Sie sind auf Seite 1von 3

La violenza e il sacro LA SOCIET' HA BISOGNO D'UNA VITTIMA DESIGNATA?

Come nei romanzi gialli, anche nelle scienze la scoperta di una soluzione dipende spesso dal rimettere in questione ci che pareva ovvio. Per lungo tempo parso ovvio agli etnologi e agli antropologi che l'esperienza del sacro fosse legata alla superstizione e ad errori logici della mentalit primitiva, che non possono ormai avere pi alcun potere sull'uomo evoluto. Coltivando questo' pregiudizio razionalistico, l'etnologia, in generale il pensiero moderno si sono preclusi la comprensione di un fenomeno che, come quello del sacro, sta alla base della stessa costituzione dell'ordine sociale entro il quale ancora viviamo. E' questa la tesi, assai radicale, del libro di Ren Girard su La violenza e il sacro (uscito nel 1972, e tradotto ora in italiano presso Adelphi). Per Girard, il modo con cui l'antropologia culturale anche pi recente considera il sacro ancora quello emblematicamente definito da J. G. Frazer, il famoso autore der Ramo d'oro, un'opera -uscita nel 1890- che esercit a lungo una determinante influenza sulle ricerche etnologiche e antropologiche. Frazer aveva -giustamente, secondo Girard- individuato l'essenza del sacro nell'esperienza del sacrificio (di vttime animali o umane); ma il sacrificio gli appariva fondato su un grossolano errore logico, giacch supponeva che si potesse collocare un fardello concreto sulle spalle altrui... trasferire le nostre miserie fisiche e spirituali su qualcun altro che se n caricher al nostro posto. E' assurdo, secondo Frazer. pensare che il capro espiatorio, figura centrale in tutte le religioni, possa prender su di s i nostri peccati, giacch questi non sono un peso materiale che si possa spostare dall'uno all'altro. Cos, l'esperienza del sacro resta semplicemente definita come errore e superstizione.

Con questo, per, gli etnlogi rimangono prigionieri essi stessi del meccanismo del sacro che volevano studiare e spiegare. Dire che il sacro errore e assurdit significa infatti metterlo da parte, isolarlo, rifiutarsi di vederne il contenuto profondo, un contenuto che ci disturba e preoccupa, perch, secondo Girard, la violenza. Ora, le culture primitive che vivono l'esperienza del sacro fanno esattamente la stessa cosa degli etnologi razionalisti: cercano di nascondere la violenza che sta alla base del sacro. Ci si vede se si esamina con pi attenzione il meccanismo del sacrificio religioso. C' una vittima che, si dice, viene sacrificata in quanto carica di nostri peccati. Ma questo, come ben ha visto Frazer, un'assurdit, giacch la colpa non si trasferisce. E' vero, invece, che c' una vittima e, per giustificarne l'uccisione, la comunit le attribuisce colpe e peccati. Ma la vittima stata scelta e istituita prima; la sua funzione originaria non quella di soffrire per qualche colpa, ma piuttosto di essere immolata per prevenire la violenza. Ogni societ ha in s una carica di violenza che tende a esercitarsi in modo contagiso, secondo il meccanismo della vendetta a catena. Tale meccanismo, se lasciato libero di agire, rende impossibile l'esistenza stessa della societ. Le societ, allora, si difendono isolando e regolando l'esercizio della violenza: il sacrificio religioso appunto la violenza esercitata in forme rituali su una vittima che sacralizzata cio isolata dal resto della comunit in modo che, in questo stato di isolamento, non potr diventare principio di una ulteriore catena di vendette (non ha parenti, amici, affini che possano vendicarla). La societ tuttavia pu esistere solo se, mentre esercita questa violenza sacra, la nasconde nel suo vero significato; nascono perci i miti religiosi, del tipo di quello del capro espiatorio, che spiegano la violenza esercitata contro la vittima mediante colpe di cui essa in qualche modo

carica, colpe che sono sempre pi grandi dei suoi eventuali peccati individuali, anche se spesso connesse a questi. Questa spiegazione del sacrificio religioso giustifica, tra l'altro, la sua efficacia; non c' infatti bisogno di ammettere che ci sia una divinit che, placata dal sacrificio, si atteggi in modo pi favorevole alla comuniti dei suoi fedeli. Il sacrificio ha un'efficacia diretta, in quanto indirizzando la violenza contro la vittima, la toglie dalla circolazione, ne previene la diffusione nella societ. I documenti che Girard allega per provare questa tesi sono molteplici, e provengono sia dall'etnologia sia dalla filologia classica; egli infatti, second un metodo invalso solo di recente, integra la ricerca sulle societ primitive con lo studio dei documenti della letteratura greca (un mondo primitivo sui generis, perch l'origine della nostra civilt) e con escursioni nei testi biblici (solo marginali, perch alla cultura ebraico-cristiana intende dedicare un'altra ricerca). La tragedia greca assume nella sua prospettiva un significato determinante: essa l'espressione di quella che Girard chiama crisi sacrificale, un fenomeno che ricorre nelle culture fondate sul sacro quando il meccanismo di collocazione esclusiva della violenza sulla vittima del sacrificio si inceppa per qualche ragione. Allora la violenza tende a ritornare diritto di tutti contro tutti, perch non c' pi alcun esercizio legittimo di essa n alcuna vittima designata. Nella tragedia -che Girard studia analizzando soprattutto Edipo re- i vari antagonisti possono essere tutti colpevoli o innocenti, sono tutti sullo stesso piano. Lo svolgimento della vicenda, per, conduce a un ristabilimento della dissimmetria e della differenza: Edipo alla fine sar riconosciuto il solo colpevole di tutti i mali che hanno colpito. Tebe, e la sua punizione significher anche il ristabilimento della tranquillit. La colpa di Edipo, tuttavia, consisteva soltanto nell'aver rotto per l'appunto l'ordine sacro, uccidendo il padre e sposando la madre -senza saperlo, naturalmente. L'Edipo re cos tragedia esemplare perch nella sua stessa vicenda esprime l'essenza della crisi sacrificale: la violazione dell'ordine sociale, dei tab delle relazioni familiari, ordine che a sua volta solo uno sviluppo articolato della distinzione originaria tra la vittima sacrificale e il resto del gruppo, distinzione sulla quale si fonda l'esistenza stessa della societ. Girard attribuisce a questa teoria un significato esclusivamente scientifico; vuol cio spiegare, in base ad essa, fenomeni che altrimenti rimarrebbero senza senso, intesi solo come errori e assurdit. Tuttavia il suo libro si configura anche, inevitabilmente, come una teoria della societ e della cultura. Nella conclusione, Girard afferma esplicitamente l'importanza del mettere in luce il ruolo della violenza nella societ umana. Questa importanza pare risolversi in un richiamo a non pretendere troppo facilmente di aver liquidato il sacro. E' vero che l'esperienza religiosa e quella sacrificale sembrano non avere pi una posizione centrale nella nostra societ; ma questo, lungi dall'essere un fatto positivo, rischia semplicemente di scatenare (e di fatto, secondo Girard, ha gi scatenato), la violenza di tutti contro tutti. Noi abbiamo sostituito alla regolazione sacrificale della violenza quella garantita dal diritto penale. ** Anche il diritto penale un esercizio di violenza limitata, non alla vittima e al sacerdote, ma al colpevole e al giudice. Come la violenza sacrificale, anche il diritto penale, per funzionare, ha bisogno di un apparato di miti: in tribunale si giura, i giudici portano la toga, la legge ha una sua sacralit. Con questo, Girard sembra voler dire che senza una certa dose di sacro, cio di travestimento mitico della violnza, nessuna societ sopravvive; e, in subordine, sembra anche sostenere che l'esperienza religiosa e sacrificale del sacro pi efficace, come antidoto alla violenza, di quanto non lo sia un diritto penale fondato su argomentazioni razionali.

La passione con cui egli stesso si dedica all'impresa di portare in una luc perfettamente razionale il ruolo della violenza nella societ umana fa ritenere per che, anche oltre le sue esplicite intenzioni, Girard ipotizzi una possibilit di rapporto non solo mitico con la violenza; per esempio un rapporto che, invece di mantenerla in un'aura sacrale, si sforzi di esorcizzarne la potenza dissolvendola, come con un acido, nella rete infinita dei meccanismi discorsivi della ragione. Gianni Vattimo Pagina 3 (06.08.1980) LaStampa - numero 169

Das könnte Ihnen auch gefallen