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UNA RIVOLUZIONE SENZA IDEOLOGIA

Il periodo della Rivoluzione americana è sempre stato considerato come il periodo d’oro del
pensiero politico americano, ma in realtà non si produsse un solo tratto importante di teoria politica.
Uomini come Franklin e Jefferson, dagli interessi universali e attivi nelle loro realizzazioni politiche
non produssero molto come teorici, poiché ai tempi della rivoluzione non venne alla luce una teoria
politica.
“Alcuni dei nostri migliori storici hanno cercato di togliere alla nostra Rivoluzione il suo colore
locale, esasperando ciò che aveva in comune con fenomeni tipicamente europei” mettendo in
secondo piano che la letteratura della Rivoluzione era di un tono legalistico, che talvolta esasperava
l’atteggiamento di rispetto verso legalità.
“I documenti di quegli anni erano una giungla di discussioni tecniche in cui forse nessun lettore
vivente potrebbe seguire l’autore e dalla quale, d’altra parte, l’autore stesso non esce mai vivo.”
Oratori e scrittori hanno avuto il loro da fare per trovare frasi sonore e grida di battaglia e scaturì il
tipico slogan della Rivoluzione era: “Niente tassazione senza rappresentanza”. Queste parole sono
un po’ troppo legalistiche per infiammare gli animi di un popolo.
Dall’interpretare del significato della disputa costituzionale sono scaturite diverse tesi:
1. tesi della storia e delle idee, che contribuì a costituire lo schema delle idee, secondo la
quale i coloni cominciarono la loro politica a livello giuridico trovando conveniente
polemizzare la “common law” della Costituzione Britannica (nei sistemi legislativi i giudici
hanno l'autorità ed il dovere per decidere che cosa la legge è quando non ci è altra
dichiarazione autorevole della legge), ma nel 1776 si trovarono a parlare nel contesto del
diritto naturale.
“I preconcetti della dottrina del diritto naturale erano latenti nello spirito dei coloni, pronti
a emergere, in caso di necessità, ma non erano mai stati evocati al servizio di qualche causa
concreta.”
Ma il concetto di diritto naturale diventò popolare più da fonti inglesi e francesi che da fonti
americane.
“Nella misura in cui diventavano sempre più rivoluzionari, la loro polemica sarebbe
diventata meno americana” poiché quando la rivoluzione diveniva una realtà gli Americani
si trovavano a parlare allo stesso modo dei filosofi francesi, preoccupandosi di
razionalizzare il loro malcontento.
2. tesi della storia economica, questa suggerisce che la Rivoluzione può essere meglio intesa
come un semplice episodio nella crescita del capitalismo (sistema economico e sociale
fondato sul predominio del grande capitale privato e quindi sulla separazione del lavoro
dalla proprietà dei mezzi di produzione e dalle decisioni relative alla produzione stessa)
“Il dibattito rivoluzionario fu soltanto nella lotta su scala mondiale del moderno
capitalismo.”
Ma se cosi fosse bisognerebbe trovare i fini rivoluzionari negli archivi finanziari che non
rivelano nulla di importante.
3. tesi del senso di Givenness In ogni caso è indiscutibile dire che attraverso l’atteggiamento
dei pensatori americani si sia radicata più profondamente nella coscienza nazionale la
convinzione che le proprie istituzioni siano inevitabili, cioè il senso di “givenness” (la
convinzione che i valori in America sono automaticamente definiti da teorie del passato).
Ma questo aspetto rende superfluo elaborare trattati di filosofia, ma prende in
considerazione specifici trattati politici e uomini politici.
a. Per esempio non si può teorizzare la Dichiarazione d’indipendenza, è vero che
presenta uno spirito cosmopolita, ma solo nei primi paragrafi che ormai sono logorati
(poiché sono pochi coloro che leggono anche i restanti) perchè presi da soli come
slogan filosofici tipo “tutti gli uomini sono creati uguali” al di fuori del contesto di
conflitto politico tra Colonie e Madrepatria, rendono la costituzione macchiata del
sangue di schiavi e indiani. In poche parole si può dire che gli americani non
pensavano veramente quello che dicevano. Inoltre se si confronta la Dichiarazione
d’Indipendenza con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, prodotta
dalla Rivoluzione Francese, si coglie quanto la prima sia tecnica e specifica.
Inizialmente presenta la dottrina di Locke rivelandosi conservatrice “era una buona
vecchia dottrina inglese riformulata per le esigenze della situazione”, poi si occupa
dei doveri di un determinato re e dei suoi sudditi esprimendo le relazioni che
intercorrevano tra Colonie e Madre Patria ed elencandogli errori, gli eccessi e i reati
commessi da GiorgioIII.
“He has refused his Assent to Laws […]”
"Lui ha rifiutato il suo Assenso a Leggi […]”
“He has forbidden his Governors to pass Laws of immediate and pressing
importance […]”
“Lui ha impedito hai i suoi Governatori di varare Leggi di immediata e
insistente importanza […]”
“He has dissolved Representative Houses repeatedly, for opposing with manly
firmness his invasions on the rights of the people.”
“Lui ha dissolto ripetutamente Case di Rappresentanza, per opporre con
virile fermezza le sue invasioni sui diritti delle persone.”
Invece la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino si occupa del
cittadino in astratto, senza imporre i diritti del cittadino francese, ma quelli
generali dell’umanità in relazione alle organizzazioni politiche. Fu per questo
che divenne comprensibile da tutti e di immediata applicazione, poiché
sembrava tendera alla ricostituzione della razza umana che alla riforma della
Francia.
b. È anche importante interpretare il pensiero di Thomas Jefferson (fino al periodo della
Rivoluzione). Egli è stato considerato il carismatico filosofo politico guida della
Rivoluzione.

“These are the times that try men's souls. The summer soldier and the sunshine patriot will, in this
crisis, shrink from the service of their country; but he that stands it now, deserves the love and
thanks of man and woman. Tyranny, like hell, is not easily conquered; yet we have this consolation
with us, that the harder the conflict, the more glorious the triumph.”
“Ci sono tempi che mettono alla prova le anime degli uomini. Il soldato che appoggia una causa
solo nei momenti propizi, e il patriota che la appoggia da sempre potranno, in questa crisi, ritirarsi
dal sostegno del loro paese; ma colui che resta, merita l’amore e il ringraziamento di uomini e
donne. La tirannia, come l’inferno, non è di facile conquista; eppure abbiamo questa consolazione
dalla nostra parte: più duro è il conflitto, più glorioso sarà il trionfo.”

Era anche il principale autore della Dichiarazione d’Indipendenza, e dato che


nel suo contenuto si ritrovano prove di conservatorismo e legalismo, queste
idee saranno particolarmente significative anche nel pensiero di Jefferson.
L’educazione politica dell’epoca richiedeva che un gentiluomo colto avesse
familiarità con certi classici della teoria politica, ma i trattati politici di
Jefferson sono più orientati verso i diritti che verso la filosofia, questa
tendenza la si coglie anche in una delle sue opere più note intitolate “A
Summary View of the Rights of British America” (Una vista riassuntiva dei
diritti dell’America britannica) che si manifesta come un documento di grande
rigore giuridico.
“Non si è verificata nessuna circostanza che possa distinguere materialmente
l’emigrazione britannica da quella sassone.” Gli americani come i sassoni
prima di loro hanno conquistato una terra vergine.
Nello stesso documento dichiara l’opposizione alla proprietà feudale
rifacendosi alle fonti inglesi.
“Le proprietà feudali erano ignote ai […] sassoni e conservarle sarebbe
contro i nostri saggi antenati.”
Da queste citazioni si nota come Jefferson fondò le sue riforme su leggi
feudali e diritti penali rifacendosi alla storia giuridica e sul senso di continuità
col passato.

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