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L'uomo prima d'ogni altra cosa deve piacere a se stesso, e perci, innanzi tutto, conoscere, e stimare, e temere se stesso

[...] (Vita) Il primo premio dogni alta opera la gloria. La gloria : Quella stima che il pi degli uomini concepiscono dun uomo, per lutile chegli ha loro procacciato; quelle laudi che il mondo glie ne tributa; quella tacita maraviglia con cui lo rimira; quel sorridergli dei buoni con gioja e venerazione; quel sogguardarlo con torvi e timidi occhi, de rei; quellimpallidire degli invidi; quel fremere dei potenti: che tutti questi sono i corredi della nascente gloria fin che luomo in vita rimane. Ma, lapice di essa non sinnalzando mai totalmente che su la di lui tomba, io credo che la pi vera e pura gloria non sia gi quella che viene riposta nelle altrui lodi; ma quella bens, che consiste nella intima divina certezza dalluomo portata con se stesso al sepolcro morendo, di veramente meritarla. (Vita, II, cap. XI) "L'io alfieriano balena a se stesso in intense fulgurazioni passionali: in quei lampi egli si vede, si esalta e si glorifica: si vede come spirito in lotta contro la forza tirannica, si esalta perch trova l'arma con cui liberarsi, si glorifica perch ha acquistato la vera gloria che consiste nello stimare se stesso - continua il Ramat - l'uomo dell'illuminismo pu dire col Ficino ch'egli il centro della natura, e inorgoglirsene: l'Alfieri no, perch sente che ci comporta l'accettazione di una legge naturale fuori della sua anima e limite ad essa. La tragedia alfieriana nasce appunto da questo ossessivo sentimento del limite posto alla infinita potenzialit dello spirito. [...] i grandi suicidii alfieriani non sono fughe dalla lotta, ma affermazioni morali: piuttosto che rassegnarsi alla schiavit e rinnegare la propria nobilt spirituale, l'eroe getta violento la sua vita, strappa il proprio infinito spirito dall'obbedienza vile alle leggi servili dell'universo meccanicamente finito" (RAMAT)

"Si deve considerare l'alfieri come un protoromantico, il che non vuol dire propriamente romantico, come ora si preso il vezzo di chiamarlo, confondendo bene distinti periodi spirituali. Del romantico all'Alfieri mancarono tratti essenziali, l'ansia religiosa sul fine e il valore della vita, l'interessamento per la storia, e il compiacimento per gli aspetti particolari e realistici delle cose" (B. CROCE) " La tragedia del superuomo, che anela a farsi uomo e non vi riesce, ma nel superuomo alfieriano nulla dellestetismo e del dilettansismo del superuomo moderno alla Nietzsche e alla D'annunzio. Il superuomo alfieriano un superuomo religioso, egli sente la profonda eticit della sua sostanza eroica, e, Prometeo moderno, il suo fegato gli roso, ed esso eternamente rinasce, da questo implacabile, selvaggio avvoltoio che la realt di tutti i giorni." (L.Russo) "Il personaggio tragico alfieriano parla sempre a se steso, non al suo interlocutore: Alfieri che parla a se stesso. il personaggio alfieriano non agisce, non si muove, ma si pone statuariamente gigante in un deserto: l'Alfieri che si atteggia nel suo sublime mondo eroico. solitudine che esclude il rapporto tragediabile, e libera invece una lirica tragica. l'Alfieri appunto il creatore di un linguaggio lirico tragico" (RAMAT)

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