utile per l'Italia, come risulta anche da uno sguardo superficiale alla carta geografica; la nuova Fiera un'astronave chiusa, mentre doveva essere un nodo strutturante del territorio e un vero gate-way dell'economia dei distretti. Nel cattivo rapporto con lo spazio si consumata la pi grave perdita dell'antropologia ambrosiana. La comunit operosa conosceva il lavoro che riverbera il bello, la produzione che migliora l'habitat, l'attivit che prepara il benessere sociale. Di queste antiche virt Milano avrebbe ancora pi bisogno di ieri per competere nell'economia immateriale. Dovrebbe riconciliare innanzitutto la funzione con il senso, senza che la forza della prima finisca per oscurare il secondo. La capitale morale oggi in s, ma non per s. Alla sua potenza di trasformazione non corrisponde un potere capace di regolare gli esiti del cambiamento. Se ne hanno tante conferme: con la privatizzazione gli istituti di credito hanno raccolto la sfida del modello anglosassone, smarrendo per la specializzazione e il radicamento territoriale che oggi sarebbero utili per uscire dalla crisi; il sistema universitario costituisce ormai un pivot delle reti lunghe della conoscenza, ma molto difficile trasferire i suoi risultati di ricerca alle piccole imprese; la trasformazione dall'industria al terziario avanzato ormai compiuta, ma diventata la citt pi diseguale nella distribuzione della ricchezza, perdendo la capacit di ibridazione sociale che ha saputo esprimere per secoli e da ultimo mirabilmente col miracolo economico. Nella vittoria di Pisapia un anno fa, oltre alle contingenze politiche, si era forse fatta sentire per la prima volta questa volont di tornare a curare il per s della citt, dopo il lungo soliloquio dell'in s. Il problema di Roma opposto. Il suo per s fin troppo sviluppato e in alcuni momenti della storia oltre tutto degenerato nelle difese corporative, nella dissipazione di risorse e nel centralismo burocratico. Manca invece l'in s come capacit del contemporaneo di produrre un senso all'altezza del

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La Lettura patrimonio ricevuto in eredit e anzi, in senso davvero latino, di accrescerlo per i posteri. A tale scopo, il percorso che deve compiere la capitale va proprio nella direzione contraria di quello indicato sopra per Milano. Deve cio allontanarsi sempre pi dall'obelisco per dirigersi verso le reti locali e globali, deve pensarsi sempre meno nell'angusto binomio citt-Stato e aprirsi alla relazione regione-mondo. Anche il buongoverno del centro-sinistra ha avuto l'illusione di governare la citt entro il raccordo anulare, senza porsi il problema di rafforzare e qualificare l'area regionale e di allargare le reti funzionali all'intera Italia centrale, come hanno saputo fare Monaco con la Baviera e Barcellona con la Catalogna. Nel contempo la relazione col mondo non pu pi essere affidata solo ai simboli della storia, ma deve trovare alimento nel moderno saper fare dei cittadini, delle imprese e delle istituzioni. Si tratta di di reincarnare i simboli nell'in s del contemporaneo. Se nel compiere questi due cammini opposti Roma e Milano si incontreranno in una terra di mezzo ne verr un grande beneficio all'intero paese. Dalla dialettica in s e per s, anche se la sintesi hegeliana non mai definitiva, pu almeno emergere un'Italia pi consapevole del proprio destino.

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Dove va il nord dopo la Lega


Giuseppe Galasso
professore emerito di Storia Medievale e Moderna allUniversit Federico II di Napoli

a domanda che subito, in maniera molto sintetica, ma anche sostanziale ed esauriente, pi o meno questa: la Lega Nord finita? cessata per essa la possibilit di avere nel gioco politico italiano la parte, cos rilevante che ha avuto negli ultimi venti o venticinque anni? quel che sembrano credere in molti. E lo pensano, naturalmente, nella scia degli scandali che hanno posto fina alla monarchia di Umberto Bossi sulla stessa Lega, e nella scia, altres, dei risultati delle ultime elezioni amministrative, che ne hanno visto talora pi che dimezzarsi le percentuali che la Lega costantemente confermava, frazioni in pi, frazioni in meno, a ogni turno elettorale. Se cos, bisognerebbe ampiamente tornare e ritornare su questo giudizio negativo. Un tale giudizio comporta, infatti, a nostro avviso, una frettolosa sottovalutazione sia del radicamento territoriale della Lega, sia delle ragioni di fondo che nel corso degli anni ne hanno determinato o favorito il successo, sia, infine, della reale condizione morale e materiale del Nord. Un triplice errore, dunque, di cui il terzo appare a noi ancora pi grave dei primi due. Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, la Lega conserva integro tutto il suo apparato territoriale di organizzazione politica: associazioni, sezioni, federazioni, direzioni, segreterie e quantaltro. Conserva tutte le organizzazioni e presenze collaterali di cui nel corso degli anni si dotata, anche finanziariamente non deve essere affatto in difficolt o in affanno, visto e considerato che si proclamata pronta offrire un milione di euro per le popolazioni emiliane colpite dal recente sisma. Non ha intorno a s vero, ed evidente un alone o una

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La Lettura corona di presenze e proiezioni culturali di qualche rilievo, e ci induce legittimamente a ritenere che quando i capi leghisti parlano di progetti politici, istituzionali, economici, sociali, lo facciano, come accadeva con Bossi, soprattutto sulla base delle loro intuizioni, visioni e finalit politiche. Un limite, certamente, ma gi per la Lega stato sempre cos, e, poi, questo non ha mai impedito a nessuno di organizzare e realizzare azioni politiche anche di forte rilievo, e specialmente quando lo si fatto sulla base di intuizioni politiche particolarmente fondate, quali sono state quelle di Bossi allinizio della sua attivit. In secondo luogo, sempre a provare di guardare un po pi a fondo delle impressioni e delle emozioni del giorno, nulla ci autorizza a credere che mentalit, interessi, pregiudizi, esigenze, orientamenti morali e basi mater ali dellelettorato che finora ha dato il suo sostegno alla Lega siano spenti radicalmente mutati. Certo, la sorpresa per gli scandali intorno a Bossi e per altri vistosi fenomeni analoghi a varii livelli del mondo leghista, ivi compreso il vertice delle istituzioni lombarde, c stata, ed stata tanto pi profonda quanto meno prevista. E altrettanto certo appare che gli effetti negativi non siano destinati a spegnersene facilmente e rapidamente, e, tanto meno, totalmente. Tuttavia, gi il processo di riorganizzazione avviato con Maroni, il completo cambio della maggiore dirigenza interna che vi sembra associato, e una serie di altri elementi, fra i quali primeggia la sostanziale compattezza mostrato dal maggiore notabilato leghista intorno al nuovo segretario, sembrano indicare che aspettarsi un crollo, per dir cos strutturale della base del patrimonio politico accumulato dalla Lega in tanti anni alquanto irrealistico. In terzo luogo, come sta oggi il Nord? Fino a ieri, lo sfondo sul quale si muoveva la Lega era quello di un Nord baldanzoso e fiducioso nella sua profonda convinzione di costituire unarea avanzata dItalia e dEuropa, in buone o pi che tollerabili condizioni di salute economica e sociale, vanto del paese e sua punta di lancia oltre le Alpi, anche se afflitto da un supposto, pesante taglieggiamento del mondo politico romano, ossia dal governo e dellamministrazione centrale dello Stato, sia a vantaggio di un Mezzogiorno inetto e parassitario, ancor pi corrotto del mondo romano, sia vantaggio di questo mondo. Oggi non pi cos. Il morso della crisi globale e gli effetti della politica di risanamento e di riforma che essa ha reso necessaria si sono fatti pesantemente
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La Lettura sentire e hanno alquanto spento o attutito orgogli e certezze, senza, per, far venire meno n il risentimento antiromano e antimeridionale, n la convinzione di essere diversi e migliori rispetto alla restante Italia e di ritrovarsi troppo sacrificati e stretti nel quadro italiano. Da quanto precede sono possibili alcune deduzioni. La prima che presto per cantare con sufficiente probabilit di non sbagliare clamorosamente il De profundis per la Lega. A meno che non si verifichino eventi oggi poco verosimili (come, ad esempio, una scissione del genere di quella che alcuni ipotizzano da parte di Bossi, che respingerebbe cos nel modo pi evidente una reale accettazione del suo passaggio nelle seconde o terze file del partito da lui creato dal nulla), la Lega rimarr sulla scena come una espressione per nulla trascurabile del mondo politico e sociale delle regioni in cui ha avuto maggiore fortuna (e c perfino chi pensa che una scissione ne faciliterebbe il mantenimento complessivo dei suffragi, bench in ordine pi sparso. Unaltra deduzione , per, subito che fino ad oggi tutti i

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La Lettura discorsi politici sul Nord facevano perno sulla Lega e ne vedevano in essa il punto di riferimento centrale, ma oggi questo punto di riferimento va cercato altrove. Dove? La risposta non facile. Anzi, non neppure sicura. Un punto di riferimento centrale c? A parere di molti, proprio larea pi avanzata del paese ne sarebbe oggi la meno strutturata e strutturabile dal punto di vista della sua reale fisionomia politica. non senza qualche ragione, se ne vede un indizio sicuro nel successo che proprio in gran parte del Nord ha conseguito il movimento di Grillo, che al Sud si , invece, rivelato finora alquanto meno dinamico e proiettivo. Questo successo si dice il segno evidente che siamo di fronte a un disorientamento profondo, alla manifestazione dellesigenza profonda di individuare e seguire una strada diversa da quelle del passato. nellintercettare questo disorientamento che consiste il primo e maggiore compito e problema di chi deve affrontare i problemi di orientamento e di guida politica nel Nord. Svanito o attenuato, in materia, il riferimento alla Lega, giudizio generale che un ben pi grave problema, anzi il problema dei problemi sia costituito dalla crisi economica in atto, nonch nella sola Italia, a livello globale. E qui, certamente, da sbagliare c ben poco. Il morso della crisi cresce in intensit e in profondit di mese in mese, con ripercussioni evidenti e via via pi corpose su tutta la scena sociale dalloccupazione ai consumi, dal peso crescente e ormai quasi paralizzante del fisco alla riduzione di attivit e iniziative economiche, dalla granitica pertinacia del debito pubblico e delle sue conseguenze sui mercati finanziari alla parallela e costante diminuzione del PLI e con un ovvio, parallelo aggravamento della tenuta politica e sociale del sistema. E, perci, dopo che lo sforzo massiccio degli ultimi anni ha fatto registrare unassoluta scarsezza dei risultati ottenuti, e dopo la tanta fiducia e le tante aspettative riposte sul governo Monti, ci si comincia ormai a chiedere se, prima ancora che del problema del governo, non ci si debba porre quello della governabilit del paese. Indicando in quelli economici e sociali il punto critico dei problemi da affrontare, in particolare, al Nord, si , quindi, sicuramente su un terreno affidabile e si centra una realt, purtroppo, indiscutibile. Ma basta questo per porre sulle pi solide fondamenta possibili il problema politico del Nord nel prossimo futuro? Ne dubitiamo fortemente. Ci sembra, infatti, che la crisi politica italiana abbia trovato nel Nord
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La Lettura

Il successo del Movimento 5 Stelle stato preceduto non lo si dimentichi da vari episodi indicativi di insoddisfazioni e di tensioni forti e crescenti nel rapporto fra la societ e i partiti in tutta larea settentrionale

lamplissima manifestazione e ripercussione che tutti sanno non solo e non tanto in relazione alla crisi economica e alle sue conseguenze sociali, bens soprattutto per ragioni interne al mondo politico italiano precedenti alla crisi economica e, in non trascurabile misura, indipendenti da tale crisi. Il successo del Movimento 5 Stelle stato preceduto non lo si dimentichi da vari episodi indicativi di insoddisfazioni e di tensioni forti e crescenti nel rapporto fra la societ e i partiti in tutta larea settentrionale, da Milano a Firenze e a Bologna, dal Piemonte al Veneto; e, questo, su tutto larco dello schieramento politico, ossia da destra a sinistra. facile dedurne una sostanziale inadeguatezza, una notevole incapacit delle forze politiche e dellintero sistema politico nel rendersi conto del grave processo di indebolimento della loro capacit di ascolto e di espressione delle esigenze e del sentire in maturazione nellarea settentrionale negli ultimi anni. La crisi economica ha indubbiamente aggravato e ha reso esplosiva questa situazione, ma non stata il punto di partenza, il luogo genetico della odierna condizione politica del Nord, che, molto a ragione, si vede preoccupare un po tutti gli ambienti politici italiani. Bisogna, insomma, andare pi a fondo, e attingere livelli pi profondi e, anche, pi duraturi dellattuale questione settentrionale. E se si nota che questa espressione ha conquistato un forte e inedito rilievo in tutti gli ultimi anni, a partire da quando di crisi economica non si parlava ancora, o almeno non se ne parlava affatto nei termini in cui se ne parla, allincirca, da tre anni, si capisce ancora meglio la problematica in questione, e la conseguente rilevanza e difficolt dello sforzo di intelligenza e di creativit politica necessario per affrontare una tale problematica, nonch la necessit di non continuare a proseguire criteri e comportamenti pi che esauriti per orientarsi e agire al riguardo.

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Soldi e democrazia

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La Lettura

Finalmente un federalismo che unisce


Mauro Ceruti
senatore del Pd

La Lega non stata un partito federalista, bens un partito nazionalista. Il federalismo unisce; il nazionalismo divide. La Lega non ha mai affrontato seriamente la questione della riforma federale dello stato nazionale italiano: questa impone una prospettiva unitaria e solidale di tutte le regioni e di tutte le aree del paese, per far s che le diversit storiche, sociali, culturali, economiche di cui lItalia intessuta
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La Lettura diventino risorse per la comunit nazionale. Al contrario, la Lega ha proposto la costituzione di una nuova nazione, isolata dal resto del paese: un grande Nord la cui presunta identit stata alimentata dalla mitologia unilaterale di unarea di eccellenza e di efficienza che avrebbe dovuto integrarsi in un Nord dEuropa altrettanto mitizzato. E forse la maggiore carenza di visione della Lega stata proprio quella di proporre una vieta e perniciosa contrapposizione fra unEuropa nordica e unEuropa mediterranea, proprio quando lItalia tutta intera (e anche e soprattutto lItalia settentrionale) chiamata a svolgere il ruolo di cerniera fra le molte aree dEuropa: non solo quella centrosettentrionale e quella mediterranea, ma anche quella occidentale e quella centro-orientale. Non solo. Il nord tuttaltro che omogeneo: differenziato per economie, modi di vita, anche allinterno di una stessa regione. LItalia policentrica, per nulla separabile in modo semplice fra un nord e un sud: se il nord assai diversificato, il sud appare addirittura frammentato. La Lega ha scorporato la questione del Nord dalla questione ineludibile della sistematica riforma delle autonomie e delle istituzioni locali. Linvenzione di unidentit nordista ha occultato, nel discorso politico, la diversit delle esigenze concrete delle singole regioni e delle singole aree dello stesso nord. Se si fosse concretizzata lopzione leghista di una radicale autonomia (o di una secessione) del grande Nord, avremmo avuto non un mosaico di identit federate, ma una sorta di nuovo stato centralistico. Storicamente, le difficolt dello sviluppo istituzionale dello stato nazionale italiano hanno prodotto problemi e squilibri in tutte le aree del paese. Se c stato un vizio di fondo nella struttura del nostro stato, questo consistito nelladozione irriflessa del modello centralistico francese nel momento stesso della sua costituzione, e con ci nella rimozione di ogni possibile alternativa federalista. LItalia nata come adesione incondizionata dei suoi antichi stati ad uno solo di essi: la monarchia sabauda. I plebisciti che regolarono tale adesione furono appunto definiti di annessione, per cui gli ordinamenti giuridici degli antichi stati cessarono, sostituiti in toto dallordinamento giuridico dello stato piemontese. Inoltre, agli albori della vita del nuovo stato non ebbero seguito neppure le proposte di regionalizzazione: le regioni, come noto, furono istituite solo con la Costituzione del 1947 e, per quanto riguarda le regioni a statuto ordinario,
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La Lettura iniziarono a esistere effettivamente solo nel 1970. Oggi, le questioni che devono essere affrontate da una riforma che voglia accelerare i processi della decisione politica e avvicinare maggiormente i cittadini alle istituzioni locali sono molteplici. Si impone anzitutto di scegliere fra due modelli: un modello federale in senso proprio, in cui tutte le unit istituzionali abbiano in linea di principio le medesime attribuzioni; oppure un modello a geometria variabile ( il caso delle comunit autonome spagnole), in cui differenti unit istituzionali posseggano attribuzioni differenti. Si deve poi affrontare la questione di quali possano essere le unit federali dello Stato italiano. Non scontato che debbano essere le attuali regioni. Opportuni accorpamenti vengono spesso prospettati nella convinzione che le future unit federali debbano essere anzitutto economicamente solide: ma questa logica va nella direzione opposta al senso di identit locale assai forte in molte aree del nostro paese (e che talvolta porta a prefigurare, al contrario, nuove regioni). La questione degli accorpamenti viene oggi posta anche in Germania, per ovviare a taluni squilibri economici e progettuali: si prospetta ad esempio la creazione di un grande Nord-Land attraverso la fusione di quattro o cinque degli attuali Lnder. Alcuni anni fa, la fondazione Agnelli aveva proposto una semplificazione del mosaico regionale italiano sulla base di una dozzina di nuove unit federali, suscitando la reazione di alcune regioni (Umbria, Basilicata) che si vedevano abolite e divise. Peraltro, in nome della vivibilit economica, la proposta trascurava le esigenze delle regioni a statuto speciale del nord (Valle dAosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia), alle quali sarebbe spettato il ruolo incerto di province autonome nellambito di unit federali pi ampie. Il conflitto fra esigenze economiche ed esigenze identitarie locali non meccanicamente risolvibile, ma deve dare il via a un processo decisionale multipolare. E evidente, ad esempio, che la Lombardia e il Molise non sono collocate sullo stesso piano. E troppo popolosa la Lombardia, e troppo poco popoloso il Molise? Eventuali smontaggi e rimontaggi sono possibili, ma come parti integranti di una visione pi ampia. Bisogna poi tener conto della creazione imminente di dieci nuove province metropolitane nelle aree pi popolate del paese. Per due o tre di esse (Roma, Milano e anche Napoli) sarebbe plausibile a motivo del loro popolamento e della loro

Il conflitto fra esigenze economiche ed esigenze identitarie locali non meccanicamente risolvibile, ma deve dare il via a un processo decisionale multipolare

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La Lettura importanza - una parificazione alle altre unit federali della nazione, come gi avviene in taluni casi europei. Ma, soprattutto, una riforma in senso federale non potr che essere fondata su una riforma del quadro generale delle istituzioni locali. Gli accorpamenti delle province attualmente proposti non possono che essere una misura transitoria: difficile separare uneffettiva riforma delle province dalla riforma del mosaico regionale di cui fanno parte. E poi non si pu oggi eludere una corrispettiva riforma delle istituzioni comunali. Novemila e pi comuni sul territorio italiano sono controfunzionali, ostano a ogni progettualit a vasto raggio e a ogni esigenza di governo del territorio. Anche in questo caso non facile sciogliere il conflitto fra esigenze funzionali, che imporrebbero radicali accorpamenti, ed esigenze identitarie, che alimentano lattuale polverizzazione. Sono necessarie soluzioni di adeguata complessit: per esempio, l'introduzione dei due livelli sussidiari di comune e distretto, gi embrionalmente operanti nelle grandi citt. Soprattutto, al di l delle scelte specifiche, decisivo far s che le riforme istituzionali dello stato italiano debbano essere definite da una nuova visione delle identit storiche e culturali, delle relazioni fra locale e globale, del ruolo costruttivo delle diversit in una comunit politica, del valore e dei limiti degli stati nazionali, del loro significato nellEuropa dei nostri giorni. E questo significa: delineare un paese non duale, ma policentrico; concepire le nuove unit federali non come territori chiusi e autosufficienti, ma come nodi di molteplici reti funzionali e progettuali a seconda degli obiettivi in gioco; favorire le relazioni fra le regioni dItalia e le analoghe regioni dEuropa; valorizzare, nellopzione federale, la flessibilit, la rapidit e lagilit delle decisioni politiche; attuare meccanismi di consultazione permanente fra i cittadini e la classe politica; ricostruire lantica coesione della polis su scala pi ampia (metropolitana, appunto, e regionale). Al fondo si impone una risposta innovativa, e completamente opposta a quella della Lega, alla domanda tradizionale di cosa siano le identit statali, nazionali, regionali, locali, culturali: cessare di pensare in termini di identit rigide, statiche e contrapposte e adottare una prospettiva di identit multiple, flessibili, in continua interazione reciproca.

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Movimento 5 stelle,
oltre lantipolitica
Stefano Camatarri
ricercatore presso facolt di Scienze Politiche, Universit di Milano

La Lettura

l di l del drammatico crollo del PDL e della sostanziale tenuta del PD, non c ombra di dubbio che il Movimento 5 Stelle sia la vera sorpresa di queste ultime elezioni amministrative. Linatteso successo di questa nuova formazione politica, di gran lunga superiore a quello della maggior parte degli analisti, ha infatti provocato ampie discussioni tra professionisti della politica e non, tutti costantemente alla ricerca di un perch. Grazie alle conoscenze elaborate dagli analisti nel corso delle settimane successive al voto oggi sappiamo che il non-partito di Beppe Grillo ha saputo basare il proprio successo sul consenso proveniente da una quota non indifferente di cittadini scontenti dalle forze politiche tradizionali e dei recenti scandali che hanno interessato alcune forze della ex-maggioranza di Governo (vedi Lega Nord). Eppure esiste un ulteriore dato, a mio parere ancor pi decisivo di qualunque osservazione legata allanalisi dei flussi elettorali, in grado di problematizzare il posizionamento complessivo del Movimento 5 Stelle allinterno del panorama politico contemporaneo. Si tratta della distribuzione territoriale dei suoi consensi. A ben vedere, infatti, la potenza elettorale dei grillini si concentra soprattutto nelle regioni centro-settentrionali del Paese, dove oltre ai quattro Sindaci complessivamente eletti, le liste riconducibili al Movimento 5 Stelle si sono assestate su percentuali comprese tra l'8 e il 12%. Nel Sud, invece, la situazione completamente diversa. Qui, infatti, i consensi raccolti dai grillini non vanno oltre la media del 3,6%, una percentuale che, tradotta in termini di rappresentanza politica, equivale a un solo consigliere comunale eletto al di sotto di Roma (il candidato sindaco di San Giorgio a Cremano, in provincia di Napoli), il cui 6,59% certo un
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La Lettura risultato interessante, ma non esageratamente positivo rispetto ai consensi ottenuti dalla stessa forza politica nel Centro-Nord del Paese. Ora, di fronte a questo evidente gap territoriale in termini di consensi raccolti, mi sembra doveroso compiere alcune considerazioni. Da un lato, infatti, il dato che viene qui presentato non costituisce certo una novit, dacch gi nelle precedenti amministrative del 2011, e prima ancora nelle regionali del 2010, la distribuzione territoriale dei voti raccolti dal Movimento presentava grosso modo le medesime caratteristiche; dallaltro, per, pone allordine del giorno importanti questioni riguardanti la morfologia socioculturale dellelettorato grillino. In questo senso, logiche di spiegazione come quella che indica il vero motore del boom a due velocit del Movimento nelle differenti opportunit di accesso a Internet e ai social network esistenti sul territorio nazionale o quella che ne individua le cause in un voto di protesta contro una classe politica ingessata di fronte alla crisi e sempre pi lontana dalle reali esigenze dei cittadini, rischiano di rivelarsi eccessivamente semplicistiche e parziali. Non si capisce, infatti, per quale motivo questo ipotetico voto punitivo non si sia espresso nelle dovute proporzioni al Nord come al Sud, ma soprattutto al Sud, dove clientele e sprechi hanno da sempre fatto scempio dei conti pubblici dando vita a un malgoverno diffuso e dove, proprio per questo motivo, maggiore dovrebbe essere l'istanza di rinnovamento di persone e di programmi. Altre cause, evidentemente riconducibili a una sfera pi profonda, avente a che fare con specifiche caratteristiche socio-culturali dellelettorato, devono quindi aver favorito laffermazione del Movimento 5 Stelle allultima tornata amministrativa, e per individuarle credo sia necessario partire non tanto dagli esiti della competizione politica, quanto dai suoi input, ovvero dai suoi contenuti programmatici. Mi spiego meglio. Ci a cui si perviene attraverso la lettura di un programma politico la ricostruzione non solo dellofferta politica complessiva di un partito, ma anche, pi indirettamente, del tipo di domanda sociale (e quindi di elettore) di cui esso intende, non sempre volontariamente, farsi promotore nella sua opera di posizionamento strategico. Per questo unanalisi approfondita del programma politico grillino assume un ruolo fondamentale allinterno di questa discussione. Con buona probabilit, infatti, le issues di cui esso risulta
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La Lettura composto fanno tutte comune riferimento a un particolare tipo di elettore, dotato di specifiche caratteristiche socioculturali, che possono spiegarci tanto il perch di un voto territorialmente cos disomogeneo, quanto le logiche di rappresentanza su cui si costruisce il consenso verso il Movimento 5 Stelle. Ad emergere dai testi, infatti, dovrebbe essere, una sorta di altro generalizzato a cui il Movimento 5 Stelle rivolge in misura prevalente i propri messaggi nel tentativo di intercettarne il consenso elettorale.

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La Lettura Ma che aspetto ha questo elettore a 5 Stelle? E fino a che punto conoscere tale informazione pu aiutarci a comprendere le logiche di rappresentanza elaborate da buona parte dellelettorato grillino? Per scoprirlo, non ci resta che immergerci nella Rete e iniziare a sfogliare il programma del Movimento. Il prototipo dellelettore grillino: uno sguardo al programma politico del Movimento Spesso accade che le conclusioni di un problema siano gi contenute nelle sue premesse. E in questo senso, lo scarno ma efficace programma della forza politica fondata da Beppe Grillo non fa eccezione. Basta infatti dare una prima e veloce lettura allindice dei capitoli per accorgersi di quanto la sua offerta politica di questultima si ponga nettamente in linea con quella che i sociologi hanno definito la dimensione postmaterialista dei valori, ovvero lo storico slittamento, avvenuto a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, dellasse di attenzione dellopinione pubblica dai tradizionali temi di natura economica e sociale a quelli inerenti lambiente, le questioni di genere e gli stili di vita. A confermarcelo sono le sette aree di cui il documento si compone (Stato e cittadini, Energia, Informazione, Economia, Trasporti, Salute, Istruzione), tutte incentrate sulla soddisfazione delle domande politiche pi immateriali della societ italiana, afferenti la sfera dei bisogni che Ronald Inglehart ha definito di natura espressiva, come lautorealizzazione privata, lecologismo e le nuove forme di partecipazione politica, a discapito di temi, per cos dire, tradizionali, e quindi legati alla sfera materiale come il benessere economico e la sicurezza personale e collettiva. Ora, se ci quel che emerge dalla lettura dei punti programmatici del Movimento 5 Stelle, dovremmo allora chiederci quale sia, ad oggi, l'insieme sociale che pi di altri pone al centro delle proprie richieste politiche questioni aventi a che fare con la sfera immateriale della vita umana quali, ad esempio, la sostenibilit socio-ambientale dello sviluppo economico e il miglioramento del legame rappresentativo tra governanti e governati. E visto che una nutrita serie di studi individua la risposta a questa domanda nella cosiddetta classe media urbana, da sempre orientata verso nuovi stili di vita e concezioni del bene pi laiche, appare dunque sensato ipotizzare che il Movimento 5 Stelle abbia saputo fungere da polo di attrazione di un
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La Lettura elettorato tendenzialmente metropolitano, istruito, insediato in contesti urbani relativamente floridi da un punto di vista socioeconomico e in un mercato del lavoro ad elevata intensit di conoscenza. Solo un gruppo di soggetti cos caratterizzato appare infatti dotato degli strumenti cognitivo - relazionali e delle motivazioni necessarie a sostenere esigenze immateriali di realizzazione personale e di qualit della vita come quelle di cui si occupa lofferta politica grillina. A sostegno di questipotesi si pongono alcuni indicatori, tanto di tipo territoriale quanto socio-demografico. Uno di questi la percentuale di voti raccolti dal Movimento aggregata in base allampiezza demografica della societ locale di riferimento, che ci descrive come sin dalle elezioni regionali del 2010 i grillini presentino trend crescenti di consensi correlati all'ampiezza demografica dei comuni. Laltro, invece, il potenziale elettorale del Movimento 5 Stelle, incrociato con let. il titolo di studio e il settore dimpiego di una serie di soggetti intervistati dal Centro Italiano di Studi Elettorali, da cui emerge come lelettorato grillino sia prevalentemente composto da individui giovani (soprattutto di et compresa tra i 26 e i 45 anni), istruiti (quelli privi di ttitolo di studio e quelli con sola licenza elementare non superano insieme il 13% del totale), e appartenenti a professioni per la maggior parte riconducibili al settore terziario avanzato (la maggioranza relativa di essi composta dallaggregazione di impiegati pubblici e privati, seguiti da borghesi e solo dopo da disoccupati, operai e studenti). evidente, insomma, che il Movimento 5 Stelle abbia saputo esercitare un notevole appeal politico nei confronti di ampi segmenti della classe media urbana, tra cui certamente quello dei cosiddetti attivisti socioculturali, soggetti che, per via delle loro competenze specifiche, sono impegnati nei servizi sociali e culturali e manifestano tendenze decisamente liberali in ambito etico, e quello dei ceti professionali dirigenti, sempre pi propensi a radicalizzare le proprie forme di partecipazione politica (si vedano, ad esempio, i noti girotondi di inizio anni Duemila). La sua capacit stata, infatti, quella di porsi come un credibile interprete di un nuovo e complesso bagaglio di domande politiche ora in crescita allinterno ai segmenti culturalmente pi vivaci dellelettorato. Ci che invece non appare ancora chiaro se in definitiva le informazioni finora raccolte sulle caratteristiche socio-culturali
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La Lettura dellelettorato grillino possano o meno rivelarsi utili al fine di spiegare la notevole disomogeneit territoriale dei consensi ottenuti dal Movimento 5 Stelle alle ultime elezioni amministrative. E possibile, in altre parole, ricondurre le forti disparit in termini di voti tra Nord e Sud del Paese a cause di natura pi socioculturale che, ad esempio, tecnologica, scandalistica o antipolitica? Il Movimento 5 Stelle tra territori e fratture sociali. Lalba di una nuova politica? Esiste una relazione tra voto grillino, territorio e cultura, pi di quanto non esista, ad esempio, una relazione tra Movimento 5 Stelle e antipolitica o tecnologia? Tale dubbio verr presto risolto. Non vi alcun dubbio, infatti, che partendo dal presupposto secondo cui il Movimento 5 Stelle ottiene ampi successi laddove esistono societ locali sufficientemente urbanizzate e dinamiche, ossia in grado di comprendere ed apprezzare i tratti immateriali della sua offerta politica, la forte disomogeneit territoriale dei suoi voti possa essere interpretata nei termini dello storico divario socioeconomico esistente fra i grandi conglomerati urbani del Nord e una realt relativamente meno metropolitana e dinamica come quella del Mezzogiorno. Tale divario si trova, infatti, allorigine di una evidente disparit nella diffusione delle risorse materiali e simboliche di cui gli elettorati locali si servono per elaborare domande sociali sempre pi immateriali, come quelle al centro dellofferta politica grillina. Quindi, mentre nelle regioni centro-settentrionali assistiamo al verificarsi di una crescente volont partecipativa dellelettorato, nelle regioni del Sud uniniqua distribuzione delle risorse favorisce invece il consolidarsi di strutture di potere informale verticalmente organizzate, che si impongono sulle gi deboli comunit sociali, impedendo lo sviluppo di quelle reti sociali che tanto sarebbero necessarie per alimentare nuovi progetti politici come il Movimento 5 Stelle. Non un caso, in questo senso, che i grillini ottengano i risultati migliori proprio laddove gi sussistono ampie e consolidate reti relazionali e fiduciarie tra individui e gruppi sociali. Sembrerebbe, infatti, il Movimento 5 Stelle tragga vantaggio dalla presenza, entro certi contesti territoriali, di quei dispositivi culturali che pongono lelemento immateriale del civismo al centro della lotta politica, incrementando lefficienza nelle relazioni di una comunit.
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La Lettura Ci confermato, in buona parte, dal grande successo elettorale nella cosiddetta Zona Rossa, dove la formazione grillina ottiene la sua percentuale pi elevata di consenso medio, pari al 13%, un dato che certamente porta con s unulteriore serie di osservazioni. L improvvisa espansione di consensi verso il Movimento 5 Stelle allinterno di zone almeno un tempo connotate culturalmente, ossia tradizionalmente rosse, ci pone infatti di fronte a tutta una serie di interrogativi riguardanti le possibili evoluzioni che il nostro sistema politico potrebbe intraprendere nel corso dei prossimi anni. possibile, ad esempio, che la progressiva crescita di consensi verso il Movimento 5 Stelle allinterno di aree territoriali come la Zona Rossa possa costituire il segnale di alcuni profondi cambiamenti attualmente in corso allinterno della nostra cultura politica? Ed possibile che le nuove domande sociali di cui oggi il Movimento 5 Stelle si pone come rappresentante costituiscano lalba di un nuovo paradigma politico, che trae legittimazione da nuove fratture sociali, meno ideologiche rispetto a quelle del passato (capitale e lavoro) e pi orientate verso issues specifiche, concrete? Per quanto riguarda il primo quesito, va detto che numerosi studi suggeriscono come, a fronte della modernizzazione avvenuta in Italia negli ultimi decenni, specifici mutamenti culturali abbiano sempre fatto seguire particolari trasformazioni nellambito delle preferenze e degli stili di voto. A titolo di esempio, si consideri la progressiva liberazione dei cittadini da elementi culturali trasmessi per decenni come il conformismo nei comportamenti elettorali e la reiterazione di ritualit come laffluenza alle urne. Questa ha infatti provocato tanto la liberazione individuale da una serie di fedelt storiche inamovibili, quanto un grado crescente di autonomia nella scelta di voto. Aveva quindi ragione Almond, uno dei padri della politologia contemporanea, nel dire che le preferenze espresse in sede elettorale non sono altro che lepifenomeno di una complessa e sottile rete di atteggiamenti, opinioni, comportamenti che evolvono nel corso del tempo. infatti proprio questo tipo di evoluzioni a permettere oggi l'ascesa di soggetti politici inediti come il Movimento 5 Stelle. Ci apre la strada alla considerazione della seconda domanda, relativa a quelle che potrebbero essere le future forme del sistema politico. A tal proposito, una ristrutturazione progressiva dei temi,

possibile, ad esempio, che la progressiva crescita di consensi verso il Movimento 5 Stelle allinterno di aree territoriali come la Zona Rossa possa costituire il segnale di alcuni profondi cambiamenti attualmente in corso allinterno della nostra cultura politica?

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La Lettura degli aspetti comunicazione e delle infrastrutture organizzative nel senso indicato dal Movimento 5 Stelle sembra essere preannunciata da alcuni indizi, tra cui la sempre pi marcata immaterialit delle issues al centro della competizione politica (moralit privata e etica pubblica, qualit e stili di vita, questione ambientale, differenze di genere ecc.), e la sempre minore capacit dei partiti di interpretare domande, preferenze, bisogni e identit di individui e gruppi sociali sempre pi molteplici e differenziati, nonch di indirizzare le loro richieste allinterno del circuito decisionale parlamento-governo-pubblica amministrazione, per produrre risposte sostenute dal consenso. Ovviamente, quanto sostenuto finora non vuole assolutamente dire che le categorie di destra e sinistra non contino pi nulla. Queste ultime, infatti, nonostante le evidenti trasformazioni in corso, mantengono limportante ruolo di riduttori della complessit che intrinseca a qualsiasi ambiente politico. Eppure, nonostante questo importante accorgimento, rimane innegabile il progressivo spostamento del fuoco dinteresse della competizione partitica dalla tradizionale contrapposizione tra destra e sinistra verso una nuova dimensione dialettica, ancora nebulosa, ma quasi certamente di natura valoriale. Il Movimento 5 Stelle, in questo senso, rappresenta oggi un caso di studio estremamente interessante, che ha saputo reagire in maniera originale a un sistema di domande sociali sempre pi complesse ricorrendo alla strategia, finora vincente, di introdurre nel sistema politico una serie di novit programmatiche, comunicative e organizzative le quali, per quanto in parte discutibili e forse esageratamente sbilanciate verso la sfera immateriale della vita umana, sono state in grado di attrarre il consenso crescente di un buon numero di elettori scontenti dei partiti tradizionali e in precedenza astensionisti. evidente, quindi, che all'origine del successo del Movimento 5 Stelle in occasione delle ultime elezioni amministrative non vi siano solo cause antipolitiche o di protesta sociale, ma anche, se non soprattutto, elementi culturali che oggi ci pongono al centro di un radicale mutamento nella dimensione valoriale della politica. Per concludere, ci si potrebbe chiedere verso quali lidi ci condurranno le sorprendenti evoluzioni della politica contemporanea, di cui il Movimento 5 Stelle chiaramente parte integrante. Da un certo punto di vista, la tendenza di
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La Lettura questultimo a voler bypassare ogni possibile forma di mediazione per intervenire direttamente nelle decisioni politiche potrebbe avere leffetto di rivitalizzare la nostra democrazia dall'interno, innescando magari particolari meccanismi imitativi nei partiti politici tradizionali; dall'altra, potrebbe presto provocarne un ulteriore indebolimento, specie qualora venisse consentito a eventuali mobilitazioni su singoli temi di eludere o scavalcare i canali della politica ufficiale. Di fronte a questo inquietante bivio, dunque, nulla sembra essere certo tranne una cosa: soggetti politici costruiti sulla base di offerte politiche post-materialistiche e dotati di infrastrutture organizzative sempre pi decentrate e tecnologicizzate, sembrano godere di un riconoscimento sociale sempre maggiore. Ed proprio sulla base di questo crescente riconoscimento, che essi riescono ogni giorno di pi a incanalare lattenzione dellopinione pubblica verso issues e pratiche politiche sostanzialmente inedite. Nel lungo periodo, ci potrebbe costringere le forze politiche tradizionali ad affrontare un serio problema di ridefinizione della propria funzione sociale, la cui risoluzione richieder ad esse tanto di assecondare la crescente domanda di partecipazione elaborando strategie di consultazione diretta sempre pi innovative ed efficaci, quanto di mantenere posizioni nette e possibilmente avanzate su temi etici riguardanti issues immateriali, il cui trattamento da parte della singola forza politica assume, come si visto in precedenza, unimportanza decisiva ai fini del suo successo elettorale presso le categorie pi avanzate e vivaci dellelettorato.

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La Lettura

Beppe Grillo
e i figli delle stelle
Paolo Corsini
senatore del Pd

Il successo del Movimento 5 Stelle il riferimento ad un orizzonte valoriale e politico in cui campeggiano ambiente, acqua, sviluppo connettivit e trasporti alle recenti consultazioni amministrative stato indubbio, al di l dellimpasse immediatamente vissuta a Parma, il caso pi eclatante, sul piano della composizione della Giunta di governo e dellassunzione di unimmediata operativit amministrativa. Tuttavia proprio lirrilevanza delle contraddizioni emerse nella citt emiliana quanto alle misurazioni del consenso registrato dai diversi rilevatori di opinione un consenso in impetuosa espansione ed in rapida impennata, soprattutto al nord, da rapportare, peraltro, anche allo spazio concesso a Beppe Grillo da parte dei vari organi di informazione depone per una lettura critica del fenomeno, per uninterpretazione non banale dei suoi tratti caratterizzanti, oltre la categoria ricorrente, quanto semplificatoria, di antipolitica con cui, nella vulgata, viene abitualmente decifrato sino, talora, al neoqualunquismo. Sullo sfondo vanno collocati fenomeni di recente emersione o di pi lontana ascendenza: particolarmente la crisi di quella democrazia identitaria, retta sulla sovrapposizione fra lEletto (Silvio Berlusconi) e la totalit della Nazione, fra legge e volont popolare il Capo addirittura come impersonificazione del nomos secondo il classico canone della teologia bizantina cui tendenzialmente il sistema politico sembrava destinato grazie al supporto di fattori fra loro convergenti quali lideologia dellantiStato sociale e quella localistica delle piccole patrie. E ancora: il progressivo degrado della
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La Lettura rappresentanza consegnata a cartelli ristretti ed oligarchici, loccupazione delle Istituzioni da parte della repubblica dei partiti, la crisi di rappresentativit degli organismi legislativi, la sovrabbondanza di un populismo alimentato a piene mani da formazioni politiche personali, rette su di un centralismo carismatico teso ad affermare una tirannide di maggioranza, una sorta di dispotismo che si autolegittima in quanto diretta emanazione del popolo sovrano, della sua identit ed unit politica. Fatte pure salve le debite differenze differenze certamente rilevanti fra i partiti, sia per quanto riguarda il loro funzionamento interno, sia circa il loro posizionamento rispetto alle Istituzioni , resta un dato pi generale e pervasivo che chiama in causa complessivamente la loro insostenibile leggerezza nella societ civile e la loro insopportabile pesantezza in ambito statuale, sino al punto di una caduta verticale di consenso, di una perdita del loro ruolo di soggetti di diritto

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Il comico beffardo e irridente, moralista e fustigatore, il grande vecchio del Movimento 5 Stelle, che conosce e padroneggia i meccanismi propri dellegemonia sottoculturale e della spettacolarizzazione, ormai dentro larena politica

costituzionale, luogo in cui i cittadini liberamente si associano per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, come recita lart. 49 della nostra Costituzione. Ebbene dentro la rottura della diga costituita dal sistema dei partiti verso la quale dovrebbero affluire i molteplici alvei in cui si incanalano le energie politiche, dentro il varco ormai aperto sino a diventare voragine, che si mobilita un attivismo civile, un protagonismo civico che vede operanti molteplici attori e che viene assumendo declinazioni diverse ed obiettivi diversificati a seconda dei soggetti promotori, delle finalit di ciascuno. Alla base sta ora un sentimento di insoddisfazione e di frustrazione, ora una spinta fatta di insofferenza e di indignazione, di ribellione e di protesta verso i riti standardizzati e le liturgie obsolete della societ politica, di mobilitazione cognitiva, di sindrome del cittadino critico, una spinta animata da volont di presenza e partecipazione, da esigenze di coinvolgimento, e insieme di autonomia, sostanzialmente inappagate, se non neglette da un sistema di rappresentanza autoreferenziale, scarsamente accogliente, spesso sordo e indisponibile, repulsivo. Come scrive Edoardo Greblo come se la societ degli individui stesse iniziando a ricomporsi in una societ vera e propria, in nome di un bisogno di aggregazione, di solidariet, di regole, di normalit, sulla base di bisogni quali il lavoro, la conoscenza, i beni comuni, i diritti fondamentali, la libert di tutti, lambiente, la dignit della persona, il rifiuto di una pratica che riduce a merce e consumo lessere e lesistenza. Fuori dai partiti non significa necessariamente contro i partiti in quanto tali. Qui sta la discriminante fondamentale. Una politica senza partiti, una democrazia politica senza rappresentanza pluralistica degli interessi e diversificazione degli ideali e riconoscimento dei valori , infatti, populismo, negazione della cittadinanza democratica. Beppe Grillo, il comico beffardo e irridente, moralista e fustigatore, il grande vecchio del Movimento 5 Stelle, che conosce e padroneggia i meccanismi propri dellegemonia sottoculturale e della spettacolarizzazione, ormai dentro larena politica, la contesa fra i partiti; oggi la forma pi espressiva della postpolitica tipicamente

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La Lettura postmoderna e critica della rappresentanza liberaldemocratica in nome dellantipartitismo. Un postmodernismo che, per parafrasare il pi recente Maurizio Ferraris del Manifesto del nuovo realismo, usa persino gestualmente lironizzazione, agitando lindice e il medio delle mani il vaffanculo day e abusa della risata, della facezia, della farsa [], confermando lipotesi etologica secondo cui la mimica del riso un retaggio del mostrare i denti che, nellanimale, precede laggressione. Quellaggressivit con la quale Beppe Grillo utilizza il web come medium-messaggio dellormai imminente iperdemocrazia cybernetica e post-convenzionale. Uno scenario comunicativo che associa contatti personali diretti, quel bisbiglio che diventa passaparola ed include quanti vivono emigrazione interiore e clandestinit politica, alle nuove tecnologie della comunicazione rese praticabili dalla diffusione della Rete. Sino alla costruzione scientificamente organizzata di un modello reticolare che trova nei Meetup degli Amici il proprio impianto connettivo e nella capacit di generazione mediatica dello spin doctor Gian Roberto Casaleggio il sistema degli influencer il proprio artefice pi efficace. Unesperienza, per altro, dai riferimenti continentali, solo a pensare allaffermazione dei Pirati in Svezia o Germania, allo stesso movimento degli Indignados in Spagna e, seppur con connotazioni diverse, sperimentata nel corso della primavera araba. Come ha osservato Massimiliano Panarari, un modello, i nodi di una rete, anzi di un rizoma, che rimandano ad una sorta di versione realizzata in politica dellidea di sapere teorizzata da Gilles Deleuze e Felix Guattari nel loro libro del 1980 Mille piani . Dunque non un partito leggero, vale a dire un partito spoglio di bardature burocratiche e privo di apparati, diffusi quanto macchinosi e ingessati, versione aggiornata delle vecchie strutture novecentesche, ma un partito altro, etereo, regolamentato da un non statuto, che agisce uno scenario comunicativo, interattivo, argomentativo-deliberativo, in grado di suscitare mobilitazione, di attribuire visibilit alla volont politica, di porre rimedio alla frammentazione, alla polverizzazione delle presenze, di dar voce ad un universo altrimenti anonimo, desolidarizzato e desocializzato, quanto alla ricerca di riconoscibilit e di ruolo. Un cyberottimismo di fondo, pertanto, e insieme la proposta di una democrazia critica della tradizionale rappresentanza, della delega agli eletti, di un conferimento di potere senza controllo e senza

Un partito altro, etereo, regolamentato da un non statuto, che agisce uno scenario comunicativo, interattivo, argomentativodeliberativo, in grado di suscitare mobilitazione, di attribuire visibilit alla volont politica

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La Lettura revoca. Prima ancora del programma non programma, delle proposte politiche avanzate spesso in uscite sempre provocatorie da parte di Beppe Grillo e di qualche raro altro esponente, si evidenziano qui nodi a dir poco problematici, non esenti da un elevato tasso di ambiguit. Quale iperdemocrazia? Sono indubbie le risorse democratiche della Rete, le sue possibilit di interazione orizzontale, di infrastrutturazione cooperativa delle informazioni, di scambio tra pari in termini flessibili. Cos come non si pu sottovalutare il potenziale di creativit grassroots, dal basso, popolare della politica on-line con il suo accesso molecolare ed il suo effetto moltiplicatore, ma, parimenti, valgono per la societ digitale i vizi capitali sottolineati da Stefano Rodot nel suo ormai classico Repertorio di fine secolo: disuguaglianza; sfruttamento commerciale e abusi informativi; rischi per la privacy; disintegrazione delle comunit; plebisciti istantanei e dissoluzione della democrazia; tirannia di chi controlla gli accessi; perdita del valore del servizio pubblico e della responsabilit sociale. E cos pure resta irrisolto ed equivoco il modello di democrazia che sintende perseguire, un modello in continua oscillazione tra democrazia diretta e democrazia partecipativa (che non sono propriamente la stessa cosa), al di l della loro concreta praticabilit, se ha ancora valore il giudizio di Norberto Bobbio secondo il quale nessun sistema complesso come quello di uno Stato moderno pu funzionare soltanto con lassemblea dei cittadini deliberanti senza intermediari e con listituto del referendum. Unoscillazione che ed questo un riscontro sul quale hanno gi insistito alcuni osservatori talora porta a considerare i diversi fori deliberativi come strumenti di correzione democratica, talora, invece, come occasioni concorrenziali o sostitutive di una rappresentanza che implica di per s rinuncia alla sovranit del cittadino nel momento stesso in cui sceglie chi decide in vece sua. Insomma la predilezione per lagor virtuale come nuova frontiera dellautogoverno comunitario. Non c solo unesplicita volont di disintermediazione e lappello diretto al popolo dei cittadini, la sostituzione del mezzo televisivo il veicolo principe del partito pubblicitario del presidente, il partito blob di Berlusconi con il blog e la Rete, anzi con il partito-Rete che catalizza quanti si ribellano al degrado della vita
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La Lettura pubblica, si propongono di sbaragliare il ceto dei nominati che si fatto Casta e vengono associandosi al di fuori del riferimento ai partiti. Non c solo una sfiducia diffusa verso la politica istituzionale spesso adulterata in nome del consenso elettorale e ridotta a malapolitica, una sfiducia che si alimenta di un fiume carsico di indignazione e che mescola le denunce di Stella e Rizzo con il demagogico giustizialismo di trasmissioni televisive a grande seguito, una sfiducia che riflette esigenze assolutamente veritiere e comprensibili di onest, trasparenza, legalit, pulizia morale andate deluse, riprese ed issate sui loro vessilli da tantissimi elettori del Movimento 5 Stelle. C al fondo un pot-pourri magmatico, la condensazione di culture spesso contraddittorie che affastellano green-economy e ambientalismo radicale, neoromanticismo preindustriale e tecnoentusiasmo qualcuno segnala persino una sorta di neoluddismo che un tempo si manifestava contro i computers distrutti da Grillo a conclusione delle sue performances e che oggi sceglie a proprio bersaglio i termovalorizzatori e la Tav. E cos pure la sottovalutazione e la genericit sui temi pi controversi dalle questioni del lavoro alla giustizia distributiva -, nonch la teorizzazione della decrescita sino ad apocalittiche profezie sullimminente esaurimento del capitalismo. Per essere postideologico, dichiarandosi n di Destra n di Sinistra categorie superate ed inservibili , il Movimento 5 Stelle annovera elettori, simpatizzanti, militanti di provenienza politica e affiliazione culturale assai eterogenea, transfughi della Sinistra il Sindaco di Parma Pizzarotti in passate elezioni ha votato anche per Rifondazione comunista e conservatori tradizionalisti, laici furiosi e cattolici integralisti, moderati delusi, integrati frustrati e apocalittici pentiti. Certo ridurre il Movimento a semplice braccio operativo del suo leader, un leader che probabilmente non ha dimestichezza con lantica dottrina della gnosi della quale, tuttavia, riprende la separazione manichea tra noi e loro, tra il bene e il male, applicandola alla politica in unindistinta e indifferenziata assimilazione al vizio per tutti i partiti ed unacritica esaltazione delle virt di ogni sorta di attivismo, sarebbe forviante. Al di l della sua stessa predisposizione ad emettere editti e lanciare fatwe, del suo indubbio ascendente, dellempatia che caratterizza Beppe Grillo in
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Per essere postideologico, dichiarandosi n di Destra n di Sinistra categorie superate ed inservibili , il Movimento 5 Stelle annovera elettori, simpatizzanti, militanti di provenienza politica e affiliazione culturale assai eterogenea

quanto capace di forti pulsioni, di trasmettere un sentiment immediatamente riconoscibile dalla plateacerchia degli spettatori-sostenitori. Sarebbe forviante perch anche il fenomeno 5 Stelle va ricondotto a pi generali processi che hanno incoraggiato lemergere dei populismi contemporanei: la globalizzazione con i suoi effetti destabilizzanti le forme tradizionali della politica, la crisi di legittimazione delle democrazie e del potere decisionale delle elites, le promesse abortite e le innovazioni non mantenute dai riformismi nazionali, il dilagare della corruzione e dello spreco nei regimi politici occidentali. Resta, tuttavia, il fatto che Beppe Grillo costituisce un riferimento ineludibile e svolge una funzione catalizzatrice, oltre le stesse modalit di esercizio della propria leadership, fungendo da detonatore di messaggi che dalla sua figura hanno ricevuto amplificazione e tratto moltiplicata eco. Senza contare che gli articoli del non statuto fanno di lui lassoluto padre-padrone del Movimento 5 Stelle, incontrastabile e incontendibile quanto alla titolarit del simbolo e della guida. Quel movimento che soprattutto a lui, nella compresenza di attori di disparata provenienza e formazione quindi anche i nativi deve imprinting politico e reductio ad unum. Qui le esternazioni, le prese di posizione di Beppe Grillo, soprattutto le pi recenti, dicono di unispirazione antipartitica ed antipartitocratica di tipo selettivo quanto alluso delle argomentazioni e alla stessa individuazione dellavversario politico, con una torsione evidente contro il Pd dopo la disgregazione del forzaleghismo, nonch di una progressiva utilizzazione di tematiche volte alla precipitazione in chiave destabilizzante della crisi: dallattacco alleuro al ritorno alla lira, dalla polemica anti Europa, ben oltre le tendenze euroscettiche, alla santificazione della democrazia iraniana. Un battage polemico teso allacquisizione su base populistica di un pi largo consenso lesacerbazione del circuito delle ostilit in materia di immigrazione, il rifiuto dello ius soli per gli stranieri nati in Italia, la celebrazione di una giustizia rieducativa di piazza , sino alla valorizzazione del Porcellum come possibile remunerazione elettorale e come tornaconto presso unopinione pubblica sempre pi indignata nel caso del suo mantenimento. Senza contare ladozione di un machismo offensivo e degradante. Linee politiche, tendenze culturali, orientamenti che vanno apertamente contrastati nella loro portata illiberale e

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La Lettura valenza regressiva, rispetto ai quali finiscono con lopacizzarsi le legittime aspirazioni ad una democrazia attiva, ad una cittadinanza responsabile, ad una modernizzazione riflessiva che certamente appartengono a elettori ed esponenti del Movimento 5 Stelle impegnati a riscattare il Paese dai ricorrenti pericoli costituiti dal predominio di interessi particolari, dalla persistenza delle oligarchie, dalla scarsa visibilit del potere, dalla mancanza di unetica pubblica, dalla degenerazione partitocratica. Una sfida che il Pd deve raccogliere ed un cimento sul quale misurare la propria credibilit riformistica e le proprie aspirazioni di governo.

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Parole tossiche
Graziella Priulla
insegna Sociologia dei processi culturali allUniversit di Catania

orse non sufficiente, certo necessaria, la comunicazione chiave della politica almeno per due motivi. Il primo: discorsi diversi costruiscono diversamente il mondo. La lingua non ha solo la funzione di rispecchiare i valori, ma anche quella di concorrere a determinarli, organizzando le nostre menti. Parlare non mai neutro. Il secondo: se la democrazia una convivenza umana basata sul dialogo, il mezzo che permette il dialogo deve essere oggetto di una cura particolare.

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La Lettura Le parole sono fragili: possono essere tradite, violentate, storpiate, o ingozzate di significati perversi, o svuotate dallassenza di pensiero. Possono diventare veleni, diffondere tossine man mano che i confini della decenza si spostano in avanti. Spetta ai cittadini sentirle proprie, difenderle come bene prezioso. Labitudine fa accettare linaccettabile. Mentre ci abituiamo allo stravolgimento del linguaggio il nostro palato si fa pi rozzo, la nostra soglia di attenzione si abbassa. Alla fine, sopporteremo di tutto. E quanto accaduto in questi ventanni? A forza di dosi quotidiane, siamo gi mitridatizzati? Si cominciato con lo stile, il gentese in canottiera studiato da linguisti e massmediologi: ha sdoganato in sedi ufficiali il dito medio alzato, la pernacchia, la sintassi zoppicante, entro un arsenale di metafore bellicose. La plurilodata rottura con i codici politici si basata sul primitivismo dei corpi e dei gesti (il cappio in Parlamento ) pi che sulle argomentazioni. La tecnica dellesaltazione della folla, purtroppo di antica memoria, si attuata per mezzo di invettive e di provocazioni al solo scopo di eccitare il pubblico. Tutti abbiamo convenuto: che bravi comunicatori!, e tra un gestaccio, un rutto, un insulto ci siamo ridotti a chiamare schiettezza la trivialit esibita come marchio di fabbrica. Il celodurismo stato derubricato a spirito colorito, innocua sparata a salve. Per la gente del nord rude e virile, che lavora e va al sodo, decenni di femminismo sono passati invano. Io sono come voi!: la politica tribunizia, talvolta anche entro i travagli identitari di una sinistra esangue, ha blandito luomo della strada immaginandolo come un gran cafone, di contro agli intellettuali snob e radical-chic. Imbarazzante e grottesca, una classe dirigente che fa sentire non popolo chi sia minimamente istruito e costumato; lantipatia per Monti, varesotto s ma professore british style, antropologica prima dessere politica. Sono stati definiti grandi leader quelli che parlavano alla pancia. Si dimostrato fruttuoso blandire il vasto blocco sociale del risentimento e del mugugno, il malcontento generalizzato, i rancori inespressi non solo dei padroncini brianzoli, ma dei cassintegrati piemontesi,

La plurilodata rottura con i codici politici si basata sul primitivismo dei corpi e dei gesti (il cappio in Parlamento ) pi che sulle argomentazioni

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La Lettura dei pensionati veneti. La pancia di un Paese impoverito, invecchiato e stagnante fabbrica spauracchi, rincorre e amplifica ansie e paure, stimola pulsioni razziste e xenofobe. E letnia pi pericolosa che esista, quella che ragiona con la pancia: parla il linguaggio dellodio. Nella desemantizzazione guidata dalle viscere le ronde non sono squadracce ma volontari della sicurezza, i lager si presentano come centri di accoglienza, la violazione deontologica dei medici nei confronti dei clandestini diventa dovere civico. Un consigliere leghista di Albenga dichiar che per gli immigrati ci vogliono i forni, e il sindaco della graziosa cittadina ligure lo scus dicendo:si tratta di persona briosa e genuina. Quando li abbiamo sentiti inserire nella coalizione dei moderati, perch non siamo stati capaci di esprimere nessuna rivolta? Uno degli araldi dei moderati era ed Mario Borghezio, quello che vuol ramazzar via omosessuali, zingari e prostitute. Fu multato per aver picchiato un bambino marocchino. Sul treno Milano-Torino disinfett gli scompartimenti in cui erano sedute alcune nigeriane. Sub una condanna a 5 mesi, assieme ad altri volontari verdi, per lincendio di un ricovero di migranti. Ci rappresenta in Europa. I moderati coltivano ligiene pubblica: un armamentario di violenza non solo linguistica. Gli uomini della Lega chiedono controlli igienicosanitari nelle residenze degli stranieri e, invocando maggior rigore di fronte al reato di immigrazione clandestina, invitano - parola di Davide Boni - i milanesi doc a trasformarsi in agenti della Stasi, segnalando gli immigrati irregolari. Dobbiamo armare la marina col bazooka e sparare ad altezza uomo; gli immigrati bisognerebbe vestirli da leprotti per fare pim pim pim col fucile (Gentilini, il sindaco-sceriffo figlio della Lega pi ortodossa). Intanto leggi crudeli trasformano il Mediterraneo in cimitero, e noi ci stiamo disumanizzando. Perch labbiamo tollerato? Anzi, imitato? Nella Toscana che fu rossa il tentativo di costruire una moschea in un fazzoletto di terra fuori da un paese come Colle Val dElsa vide mobilitazioni simili a quelle dei leghisti davanti a un campo rom. Nelle Case del popolo
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La Lettura serpeggiano strani discorsi, velate insofferenze, rabbiose insicurezze. Un altro tema caldo lomosessualit. Invece di creare la Margherita, questi signori, visto che esaltano il gaypride, utilizzino come simbolo il finocchio! (Calderoli, il ministro, quello della maglietta anti-Islam del 2006). Dar disposizioni ai vigili urbani affinch facciano pulizia etnica dei culattoni (Gentilini). Qua rischiamo di diventare un popolo di ricchioni, essere cullatoni un peccato capitale (Calderoli). Possiamo riconoscere le coppie gay solo a patto che si facciano castrare come i capponi e donino i loro organi alla scienza (Bertozzo, consigliere comunale a Verona, 1995). Listigazione allodio non un reato? (della condanna per razzismo vado fiero: Flavio Tosi, sindaco di Verona, 2007). E lidea di pulizia etnica, non fa rabbrividire? Diffidenze, confini, barriere, chiusure hanno costruito un apartheid nostrano fuori del tempo (Carrozze metro solo per milanesi, Salvini, eurodeputato), nel nome di una stravolta sicurezza che imbarbarisce le relazioni umane, poggia sulla ricerca del nemico e del capro espiatorio, radicalizza le polarizzazioni dei pi rozzi pregiudizi, resuscita il concetto di etnia (dobbiamo dimenticare lelogio al patriota Mladic?). Sono stati in tanti, nel mondo accademico, in quello giornalistico, in quello politico, a dargli credito, a sostenere che questo grande partito (a un certo punto - Dio ci guardi - perfino costola della sinistra) interpreta la questione settentrionale, il malessere del nord, oppure le vocazioni del territorio. Un povero territorio cui stata strappata ogni bellezza, uniformato dai capannoni e sfregiato dagli scarichi industriali, ridiventa importante se si fa sinonimo di bacino elettorale. A proposito: lincerto toponimo Padania per il vocabolario un bacino idrografico, per la Societ Geografica Italiana (cfr. Bollettino 2010) un termine privo di fondamento storico-culturale. Figuriamoci il popolo padano, che difende la lingua autoctona ma non sa quale: la base linguistica dei vari dialetti settentrionali diversa. Daltronde non servono confini, non si cercano definizioni: la Padania stata inventata per escludere (i meridionali, gli extracomunitari, Roma); importa non ci che (la Lega sa benissimo che la secessione non si far mai), ma ci che non (la preposizione pi ricorrente contro).
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La Lettura Alla base del rifiuto e della chiusura c una ragione economica: temo che laltro porti via la mia roba. Ci che accomuna friulani, veneti, bergamaschi, milanesi, piemontesi, liguri - diversi per storia, cultura, tradizioni e spesso, nei secoli, in conflitto fra loro - oggi la condizione relativamente pi florida rispetto al resto dItalia. Insomma, i baiocchi come collante, un collante che aiuta a decifrare il lungo sodalizio con mister B., seppur definito da Bossi mafioso di Arcore (la Fininvest nata da Cosa Nostra, ne la Padania del 27 ottobre 1998). Strani cattolici, che adorano i dan e odiano gli stranieri. La Chiesa ha trovato a lungo in questa barbarie un referente politico: com stato possibile? Forse perch la Lega di governo faceva da stampella ai traffici di Cl? Strano ministro dellinterno, quel Maroni cui sarebbe spettato il compito istituzionale di reprimere i movimenti secessionisti in difesa della Repubblica una e indivisibile. Strana, questItalia postmoderna: nelle regioni che furono bianche un partito dalle sbavature caricaturalblasfeme al limite della goliardia, che tra Soli delle Alpi, cosmogonie celtiche, epopee druidiche e saghe di elmi vichinghi coltivava riti come lampolla dellacqua del dio Po, ha mietuto consensi per ventanni. Solo ora - allepilogo della mesta parabola biografica del leader maximo - i Bobo-boys tentano di procedere oltre il sacro prato di Pontida, vedremo con quanta fortuna. Cercano unimplicita svolta in quel Nord, che ha sostituito la Padania nel nuovo claim maroniano. Non c nulla di improvvisato. Dietro i miti c unaccorta regia, dietro lapparente spontaneit si cela la pianificazione del marketing politico. Fu ad esempio grazie a uno studio che gi rivelava lusura del modello bossiano, che la Lega nel 2008 raddoppi i propri consensi. I toni vennero abbassati e venne proposto, accanto al solito stile urlato, un doppio regime pi morbido, quello degli esponenti oggi in, da Cota a Zaia (non pi lanciafiamme, ma: reato offrire anche solo un the caldo a un immigrato clandestino). Purch gli italiani non si facciano incantare da questo o da altri restyling; purch la sinistra riesca a costruire un altro tipo di rappresentanza. Il futuro potremo inventarcelo pi degno solo se rifiuteremo di accettare i significati altrui; se riprenderemo
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La Lettura a rispettare le parole e a pretendere che vengano usate con attenzione e onest, coraggio e coerenza. Il linguaggio avvelena solo se glielo consentiamo.

Solo ora - allepilogo della mesta parabola biografica del leader maximo - i Boboboys tentano di procedere oltre il sacro prato di Pontida, vedremo con quanta fortuna

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La risposta

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La rISPOSta

Missione Europa
Enrico Letta
deputato e vicesegretario del Pd

olpiscono, nella stagione drammatica che l'Italia sta oggi attraversando, le tante analogie con quanto avvenne nel Paese esattamente vent'anni fa, nel biennio '92-93. Allora come oggi, un sistema politico e istituzionale in crisi si trov dinanzi all'imperativo di auto-riformare se stesso per reggere l'urto di trasformazioni tumultuose. Allora come oggi, il Paese reag con un'ondata di indignazione anti-politica agli errori commessi dal sistema medesimo tanto in termini di etica pubblica quanto sul versante della capacit amministrativa e di governo. Allora come oggi, il risentimento nei confronti dei partiti tradizionali ebbe effetti particolarmente pervasivi e, col senno di poi, duraturi nelle regioni produttive del Nord Italia. Il Nord laborioso tradito dal pentapartito, costretto a sostenere la zavorra dell'"assistenzialismo clientelare del Mezzogiorno, diffidente verso le forze di sinistra, spaventato al cospetto dei nuovi scenari e dalla nuova competizione economica che la fine della guerra fredda stava gi dischiudendo. Di istanze di questo tenore, complice anche l'approssimazione con le quali le si tratteggi nel dibattito pubblico, la Lega Nord si fece, com' noto, portavoce. E sullo sfondo di Tangentopoli Umberto Bossi riusc a emanciparsi dai ritratti caricaturali delle cronache locali per divenire, nellarco di pochi mesi, un personaggio d'interesse internazionale: il capo di uno dei primi movimenti dichiaratamente secessionisti in una democrazia avanzata dell'Europa post-bipolare. Di quanto questa prospettiva secessionista fosse, nel biennio '92-93, concreta e temuta si forse appannata la memoria nella ricognizione storica della parabola della

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La rISPOSta Lega, nei decenni successivi associata prevalentemente alla deriva xenofoba, alla (presunta) grande capacit di radicamento sui territori, alle contraddizioni di un partito per anni di lotta e di governo, all'abbraccio col berlusconismo. Eppure, proprio in quell'orizzonte, evocato, di separazione del Nord dal resto del Paese che pu individuarsi, ancora oggi a mio avviso, il cuore stesso della questione settentrionale. Una questione che con tutta evidenza nazionale, per gli squilibri abnormi storicamente sedimentatisi con il Sud d'Italia, ma che, al contempo, ha una proiezione europea profonda e assai rilevante. Nasce dalla vicinanza geografica e culturale con le regioni produttive pi dinamiche del Vecchio Continente. Si nutre del contrasto tra i fattori di svantaggio competitivo che condizionano le performance degli attori economici e sociali nei diversi Paesi. Cresce in misura proporzionale all'evocazione delle grandi opportunit di eccellenza che il Nord, da solo, potrebbe avere se messo nelle condizioni di competere ad armi pari con gli altri. la carica politicamente esplosiva di questa evocazione che Bossi paradossalmente poi trasformatosi nel leader pi anti-europeista della seconda Repubblica intu per primo nel '92. E lo fece proprio nel momento in cui l'Europa viveva, con Maastricht, uno degli snodi pi cruciali del percorso d'integrazione comunitaria e l'Italia mostrava il fianco delle sue molteplici fragilit di sistema, con l'uscita dallo SME e lo spettro di un'esclusione, apparentemente inevitabile, dalla prima fase del processo di unificazione monetaria. Come and in seguito storia recente di questo Paese e dell'Unione europea. Di certo c' che alle pulsioni separatiste, e al rischio effettivo che esse potessero diventare qualcosa di pi dello slogan di un movimento comunque marginale nel panorama politico italiano, posero un argine invalicabile solo l'azione diplomatica, il risanamento economico e lo straordinario sforzo collettivo per portare l'Italia in Europa condotto negli anni successivi da Carlo Azeglio Ciampi e da Romano Prodi. Dopo, i leghisti si accontentarono di sventolare la ben pi sbiadita bandiera del federalismo. Dopo, il furore secessionista si smorz nel folklore delle ampolle sul Po e nelle provocazioni della Padania. Fu con Ciampi e Prodi, dunque, che il Paese tutto
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La rISPOSta

Fu con Ciampi e Prodi, dunque, che il Paese tutto intero, non solo la sua parte pi ricca e competitiva, riusc a centrare l'obiettivo dell'ingresso nell'euro

intero, non solo la sua parte pi ricca e competitiva, riusc a centrare l'obiettivo dell'ingresso nell'euro. E lo fece con lo spirito di una missione condivisa, realmente nazionale e unitaria. Di quella missione siamo stati testimoni o protagonisti. Senz'altro ne siamo eredi e senz'altro dobbiamo esserne orgogliosi, perch si tratta della pi qualificante esperienza di governo del centrosinistra italiano. un'eredit tanto pi onerosa e gravida di responsabilit in un momento complesso come quello attuale, nel quale alle scosse che minano la tenuta delle istituzioni e della politica si accompagna una crisi epocale, la peggiore che le generazioni contemporanee abbiano mai conosciuto. crisi europea e globale: di senso e di valori, di strategie e di proposte. E il populismo, nelle sue differenti e pericolosissime varianti italiane, se ne alimenta. Cos come si alimenta dei nostri limiti: del ritardo ancora di un'autoriforma rigorosa della rappresentanza politica e dei corpi intermedi, di una deviazione endemica dalle regole nella gestione della cosa pubblica, dell'incapacit di fornire, a livello nazionale ed europeo, risposte concrete e multidimensionali a problemi complessi e spesso inediti. L'impatto, a ben vedere, ben pi corrosivo di quello del leghismo. Non solo Nord contro Sud, ma tutti contro tutti. Contro politici e governanti: parassiti, sciacalli, profittatori. Contro l'euro e l'Europa. Contro le istituzioni terze e garanti della tenuta della Repubblica. Rispetto a questa offensiva senza precedenti una grande forza come il Partito Democratico ha l'obbligo di parlare e di praticare il pi possibile il linguaggio della verit e dell'unit, abbandonando ogni tentazione malsana di un ritorno alla logica del conflitto, dello scontro ideologico, degli elettorati di riferimento, degli interlocutori privilegiati. E ha il dovere di farlo a partire dal Nord, dove la spinta populista dopo il tracollo della Lega e l'inizio della fine di Berlusconi pare attecchire con pi rapidit e intensit. Dove il lavoro, autonomo o dipendente, progressivamente eroso dalla crisi e le opportunit di realizzazione umana e professionale si restringono ogni giorno di pi. Dove il capitalismo sta cambiando pelle e da molecolare si fa di coalizione, con le imprese, quelle che resistono, che provano a mettersi insieme per

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La rISPOSta competere meglio o tentare strategie di penetrazione sui mercati esteri che nulla hanno a che vedere con le delocalizzazioni vecchia maniera. Dove lo Stato viene percepito come assente quando si tratta di erogare servizi e prestazioni, o di pagare i propri debiti, e presentissimo, invece, quanto c' da riscuotere le tasse. Per arginare questo populismo e fornire risposte autorevoli a una trasformazione del genere, che del resto procede a ritmi inarrestabili ovunque, indispensabile, anche oggi, una missione alta e di prospettiva, che indichi una luce in fondo al tunnel delle difficolt e della disperazione, che restituisca parzialmente un senso ai sacrifici affrontati e a quelli da affrontare, che abbia davvero il sapore della costruzione di futuro e dell'interesse generale. Questa missione, oggi come allora, si chiama Europa. O meglio, si chiama Stati Uniti d'Europa. Ed di gran lunga pi ambiziosa e pi faticosa di quella degli anni Novanta. In discussione non ci sono, infatti, solo i tempi, variabili, dell'integrazione di questo o quel Paese, di questa o quella regione, e neanche le pur rilevanti procedure di europeizzazione di questa o quella politica pubblica. In gioco ci sono, piuttosto, la ridefinizione dei concetti

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La rISPOSta stessi di sovranit politica ed economica in Europa e la sopravvivenza di un modello di pace e di benessere, di crescita e di protezione sociale, eretto lungo tutto il Novecento ma oggi non pi sostenibile cos com'. il futuro di questa e delle generazioni a venire che si decider nei prossimi mesi. E solo chiamando a raccolta le migliori energie a disposizioni del Paese e riguadagnando il suo consenso a maggior ragione al Nord, che troppo a lungo non siamo stati in grado di capire e di guidare potremo farci interpreti e sostenitori pi convinti degli Stati Uniti d'Europa, sventando quel rischio-conflitto che tutti i populismi e tutti i separatismi, per definizione, inevitabilmente riflettono e amplificano.

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Ora tocca a noi


Piero Fassino
sindaco di Torino

ra le molte manifestazioni della crisi che vive lItalia vi la caduta di consenso della destra, in particolare nel nord del Paese. Lesito fallimentare dellazione di governo di Berlusconi prima e la crisi morale e politica che ha investito la Lega nord poi hanno aperto infatti un vuoto di rappresentanza politica di quella parte di opinione pubblica che nel nord per quasi ventanni ha scelto di affidarsi alla destra. Sono ceti - in primo luogo professionali e produttivi, ma anche popolari che avevano creduto ad una destra capace di modernizzare uno Stato burocratico e lento, di ridurre una pressione fiscale vissuta come vessatoria, di restituire competitivit e mercati a imprese insidiate dalla globalizzazione, di offrire a ciascuno pi opportunit per la propria vita. Erano questi i messaggi forti lanciati dalla destra ad un nord che si sentiva mortificato nella sua capacit imprenditoriale, oppresso nel suo dinamismo sociale, frustrato nella sua ricerca di modernit. E che considerava lo Stato, i partiti, la politica responsabile di tutto ci. La crisi si incaricata di dimostrare quanto fossero illusori, velleitari e propagandistici i messaggi della destra. E via via cos maturata una crisi di fiducia e di credibilit che ha incrinato e poi infranto il rapporto tra destra e nord. Una crisi peraltro resa manifesta dal profondo mutamento conosciuto nellultimo anno dalla geografia politica e istituzionale del nord, che oggi vede tutti i capoluoghi di regione Torino, Milano, Genova, Venezia, Bologna, Trieste, Trento e Bolzano guidati da giunte di centro sinistra. Cos come di centro sinistra sono oggi la maggioranza dei capoluoghi di provincia del nord Italia. Tre regioni Liguria, Emilia Romagna, Trentino sono da sempre guidate dal centro sinistra. E nelle quattro regioni governate dal centro
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La rISPOSta destra sono evidenti i segni profondi di consenso in quei settori che pure alla destra hanno dato i loro voti per anni. Al punto che se si votasse oggi, almeno due di quelle quattro Regioni verrebbero perdute dal centro destra. C, dunque, oggi un grande spazio al nord per chi voglia ascoltarne le ragioni, comprenderne le ansie, raccoglierne le domande. Ma per farlo occorre saper leggere la questione settentrionale, riconoscerne i caratteri, coglierne la specificit, cosa che in questi anni spesso non avvenuta, suscitando in una vasta parte di opinione pubblica del nord un sentimento di estraneit - quando non di ostilit e di rancore - verso lo Stato, la politica, i partiti. Cosa si intende, dunque, per questione settentrionale?

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La rISPOSta Ci si riferisce allemergere di fenomeni e dinamiche che, pur manifestandosi in tutto il Paese, hanno nel nord una particolare intensit o criticit. Alcune cifre spiegano pi di ogni parola. Nel nord si concentra il 70% dei lavoratori dipendenti privati e si manifestano con maggiore acutezza le tante criticit che vive il mondo del lavoro, a partire dalla condizione di precariet occupazionale che insidia tanti giovani e inquieta le loro famiglie. Nel nord si concentra il 65% del lavoro autonomo italiano, che vive con sofferenza il mancato riconoscimento del patrimonio di sapere, saper fare, spirito imprenditoriale, capacit innovativa che migliaia di piccole e medie imprese e vasti ceti esprimono. Dal nord viene il 70% del gettito fiscale del Paese, il che rende manifesto perch qui il tema delle tasse sia cos sentito da unopinione pubblica che vive con fastidio un sistema fiscale ritenuto inquisitorio e punitivo, tanto pi quando ampio il divario tra ci che un cittadino allo Stato d e ci che riceve. Dal nord partono l85% delle esportazioni italiane, mettendo ogni giorno migliaia di imprenditori in diretta relazione con paesi e mercati nei quali ogni operatore pu comparare ci che trova l e ci che gli offre lItalia. E quando la comparazione sfavorevole al proprio Paese, ne discende un giudizio severo e duro che si traduce in una critica aspra in primo luogo alla politica, alle istituzioni, allo Stato. A fronte di una presenza di cittadini stranieri che in Italia si attesta sull8% della popolazione, nel nord quella quota ormai attestata al 15% (con aree che gi sfiorano il 20%). Il che d al fenomeno un impatto economico e unincidenza sociale molto pi alti e significativi. Ciascuna di quelle cifre ci indica, dunque, criticit specifiche che tutte corrono sotto la pelle della societ settentrionale. questo lhumus su cui cresciuto a partire dagli anni 90 il fenomeno leghista, che non a caso ha raccolto e radicato consensi con parole dordine Roma ladrona, padroni a casa nostra, Padania libera, prima di tutto i figli di qui che tutte davano voce ad un sentimento di estraneit allItalia e di ostilit alle sue istituzioni. La crisi economica e sociale se per un verso ha inizialmente radicato nel nord lillusione di potersi salvare da soli ha ben presto reso manifesto quanto fosse velleitario credere di evitare la bufera facendosi pi piccoli e rifugiandosi nel giardino di casa. Nel mondo grande della globalizzazione,
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Quando si ha a che fare con Cina, India, Brasile, Indonesia e tanti altri giganti economici, rinchiudersi nel Veneto o in Lombardia o nella presunta Padania illusione che conduce inesorabilmente in un vicolo cieco e senza uscita

farsi piccoli rende solo ancora pi piccoli e fragili. Quando si ha a che fare con Cina, India, Brasile, Indonesia e tanti altri giganti economici, rinchiudersi nel Veneto o in Lombardia o nella presunta Padania illusione che conduce inesorabilmente in un vicolo cieco e senza uscita. Cos come la crisi ha reso evidente che lUnione europea per quante criticit possa esprimere - dimensione necessaria e ineludibile per non essere travolti dalla crisi. in questo scenario che maturata la crisi elettorale e politica di Berlusconi e della Lega nord, che hanno pagato non solo la mediocrit di una classe dirigente che rapidamente si omologata ai comportamenti della peggiore politica; ma soprattutto hanno manifestato lassenza di visione politica e lincapacit di leggere e comprendere le trasformazioni del mondo di oggi. C dunque uno spazio grande, al nord, per chi voglia capirne le domande, le ansie, le istanze e raccoglierle traducendole in azione politica e di governo. Una responsabilit grande che le forze democratiche, il centro sinistra e il PD non possono, non devono declinare. Per dirla come Bersani, tocca a noi. Tocca a noi parlare al nord per dare risposte, offrire certezze, suscitare speranze. E cos liberare il nord dallillusione della solitudine, della separazione, del ripiegamento corporativo, per tornare a essere quellarea forte del Paese che traini lItalia intera nella rinascita.

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Il nostro federalismo
Vasco Errani
presidente della Regione Emilia Romagna

presto per fare unanalisi, a maggior ragione storica, del fenomeno Lega. Tanto pi ora, con la crisi del nuovo partito di Maroni e la nuova discesa in campo dellex alleato. Un dato per sotto gli occhi di tutti: lambizione giusta o sbagliata che fosse di rappresentare e far governare il Nord del Paese fallita. Quellidea ideologica e separatista del Nord come eccellenza produttiva contrapposta allarretratezza parassitaria della capitale e soprattutto del Sud non ha innovato le istituzioni, non ha portato efficienza, non ha dato impulso alleconomia e al lavoro. E il blocco Lega-Forza Italia e destra che su quellidea ha fondato la sua identit non ha fatto gli interessi n del Nord n del nostra Paese.. Perch lItalia, in questa complessa realt non pu (e non potr) essere guidata facendo leva su un gruppo di regioni sopra il Po animate da uno spirito di rivincita e di rivalsa nei confronti di un apparato statale pesante e burocratico identificato con Roma ladrona. giunto il momento allora di affermare con nettezza che con larmamentario ideologico molto mediatico messo in campo dalla Lega ad uso di Berlusconi, il centrodestra non ha saputo governare e riformare il Paese. Anzi, lo ha messo in crisi ulteriore, e fatto arretrare. E in ventanni non ha nemmeno saputo fare il federalismo, che il core business della Lega, la sua ragione dessere. Quel po di federalismo che c merito prima di tutto del governo di centrosinistra che, pur con maggioranze non ampie, ha comunque riformato il Titolo V della Costituzione imboccando la strada giusta e, ricordiamolo, con un disegno
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Il federalismo, come la questione del Nord produttivo, stato dallinizio sventolato dalla Lega in chiave separatista e demagogica

bipartisan uscito da una commissione bicamerale e condiviso con le Autonomie locali. E poi dellostinata battaglia che hanno condotto in questi dieci anni le Regioni, i Comuni e le Province. Il federalismo, come la questione del Nord produttivo, stato dallinizio sventolato dalla Lega in chiave separatista e demagogica. In questa stessa chiave, poi, stato bocciato dagli italiani al referendum sulla devolution ed naufragato: hanno capito che era uno strappo irresponsabile. Bisogna ricordarsi quegli anni. Di fronte (e in opposizione propagandistica) alla riforma del 2001, che fu invece confermata da un referendum popolare, abbiamo speso anni a rincorrere proclami, annunci e testi cosiddetti di riforma nati di volta in volta sui campi di Pontida, declamati in Tv, scritti da quattro amici in una baita di Lorenzago. Il federalismo stato per anni sequestrato dalla trattativa interna alla Casa delle libert. E in questo scambio di merce, ne abbiamo sentite di tutti i colori: dalla scuola in dialetto, alle ronde, al nuovo corpo di polizia (il sesto) regionale che avrebbe garantito la sicurezza dei cittadini pi degli altri cinque. Salvo poi vincere le elezioni con la promessa di abolire lunica tassa federalista che era lICI, tagliare i soldi trasferiti e accentrare a Roma funzioni e poteri (hanno ricreato perfino un ministero, quello del Turismo, con competenze esclusivamente regionali). Rivendico il lavoro svolto dalle istituzioni locali perch nel solco della riforma del 2001, le Regioni e le Autonomie locali hanno continuato ad impegnarsi con una visione che coniugava responsabilit e solidariet, poteri delegati e forte coesione nazionale. Non stato facile tenere insieme il Nord e il Sud, le Regioni governate dai partiti di Governo e quelle guidate dai partiti di opposizione, le Regioni e i Comuni. Voglio aprire qui una parentesi. In Emilia-Romagna, approvata la riforma costituzionale e fino al 2005, abbiamo attuato un processo di riorganizzazione federalista coerente con il nuovo Titolo V, adeguando il sistema Regione alle nuove competenze e stringendo con le istituzioni locali un patto per il federalismo che ha rafforzato un modo di governare vicino alle realt dei territori, capace di sollecitare la collaborazione e la partecipazione di tutti i soggetti pubblici e privati. Cos stato per la riforma dellassistenza, per le leggi sulla polizia locale, sulla scuola, sull'immigrazione, sullorganizzazione della sanit, sulla difesa del suolo. La legge sul patto di stabilit regionale approvata alla fine dello scorso

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La rISPOSta anno lultima dimostrazione di come sia possibile governare con la collaborazione di tutte le istituzioni e con atti di solidariet, di sistema, frutto di una condivisione di obiettivi. Per costruire uno Stato pi semplice (non pi ristretto) e vicino ai cittadini, che chiede risorse in cambio di servizi e di opportunit, che garantisce uguali diritti a chi ha e a chi ha meno, a chi abita nelle aree pi avanzate e a chi no. E non che il centralismo regionale sia migliore di quello statale! Ma noi lo abbiamo evitato. Perch resto convinto che il centralismo sia un modo vecchio e inadeguato per rispondere ai problemi sociali, alle necessit dei territori e della competitivit del sistema produttivo, ai bisogni dei cittadini. Oggi, non sessantanni fa. A Roma come a Bologna. E che come dimostra anche il lavoro fatto in Emilia-Romagna sia possibile costruire un federalismo solidale e cooperativo. Accantonati i propositi di devolution che ci hanno fatto perdere un bel po di anni, possiamo dire che con la legge delega sul federalismo fiscale del maggio 2009, la 42, siamo arrivati a scrivere un punto fermo e condiviso, grazie al contributo sia della commissione parlamentare che delle Regioni. Quella legge presenta molti tratti positivi, che ricordano come ho avuto modo di sottolineare anche nelle sedi ufficiali il progetto del Governo Prodi. Penso ad alcuni principi, di progressivit fiscale, di equit di trattamento tra Nord e Sud, tra piccole e grandi Regioni. Su quella legge sarebbe stato possibile costruire un nuovo patto unitario per il Paese, superando il centralismo sprecone e inefficiente. Ma di cosa parliamo se sono anni che, a fronte della legge e degli otto decreti che nel frattempo sono stati approvati, si tagliano risorse? Risorse legate, beninteso, alle stesse competenze che sono state trasferite alle Regioni! Anche con i decreti attuativi si proceduto a strappi, senza una visione dinsieme organica e con decisioni incoerenti perch di volta in volta centraliste. Il federalismo fiscale fermo. LIMU in gran parte sequestrata dal bilancio dello Stato; della sanit si occupano le Regioni ma a tagliare i posti letto ci pensa il Governo e in tre anni mentre noi si discuteva di attuare il federalismo fiscale sono venuti meno 20 miliardi. Di cosa parliamo se dal 2012 al 2014 saranno tagliati quattro miliardi e mezzo in sanit e un miliardo e settecento milioni ai trasporti? Due mesi fa ponemmo noi il problema della revisione della spesa, disponibili Regioni e Autonomie locali a fare uno sforzo per scegliere insieme dove contenere i costi senza per
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La costruzione di uno Stato federalista, fondato sul principio di responsabilit della spesa e sulla solidariet nazionale, un processo complesso e delicato che non era nella volont e nelle capacit dei Governi di centrodestra

colpire ancora una volta i servizi, la sanit, listruzione. E poi arrivata la spending review. Va bene la riorganizzazione della spesa, ma con questi tagli il servizio sanitario pubblico non regge. E lo dico anche per le regioni dove quel servizio efficiente e i conti sono in ordine. Ma, allora, di che cosa parliamo? Federalismo demaniale (il primo decreto, mai attuato), fabbisogni e costi standard, autonomia tributaria, sanzioni e premi per Regioni ed Enti locali, perequazione e rimozione degli squilibri: basta leggere i titoli dei decreti per capire che oggi non c spazio per riprendere il cammino del federalismo fiscale con gli altri decreti ministeriali e regolamenti necessari. La verit che la costruzione di uno Stato federalista, fondato sul principio di responsabilit della spesa e sulla solidariet nazionale, un processo complesso e delicato che non era nella volont e nelle capacit dei Governi di centrodestra, privi di una visione generale del bene dello Stato e dellinteresse generale. Ma un processo strettamente legato alla riforma dello Stato (a cominciare dalla fine del bicameralismo perfetto) e ad unidea di lungo respiro delle istituzioni e della societ che non pu essere attuato da un Governo tecnico.

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Zaino in spalla:
il civismo delle Terre Alte
Lorenzo Dellai
presidente della Provincia Autonoma di Trento

iamo in un tempo nuovo, nella nostra Italia di sempre. Non chiaro quale sar la prossima realt politica che il tempo ci riserva, ma le analisi catastrofiche sulla situazione italiana, quasi fossimo, come paese, vicini alla fine, ci inducono a pensieri neri. Poi per guardiamo a ci che abbiamo, a quel che siamo capaci di fare e il futuro si rischiara e ci fa sentire un popolo che ha il benessere pi a portata di mano di tanti altri. Ci tormenta il pensare ondivago, tra il pessimismo e lottimismo, che ci ostacola a vedere le cose come sono e ci impedisce di concentrarci sul fare, lasciandoci adagiare sulla schiuma delle nervature psicologiche medianiche. Quel che certo e che abbiamo bisogno di ritrovare il senso della nostra marcia. Non possiamo giocare in difesa. La politica ha questo compito, non da sola, non la sola, di aiutare il paese a trovare la sua strada. Negli ultimi anni la politica invece apparsa sostanzialmente lostacolo in questa ricerca. Il governo Berlusconi, tanta la distanza che aveva creato fra s e il paese, sembra ormai appartenere a unepoca remota. Il fallimento di Berlusconi il fallimento dellintero progetto che aveva venduto al paese, ed crollato sotto le macerie della crisi finanziaria. Aveva promesso un liberalismo di massa, ma si sono viste solo tasse. Aveva esordito in politica sullonda dellemozione anti corruzione di Tangentopoli per portare pulizia, ma tutti abbiamo sotto gli occhi il profilo etico offerto nella vita pubblica e anche in quella privata. E che dire della Lega Nord, la pi grande mistificazione della politica italiana degli ultimi ventanni? Dovevano spazzare via il malgoverno e gli sprechi, dare un ruolo nuovo al nord, di protagonista del cambiamento epocale. Dopo una lunga esperienza di governo, che vorrebbero far dimenticare

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La rISPOSta con questi ultimi mesi di opposizione, tornano a casa con le mani vuote. Non le loro, che magari saranno anche piene di nuovi sindaci, presidenti di provincia, di governatori, ma della gente del nord, che si ritrova oggi pi tasse di prima, servizi meno soddisfacenti e con limpressione, profonda e lacerante, di aver sprecato unoccasione, di aver giocato il buon nome del nord per nulla. Il tutto condito con lo scandalo dei fondi pubblici destinati al partito e finiti in maniera che forse meglio definire rocambolesca, per non usare espressioni pi crude. La Lega ha fallito nel suo compito di dare al nord pi autonomia, pi libert, pi sicurezza. Un movimento politico nato come anti-sistema ha contribuito a sostenere il pi personale, il pi accentrato, il pi inefficiente dei governi.Le colpe della Lega non solo dinefficienza, ma sono pi grandi ancora. Ha speso tutto il credito del nord non per riformare il Paese, bens pi semplicemente per affermare un potere di gruppo, di partito, in nome di un popolo che meritava ben altra rappresentanza.Oggi ahim i problemi del nord rimangono intatti. C unautonomia da difendere da rigurgiti di neocentralismo; c la sicurezza a cui tutti i cittadini hanno diritto e c una tradizione che deve essere difesa e sviluppata; c una crisi economica che deve trovare migliori soluzioni. Ma non pu pi essere la Lega Nord linterprete del riscatto e dellorgoglio del nord. Il nord ha fatto lItalia; ha creato le maggiori imprese e dispone del tessuto pi ricco di piccole imprese di tutta Europa. Ha diritto a rivendicare la qualit della spesa pubblica e ha diritto a reclamare le risorse per lo sviluppo. Ma deve cambiare lapproccio: meno folclore e pi strategia. Pi pensiero sulle cose di cui il nord ha bisogno e meno masanielli, sia pure con la parlata del nord. La tradizione del nord non fatta da arruffapopoli, ma da gente concreta che ha ben presenti i problemi e le necessit di un territorio, che sa vedere oltre il proprio naso e sa guardare oltre i suoi confini. Questo nord aspetta nuovi interpreti politici generali, che sappiano far pesare le nostre regioni sul piano delle scelte strategiche nazionali. Abbiamo bisogno di mettere la responsabilit personale al centro della politica, ma abbiamo anche bisogno di maggiore relazionalit a tutti i livelli. Abbiamo il nostro modo peculiare, italiano, di fare impresa e di fare sociale, non il decisionismo che ci manca (semmai

La Lega ha fallito nel suo compito di dare al nord pi autonomia, pi libert, pi sicurezza

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La rISPOSta le decisioni), ma il crescere insieme, un darsi obiettivi collettivi e condivisi. Dobbiamo riprendere il primato della comunit, che ha permesso a molti di avere una promozione economica e sociale senza penalizzare nessuno. Nel mio Trentino comunit e cooperazione sono due tratti distintivi di cui siamo molto orgogliosi. Coniugano il fare impresa con la solidariet e soprattutto con la libert. Ognuno persegue il proprio successo non prescindendo per dal resto del mondo, ma proprio grazie allagire collettivo, di cui le Comunit di valle sono buona prova, ognuna rafforza laltra. Il mio invito che la politica, che collettiva per definizione, riprenda e sviluppi questa caratteristica peculiare del nostro paese e laccompagni con proposte, norme di legge, contesti amministrativi che ne valorizzino loperato. La responsabilit personale, il coraggio di metterci la faccia per le cose in cui si crede devono andare di pari passo con la riscoperta della politica come formazione della volont collettiva e nella liberta di scelta di ciascuno. Su queste basi pu essere costruito il futuro del nord e il futuro dellItalia. Non si tratta di unattitudine e neppure di formule schematiche, quanto di linee guida che aiutino la creazione di una nuova fase del paese. C, nel nord, unarea particolare, dove questi processi impattano in maniera ancora forte: larea alpina, della montagna e delle valli. Queste Terre Alte sono, oggi, insieme, luogo esponenziale di cambiamenti e di contraddizioni, ma anche un grande giacimento di risorse. Sono territori nei quali si esprime il rischio di spaesamento, di fronte al venir meno delle forme tradizionali dei servizi, pubblici e privati dagli uffici postali ai piccoli negozi; dalle piccole scuole ai parroci del lavoro, della rete istituzionale. Ma le terre Alte custodiscono anche risorse preziose per tutti. Risorse naturali, paesaggistiche, culturali e civili. Custodiscono una grande parte del patrimonio di volontariato, di mutuo aiuto, di autogoverno: insomma, di quei valori civili ai quali bisogna pur attingere per ritrovare la via duscita dal labirinto dei falsi valori nel quale il paese si cacciato dagli anni novanta in poi. Le Terre Alte hanno custodito anche, in questi anni, unaltra risorsa preziosa: una cultura politica autonomistica, vera alternativa sia al neocentralismo sia al separatismo. Una cultura politica autonomistica che si esprime oggi attraverso tante formazioni politiche territoriali che, lungo tutto larco
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alpino, interpretano antichi valori e bisogni di modernit. Noi trentini siamo autonomisti da sempre. Lo eravamo quando il Trentino era parte dellImpero Austro-Ungarico; lo siamo stati e lo siamo nellambito dellItalia. Sappiamo, lo abbiamo imparato sulla nostra pelle, che nazionalismi e separatismi sono due facce della stessa medaglia. Una medaglia che non ci piace. Abbiamo imparato da Alcide Degasperi e dagli altri padri fondatori del nostro assetto istituzionale che lautonomia prima di tutto responsabilit, esercizio difficile di appartenenze plurime. Queste espressioni politiche oggi sono molto marginali nella rappresentazione stereotipata ed artificiosa che la politica d del nostro Paese e sono escluse dal circuito mediatico che mette in scena un racconto tutto ambientato nei paraggi dei palazzi del potere. In questo racconto la voce politica della montagna, delle sue citt come delle sue valli, semplicemente non c. Ma c nella vita reale.

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Abbiamo bisogno anche noi italiani di ripartire, di non indugiare oltre, di ritrovare le tracce del sentiero

Per quanto mi riguarda, ho deciso di impegnarmi a fondo, affinch queste forze si mettano in rete, si facciano conoscere, si rafforzino in modo federato, per offrire cos il proprio contributo ad una politica italiana che torni a essere pi vera, meno artificiale, pi capace non tanto di parlare al Paese, quando di abitarlo, di capirlo, di viverlo. Ritornare al Paese qualcosa che va oltre le sue esigenze economiche, di sistema, ma un profondo ripensare a ci che fa di noi, del nostro paese, qualcosa di significativo, che merita di essere amato, di crescere nei tempi nuovi, non solo come memoria del passato. Ritornare al Paese perci unoperazione che richiede grande creativit, perch il nostro passato rappresenta un vantaggio competitivo non da riservare alla contemplazione, ma per innovare, inventare il nuovo che si agganci al mondo che cambia. E allora, Zaino in spalla!. Sono queste le parole che precedono la partenza di una comitiva in montagna, quando un gruppo di amici sta per cominciare il cammino oppure per riprenderlo, dopo una pausa. Parole dai molti significati. Invitano a partire, a non indugiare oltre nellattesa, perch spesso il cammino non n breve n agevole. Si intende che ognuno porta la sua parte, il peso che giusto: non di pi, non di meno. Nel primo caso non si supera la salita e si resta indietro; nel secondo si fa i furbi e si viaggia a spalle degli altri. E questo contrario allo spirito della montagna, che spirito di condivisione. Vuol dire stare insieme. In cordata. E davanti va chi conosce il sentiero. Il capo cordata, che tale perch tutti hanno fiducia in lui, della sua capacit di leggere i segni e di portare gli amici fino al rifugio, anche se il tempo peggiora, anche nelle nebbie che talvolta nascondono le cime e confondono il paesaggio conosciuto. Abbiamo bisogno anche noi italiani di dirci e sentirci dire: zaino in spalla!. Di riprendere il cammino, in cordata, dietro capi degni di fiducia e di rispetto, caricati di un peso giusto e proporzionato alle capacit. Abbiamo bisogno anche noi italiani di ripartire, di non indugiare oltre, di ritrovare le tracce del sentiero. Perch le nebbie nascondono le cime e coprono la meta, ma non le cancellano. Basta ritrovare il sentiero, se per un attimo lo si perso. Riprendere il cammino per ritrovare lItalia. E allora... Zaino in spalla!.

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Il nord e noi
Debora Serracchiani
europarlamentare del Pd

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l 17 ottobre del 2009, intervenendo a Vicenza davanti ad una platea di imprenditori del Nordest, l'allora segretario del Partito Democratico Dario Franceschini fece un mea culpa che non manc di suscitare polemiche: Abbiamo sbagliato a guardare con sospetto e diffidenza il mondo dell'impresa, quelle migliaia e migliaia di piccole e medie imprese, di artigiani, di chi rischia di tasca sua. Abbiamo sbagliato a trattarvi come un popolo di potenziali evasori, interessati solo al profitto. E per tutto questo concludeva chiedendo scusa. Dopo quasi tre anni il mondo cambiato completamente, e noi dobbiamo tornare a parlare di Nord e del rapporto fra questa parte vitale del Paese e il Partito Democratico, chiedendoci se in questo periodo siamo stati effettivamente in grado di colmare il gap politico indicato da Franceschini. Si arriva alla nozione matura di nord attraverso una serie di rcits iniziati con il triangolo industriale e il Limonte, il nord-est e la piattaforma alpina, con MiTo fino alla Padania passando per la questione settentrionale a far da contraltare alla questione meridionale. Una parte delle classi dirigenti, pi locali che nazionali, ha cercato di indicare una prospettiva e, dentro di essa, di risolvere il tema della rappresentanza politica e sociale. Nel passato, questo sforzo stato compiuto dai socialisti, che hanno cercato di dare voce ai ceti emergenti urbani; pi recentemente la Lega ha fatto prevalere istanze conflittuali con il potere centrale individuando il fisco, la burocrazia, l'uso della spesa pubblica e la sicurezza, come questioni reali su cui ha trovato non solo consenso popolare ma pure credibilit e opportunit di governo. La spinta al federalismo incompiuto ha queste origini. Le componenti cattolica e comunista per un lungo tempo
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La rISPOSta hanno privilegiato il governo locale, riuscendo a presidiare il territorio anche nei momenti di debolezza elettorale, ma senza diventare soggetti riconosciuti come capaci di una rappresentanza profonda del nord e delle sue aspettative. Neanche il partito dei sindaci riuscito nell'intento di dare forma compiuta alle istanze del nord all'interno del federalismo, del glocalismo, della globalizzazione e dell'economia mondo. Quando qualcuno di essi, come Riccardo Illy, ha trovato una sintesi efficace, ha affermato che al nord si vince con "fisco e strade". Anche nel Partito democratico abbiamo parlato molto di

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La rISPOSta Nord, declinandolo in vario modo. Allindomani della fondazione, nel 2008, si ad esempio acceso il dibattito sul Pd del Nord, cui sono seguite iniziative come la riunione del Cooordinamento del Nord a Genova nel 2009, passando per convegni come quello di Torino su "Il Nord, l'Italia e lo sviluppo", fino alla convention Da Nord di pochi giorni or sono (da cui le regioni speciali sono state incomprensibilmente escluse). Nel tempo, non sono mancati i richiami a far assumere al Partito una forte impronta federale, nella convinzione che essa potesse rappresentare un fattore di maggiore aderenza alle esigenze dei territori produttivi e dei soggetti sociali. Al di l di rilevanti gesti amministrativi locali, da Torino a Padova, le discussioni sono restate spesso teoriche e le riunioni non hanno generato decisioni e atti legislativi e programmatici, in ci, paradossalmente, procedendo di pari passo con le velleit autonomiste vessillo della Lega e del Governo Berlusconi. Non siamo andati oltre le formule scaramantiche contro le arretratezze della proposta leghista, e abbiamo mancato di misurarci su questioni stringenti come l'economia e i flussi, le reti locali e globali tra l'Europa e il Mediterraneo, quali occasione di empatia tra Partito e nord. Nel frattempo parte del vuoto politico ha attratto tentativi di spin off come verso Nord. Sotto le increspature di superficie, nel pieno del travaglio della Lega e dell'esplodere dei populismi, laffermazione diffusa del Pd nei governi locali una delle condizioni per non accantonare nuovamente il tema del nord, inevitablmente intrecciato con quello del Paese e il destino del Partito. Se ci chiediamo perch finora si andati in una direzione opposta e, contemporaneamente, siamo disposti a darci una risposta non ortodossa, potremmo sostenere in prima battuta che non ci siamo posti il problema in modo corretto. Il Pd ha affrontato la questione del Nord a partire dal Pd, piuttosto che porsi dal punto di vista dei bisogni e delle aspirazioni del Nord, delle sue citt e dei soggetti protagonisti del lavoro. L'obiettivo della guida del Paese e la presenza radicata nei governi locali e regionali favoriscono l'inversione del processo e ci devono rendere maggiormente consapevoli che qualunque progetto nord e aspettativa di leadership elettorale non possono eludere, ad esempio, le domande preliminari su cosa serve all'Italia per raggiungere il

AllItalia, per diventare virtuosa, serve meno fisco, meno burocrazia, pi efficienza della pubblica amministrazione, pi federalismo

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La rISPOSta gruppo di testa dei Paesi sviluppati. AllItalia, per diventare virtuosa, serve meno fisco, meno burocrazia, pi efficienza della pubblica amministrazione, pi federalismo; per competere servono pi investimenti, maggiore celerit dei procedimenti, reti ferroviarie e porti, integrazione di reti e logistica, medie imprese votate all'export, ricerca e sviluppo; e per avere un futuro bisogna dare spazio ai giovani nei luoghi del lavoro e del governo, annullare le precariet, credere nella ricerca delle eccellenze nei vari settori, citt in rete, tutelare i patrimoni e l'autenticit. E' pi semplice a questo punto affrontare e risolvere il problema della soggettivit che il Nord sta cercando o, faticosamente, acquisendo sia attraverso le affermazioni politiche sia le relazioni costruite nel mondo. Il Pd chiamato a superare un tradizionale ruolo di rappresentanza, concentrato nella raccolta del pubblico impiego, dei lavoratori subordinati sindacalizzati e dei pensionati. Pu riuscirci se capace di fornire una risposta a domande come queste: "in che rapporto il nord intende porsi con il contesto politico istituzionale e con le difficolt dello Stato?"; "in che modo pu praticare l'alleanza con altre regioni dell'Europa, dal momento che la globalizzazione e l'UE sollecitano una diversa regionalizzazione?"; "come il nord sta in Italia e nel mondo, qual la sua missione e dov il suo futuro". Non sono riflessioni nuove: sono riflessioni che per non sono mai entrate nellagenda politica del Pd a livello nazionale. Dobbiamo far leva sui governi delle citt e delle Regioni; e dobbiamo recuperare un bagaglio di esperienze che paiono disperse e non avere prodotto effetti degni di nota. Ad esempio, con la sottoscrizione nel 2007 della Carta di Venezia e poi degli Impegni di Milano si formato il Tavolo interregionale per lo sviluppo territoriale sostenibile della macro regione padana-alpina; lEmilia Romagna, il Friuli Venezia Giulia, la Lombardia, la Liguria, il Piemonte, la Valle dAosta e Veneto, e le Province Autonome di Bolzano e di Trento hanno cercato di confrontarsi al fine di rappresentare al meglio le esigenze della macro-regione, con un territorio di 120.000 km quadrati e 27 milioni di abitanti, con oltre il 54% del Pil italiano, in grado di contribuire ulteriormente alla ricchezza e allinnovazione in ambito nazionale. Unarea che, va osservato, bench auto-riconosciutasi porta dellEuropa verso il Mediterraneo e i paesi
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La rISPOSta delleconomia emergente, non stata capace di compiere atti concreti; o meglio, le sue istituzioni e rappresentanze politiche non sono state capaci di ripensare alle esistenti singole strutture. Con la Conferenza dell'ottobre 2010 a Genova, le Regioni hanno riproposto gli intenti originari in un apposito Tavolo chiamato ad affrontare e approfondire, tra gli altri, il nesso tra sviluppo sostenibile e identit sovraregionale, gli strumenti di pianificazione e la condivisione delle buone pratiche, le possibili sinergie per progetti condivisi di cooperazione europea, le questioni delle risorse idriche, delle reti ecologiche e dei nodi infrastrutturali. Il 27 gennaio 2012 si tenuta a Bologna unaltra iniziativa del Tavolo interregionale per lo sviluppo territoriale sostenibile dellarea Padano-Alpino-Marittima (MAP), cui hanno partecipato le stesse Regioni del nord, alla ricerca di un collaborazione interistituzionale per favorire la ricerca di soluzioni in vari campi; l'esito dell'incontro dato dalla sottoscrizione di una Agenda, battezzata Agenda di Bologna, che indica gli impegni comuni per uno sviluppo territoriale omogeneo dellarea riconducibile al minor consumo del suolo, alla riduzione delle criticit ambientali e alla semplificazione delle procedure. Non possiamo disperdere occasioni di questo tipo. Al Pd del Nord compete condividere esperienze e riflessioni, indicare questioni e percorsi concreti, da cui prenda forma una pi elevata consistenza della nostra capacit di rappresentanza politica e sociale. Un lavoro ancora pi importante in un periodo politico in cui l'harakiri della Lega Nord lascia prive di rappresentanza diverse fasce di consenso. Un vuoto politico che non rimarr tale a lungo, perch la disillusione e la rabbia hanno gi trovato in Grillo il loro ascoltato profeta. E la trasformazione della Lega Nord, da movimento che lascia dietro di s il folklore padano a serio partito territoriale sul modello della Cdu tedesca, un opzione che troppo spesso sottovalutiamo e che la figura di Roberto Maroni pu in una qualche maniera facilitare. Solo se sapremo raccogliere queste sfide e vincerle saremo in grado di ridare attrattivit al nostro territorio e di tornare dai nostri imprenditori, ma anche dai lavoratori, senza la cenere sul capo.

Al Pd del Nord compete condividere esperienze e riflessioni, indicare questioni e percorsi concreti, da cui prenda forma una pi elevata consistenza della nostra capacit di rappresentanza politica e sociale

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La rISPOSta

Patto sociale per crescita ed equit


uesti lunghi anni della crisi stanno cambiando profondamente assetti produttivi, condizioni sociali, interessi, aspettative e domande del nord del paese. Non serve ricorrere alle statistiche per comprendere che dietro i numeri della crisi, il calo del prodotto industriale e dei servizi, l'entit della disoccupazione, si cela la fotografia di quella parte storicamente pi sviluppata e pi ricca dell'Italia. Il Mezzogiorno conserva ed esprime la realt pi pesante, soprattutto in termini di in occupazione giovanile e ritardi nella infrastrutturazione civile; ma evidente che la caduta del prodotto interno, quasi 8 punti fino ad oggi dall'inizio della crisi, passa per il nord, per la condizione delle sue imprese,dei suoi servizi,delle sue filiere. Fa parte di questa trasformazione una crescente divaricazione nei risultati e nelle prospettive interne al sistema produttivo. Quello che colpisce di pi infatti in un quadro generale di grandissima e crescente difficolt, la contrapposta situazione in cui si trovano le aziende che hanno innovato processi e prodotti, e si sono internazionalizzate investendo nei relativi nuovi mercati, e tutte le altre. Le prime macinano utili e prospettive di crescita,assumono anche in Italia, programmano investimenti e acquisizioni. Le seconde arrancano, perdono quote di mercato, rinviano investimenti e piani di sviluppo e in molti casi pagano con crisi e chiusure la loro

Guglielmo Epifani

presidente dellAssociazione Bruno Trentin

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La rISPOSta sottocapitalizzazione e gli errori fatti negli ultimi 10 anni. Le catene dell'indotto e delle subforniture e quelle dei servizi seguono la condizione dei mercati e dell'impresa di riferimento. Pi omogenea sembra la condizione dell'artigianato e delle piccole catene di consumo, dove per la scarsa reperibilit di credito, il suo costo crescente e la crescente contrazione della domanda mettono fuori dal mercato un numero sempre pi alto di aziende familiari. Infine la crisi di un settore tradizionalmente anticiclico come quello delle costruzioni e dell'edilizia aggiunge, a differenza del passato, problemi ai problemi e apporta un differenziale negativo in termini di disoccupati e stasi degli investimenti davvero impressionante. Tutto questo quadro ha delle conseguenze inevitabili su differenziali di produttivit, politiche della formazione e del lavoro, ricadute sulla situazione territoriale,anche all'interno delle stesse provincie e delle stesse regioni. Prima del terremoto, ad esempio, una zona come quella di Modena presentava pochissimi problemi di carattere produttivo. Nel Veneto, pur in presenza di una contrazione dei livelli della produzione, si mantengono punti di assoluta eccellenza e dinamismo e in tutta la fascia pedemontana in Lombardia la situazione sembra ragionevolmente sotto controllo. Un patto per la produttivit e la crescita richiede quindi, tenendo presenti i bisogni vecchi e nuovi di questa parte del paese, pi piani di intervento correlati e pi ambiti di lavoro. l primi riguardano il bisogno di attivare, dentro la crisi e dentro la ricerca di una politica di bilancio rigorosa, politiche mirate di sostegno alla innovazione, di stimolo fiscale agli investimenti e di rilancio della domanda nei settori anticiclici. Non va bene una politica dei due tempi, prima i tagli poi la crescita, perch abbiamo bisogno oggi di uscire dalla spirale depressiva in cui siamo caduti, dove le inevitabili scelte di rigore finiscono anche per ridurre ulteriormente domanda, consumi ed occupazione, deflazionando salari e investimenti. E se una parte di questa domanda passa per la capacit di spesa dei comuni, ci vogliono scelte di bilancio che non centralizzino di nuovo tutto svuotando di senso le linee e i bisogni dei fattori di sviluppo locale. Nel nord questo

Un patto per la produttivit e la crescita richiede quindi, tenendo presenti i bisogni vecchi e nuovi di questa parte del paese, pi piani di intervento correlati e pi ambiti di lavoro

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La rISPOSta sembra il primo problema da correggere, unitamente all'esigenza di riaprire i flussi di credito verso imprese e famiglie, anche per evitare quel che si verificato fino ad oggi e che ha costretto alla chiusura tanti esercizi e tante attivit di piccolissime imprese spesso a carattere artigianale colpite, prima ancora che dalla crisi di domanda, dalle difficolt di ordine finanziario. Il secondo punto di un patto sociale deve muovere dalla ripresa di una politica industriale fortemente legata agli strumenti di programmazione regionale, fondata sul rapporto tra istituti di ricerca e innovazione, universit e punti di formazione d'eccellenza, e il sistema delle imprese. Come ha suggerito per ultimo anche il governatore della Banca d'Italia, il campo delle energie rinnovabili e delle reti, quello della messa in sicurezza del territorio e delle citt, la frontiera del risparmio energetico e della bioedilizia, rappresentano il cuore di una diversa e pi moderna idea di politica industriale. E proprio per questo la dimensione regionale quella maggiormente adatta ad un governo efficiente delle scelte e dell'allocazione territoriale. Naturalmente bisogna evitare che le modalit dei tagli lineari decisi dal governo abbiano gli effetti negativi lamentati dagli enti locali e che si tengano assieme anche a questo livello le scelte del rigore e quelle della crescita. Il terzo punto di un lavoro condiviso tra le parti sociali riguarda il tema della produttivit. Qui scontiamo come paese il ritardo pi pesante, soprattutto rispetto alla situazione tedesca nel corso del decennio che abbiamo alle spalle. Occorre essere chiari: il nostro ritardo si gioca soprattutto su due fattori, gli investimenti in innovazione e l'organizzazione della produzione, a partire dalla gestione dei tempi e della formazione del lavoro. Qualsiasi accordo deve quindi partire da questi terreni,come pure in molte aziende si fatto e continua a fare. E bisogna rendere pi efficiente tutta l'infrastrutturazione, soprattutto quella immateriale. Uno spazio che andr affrontato in maniera totalmente nuova riguarda la gestione delle crisi e delle ristrutturazioni in relazione agli strumenti disponibili. Con la inopinata riforma del lavoro verranno infatti a mancare una parte degli ammortizzatori esistenti e questo, in rapporto alle modifiche introdotte nella et del pensionamento, render superato lo schema del passato, quando gli ammortizzatori
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La rISPOSta potevano accompagnare alla pensione i lavoratori coinvolti nelle crisi aziendali. Dobbiamo prendere esempio dalla Germania, favorire politiche di solidariet tra i lavoratori riducendo l'orario e favorendo percorsi di riqualificazione, con un diverso valore da attribuire all'esperienza, alla seniority, alla coesione sociale. Su questo aspetto faremo una delle verifiche dei mutamenti in corso. Da molte parti si dice che con la crisi si supera quella cultura dell'individualismo proprietario, dell'identit ristretta e chiusa che ha contrassegnato l'ondata liberista anche nel nostro paese. Molti segnali ci dicono che qualcosa sta realmente cambiando e che si fa strada una idea pi cooperativa dell'agire e della responsabilit individuale e anche un diverso rapporto tra il ruolo del pubblico e le nuove domande sociali prodotte dalla durezza della crisi. Se si guarda al terremoto e alle dinamiche sociali che ha determinato, effettivamente si coglie lo spirito di un possibile cambiamento. E la stessa maturit si coglie nel rapporto tra impresa e lavoro,con l'eccezione della Fiat, e nella volont di condividere un progetto di fuoriuscita dalla crisi, senza rassegnazione o reciproche subalternit. La nuova Confindustria di Squinzi si vuole muovere in questa direzione e tuttidovrebbero apprezzare questa scelta e anche il linguaggio di verit e poco paludato che comporta. Ma ora, come pure Squinzi ci dice, tocca alla politica tornare a guidare i processi sociali e culturali necessari. Una politica di vera concertazione in Italia manca da quasi 12 anni. Con la concertazione si super la gravissima crisi del '92, si stabil il patto sulla politica dei redditi dell'anno successivo, si affront la prima riforma radicale, basata sul sistema contributivo, del sistema pensionistico, si costruirono le condizioni per l'ingresso nell'Euro. Con i governi di centrodestra si afferm un'altra strada, quella degli accordi separati,delle trattative clandestine,della divisione sindacale. Gli anni del declino sono stati accompagnati dall'abbandono di una vera e trasparente concertazione. Per questo tocca alla politica decidere, e soprattutto al centrosinistra. Un patto per la crescita nel mezzo di una crisi come quella che viviamo sembra una sfida temeraria e ai limiti del possibile. Ma non lo certo tornare a

Dobbiamo prendere esempio dalla Germania, favorire politiche di solidariet tra i lavoratori riducendo l'orario e favorendo percorsi di riqualificazione

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La rISPOSta scommettere sulla coesione tra i soggetti della rappresentanza sociale e a porsi, come paese, l'obiettivo di una maggiore uguaglianza e giustizia sociale come fattore di crescita e di sviluppo magari riprendendo, attualizzandola, la grande suggestione del piano del lavoro.

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La rISPOSta Nel 1949, nell'Italia di quel tempo, fu l'occasione per affermare che ci voleva una diversa politica economica per l'occupazione. Oggi potrebbe essere l'occasione per ridare speranza e fiducia ad un paese scosso e in profonda difficolt.

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La rISPOSta

Una piattaforma per lo sviluppo del nord


Giuseppe Berta
insegna Storia Contemporanea allUniversit Bocconi di Milano

e aree metropolitane del Nord (Milano, Torino, Genova), hanno esercitato in passato un ruolo di guida e di traino dello sviluppo italiano, sia per la massa di risorse che hanno coagulato sia per la loro visibilit. innegabile, tuttavia, che da tempo hanno smesso di svolgere questa funzione. Pi in generale, nel corso dellultimo anno si fortemente attenuata lattenzione politica per i temi della societ settentrionale. Sembra quasi che il declino della Lega Nord il soggetto che aveva impresso valenza politica alla questione settentrionale e avanzato la proposta federalista abbia sopito linteresse per la specificit del Nord nellambito di una visione della societ italiana. In realt, la questione settentrionale stata oscurata, in larga misura, per effetto delle politiche di riequilibrio finanziario, che posseggono uninevitabile caratterizzazione centralistica. Ci tuttavia ha prodotto la conseguenza di depotenziare la capacit di elaborare una rappresentazione dello sviluppo italiano, che non pu evidentemente fare a meno di attribuire un risalto particolare alla funzione del Nord. Del resto, le elezioni amministrative che si sono svolte nella primavera di questanno non hanno condotto a una rivitalizzazione delle tematiche dello sviluppo locale, le quali anzi hanno subto a loro volta un ridimensionamento. Pensiamo, per esempio, al caso di Genova, che ha assistito a un cambiamento importante nella compagine che amministra la citt, senza peraltro che sia stato identificato un nuovo asse di sviluppo per il capoluogo ligure e il territorio che influenza. Anche Milano, del resto, la citt del Nord che ha da sempre le maggiori dotazioni economiche e strutturali e la

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La rISPOSta rete pi fitta di collegamenti internazionali, non riuscita a esprimere una leadership del Nord Italia come nei suoi momenti migliori. Lo prova loffuscamento di uniniziativa come lExpo 2015, via via svuotata non soltanto di significato, ma anche di quel valore di riferimento che allinizio era parso dovesse avere. Quanto a Torino, forse larea metropolitana che sta pagando il prezzo pi alto alla crisi, con una gelata che sta frenando la sua evoluzione in un sistema polisettoriale capace di operare una graduale diversificazione rispetto al monocromatismo industriale di un tempo. Difficilmente i tre grandi poli urbani di Milano, Torino e Genova sapranno ritrovare il sentiero dello sviluppo se guarderanno soltanto allinterno dei propri confini. Nemmeno Milano, pur con la concentrazione di relazioni e di risorse che la contraddistingue, riuscir a proporsi come un vettore di crescita, se far perno soltanto su di s. Nella realt composita, policentrica e sempre pi mobile che connota la rete competitiva delle citt contemporanee, i nostri sistemi metropolitani rischiano di perdere posizioni, se si illuderanno di poter muovere in primo luogo da se stessi, senza far leva invece su uninterazione pi ravvicinata e stringente. Nello stesso tempo, non si pu pensare a una riedizione degli schemi di cooperazione fra le citt evocati a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso. Diciamo la verit: MiTo, lalleanza fra Milano e Torino, non ha dato fin qui risultati significativi. E il tentativo di integrare Genova in questa forma di collaborazione si smonta gi dallacronimo: Ge-Mi-To suona francamente inquietante Non questa, dunque, la strada maestra. Anche perch esclude, piuttosto di includere: i territori provinciali, persino quelli dislocati nelle aree limitrofe, soffrono (spesso non a torto) del sospetto di essere tagliati fuori da un dialogo che li sorvola, accentrandosi soltanto sulle citt di dimensioni pi estese. ora di alzare il tiro. Le aree metropolitane devono lavorare insieme a uno schema di cooperazione in grado di affrontare alcuni nodi irrisolti del passato. Per fare questo, esse dovrebbero quanto meno porsi nella logica di costituire una piattaforma per il Nord. Operare cio nella logica di una filiera dintegrazione che non pu avere n limiti n confini prestabiliti, ma che si proponga come una geografia in costruzione, un sistema territoriale aperto. Occorre saper andare oltre la vecchia divisione fra Nord

Nella realt composita, policentrica e sempre pi mobile che connota la rete competitiva delle citt contemporanee, i nostri sistemi metropolitani rischiano di perdere posizioni

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La rISPOSta Ovest e Nord Est. Una distinzione che sta diventando obsoleta perch questi due universi territoriali (una volta cos ben ravvisabili nei loro caratteri di fondo) da pi di un decennio stanno subendo un processo di avvicinamento. Cos, un nuovo ragionamento sul Nord che parta dai poli urbani non pu non misurarsi con Verona, oltre che con Brescia. Si tratta di progettare una mappa in cui sia ridisegnata una rete di interdipendenze funzionali. Che si proponga di accelerare le tendenze allintegrazione con coerenti scelte amministrative. Che miri a mettere in rilievo quanto si pu mettere in comune con vantaggio reciproco, in modo da costituire una massa critica di fattori per lo sviluppo tale da risultare di per s un elemento incentivante, di vantaggio competitivo. chiaro che un simile obiettivo richiede la capacit di compiere uno scarto rispetto a una storia amministrativa che sollecita innovazioni risolute: non bastano pi, infatti, le narrazioni pubbliche locali (come scrive acutamente il sindaco di Forl, Roberto Balzani, nel suo bel saggio Cinque anni di solitudine. Memorie inutili di un sindaco, Il Mulino 2012) a sorreggere piani di sviluppo locali che si sono fatti troppo esili, dopo lo sconquasso della crisi. I sindaci dovrebbero assumere consapevolmente il compito di una nuova classe dirigente che guarda al Nord come al principale motore di sviluppo dellItalia. Dovrebbero raccogliere su di s la missione incompiuta e tradita di un federalismo che stato solo ideologia e che oggi, con la propria rimozione dal mercato della politica, rischia di veder rimosse anche le istanze migliori delle autonomie locali. Esistono nodi e questioni che possono essere affrontati soltanto in questo modo, con la lungimiranza di politiche orientate a creare opportunit di sistema. Pensiamo per esempio alla logistica, su cui lItalia registra un ritardo considerevole rispetto ai maggiori partner europei. Lagenda delle infrastrutture costituisce la cornice entro cui far crescere capacit, qualit e livello degli operatori. In altri termini, va riattivata una logica di complementariet fra linvestimento infrastrutturale pubblico e liniziativa imprenditoriale privata, privilegiando le opere che tendono in questa direzione e corrispondono a criteri di sistema per tutto il territorio settentrionale. Il presente non permette pi a ogni area di perseguire opere pubbliche che obbediscano in primo luogo a sollecitazioni locali e non muovano invece
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La rISPOSta dallidentificazione di convenienze condivise. Inoltre, esiste gi un primo traguardo a cui rapportarsi, il 2016, quando entrer in funzione il nuovo traforo del S. Gottardo. Altrettanto strategico per il Nord il versante delle public utilities. Fin qui ci si orientati sverso una strategia di fusioni, puntando a elevare le dimensioni dimpresa, con lipotesi di qualche proiezione internazionale. Il disegno di coesione territoriale che si evocato suggerisce di prendere in esame anche unaltra via, che miri a una politica di federazione e alleanze fra le societ locali di servizio, senza sfociare necessariamente in vere e proprie fusioni, ma considerandole piuttosto come un arcipelago unitario. Questo modello alla tedesca consentirebbe, da un lato, di mantenere il bacino territoriale da cui queste imprese traggono la loro specificit e, dallaltro, di sospingerle a uscire dal loro alveo locale. Il contributo che una piattaforma per lo sviluppo del Nord, sostenuta dalla forza di autonomie locali rinnovate, potrebbe dare per il rilancio dellItalia appare di primo piano. Non da ultimo perch, riattivando un circuito virtuoso tra politica e amministrazione, restituirebbe smalto e valore alla partecipazione civile.

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Una bussola umanistica


Ferruccio Capelli
direttore della Casa della Cultura di Milano

durata allincirca un anno la lunga agonia dei populismi leghista e berlusconiano, ovvero delle due formazioni che per ventanni hanno dato il segno alla vita politica italiana: scalzate dal governo a seguito della drammatica crisi finanziaria dellagosto 2011, alcuni mesi dopo, alle elezioni amministrative della primavera 2012, hanno subito un autentico tracollo elettorale. Entrambe non hanno retto allinasprirsi della crisi. Nel drammatico passaggio dello scorso agosto Lega e Pdl sono state paralizzate proprio dalle promesse cui erano solite abbandonarsi. Il governo Berlusconi Bossi caduto perch impossibilitato a prendere misure urgenti di contenimento del bilancio pubblico: il rifiuto della Lega a ogni intervento sulle pensioni e limpossibilit del Pdl di ripristinare la tassazione sulla casa hanno reso inevitabile la caduta del governo. Contemporaneamente i due leader, padri padroni dei rispettivi partiti, indeboliti politicamente dalla crisi del governo, non sono riusciti a reggere due bufere mediatico giudiziarie parallele: Berlusconi ha pagato il prezzo del bunga bunga e della sua corte dei miracoli mentre Bossi stato travolto dal Trota, da Belsito e dalla Tanzania. Leghismo e berlusconismo sono accomunati in una medesima parabola politica. Essi si erano affacciati quasi in concomitanza sulla scena politica italiana, assieme hanno poi raggiunto il massimo dellinfluenza e del potere e, sempre assieme, hanno ora imboccato la strada del declino, per altro assai rapido. Emersi entrambi nella crisi politica dei primi anni Novanta toccarono lapice della loro influenza il decennio successivo quando, accantonata la competizione reciproca, siglarono un patto di ferro con il quale garantirono la lunga durata dei governi berlusconiani. La loro ascesa vertiginosa e il loro lungo successo erano
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La rISPOSta dovuti allabilit e alla determinazione con la quale hanno usato alcuni clich populisti: lidentificazione dellelettorato con il leader, la contrapposizione tra il loro popolo e gli altri cittadini, la critica aggressiva al resto del sistema politico. Bossi e Berlusconi sono stati infatti due leader carismatici, padri - padroni dei rispettivi partiti; entrambi hanno agitato il loro elettorato contro altri cittadini, fossero essi i meridionali o i comunisti ed ambedue hanno cavalcato la critica contro il vecchio sistema politico, contro Roma ladrona e le estenuanti mediazioni della politica. Questi punti di forza durante lultimo anno, nella stretta della crisi, si sono trasformati in talloni di Achille. La demagogia si rivelata unarma spuntata dinnanzi allaggressione speculativa dei mercati: le promesse spudorate si sono sgonfiate tra le mani e sono state loro rinfacciate dagli elettori. Nel contempo anche il leaderismo, potente arma di semplificazione della lotta politica, si trasformato in una palla ai piedi: leader appannati e azzoppati sono diventati facile bersaglio del malumore popolare. Insomma, le due formazioni populiste della destra italiana, il populismo mediatico berlusconiano e il populismo etno-escludente bossiano, hanno imboccato la parabola discendente nella stretta della crisi economica. Il governo formato dai due partiti della destra populista stato dimissionato: al suo posto sono subentrati Monti e i tecnici. Non per questo la pressione populista si dissolta nellaria. La Lega e il Pdl restano ancora in campo, sia pure con traiettorie politiche al momento differenziate: luna allopposizione e laltra in appoggio al governo Monti. Difficile oggi dire che esito avranno i tentativi dei due partiti di ridefinire strategia e immagine politica. Alle elezioni amministrative di primavera i consensi che Lega e Pdl hanno perso per strada sono finiti o nellastensione o hanno ingrossato le fila di unaltra formazione populista, il Movimento Cinque Stelle guidato dal comico Beppe Grillo. Di certo nella nostra opinione pubblica continuano a sedimentare, o forse perfino si stanno allargando, disaffezione e insofferenza per il sistema politico e apprezzamento per scorciatoie e suggestioni demagogiche. Le ragioni che alimentano questa persistente e inquietante minaccia populista meritano di essere meditate attentamente. Il fenomeno, notoriamente, non solo italiano: nessun paese europeo ne immune. In Italia esso assume per una
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Bossi e Berlusconi sono stati infatti due leader carismatici, padri - padroni dei rispettivi partiti; entrambi hanno agitato il loro elettorato contro altri cittadini, fossero essi i meridionali o i comunisti

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La rISPOSta continuit e unaggressivit particolare. Con ogni probabilit al fondo di questo fenomeno inquietante vi proprio la povert e la debolezza della politica. Da tempo essa ha perso la capacit di rappresentanza e lautorevolezza per indicare dove andare. Tutto ci si ulteriormente accentuato durante questi anni di crisi: la politica responsabile sa dire solo che bisogna rassicurare i mercati. Si tratta di un mantra ripetuto ossessivamente, cui devono corrispondere inesorabilmente tutte le essenziali scelte politiche. Proposte e ricette politiche sono fissate dalla potentissima tecnostruttura globale. Essa non ha nessuna legittimazione democratica ed composta, generalmente, dalle stesse persone che hanno portato il mondo verso la crisi. Eppure i governi e le forze politiche devono semplicemente applicare e adattare ai vari contesti nazionali gli orientamenti e le decisioni fissate dagli organismi che presiedono alla finanza e alleconomia globale. Essi parlano a un tempo il linguaggio della ragionevolezza e della inesorabilit: sono generosi di buoni consigli, ma anche inflessibili, perfino spietati ( alla Grecia hanno perfino chiesto di abbattere il salario minimo! ). Essi indicano una sola strada possibile, non accettano oscillazioni e defezioni, ma lo dicono sempre con tatto e con garbo. Non ricorrono mai a minacce: se qualcuno non segue i loro consigli incorrer

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La rISPOSta - purtroppo, aggiungerebbero - nella punizione di un soggetto impersonale, i mercati. Questi nuovi signori del mondo sono affabili e sorridenti, vestono perfino in casual, come quelli che nei giorni scorsi, dopo aver parcheggiato i propri jet personali, si sono incontrati in una localit di vacanza dellIdaho per un seminario di lavoro. Semplicemente, essi ribadiscono a ogni passo che non ci sono margini per sfuggire alla loro volont. E inesorabile che tutto ci alimenti uno sconcerto e un fastidio diffuso e che a lungo andare provochi la ribellione della piccola gente. Proprio come accadde nellAmerica a cavallo tra Ottocento e Novecento quando larroganza e lo strapotere dei nuovi baroni provoc la rivolta populista dei piccoli proprietari agrari. Fu quella la prima protesta populista nel mondo occidentale: essa ricorda e contiene alcuni aspetti dellondata populista che si sta formando nel nuovo mondo globale. La politica sembra stretta in una morsa tra la spietata ragionevolezza imposta della super - lite globale e la confusa e inconsulta protesta populista. Lo scenario al momento sembra occupato solo da due narrazioni, quella potente delllite tecno globale e quella arruffata e semplificatoria della protesta populista. Il punto essenziale sta proprio qui, ovvero se possibile allentare questa morsa paralizzante e soffocante. Le forze responsabili sono schiacciate in unidentificazione innaturale con la super lite globale: sembrano costrette ad accettare e applicare ogni suggerimento e orientamento della tecnostruttura economico finanziaria globale. Ogni tanto qualche scatto di dignit come, qui in Italia, con una legge su lavoro meno indecente di quanto richiesto, ma il tutto sempre di rimbalzo, tra mille remore, incertezze e preoccupazioni. Nulla che lasci intravedere unaltra lettura della crisi, unaltra griglia di priorit, un altro discorso. Serve qualcosa di pi. Bisogna ritrovare la capacit di declinare assieme responsabilit e cambiamento. In altre parole, urgente mettere in campo unaltra narrazione, un altro logos, inteso - suggerisce Mauro Magatti nel suo ultimo saggio come la capacit di raccogliere ( e legare/ legein ) attorno a un filo la molteplicit delle esperienze, di trascendere e integrare i frammenti in una direzione. In poche parole, servirebbero forze responsabili, ovvero non populiste, capaci di indicare altri obiettivi e un altro percorso.
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La politica sembra stretta in una morsa tra la spietata ragionevolezza imposta della super lite globale e la confusa e inconsulta protesta populista

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Bene comune un concetto antico, tanto e forse perfino pi di quello di democrazia. Anchesso per sta tornando di prepotente attualit

Mentre llite globale ripete ossessivamente che bisogna rassicurare i mercati servirebbe uno scarto, a un tempo radicale e ragionevole, per fissare altre finalit. E laccavallarsi stesso dei problemi ad indicarci le due idee centrali attorno a cui ricostruire un altro ragionamento: democrazia e bene comune. Esse appaiono come il nucleo di unaltra possibile narrazione, di un altro logos con cui costruire una griglia di scelte e di priorit. Democrazia, innanzitutto. Essa subisce un grave vulnus quotidiano proprio in quellEuropa dove vengono prese le decisioni pi importanti in modo opaco, in organismi privi di legittimazione democratica. Da qui una possibile stringente conclusione operativa: accantonare le discussioni sulla riforma della Costituzione italiana che si trascinano in modo inconcludente da ventanni e spostare tutta la discussione sullimpossibilit di continuare a operare in unEuropa dove c una moneta senza uno stato e dove operano poteri ultrapotenti senza la cornice di una Costituzione democratica. Bene comune un concetto antico, tanto e forse perfino pi di quello di democrazia. Anchesso per sta tornando di prepotente attualit proprio perch minato nei suoi presupposti: esso stato buttato fuori dal discorso pubblico nella convinzione che lautoregolamentazione dei mercati rendesse superfluo pensarlo e costruirlo. I mercati, si argomentato con una virulenza che non accettava obiezioni, sono in grado di garantire naturalmente le migliori soluzioni possibili. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Proprio per questo bene comune oggi un obiettivo che ritorna, da ridefinire e riconquistare. Esso implica unazione lunga e tenace per riportare sotto controllo quei mercati che sembrano essersi autonomizzati dalla volont umana e fanno gravare sul nostro orizzonte una minaccia permanente di instabilit e insicurezza. Nel contempo esso richiede il coraggio di riproporre e ripensare le questioni del legame sociale e del sistema di protezione: isolamento e solitudine sono le minacce pi inquietanti che stanno corrodendo il nostro tessuto sociale. Detto in altre parole, si tratta di optare per una bussola umanistica con cui costruire giorno per giorno unaltra narrazione, con cui spezzare la falsa alternativa tra il razionalismo disumanizzante delllite globale e la pericolosa e inconcludente reazione populista. Con la speranza che un nuovo discorso umanistico renda possibile anche riassorbire almeno in parte - quegli umori populisti nei quali, in forme non di rado perfino allarmanti e minacciose, si convogliano motivi reali di inquietudine e di disagio.

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Documento: Per la ricostruzione nazionale


Maurizio Martina
il segretario regionale del Pd Lombardia
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Lindividualismo proprietario di Berlusconi e lideologia del localismo di Bossi non hanno retto lurto dei cambiamenti che la globalizzazione ha scaricato sui territori

siste ancora una questione settentrionale? E se esiste, come possiamo raccogliere la sfida misurandoci con le novit che stanno emergendo? La premessa che ci sentiamo di fare semplice ma essenziale: noi non possiamo pi permetterci di oscillare tra la negazione del tema (com spesso avvenuto in questi anni) e la sua esaltazione acritica. Abbiamo bisogno di affermare un nostro punto di vista autonomo perch solo cos possiamo essere utili e credibili. E abbiamo bisogno di collocare il senso di questo lavoro dentro la sfida della ricostruzione nazionale, nella crisi di sistema radicale che lItalia sta attraversando. Senza retorica e senza inutili conflittualit perch anche per il nord il tema cruciale quale Italia in Europa nel tempo della globalizzazione. Abbiamo sempre riconosciuto che non usciremo da questo passaggio storico come ci siamo entrati. Chiamiamola Terza Repubblica o come altro vogliamo ma il nodo di fondo chiaro: dobbiamo riorganizzare i tratti essenziali del nostro stare assieme perch la statualit che ci ha portato fino a qui, senza cambiamento e riforme, non in grado di farci reggere le novit che stanno emergendo. E proprio il rinnovamento della statualit una condizione essenziale per rispondere alla questione sociale profonda che abbiamo di fronte. Anche per questo, quando riflettiamo della crisi della nostra democrazia dobbiamo approfondire il tema delle fratture territoriali. Parliamo di questioni molto concrete: di modello di sviluppo, di sistemi economici, di reti di protezione sociale, di rapporto pubblico/privato, di rapporto centro/periferia, di nuova composizione sociale e demografica. La destra egemone per lunghi anni ha fallito questa sfida. Lindividualismo proprietario di Berlusconi e lideologia del localismo di Bossi non hanno retto lurto dei cambiamenti che la globalizzazione ha scaricato sui territori. Linvestimento elettorale sulle paure ha avuto il fiato corto. Ha generato smarrimento, rabbia, solitudine. E vero che la speculazione che i populismi hanno giocato sulle domande di cambiamento che il nord ha espresso stata parte del cortocircuito che si alimentato. Ma piaccia o non piaccia, il forza-leghismo stato anche un formidabile collante che ha unito mondi spesso assai diversi. Non si trattato solo di marketing elettorale. E stata una vera e propria operazione culturale prima ancora che una sponda politica. E va detto chiaro, con spirito autocritico, che troppo

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La rISPOSta spesso la nostra iniziativa di fronte a questa avanzata risultata subalterna e debole. Ora possiamo dire che si aperto un vuoto di rappresentanza con molte incognite e che tocca a noi avanzare una proposta allaltezza della situazione. Sapendo che abbiamo davanti gli stessi cittadini e che certe domande non sono andate in soffitta. Il capitalismo molecolare dellimpresa famiglia di questi territori, ad esempio, c ancora: ieri magari chiedeva solo libert, oggi domanda certamente pi protezione. Le istanze di maggiore efficienza nel rapporto con la pubblica amministrazione non sono pi solo un fatto per le imprese, sono temi sempre pi acuti anche per le famiglie e per i cittadini. La richiesta di una maggiore giustizia fiscale e di un equilibrio nuovo tra ci che dai e ci che ricevi rimane uno dei nodi decisivi. Il punto ancora accompagnare questi territori e questi soggetti sociali nella modernit. Offrire loro unidea positiva dello spazio pubblico ricordando a tutti innanzitutto che proprio il nord, forse pi di altri, legato indissolubilmente allorizzonte europeo. Altro che le sparate folli sulluscita dallEuro. Sapendo che la crisi ha battuto e batte ancora forte, cambiando spesso radicalmente i comportamenti e la quotidianit. Basta guardare alle ultime ricerche sulle difficolt e le trasformazioni del ceto medio nelle nostre regioni per rendersi conto della profondit di certe trasformazioni. La crisi riporta la questione settentrionale nel suo alveo originario: innanzitutto questione sociale ed economica. Lo sviluppo spontaneo che ha accompagnato il nord per anni finito, la crescita si fermata. Nel frattempo, i livelli di tassazione di redditi e imprese e la ripartizione dei carichi fiscali rimasta pesantemente squilibrata. La sola fotografia dei cosiddetti residui fiscali e li a dimostrarci una situazione disomogenea che non ha pari in Europa. Nellidea della ricostruzione nazionale penso occorra affrontare alcuni nodi di fondo. Il primo dato dalla qualit della macchina pubblica. Dalla burocrazia dellamministrazione ai tempi della giustizia, dalla formazione allefficienza e ai tempi delle decisioni della politica. Il secondo nodo quello delle reti infrastrutturali. Dalla mobilit di persone e merci, alla velocit delle informazioni, alle reti dellenergia e della finanza. Il terzo la questione istituzionale e statuale. Al di l della propaganda di fine corsa di qualcuno a destra, il nodo delle riforme costituzionali, dalla fine del bicameralismo perfetto in
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Lessenza della questione settentrionale oggi una sfida che si gioca anche su nuovo rapporto tra citt e territorio, tra capitalismo delle reti e manifatturiero, tra crescita economica e coesione sociale

poi, un tema che non possiamo sottovalutare. Cos come nostro dovere offrire una prospettiva diversa al sistema delle Autonomie Locali completamente sotto scacco e batterci fino allultimo minuto utile per una nuova legge elettorale che cambi il disastro prodotto dal Porcellum. Sul versante delle proposte utili non siamo allanno zero. Molti dei contenuti prodotti allAssemblea nazionale Pd di Varese rimangono un punto di riferimento. Ora alcune sfide vanno assunte fino in fondo. Penso alla questione produttiva. A impresa e lavoro. Alla drammatica urgenza di scelte incisive per il tessuto manifatturiero. A un modello di relazioni industriali nuove. La nostra base produttiva si sta restringendo ed oggi vengono colpite dalla crisi anche imprese forti e robuste. I dati di questi giorni sulla produzione industriale e sul Pil sono molto preoccupanti. Se vogliamo raccogliere sul serio questa sfida dobbiamo ambire a rappresentare linsieme del mondo dei produttori: lavoro dipendente e lavoro autonomo. Perch cultura dimpresa e mondo del lavoro stanno insieme in queste terre, molto pi di quello che si possa pensare. Penso alla sussidiariet. Non certo nella versione ideologica e pelosa che la destra ci ha mostrato in questi anni, ma nellidea di un grande investimento sulle responsabilit diffuse e sul protagonismo della societ consapevole. A partire dalla riorganizzazione del welfare e delle protezioni sociali. Penso alla questione federalista. Cominciando dal tema fiscale, per riannodare i fili tra chi incassa e chi spende e per premiare gli innovatori piuttosto che gli speculatori. Declinando anche cos un nuova idea di coesione dello stivale. Quindi, riforma fiscale, semplificazione burocratica, accesso al credito, politiche industriali e del lavoro, reti infrastrutturali, capitale umano e internazionalizzazione: sono alcuni capitoli per un impegno serio al fianco di questi territori. Niente facili promesse e niente slogan roboanti. Meno parole useremo, pi saremo apprezzati e riconosciuti. Lessenza della questione settentrionale oggi una sfida che si gioca anche su nuovo rapporto tra citt e territorio, tra capitalismo delle reti e manifatturiero, tra crescita economica e coesione sociale. Governare le grandi citt del nord sullasse Torino, Milano, Venezia, Trieste una opportunit da mettere a frutto e le ultime vittorie anche nei centri di piccole e medie dimensioni ci aprono una prospettiva nuova visto che abbiamo sempre faticato a radicarci in provincia e in periferia. Ha ragione chi sostiene che oggi al nord, come allItalia, non

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La rISPOSta basta il mercato. Questa crisi ci insegna che non basta il mercato e non si pu crescere nonostante lo Stato e la politica. Per noi si apre lopportunit di un passo avanti. Perch occorre una nuova cultura civica in grado di riorganizzare il rapporto tra pubblico e privato, tra questione ambientale e sviluppo, tra sicurezza e welfare. Perch occorre un progetto per la ricostruzione italiana che sia in grado di produrre un vero e proprio sforzo costituente per la prossima legislatura. Siamo consapevoli che in campo ci saranno ancora varianti populiste pronte a far saltare il banco. Pronte a scommettere sul fallimento di una riscossa democratica. Ma tocca a noi, ora, avanzare unidea di cambiamento. Misurando bene le parole, evitando la facile propaganda e investendo tutto nella ricostruzione della credibilit dello spazio pubblico. (Introduzione al Forum delle Assemblee regionali Pd di Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Veneto e Piemonte tenutosi a Milano il 30 Giugno scorso)

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Altri Contributi

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Lo Stato nella globalizzazione


Leonida Tedoldi
insegna Storia delle istituzioni politiche e storia delle istituzioni internazionali, Universit di Verona

N
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globalizzazione. Oggi, nel pieno dei mutamenti contraddittori delle democrazie, per dirla con Marc Lazar, in cui gli Stati europei risultano incapaci di rispondere in maniera efficace alle sfide poste in essere

egli ultimi decenni, il dibattito sullo Stato stato spesso indirizzato quasi esclusivamente verso la constatazione di una crisi irreversibile della statualit nella

dalla complessit dei problemi, imposti dalla crisi economica, i caratteri di questo supposto processo di destatalizzazione appaiono per segnati da un profondo ripensamento; anzi, sebbene la globalizzazione possa mettere in discussione i fondamenti anche del costituzionalismo occidentale, non necessariamente questa possibile evidenza destinata a portare alla fine dello Stato, o meglio del suo nucleo duro. A questo poi si aggiunge il processo di avvicinamento tra i due poli antagonisti,

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delle imprese e dello Stato, ormai consolidatosi durante la crisi economica, che ha determinato un rinsaldamento di quello State Capitalism analizzato con efficacia dallEconomist di qualche mese fa. Comunque, lidea stessa della crisi, del superamento dellesperienza statuale e del suo narrarsi oltre la fine - che ha tenuto banco per gran parte delle ultime decadi del Novecento - ormai logora e dimostra di non essere pi in grado di colmare il ritardo delle analisi storiche e politologiche sullo sviluppo e sul distendersi complesso della cosiddetta era globale; inoltre il venir meno di un certo fondamentalismo antistatale - presente nella politologia - ha forse consentito la ripresa del confronto sul ruolo dello Stato e della statualit. Gi negli anni novanta, nel dibattito anglosassone, si mostrava come fosse fuorviante contrapporre in qualche modo lo Stato alla globalizzazione, sostenendo che non solo questultima non avrebbe smantellato definitivamente il suo ruolo, ma che piuttosto essa tendeva a includere le forme della trasformazione dello Stato, anche perch non aveva (e non ha) prodotto actors pi efficaci degli Stati. Del resto la visione di un mondo con un unico mercato in cui dominano incontrastate le corporations transnazionali stata pi volte contraddetta dalla forza sempre pi rilevante delle istituzioni nazionali nella regolazione del commercio e del trasporto dei prodotti; e su questo la riflessione della sinistra riformista italiana, ma anche europea, dovrebbe maggiormente concentrarsi. Non per nulla, negli ambienti della ricerca politologica anglosassone di quel decennio si sosteneva che il ruolo dello Stato nella governance della politica economica era vitale e, per questo, i processi di internazionalizzazione delleconomia non facevano che rafforzare la centralit dello Statonazione. Una centralit che derivava dalla forte capacit, nonostante tutto, di integrare, secondo labbondante ricerca di quegli anni, i poteri di governo (governing powers) e di controllarne il trasferimento al livello internazionale - come ad esempio allUnione europea - cos come al livello regionale e decentrato. Infatti, anche di recente, la riflessione politologica europea ha ormai respinto lidea dellimpotenza degli Stati nei confronti degli imperativi delleconomia internazionale, proprio perch ha mostrato che la presenza di un settore pubblico solido, di un apparato burocratico-amministrativo radicatosi nel tempo, in sostanza di uno Stato forte, abbia costituito, e costituisca, un vantaggio nelleconomia globalizzata. In ogni caso, la correlazione - messa in mostra in realt ancora negli anni settanta - tra apertura economica e dimensione dei governi e dello Stato, si tiene ancora oggi, tanto che diversi studiosi parlano ancora di crescita del Leviatano amministrativo; allo stesso modo lo Stato sociale risulta ad uno stadio di riduzione, ma non di conclamato declino. Anzi, il settore dei servizi sociali appare ancora strategico e in grado di dare contenuto alla cittadinanza, di condizionare i progressi della coesione sociale; rimane in sostanza un pilastro dellidentit e dellappartenenza. Oltre a ci, possiamo anche aggiungere che lo Stato costituzionale dei diritti sta acquistando caratteri strutturali europei e internazionali, nonostante, certo, allo stato attuale rimanga ancora unentit porosa, arena di policy-making
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frammentata e percorsa da forze che sottraggono poteri e competenze al governo centrale. Oggi, agli inizi della seconda decade del nuovo secolo, si sta assistendo quindi ad un cambio di paradigma; il dibattito volge verso laffermazione di una tenuta complessiva, seppure faticosa, del sistema-Stato e quindi di un suo possibile passaggio ad unorganizzazione forse diversa, ma certo ancora ben solida, rispetto alle analisi dei decenni precedenti, tanto che di recente da pi parti si sostenuto che lo schema della crisi degli Stati nazionali sovrani e della cosiddetta cessione di sovranit ormai debole e, al contrario, bisogna intravedere e riconoscere una rinnovata vitalit. Anche se risulta plausibile che la sintesi moderna Stato, diritto e costituzione sia ormai incrinata, il tramonto della costruzione classica della sovranit non determina, nella situazione attuale, la frantumazione definitiva della formaStato, sebbene ne vengano messi alla prova i fondamenti. Si tende, cio, ad utilizzare meno il concetto di declino irreversibile, pi strutture domestiche dello Stato nazionale; quindi, , credo, preferibile, parlare di intreccio e rafforzamento strutturale e politico, piuttosto che di trasferimento del potere statale. In questo senso, lo Stato tende a rimanere lattore principale dello sviluppo economico e sociale, anzich autorit residuale nel mondo globalizzato. Su questo tema, forse, il nostro impegno di riflessione, anche a livello di incontri e seminari di partito, potrebbe essere proficuo ed importante. Nonostante tutto, per, sappiamo di essere sempre pi indotti a pensare i singoli Stati solo allinterno dellEuropa che, a sua volta, per, non pu pensarsi Unione - disciplinata dal diritto - se non percependo il ruolo dei singoli stati come suo fondamento. E la complessit attuale del contesto europeo, in cui si inseriscono le aspirazioni di egemonia di Germania e Francia, seppure da angolazioni diverse, un riflesso della situazione descritta. Non so se i processi evolutivi della globalizzazione conserveranno o ridurranno il ruolo dello Stato ad unit elementare di un nuovo ordinamento

Gi negli anni novanta, nel dibattito anglosassone, si mostrava come fosse fuorviante contrapporre in qualche modo lo Stato alla globalizzazione
quello appunto di trasformazione, caro a Massimo Severo Giannini fin dagli anni Ottanta. In diversi casi, la crescita dello Stato andata di pari passo con lascesa delle multinazionali e delle istituzioni multilaterali ed inoltre le reti globali sono ormai fortemente interconnesse con le
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globale, credo piuttosto che sia necessario il superamento del legame troppo forte e comodo con lo schema della crisi del sistema degli Stati nazionali, e confrontarsi con il paradigma della trasformazione, del mutamento, ma non nel senso di preludio alla scomparsa.

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Seconda globalizzazione:

un nuovo inizio
Mauro Magatti
insegna Sociologia presso l'Universit Cattolica di Milano

tre anni dalla crisi, il mondo naviga in acque tempestose. Fermato l'infarto con interventi d'urgenza - l'iniezione di soldi pubblici per ripianare i debiti privati -, i problemi strutturali rimangono irrisolti e bussano alla porta dell'intero pianeta. Lasciato a se stesso, il procedere degli eventi scava in profondit nuovi solchi che pongono questioni molto diverse da quelle che hanno caratterizzato gli ultimi decenni. Nell'opinione pubblica occidentale continua a prevalere l'idea di una crisi che si ostina a trascinarsi. Eppure, a dire il vero, dopo la battuta d'arresto del 2009, su scala globale la ripresa si gi avviata, almeno secondo i dati del World Economic Outlook, del Global Financial Stability Report e del Fiscal Monitor, visto che, a partire dal 2011 il ritmo della crescita tornato superiore al 4% annuo. Le ragioni di tale divergenza sono molteplici, ma fondamentalmente riconducibili a tre ordini di fattori: i) il formarsi di un gruppo di imprese multinazionali appartenenti ai paesi emergenti in grado di condizionare in modo sostanziale i flussi degli investimenti globali; ii) l'allargamento dei mercati interni ai paesi emergenti dove per i prossimi anni sono previsti i tassi di crescita pi significativi;

iii) l'evoluzione del sistema monetario internazionale da un modello in cui il dollaro era l'unica moneta di riferimento ad un regime dove, oltre al dollaro, avranno un ruolo crescente l'euro e il renminbi. In sostanza, all'uscita dalla crisi, il mondo si ritrova molto diverso da quello che era trent'anni fa. La globalizzazione non passata invano. E, quello che pi conta, le prospettive sono diverse per le varie aree del mondo. In effetti, la crisi finanziaria, cumulandosi con quanto gi accaduto negli ultimi dieci anni, mette in luce un mondo a due velocit, con le economie avanzate in difficolt (con tassi di aumento del PIL inferiori al 2% nel biennio 2010-11 e il rischio di recessione per il 2012) e quelle emergenti che viaggiano ad un ritmo superiore al 6%. Dalla relazione 2011 della Banca Mondiale (Global Development Horizons 2011), si evince che nel 2025 le sei maggiori economie emergenti - ovvero Brasile, Cina, India, Indonesia, Corea del Sud e Russia - genereranno pi della met della crescita globale. Lo spostamento dei centri di crescita economica dalle economie avanzate a quelle emergenti considerato ormai imminente. Sul piano geo-economico il Pacifico l'area a cui tutti guardano per il prossimo decennio. Il riequilibrio nella distribuzione della ricchezza globale - in parte gi avvenuto, se si considera che le economie emergenti
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detengono il triplo di riserve internazionali rispetto alle economie avanzate - mette dunque sotto pressione gli equilibri economico-politici internazionali usciti dalla seconda guerra mondiale che, negli ultimi tre decenni, hanno consentito ai paesi occidentali, e in particolare a quelli anglosassoni, di influenzare in modo molto forte l'azione delle agenzie internazionali. Pur conservando un notevole vantaggio, i paesi avanzati si dibattono in uno stato di difficolt da cui stentano ad uscire. Il Giappone ha alle spalle oltre un decennio di stagnazione che ha prodotto un enorme debito pubblico e si trova ora a dover gestire anche le conseguenze dello tsunami; l'Europa alle prese con un passaggio difficilissimo, con bassissimi tassi di crescita e lo spettro del default che si aggira per il continente, minacciando la tenuta dell'euro; gli USA fanno i conti con le distorsioni profonde del loro modello di sviluppo: alto debito pubblico, bilancia dei pagamenti fortemente negativa, tassi di disoccupazione in crescita, crisi del mercato immobiliare. La situazione alquanto intricata dato che gli USA si trovano, da un lato, con un alto grado di esposizione finanziaria rispetto al resto del mondo - la sola Cina al momento della crisi deteneva il 23% dei titoli di Stato americani e ne rimane anche oggi il primo creditore - e, dall'altro, con una difficolt crescente a sostenere i costi dellunilateralismo - che comporta un livello di spese militari pari al 50% del totale della spesa mondiale. Sull'altro versante, negli ultimi anni, le previsioni ottimistiche sulla crescita dei paesi emergenti nascondono i tanti nodi che rimangono da sciogliere. Se vero che lo sviluppo di questi paesi potrebbe indurre effetti ridistributivi maggiori su scala planetaria e stravolgere la gerarchia geopolitica ed economica globale, resta da vedere la loro capacit di tenuta del ritmo di crescita, che appare minacciata innanzitutto dallinstabilit politica derivante dallaumento delle disuguaglianze allinterno di questi paesi. La capacit di sostenere uno sviluppo

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accelerato dipende, infatti, non solo dalla creazione di un ampio mercato di consumo interno e di alleanze trasversali tra questi paesi, ma anche da riforme istituzionali a favore dello sviluppo sociale, umano e ambientale, cio, in ultima istanza, al progresso della democratizzazione che permetta di stabilire un nesso tra crescita e giustizia sociale. D'altro canto, ancora non chiaro quale ruolo questi paesi vorranno giocare sullo scenario internazionale, quanto adotteranno politiche di potenza o di collaborazione, quanto chiederanno di assumersi responsabilit di governance mondiale, quanto saranno disposti ad assumersene gli oneri. Dunque, la crisi finanziaria si inserisce e complica un quadro internazionale profondamente mutato, rispetto a qualche anno fa, in forte movimento e privo di capisaldi sicuri e punti di riferimento stabili. In questo senso la crisi scoppiata nel 2008 ben lontana dall'aver trovato una soluzione. Le misure tempestive che sono state prese nei primi mesi del 2009 sono state efficaci nella gestione dell'emergenza, ma non hanno risolto i problemi di fondo. Aver trasformato lesposizione delle banche in debito pubblico ha finito per spostare pericolosamente il problema: per rimborsare i debiti occorre risparmiare e crescere di pi o, in alternativa, affrontare fallimenti e inflazione. Tutti si rendono conto che la scelta che si deve compiere la prima. Ma il problema che non ci sono idee su come farlo. E, d'altra parte, il debito sovrano comporta il pieno coinvolgimento della politica nella gestione della crisi. Cosa che pu essere foriera di buoni risultati - se servir a ricostruire un equilibrio tra economia e societ - ma anche di grandi problemi, laddove la politica si facesse attirare dall'idea di scaricare all'esterno i costi dell'aggiustamento. Le difficolt non sono, prima di tutto, di ordine tecnico. che il capitalismo tecno-nichilista ha intossicato le societ del Nord al punto da renderle incapaci di tornare a capire che lo sviluppo qualcosa che procede gradualmente e

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che, per essere solido, ha bisogno di coinvolgere le tante fibre del tessuto sociale. , pi in profondit, come ha insegnato Max Weber, lo sviluppo per potersi produrre deve essere sostenuto da uno "spirito", senza il quale diventa impossibile riuscire ad attivare le energie migliori presenti nel tessuto sociale. La verit che il modello di sviluppo adottato negli ultimi decenni non funziona pi: sul lato interno, una crescita basata sui consumi a debito non ha margini significativi. Sul lato esterno, le condizioni della concorrenza appaiono ormai mutate: il formarsi di nuove grandi economie apre nuove possibilit di crescita, ma in un quadro che sar necessariamente pi negoziato, con molti attori in campo e con un sistema di interessi multiplo, contraddittorio e in continuo movimento. l'era della "seconda globalizzazione", dove oltre all'economia torner a contare la politica e a fianco della tecnica riacquister peso la religione e dove nessuno potr pi pensare di poter agire senza tener conto del punto di vista altrui. Per parafrasare Fukuyama, la storia non finita. Sta per ricominciare. Molti paesi occidentali si trovano stretti in una morsa micidiale che nasce dalla manovre di consolidamento fiscale devono essere portate avanti senza mai perdere di vista crescita e occupazione: un passo troppo lento potrebbe uccidere la credibilit, un passo troppo veloce potrebbe uccidere la crescita. importante cogliere correttamente la natura del problema che abbiamo di fronte: si tratta di smaltire un debito e, nello stesso tempo, alimentare la crescita, di mantenere un equilibrio finanziario e di contenere le tensioni sociali. Comunque la si metta, i paesi avanzati si trovano a gestire una fase - ci un periodo che non durer mesi ma anni - che si presenta sotto un segno completamente diverso rispetto al recente passato. Messe cos le cose, non fuori luogo affermare che, per questi paesi si ripropone oggi la stessa domanda che segn la crisi degli anni '70: nelle nuove condizioni (economiche, politiche, culturali, sociali), che cos' la crescita economica? E come si origina, con quali modalit si sviluppa? Per impostare il problema occorre considerare la crisi del 2008 come una discontinuit storica che separa la fase precedente da quella che stiamo attraversando in questi anni.

importante cogliere correttamente la natura del problema che abbiamo di fronte: si tratta di smaltire un debito e, nello stesso tempo, alimentare la crescita, di mantenere un equilibrio finanziario e di contenere le tensioni sociali
combinazione di diversi fattori tra cui: gestione complessa di un debito sovrano molto consistente; esigenze di rilancio economico; alti tassi di disoccupazione; risanamento delle banche e del sistema finanziario. La difficolt sta nel fatto che le
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Con la prima globalizzazione, i Paesi sviluppati hanno esportato lavoro e capitali in quelli emergenti, sfruttando la propria superiorit, economica, tecnologica, politica, culturale. Sarebbe ingeneroso, come ha fatto il movimento no-global parlare di

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neocolonialismo. Infatti, se evidente che gli ultimi trent'anni sono incomprensibili se non in rapporto al definitivo superamento della forma tradizionale di colonialismo, non si pu negare che tra quel modello e quello della prima globalizzazione c' un'importante differenza che poi la ragione che spiega perch il mondo cambiato tanto velocemente. E cio, che i paesi terzi sono stati direttamente coinvolti nel nuovo sistema economico, senza un dominio politico militare esplicito. Ci, come si visto, ha permesso di fare un balzo in avanti dal punto di vista dello sviluppo economico globale. Per molti versi, l'operazione ha avuto un successo tale da provocare, nel giro di un paio di decenni, un cambiamento profondo tanto al Nord quanto al Sud: i paesi ricchi sono progressivamente diventati consumatori con una crescita del PIL realizzata attraverso il debito finanziato anche dai paesi emergenti; questi ultimi hanno sfruttato l'occasione e, nel giro di pochi anni, hanno acquisito una crescente autonomia produttiva, non solo nei prodotti a basso costo, ma anche nei comparti ad alto contenuto tecnologico. Nei prossimi anni, questi paesi, che dispongono ancora di manodopera a basso costo, diventeranno anche forti consumatori, attraendo una quota crescente dei capitali circolanti su scala globale, finora in larga parte appannaggio delle economie occidentali. Il centro di gravit dell'economia rischia cos di cambiare rapidamente, spostando i flussi dei nuovi investimenti verso i paesi emergenti e mettendo nei guai i paesi del Nord, appesantiti da un PIL in calo, alto debito pubblico e invecchiamento demografico. Per i paesi del Nord, si tratter di imparare a navigare in questo nuovo mare, che loro stessi hanno creato e che adesso in buona misura gli sfugge dalle mani. Una nuova stagione cominciata. Per farvi fronte, occorre un nuovo pensiero, una nuova cultura, una nuova politica (da Mauro Magatti, La grande contrazione. I fallimenti della libert e le vie del suo riscatto, Feltrinelli, Milano 2012)

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