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DIRETTORE LUCA TELESE - A CURA DI CHRISTIAN RAIMO

www.pubblicogiornale.it SABATO 10 NOVEMBRE 2012

I L

F U T U R O

H A

R A D I C I

A N T I C H E

GRILLO E SIMONE WEIL

Limpolitico e lantipolitica non sono la stessa cosa


di ALESSANDRO LEOGRANDE All'indomani delle elezioni siciliane che hanno sancito un clamoroso successo del Movimento 5 stelle anche a Sud, e un ecatombe di voti per tutti gli altri partiti, Beppe Grillo consigliava sul suo sito la lettura di un vecchio testo di Simone Weil, Manifesto per la soppressione dei partiti politici, recentemente riedito da Castelvecchi. Cosa c'entrano Grillo e Casaleggio con questa solitaria pensatrice radicale, scomparsa giovanissima nel 1943? Probabilmente niente, eppure curioso che in coda al post in cui si prontamente affrettato a definire dall'alto le regole della selezione dei futuri candidati del Movimento 5 stelle al Parlamento, auto-nominandosi allo stesso tempo capo politico e garante, capace di essere a garanzia di controllare, vedere chi entra..., il guru trionfante abbia rimandato a questo saggio della Weil, il cui rinato successo editoriale (dovuto a un titolo percepito immediatamente come anti-casta) direttamente proporzionale al suo fraintendimento. Basta rileggere le poche decine di pagine della Weil (e i testi di Andr Breton e Alain che le accompagnano nella edizione Castelvecchi) per scoprire immediatamente il bluff. Simone Weil criticava aspramente il partito giacobino-staliniano (e il modellarsi su quella forma anche dei partiti nati in un solco culturale e politico diverso). Criticava l'asservimento dei singoli militanti al volere del Capo, il sacrificare la capacit di discernimento di ogni singolo eletto sull'altare di quella che invece la volont che discende dall'alto dei gruppi parlamentari o del comitato centrale o del sommo leader. Il pensare partitico, nel momento in cui sostituisce a ogni criterio di Giustizia e Verit, cio di pensiero autonomo e disinteressato, quello del successo del partito medesimo (contro tutti gli altri partiti) conduce in un vicolo cieco. E produce disastri. Simone Weil ci va gi pesante: Si tratta di una lebbra che ha avuto origine negli ambienti politici, e si espansa, attraverso tutto il Paese, alla quasi totalit del pensiero. Andando al cuore di questo Manifesto apparentemente antipolitico, si coglie in maniera lampante un dettaglio: la cosa che Simone Weil pi temeva (ancora pi dell'organizzazione militare della lotta politica) il fuoco della demagogia, cio la capacit di alcune forze politiche (soprattutto di quelle che vogliano abbattere tutto, per poi edificare una nuova era) di essere straordinari moltiplicatori di torbide passioni collettive. Come? Con un uso sapiente della propaganda e della persuasione, che sono diametralmente opposte alla comunicazione reale tra persone, al discernimento dei problemi concreti. SEGUE A PAGINA IV Stefano Graziani , Pappagallo , da Under the Volcano and Other Stories, galleria Mazzoli 2009, c-print, dimensioni variabili

IL PUNTO DI DAMASIO

E la coscienza?
di PAOLO PECERE La ricerca in neuroscienze sta attraversando un periodo di grande sviluppo e popolarit e, ormai da una trentina di anni, molti scienziati hanno affrontato quello che il maggiore trattato della disciplina, i Principles of Neural Science di Erich Kandel, chiama la frontiera della disciplina: la spiegazione della coscienza. Come ricorda Antonio Damasio allinizio del suo nuovo libro Il s viene alla mente (appena tradotto da Adelphi), non tutti gli scienziati concordano sul fatto che i tempi siano maturi per affrontare questo problema. SEGUE A PAGINA III

THOMPSON/WALLACE

Elettorama
di ALBERTO PICCININI

(ie rpr ocgie i p) Inr iebsal dr i t a e u , rmaz m i cmbntr ,rs r e tr o no tc o ia i t t i Soi ro oo a oe a i naf t ie i sf r i a a e Fl oi o ,ns o a dL ceiG. A Maea F a c Vra dtr i urz o G. . t - rno eg E i e r o V lme e ( t dtv aR maz) ou Z r i r ut o l o no o no i
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Inr pr r a pr ers t ea e nmoa c e sl a b

So che le campagne politiche possono sembrare una piccola cosa, anche stupida. E che forniscono un sacco di materiale ai cinici quando ci spiegano che la politica niente pi che uno scontro tra ego, o il dominio di interessi particolari. Cos Barack Obama, la notte della vittoria. Le sue parole ci proiettano diritti al cuore del problema. Come si pu credere ai politici, specie in tempo di elezioni? Come si pu pensare che essi agiscano nel nostro interesse, invece che nel proprio? SEGUE A PAGINA II

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II

SABATO 10 NOVEMBRE 2012

DA HUNTER S. THOMPSON A DAVID FOSTER WALLACE

Gli scrittori americani vanno alle elezioni


di SEGUE DALLA COPERTINA Tra un grande leader e un grande piazzista rifletteva David Foster Wallace nel 2000 esiste una differenza (): se compriamo quello che lui vende, il piazzista ci guadagna.() Questa consapevolezza dolorosa. E un grande oratore. Un populista in senso classico, avrebbe detto 8 anni dopo di Obama. Infine: se dietro lanti-retorica e lanti-politica, lappello dei leader alla verit e alla passione dei propri militanti, si nascondesse un pi raffinato trucco da piazzisti? Con queste domande in testa e una dieta di cartoni animati del sabato mattina che gli avevano aperto da tempo gli occhi sulla devastante onnipresenza del marketing nella vita moderna tra il 7 e il 13 febbraio del 2000, Wallace segu la campagna di John McCain per le primarie repubblicane, inviato del quindicinale rock Rolling Stone. Aveva scritto in bella mostra nel suo curriculum: Non sono un giornalista politico. Lo ricorder nellintroduzione alla versione integrale del pezzo (delle 80 cartelle scritte in tre settimane, aveva dovuto tagliare pi della met), intitolata Forza Simba!, pubblicata di l a poco e successivamente inclusa in Considera laragosta. Con la politica aveva un rapporto labile, in sintonia coi lettori della rivista. Non gli riusc difficile, neppure quella volta, usare la chiave narrativa di quello che era capitato l per caso. Confesso che mi sono fatto imprestare da un mio amico una vecchia giacca di pelle nera consunta () per poter meglio proiettare quel genere di vibrazione tesa e vagamente pericolosa che pensavo dovesse avere un giornalista di Rolling Stone, aggiunse, a completare il senso di displacement dellintera impresa. La curiosa storia del rapporto tra Rolling Stone e la grande politica americana risaliva in effetti ad almeno trentanni prima. La politica sar il rocknroll degli anni 70 proclam allepoca lambizioso fondatore Jann Wenner. E sfidando i mugugni dei caporedattori, sped due inviati a seguire le primarie democratiche del 1972 che avrebbero spinto il pacifista George McGovern nelle fauci del cattivo dei cattivi Richard Nixon: Hunter S. Thompson, il re del Gonzo journalism, e Tim Crouse, un ex critico musicale che avrebbe dovuto fargli da angelo custode. Crouse usc da quellesperienza scrivendo un libro che ancor oggi si studia nelle scuole di giornalismo: The Boy in the Bus, etnografia del gruppo di reporter che seguivano la campagna. Hunter S. Thompson ne faceva parte, ed era una vera rockstar, un marziano atterrato nel mezzo del pi solenne rito politico americano. Munito di un primitivo fax, scriveva i suoi reportage allanfetamina spesso in forma di scarabocchi, persino di nastri magnetici neppure sbobinati, e li spediva quasi sempre mentre il giornale era gi in macchina. I suoi momenti pi folli (mai gratuiti, per) sono al limite della performance: lintervista a McGovern nei cessi di un autogrill, la chiacchierata con Richard Nixon sul football americano, e cos via. Ma il vero fascino delle 500 fitte pagine di Fear and loathing in Campaign Trail (gli articoli uscirono in volume lanno successivo senza celare salti, cesure, materiali incompiuti), sta nella disperata moralit che infiamma di passione la scassata e narcisa prosa rocknroll. Scrive Thompson: Che fantastico monumento ai migliori istinti della razza umana avrebbe potuto essere questa nazione se avessimo potuto toglierla dalle mani di avidi piccoli puttanieri come Richard Nixon Ges! Dove andremo a finire? Quando in basso puoi scendere in questo paese per diventare presidente? Quelle elezioni dissiparono limpegno di unintera generazione, cresciuta nelle universit occupate e nelle mobilitazioni pacifiste, sacrificata dal partito democratico in nome della eterna ricerca del centro. Forse quel fantasma si agitava ancora nellironica giacca di pelle nera di David Foster Wallace, non-giornalista politico e inviato dilettante di Rolling Stone. Vi forniscono ogni motivazione psicologica perch il giorno delle primarie ve ne stiate a casa a farvi i cilum davanti a Mtv, metteva in guardia i suoi lettori. Sollevando a tratti lo sguardo dal grande circo elettorale, traduceva la disperata moralit di Thompson in unautocoscienza almeno appassionata: Non votare impossibile. Si pu votare votando oppure standosene a casa, e raddoppiando tacitamente il valore del voto di un irriducibile. Il repubblicano McCain sfidava Bush figlio e lestablishment del partito presentandosi come outsider in cerca di una nomina che otterr solo 8 anni dopo, nella sfida persa contro Obama. Reduce del Vietnam, ex pilota abbattuto in combattimento, era stato prigioniero per cinque anni in una cella grande come una scatola. Per un poco fu la cosa nuova della politica americana. Uno ha la sensazione di sapere, come

LEGGIAMO AUDRE LORDE?

La centralit del femminismo nero


di FRANCESCA COIN Un giorno nel 1967 Audre Lorde portava la figlia di due anni sul carrello della spesa nel supermercato di Easterchester, e una piccola bimba bianca ad alta voce disse a sua madre Oh look, Mommy, a baby maid!, oh mamma guarda, una piccola badante. La madre, imbarazzata, le dice di stare buona, di stare in silenzio, non la corregge. Quindici anni dopo, scrive Audre Lorde, potete trovare che questa storia sia divertente, ma il vostro riso tradisce terrore e malattia. E io non posso nascondere la rabbia per risparmiarti la colpa, n posso ferirti o rispondere solo rabbia, perch annullerei i miei sforzi. Perch la colpa non una risposta [...] Colpa solo un'altra parola per impotenza, la protezione che distrugge la comunicazione, lo sturmento che protegge l'ignoranza (Uses of anger). Si divincolano in questo piccolo spazio gli scritti oltraggiati e intensi di Audre Lorde, nello spazio tra la colpa indifferente e le sofferenze che quella provoca, tra la retorica e la poesia. Madre scioglimi la lingua, scriveva Audre Lorde. Perch Rosa Parks e Fannie Lou Hamer/Assata Shakur e Yaa Asantewaa/mia madre e Winnie Mandela cantano/nella mia gola (Call). Audre Lorde, si sa, sempre stata l'altra. Nera, lesbica, femminista, guerriera, poeta, madre, come amava definirsi, a fatica uscita da Harlem facendo l'infermiera e l'operaia, a fatica stata accettata nel mondo del femminismo bianco e nero, troppo nera lesbica accusatoria, arrabbiata e isolata, dicevano. Cos a fatica oggi tradotta in Italia, quando, dopo aver ispirato bell hooks, Judith Butler e Barbara Smith, ci che di lei stato tradotto dono delle donne che l'hanno amata. Perch Audre Lorde non ha maschere n veli. Sono un pallido eroismo di parole che rifiutano di essere sepolte vive con i bugiardi (About our dead). La colpa, l'indifferenza, l'autocompiacimento: il canto viscerale di Audre Lorde nasce sempre qui, nello spazio che separa la vita intesa alla maniera occidentale, solo come un problema da risolvere, e parole che scorrono come sangue caldo dalla stessa fonte del dolore (For each of you). Tra l'autonegazione [...] che cos spesso sembra essere la sola alternativa nella nostra societ, e l'erotico, la nutrice della nostra pi profonda coscienza. Tra l'indifferenza, l'autocancellazione, la paura del si; e la poesia, vita che abbraccia le sue voglie pi profonde (The uses of the erotic). Madre scioglimi la lingua, o adornami di un peso pi leggero, scriveva Audre Lorde (Call). Oggi per tante ragioni ha senso parlare di Audre Lorde. Per il documentario su di lei presentato di recente alla Berlinale -The Berlin years, 1984-1992. Per il ritardo del femminismo nero in Italia. Perch, come ha detto Barbara Smith, una poeta indispensabile. Perch mentre pensavo a Audre Lorde volevo arrivare a un punto: al fatto che l'Europa non pu uscire dal cunicolo in cui s' cacciata se non accoglie il femminismo nero. Perch L'Europa indifendibile, scriveva Aim Csaire nel 1950. La prova che sono le popolazioni indigene dell'Africa che chiedono scuole, e l'Europa che le nega. l'Africa che chiede strade e porti, e l'Europa che li nega. L'Africa vuole progredire, e l'Europa la trattiene indietro (Discorso sul colonialismo). Cos oggi il mondo bianco che chiede scuole, e l'Europa che le nega. il mondo bianco che chiede tutele, e l'Europa che le nega. Sono le popolazioni d'Europa che chiedono diritti, e l'Europa che li nega. Oggi come ieri l'Europa indifendibile. Ma in questo tendenziale livellamento, questa sorta di ironia storica che dissolve la retorica della civilt europea, questa barbarie che Keynes chiamava mezzogiornificazione ovvero terzomondializzazione, Audre Lorde spicca, anche nella sua assenza, come un avvertimento. Perch Audre Lorde il rimosso, l'oblio della storia. lespressione di stupore di una signora inglese che si trova nella zuppiera il cranio di un ottentotto (Csaire, Diario del ritorno al paese natale). E' il nero totale/che parla/dal ventre della terra, quel luogo oscuro antico e profondo, ove vivono le antiche madri e la nostra coscienza. storia che riaffiora come la verit, il rimosso che strilla di proteggere l'esistenza (Coal). qui, forse, il cuore del lavoro della Lorde. qui, quantomeno, che Audre Lorde spiazza, ubriaca, nausea talvolta, tanto intensa. Quando accoglie le viscere della terra nel suo ventre, il nostro futuro nella sua parola, quasi la storia avvenisse nel suo corpo. Quando colloca il fulcro della sua potenza nel cuneo della sua sofferenza, quasi sopravvivere gli abissi fosse il suo pi ardito eroismo. Quando scrive alla sua amante in guerra cerco la tua dolcezza/ma il silenzio mi lascia esplodere in faccia/come un ventre incinto/un vomito di mai (Sisters in arms), quasi la lotta avesse ingoiato l'amore. Per poi tornare sempre a la madre Nera in ciascuna di noi -la poeta- che sussurra nei nostri sogni: sento, dunque posso essere libera, chiedendo alla poesia di adempiere alla sua libert (Uses of the erotic). Perch quando il sole sorge e temiamo che non rimanga/quando tramonta e temiamo che non sorga pi [..] quando siamo amate e temiamo che svanir/quando siamo sole e temiamo che l'amore non torni/ quando parliamo e temiamo di non essere ascoltate o gradite/ quando siamo in silenzio e abbiamo ancora paura/allora meglio prendere la parola/e ricordare/che non siamo mai state concepite/ per sopravvivere (Litany for survival).

Stefano Graziani , Scimmia , da Under the Volcano and Other Stories, galleria Mazzoli 2009, c-print, dimensioni variabili fatto dimostrato, che lui ha la capacit di consacrarsi a qualcosa di diverso dellinteresse personale, not Wallace ricordando affascinato quella vicenda. Non fu il solo. Le mie idee politiche erano a circa 179 posizioni di distanza da lui, precis poi in unintervista. Otto anni dopo furono gli attuali reporter politici di Rolling Stone Matt Taibbi e Tim Dickinson (una coppia per molti versi simile a quella del sulfureo Thompson e dellordinato Crouse), a svelare i molti buchi neri di quella leggenda di guerra. Ma questa unaltra storia. Come Thompson e Crouse prima di lui, Wallace punt lobbiettivo sulla cerchia dei reporter (Le Dodici Scimmie) e dei tecnici che raccontavano la campagna al pubblico americano. Lo interessava particolarmente il sistema di scatole cinesi che spiegava passando attraverso gli elettori, gli uomini dei media e quelli dello staff elettorale aveva al suo centro la scatola imperscrutabile di McCain: narratore e narrato al tempo stesso. Chiunque abbia seguito una carovana elettorale sa che la serialit degli eventi che vi si svolgono ha un effetto micidiale sulla loro pretesa sincerit. Wallace cronometr la durata standard dei discorsi pubblici di McCain: 22,5 minuti. Trov un tormentone sicuro nella loro stentorea chiusa: Vi dir. Sempre. La verit. Us ogni possibilit comica. Impegnato comera nella difficile impresa di infiltrarsi in un gruppo consolidato senza mai smarrire linnocenza dello sguardo, Wallace probabilmente esager a bella posta la situazione. I partecipanti a quella campagna spiegarono ad esempio che il suo travestimento da giornalista di Rolling Stone non ebbe mai e poi mai un aspetto vagamente pericoloso. John Dickerson di Time una delle Dodici Scimmie lo rimprover di aver fatto dellesilio una virt. Eppure, nellepoca di twitter ha notato la rivista online Salon le interazioni banali e la noia sono diventati il pane quotidiano dei reporter politici. Un recente reportage della corrispondente politica del New York Times cronometrava la stretta di mano di Obama durante gli incontri coi suoi sostenitori: meno di un secondo. In dieci secondi capace di salutare almeno sette persone. Si pu smontare ulteriormente il reportage di Foster Wallace fino a sottolineare il paradossale status del racconto di un osservatore travestito da giornalista di Rolling Stone che osserva attori travestiti da politici, giornalisti, addetti alla comunicazione. E smarriti nel gioco di scatole cinesi della politica (e della vita) chiedersi infine se si possa cercare ancora, da qualche parte, un pallido riflesso della realt. Un vero leader prov a rispondere lo scrittore uno che sa aiutarci a superare i limiti individuali della pigrizia e dellegoismo e della debolezza e della paura, riuscendo a fare cose migliori e pi difficili, quelle che riusciremmo a fare da soli. Per questo il grado di realt di un politico, conclude, dipende meno da quello che c nel suo cuore che da ci che c nel vostro. Cercate di rimanere svegli. ALBERTO PICCININI

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SABATO 10 NOVEMBRE 2012

III

LEX DE LA IGLESIA

DAMASIO FA IL PUNTO SULLE NEUROSCIENZE

Fare esplodere il cinema della memoria


di NICOLA LAGIOIA Immaginatevi uno dei tanti film italiani sul terrorismo scomodi in via istituzionale e dunque esteticamente di regime, a un certo punto del quale, la mattina del 9 maggio 1978, dopo il ritrovamento del cadavere di Moro, un clown pluriomicida con il volto ustionato accosti casualmente un'utilitaria con dentro Morucci, Moretti, Gallinari e la Faranda, li guardi catatonico e domandi: "E voi, di quale circo fate parte?" Impossibile immaginarlo, e infatti non siamo in Italia, cos come l'oggetto dell'attentato non Aldo Moro ma Carrero Blanco, capo del governo spagnolo sotto il franchismo, fatto esplodere dai separatisti dell'ETA il 20 dicembre 1973 mentre tornava in auto dalla messa. Il film in questione si intitola Balada Triste de Trompeta (dall'omonima canzone di Raphael), lo firma il post-almodovariano lex de la Iglesia e, pur avendo vinto il Leone D'Argento due anni fa, esce nel nostro paese solo ora sotto un'intestazione sanremese: Ballata dell'odio e dell'amore. Si tratta di un'opera eccessiva, barocca, sanguinolenta, sovrabbondante di allegorie pesantissime, capace di non retrocedere davanti alla tentazione di cremare sconsideratamente la potenza di Goya, il geniale opportunismo di Dal, la sommit di Cervantes, l'omaggio alla Catalogna ridotto ante tempo a kitsch di stato da Gaud e poi purificato da Orwell pur di restituire all'incubo di un paese infetto da franchismo e clericofascismo un trauma artistico di pari portata. Si tratta, vale a dire, del film nel quale nessun regista italiano (Giordana con Piazza Fontana, Vicari con la Diaz, persino l'onirismo senza fase rem di Bellocchio con Moro) ha osato avventurarsi, preferendo il suicidio sull'altare della ricostruzione dei fatti al sospetto che un Kurtz perso nella jungla a citare Rimbaud dica la verit sul Vietnam meglio di chiunque. Ci vuole un Orson Welles per immaginare Charles Foster Kane, mentre un citizen Berlusconi ha solo bisogno della buona volont di un archivista. Ma veniamo alla Balada. In un circo molto felliniano ci sono due clown perfettamente speculari. Il clown allegro violento e semialcolizzato, venera i bambini e picchia la trapezista che lo ricambia di un amore perverso e tumefatto. Il clown triste un ragazzone impacciato, timido con le donne, segretamente orripilato dai bambini che pure dovrebbe intrattenere. Suo padre per, anch'egli un clown (qui il colpo di genio antiretorico di de la Iglesia) era un repubblicano perseguitato dai franchisti il quale, senza che il figlio quasi se ne accorga, riesce a trasmettergli il seme di un odio e una vendetta che esploderanno quando anche lui (il clown triste) si innamorer della stessa trapezista, tirando fuori un mostro che cova sin dai giorni della presa di Madrid. In questo modo, un conflitto amoroso da Cime tempestose si trasforma in un viaggio allucinante negli anni della dittatura, con i due clown che si affrontano a colpi sempre pi duri e meschini, e arrivano perfino a sfigurarsi fisicamente sostituendo la provvisoriet di una maschera con il definitivo segno dello sfregio, di pari passo con un paese in grado di sovrapporre al volto del regime quello della societ dello spettacolo giunta nel frattempo in Spagna (sono pur sempre gli anni Settanta nell'Europa occidentale) coi pantaloni a zampa d'elefante, le discoteche e le canzoni pop di Marisol. Se Almodovar poteva illudersi che la fine del franchismo liberasse in modo permanente un'energia salvifica, il suo allievo individua in un interminabile 1973 l'anno stregato, il centro propulsivo di un maleficio che non cessa di sortire effetti. La maledizione che grava su un paese di solito cosa troppo antica e vasta per finire in un qualunque d-day, e solo chi aveva dieci anni quando Franco fu sepolto nell'assurda Valle de los Cados pu oggi capirlo forse cos in profondit da regalargli la lente deformante che merita. Tanto per dire: a un certo punto del film, il clown triste si ritrova a lavorare come cane da riporto nelle battute di caccia organizzate dagli sgherri del generalissimo, davanti a cui compare nudo tenendo in bocca una poiana. Pur non toccando le vette del capolavoro, un film come quello di de la Iglesia un prezioso insegnamento per almeno due motivi. Primo. Al pari della Spagna, il nostro un paese in cui i mali storici ritornano in forme sempre pi tristi e spaventose, e sempre pi ambigue di quanto vorremmo. Secondo. Con la scusa del ritorno al realismo, nell'Italia dell'ultimo decennio si creduto che l'arte potesse o addirittura dovesse fare a meno dell'invenzione in nome dell'ansia documentaristica. Quando Pasolini scrive "io so, ma non ho le prove, e lo so perch sono un poeta", non sta auspicando il possesso di chiss quale materiale da produrre in giudizio, ma rivendica i superiori poteri grazie a cui l'arte penetra il velo del reale. Nei cieli percorsi dal volo dei corvi delle poesie di Trakl si intravede gi il nazismo. L'arcipelago Gulag popola i sogni di Kafka. E allo stesso Pasolini sarebbe bastata una Draquila repubblichina per non fare ci che invece gli riusc stupendamente, spaventosamente con Sal o le 120 giornate di Sodoma.

Continuare a stupirsi di cosa fa la coscienza


SEGUE DALLA COPERTINA Ma chi lo affronta (come hanno fatto premi Nobel del calibro di Francis Crick, Gerald Edelman, e lo stesso Kandel) concorda su quale sia lobiettivo: comprendere, attraverso la conoscenza dellattivit cerebrale, come si produca quel fenomeno pervasivo ma sfuggente in cui consiste la nostra esperienza soggettiva. La precisione delle tecniche di osservazione del cervello molto migliorata negli ultimi decenni, ma ancora non permette di valutare quel che accade nei milioni di miliardi di connessioni tra i neuroni senza avventurarsi nel campo delle congetture. Le ipotesi in campo sono molto diverse, da chi (come Damasio) tende a localizzare in una o pi aree specifiche del cervello la sede della coscienza, a chi (come Edelman) invece attribuisce la produzione della coscienza allattivit distribuita di gruppi di neuroni che variano ad ogni frazione di secondo in corrispondenza con il diverso contenuto dellattivit mentale. Ci si trova in una fase di sviluppo tumultuoso di una scienza che non ha ancora trovato il suo Newton: vi si percepisce lentusiasmo di ricercatori che sono consapevoli di toccare un tema antico del pensiero filosofico, con la certezza di possedere gli elementi per conoscere qualcosa di nuovo. Eppure in una frase molto diffusa nel gergo neuroscientifico, che anche Damasio occasionalmente usa il cervello fa la mente risuona leco di vecchi equivoci. Nella riflessione sul rapporto tra mente e corpo, lintero XX secolo stato dominato da una contrapposizione tra riduzionisti e anti-riduzionisti: i primi, in nome della scienza o di una filosofia scientifica, sostenevano la necessit di eliminare la soggettivit dalla descrizione della mente, di tradurre il contenuto della coscienza in termini fisici, trattandola come la propriet di una macchina molto complessa; gli altri hanno difeso lirriducibilit di contenuti e valori soggettivi, contestando la possibilit di questo programma e le sue possibili implicazioni disumanizzanti. Di fatto entrambi questi orientamenti hanno finito col lasciare fuori gioco laggiornamento sui dati empirici, quasi si trattasse dellopposizione di gusti letterari tra amanti della science fiction e esistenzialisti inguaribili. Oggi questo tipo di opposizione si ritrova con estremi quasi schizoidi nella letteratura divulgativa, disorientando un lettore curioso che vuole sapere di pi su di s. Un po come le mappe frenologiche che andavano di moda nellOttocento, in cui la conformazione del cranio informava sullo sviluppo delle diverse capacit umane, oggi le animazioni del neuroimaging su cui si osserva in tempo reale lattivit elettrica dei neuroni finiscono spesso col fungere da oroscopo, su cui luomo leggerebbe le sue fortune e i suoi progressi. Sugli scaffali delle librerie riprogrammazioni neurali (PNL e affini) e umanismi New Age si fronteggiano, e patteggiano finanche mostruose alleanze (come nel caso di Scientology, non a caso linvenzione di uno scadente psicologo e scrittore di fantascienza americano). Se per si considera lo stato attuale delle neuroscienze lintera opposizione appare datata. Proprio Damasio, che con Il S viene alla mente ripensa trentanni di ricerche, tra i neuroscienziati pi attenti a chiarire che la sempre pi evidente complessit del sistema nervoso, se per un verso impedisce di immaginare una futura descrizione biologico-molecolare anche solo di un singolo stato mentale, rende per laltro verso plausibile stabilire lidentit tra stati fisici e stati mentali, senza con ci condannare questi ultimi alla semplificazione e alla perdita di senso. Si tratta semmai di denunciare leccessiva semplicit di tutti gli schemi esplicativi che hanno guidato il riduzionismo del passato. Il cervello non si pu separare dal corpo e dallambiente, e il suo funzionamento talmente complesso che come scriveva pochi anni fa anche Edelman in libri come Un universo di coscienza e Seconda natura la coscienza quale la viviamo in tutte le sue sfumature e trasformazioni (elevate a potenza dal linguaggio con il suo meccanismo metaforico) una rappresentazione adeguata dellattivit mentale, non gi un fenomeno come larcobaleno, di cui spieghi meccanicisticamente che non esiste perch in realt un complesso di goccioline dacqua e raggi luminosi. La coscienza, quella con cui vediamo larcobaleno colorato, si sarebbe sviluppata e affermata evolutivamente proprio perch permette agli organismi un controllo di lungo termine sulle proprie vite, che non sia ostacolato dallo sforzo di elaborare in pochi istanti una complessit inestricabile di processi fisici e neurali. La coscienza ha dunque una efficace funzione omeostatica (cio di conservazione dellequilibrio tra organismo e ambiente) e come tale si spiega perfettamente sul piano dellevoluzione biologica. Damasio non esita a congetturare, riabilitando con spregiudicatezza vecchie ipotesi speculative, che conoscenza e sentimenti si radichino in caratteristiche delle stesse cellule che compongono il corpo umano. Ma que-

Stefano Graziani, Taxonomies,a+mbookstore Milano, cprint dimensioni variabili, 2006 . sto punto di vista rigorosamente biologico non mette in dubbio il libero arbitrio e le capacit creative delluomo. Damasio rileva piuttosto una fondamentale continuit tra processi biologici e processi culturali: tracce della funzione omeostatica si possono ritrovare allorigine dello sviluppo di capacit culturali elevate, come larte o la morale, e, daltra parte, lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e conservazione della memoria modifichi lo stesso corredo biologico delle facolt cognitive e emotive. Il s viene alla mente costituisce cos un ambizioso inquadramento delle neuroscienze della coscienza, che ne ritrae fedelmente caratteristiche divenute negli ultimi anni sempre pi evidenti: la coscienza appare irriducibile nel suo complesso a un processo materiale non intelligente, e tendenzialmente nessuno scienziato di oggi vuole togliere a nessuno il proprio mondo vissuto di sogni, angosce e entusiasmi estetici; eppure la descrizione scientifica pu aiutare a comprenderne sempre meglio il contenuto, se solo si prendesse atto come avviene sempre pi spesso di essere di fronte a un compito ai suoi inizi e che il sistema nervoso, nelluomo e negli altri animali, forse loggetto pi complesso delluniverso. Proprio Spinoza (lalter ego filosofico che Damasio ha scelto qualche anno fa nel bellissimo Alla ricerca di Spinoza) fu tra i primi e pi profondi sostenitori dellidentit sostanziale tra mente e corpo, e scrisse in proposito delle parole di grande attualit: Finora nessuno ha conosciuto tanto accuratamente la struttura del corpo da poterne spiegare tutte le funzioni, per non dire che negli animali si osservano moltissime cose che superano di gran lunga lintelligenza umana e che i sonnambuli, nel sonno, compiono uninfinit di cose che da svegli non oserebbero fare; e questo dimostra a sufficienza che lo stesso corpo, in base alle sole leggi della sua natura, pu molte cose di cui la sua stessa mente si meraviglia. PAOLO PECERE

CHI SIAMO E CHI CI COMANDA


Le fotografie di questo numero sono di Stefano Graziani. Lui del 1973, vive e lavora a Trieste, ha pubblicato tra laltro i volumi monografici Taxonomies (A+MBookstore), Under the Volcano and Other Stories (Galleria Mazzoli), Lisola (Galleria Mazzoli), Memory Talks (A+MBookstore). Anche per questo numero va ringraziata tutta la redazione, in particolare Carolina Cutolo per la sua disponibilit, Jumpinshark che coordina la presenza di Orwell sui social network, Carlo Mazza Galanti e Gabriele Iarusso che curano limpaginazione. Potete seguire Orwell anche il rete, sul sito di Pubblicogiornale.it. Oppure su facebook, dove ci chiamiamo Rivista Orwell; oppure su twitter: il nostro account @orwellp

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IV

SABATO 10 NOVEMBRE 2012

COME PARLARE DI TEATRO E DANZA OGGI IN ITALIA

Ancora con sta storia della sperimentazione?

LETTERA AL DIRETTORE
di LISA NUR SULTAN Gentile Direttore, noto con stupore che siamo al numero otto e ancora non sono comparse interviste con domande fisse. A 'sto punto qualcosa di pi di una semplice dimenticanza. Certa di farla rientrare da questa assurda posizione, mi sono permessa di stilare una serie di domande di indubbio interesse, che lei potr sottoporre a chiunque abbia qualcosa da promuovere in settimana. Cosa mangi il mercoled? Cosa c' nel tuo mobiletto brutto? Primo ricordo legato a un bufalo? Come vivi la tua contemporaneit, esofagite da reflusso o attacchi di panico? Pandoro o panettone? La qualit che ami di pi in un commercialista? Sudoku: da 1 a 9 quanto conta veramente? Entri in una stanza piena di gente sconosciuta, perch lo fai? Ultimo film che hai pensato gli venisse un colpo a lui, a lei, al regista, allo sceneggiatore, al produttore e via via a tutti fino all'omino dei popcorn? Voterai alle primarie? Altre perversioni? Il tuo rapporto con fumo, alcool e cerini? Se sei donna e ti reincarnassi in un uomo, cosa vorresti sperimentare come prima cosa? A parte la differenza di stipendio, intendo. Non ti stupisce che la maggior parte delle intervistate risponda fare pip in piedi? E' un problema di pochezza di immaginario o di igiene dei bagni? Tolti amore-soldi-amicizia-sesso-felicit, cosa conta per te nella vita? Tolta anche la salute, cosa conta? Leva pure quella, cosa conta? Se non fossi uno (scrittore/attore/musicista) con qualcosa in promozione, perch dovremmo interessarci a cosa c' nel tuo frigo? Metti che muori a met questionario, chi vorresti che finisse di rispondere al posto tuo? Ti scoccerebbe molto se finissi io?

Stefano Graziani, Con titolo, stampa ink jet, dimensioni variabili, 2012 di SERGIO LO GATTO Nell'ultimo Festival Internazionale di Teatro della Biennale di Venezia figurava un programma speciale di realt nazionali dal titolo Young Italian Brunch: Brunch perch gli spettacoli si tenevano all'ora di pranzo; e Young. Giovane. Una sorta di mani avanti semantico appoggiato l a specificare l'et degli artisti coinvolti. Una postilla a met tra l'ostentazione del bambino prodigio come se poi l'et anagrafica coincidesse con quella professionale e qualcosa che suona come: sono giovani, non prendeteli troppo sul serio. Certe volte, insomma, specificare pu essere sinonimo di limitare. E questo non vero soltanto in termini di analisi estetica, ma molto di pi in rapporto alle scelte strategiche delle politiche (culturali e non) che una certa definizione va a significare. Quando si parla di arte, giovane, nuovo, addirittura contemporaneo sono termini problematici, funzionali solo se trattati in maniera critica, considerando elemento dopo elemento per riscoprirne le propriet organiche. Nel concreto, organico quello spazio di espressione in cui i segnali di una coraggiosa variet siano tenuti insieme da una funzione comune, quella di produrre pensiero. Allora il festival Ammutinamenti di Ravenna pu permettersi di includere un sottoinsieme dal titolo Giovane Danza d'Autore perch si inserisce in un lavoro preciso condotto sul territorio, perch l'offerta di cultura innanzitutto un'opera di radicamento; al contrario, i numerosi bandi e premi che, dall'alto di schemi istituzionali e di circuito, invitano le giovani realt a esprimersi senza creare per loro un sistema dinamico in grado poi di diffonderli e farli crescere minano l'accessibilit invece di agevolarla. Nel programma del Romaeuropa Festival, uno dei maggiori eventi di arti performative in Italia, si inserisce la tre giorni di DNA Danza Nazionale Autoriale, una selezione decisa a schivare le categorie convenzionali. Lavori brevi, materiali in forma di studio e debutti, presentati senza mai aver bisogno di classificare gli artisti. Sufficiente la specifica sul carattere originale delle creazioni e sulla provenienza d'origine ch alcuni di loro in Italia ci sono solo nati. Addirittura il termine danza, andando oltre la semplice indicazione di un genere, viene coraggiosamente sporcato, in scena, da linguaggi che finalmente sono ibridi fin dalla nascita. La personalissima auto-grafia di Giorgia Nardin nel suo primo solo da "danzautrice", Dolly, era accanto al Folk-s di Alessandro Sciarroni, che usava i balli tradizionali tirolesi per comporre una performance di gruppo in cui, in maniera inedita, faceva parte anche lo spettatore. Nel vedere accadere quei linguaggi e nel considerarne il valore culturale si dovrebbe fluidificare il discorso, andando a eliminare, dove possibile, una divisione per categorie; categorie che suonano ormai come altri di quei dogmi anacronistici di cui il nostro paese compulsivamente si ciba. A caratterizzare il sistema di produzione e distribuzione delle arti sceniche (e non solo quello) in Italia una sempre pi grave bulimia: una forsennata digestione di materiale che si reputa davanguardia solo perch prodotto da giovani generazioni con nuove tecnologie rischia di calciare via l'unica categoria che un mezzo come il teatro dovrebbe reputare primaria, quella della rilevanza culturale. Se certe punte dell'offerta culturale di una citt o di un paese non riescono a emergere non tanto perch non sia stato pensato per loro uno spazio adeguato, ma al contrario perch i muri di definizione che delimitano quello spazio sono talmente alti da scavalcare che anche la pi vivace creativit ne esce omologata. In questo sistematico appiattimento di linguaggi e codici dentro nicchie polverose si annulla anche la capacit critica del pubblico, che dovrebbe invece essere l'elemento di chiusura del cerchio. Molte realt che monopolizzano quell'offerta culturale lo fanno allora attraverso il perfezionamento di un modello, l'aguzzarsi di un ingegno che ancora una volta per necessit, quasi per darwiniana intelligenza d'istinto le posiziona al meglio nel perimetro di comode categorie. Il caso di Romaeuropa, fortunatamente non isolato, diviene virtuoso nel momento in cui espone certe creativit in un'area delimitata e per non protetta da recinzioni e teche museali. Ne prova anche la sezione Digitalife, che apre a Roma il 15 novembre e fino al 16 dicembre mette una accanto all'altra arti di diversa natura, in una sorta di percorso selezionato ma non selettivo. Se Club to Club a Torino (fino all'11 novembre) basa tutto il programma sulle interazioni tra arti e musica, diversi eventi, come Zoom Festival a Scandicci (fino al 12) si occupano di affiancare un tipo di fruizione all'altro, in modo che l'uditorio si frammenti. Sono tutti inizi da cui ripartire. Di l dal puntare il dito contro un unico responsabile, possiamo osservare questa geografia come il sintomo ulteriore di una perdita di cultura. La tendenza a classificare le espressioni artistiche con il metodo dei concetti definiti (novit, giovinezza, valore politico, popolarit) e a concepire tra loro rapporti di interdipendenza (giovane = nuovo; popolare = politico; testo = reazionario; movimento/performance = rivoluzionario) finisce per fossilizzare a priori la libert di sguardo che uno spettatore attivo dovrebbe difendere. Forse gioverebbe riportare dunque l'attenzione proprio su chi guarda. La scansione per generi e per fasce d'et proviene infatti da un ragionamento a priori sul pubblico, al quale si tenta di proporre un prodotto confezionato. E tuttavia il rischio proprio quello di immaginare lo spettatore come ennesimo elemento scenico da manipolare, quando invece la sua presenza attiva si offre a donare senso anche e soprattutto a quelle parti che l'opera lasci aperte, come analizzava il bel libro di Jacques Rancire Le spectateur mancip (La Fabrique, 2005), tradotto in inglese (Verso, 2009) e non in Italia. Finch si continuer a impostare l'offerta e la distribuzione dell'arte in base a una presunta forbice di interesse il destino di certe forme di creativit rischier di essere quello del cibo ingerito e digerito da un soggetto bulimico. Lespulsione.

SEGUE DALLA COPERTINA


Qual l'obiettivo reale di Beppe Grillo quando scrive, come ha scritto qualche mese fa: Il Movimento 5 Stelle il cambiamento che non si pu arrestare, il segno dei tempi. lavvento di una democrazia popolare che pretende di decidere, di controllare il destino del suo Paese, del suo Comune, della sua vita? Controllare la vita di chi? La soppressione di cui parlava Simone Weil era una idea regolativa posta in maniera radicale. un ragionamento, il suo, che avrebbe voluto contribuire a un superamento della crisi della rappresentanza. Ovvio che questo discorso risorga dalla ceneri del Novecento nel momento in cui, come avviene oggi in Italia, non solo una intera classe politica profondamente screditata, ma la stessa forma-partito sembra cadere sotto le mannaie del furore grillino. Eppure quel furore, anche se a volte si propaga nel vuoto lasciato dalla politica, appare pi figlio delle passioni collettive (a loro volta alimentate dalla demagogia e dalla propaganda, smisuratamente lontane dall'interesse generale) che non da una minoritaria, ereticale ricerca di una via di uscita. Soprattutto, lasciava intendere Simone Weil, bisogna massimamente diffidare da chi sostiene la necessit di sopprimere tutti i partiti politici meno uno, il proprio, con la scusa magari che il proprio non un partito, bens un movimento. proprio qui che si annida la logica giacobina che Simone Weil vedeva ben formulata nelle parole di un vecchio sindacalista russo, Michail Tomskij: Un partito al potere e tutti gli altri in prigione. Arrivati a questo punto, evidente che occorre separare come il grano dal loglio una ricca, per quanto misconosciuta, tradizione impolitica del pensiero novecentesco e la cosiddetta antipolitica, che oggi ha nel maschio alfa Grillo il suo principale campione. Quella che definiamo spesso impropriamente antipolitica mutua dalla politica le sue forme demagogiche peggiori. Al di l delle ciarle sulla rete orizzontale, non vuole costruire un luogo altro dell'amministrazione o delle relazioni umane, ma occupare lo stesso Palazzo a modo proprio. Ripete come un mantra l'idea vetusta secondo cui la classe politica marcia mentre il paese reale (i suoi imprenditori, i suoi dirigenti, i suoi giudici, i suoi intellettuali) sarebbero lungimiranti e laboriosi, come se il degrado non riguardi tutti e non sia stato soprattutto causato da tutti. Non vuole riformare niente, ma distruggere tutto: creare una steppa in cui poter scorrazzare in lungo e in largo. Con quali forme? Esattamente quelle indicate da Simone Weil. Oggi non solo abbiamo bisogno di separare la critica radicale della politica da chi si erge in maniera diametralmente opposta, ma speculare, al sistema dei partiti. Questo nucleo originario (analizzato ad esempio da Vittorio Giacopini in Scrittori contro la politica, Bollati Boringhieri 1999, o da Roberto Esposito nellantologia Oltre la politica. Antologia del pensiero impolitico , B. Mondadori 1996) va apertamente difeso, preservato dalle appropriazioni di Grillo & co. Simone Weil, Hannah Arendt, Karl Barth, Elias Canetti, Jan Patocka, George Orwell, Albert Camus, Dwight Macdonald, Paul Goodman... sono un'altra cosa. Tra il mantenimento dello status quo da una parte (l'agenda Monti, per intenderci), e la demagogia dissolutrice dall'altra, si sta stringendo una tenaglia. Nel mezzo, rischia di scomparire la possibilit di una critica radicale dell'esistente che miri a costruire qui, ora qualcosa di nuovo. ALESSANDRO LEOGRANDE

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