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L'inno di Mameli: Un po' di storia

La poesia Fratelli d'Italia, messa in musica, fu ai tempi delle guerre per l'indipendenza d'Italia una delle canzoni pi in voga fra i combattenti. Con la proclamazione della Repubblica (1946) la composizione di Mameli - con alcuni tagli - diviene Inno ufficiale.

Dobbiamo alla citt di Genova Il Canto degli Italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli. Scritto nell'autunno del 1847 dall'allora ventenne studente e patriota Goffredo Mameli, musicato poco dopo a Torino da un altro genovese, Michele Novaro, il Canto degli Italiani nacque in quel clima di fervore patriottico che gi preludeva alla guerra contro l'Austria. L'immediatezza dei versi e l'impeto della melodia ne fecero il pi amato canto dell'unificazione, non solo durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni successivi. Non a caso Giuseppe Verdi, nel suo Inno delle Nazioni del 1862, affid proprio al Canto degli Italiani - e non alla Marcia Reale - il compito di simboleggiare la nostra Patria, ponendolo accanto a God Save the Queen e alla Marsigliese. Fu quasi naturale, dunque, che il 12 ottobre 1946 l'Inno di Mameli divenisse l'inno nazionale della Repubblica Italiana. Come nacque l'inno La testimonianza pi nota quella resa, seppure molti anni pi tardi, da Carlo Alberto Barrili, patriota e poeta, amico e biografo di Mameli. Siamo a Torino: "Col, in una sera di mezzo settembre, in casa di Lorenzo Valerio, fior di patriota e scrittore di buon nome, si faceva musica e politica insieme. Infatti, per mandarle d'accordo, si leggevano al pianoforte parecchi inni sbocciati appunto in quell'anno per ogni terra d'Italia, da quello del Meucci, di Roma, musicato dal Magazzari - Del nuovo anno gi l'alba primiera - al recentissimo del piemontese Bertoldi - Coll'azzurra coccarda sul petto - musicata dal Rossi. In quel mezzo entra nel salotto un nuovo ospite, Ulisse Borzino, l'egregio pittore che tutti i miei genovesi rammentano. Giungeva egli appunto da Genova; e voltosi al Novaro, con un foglietto che aveva cavato di tasca in quel punto: - To' gli disse; te lo manda Goffredo. - Il Novaro apre il foglietto, legge, si commuove. Gli chiedono tutti cos'; gli fan ressa d'attorno. - Una cosa stupenda! - esclama il maestro; e legge ad alta voce, e solleva ad entusiasmo tutto il suo uditorio. - Io sentii - mi diceva il Maestro nell'aprile del '75, avendogli io chiesto notizie dell'Inno, per una commemorazione che dovevo tenere del Mameli - io sentii dentro di me qualche cosa di straordinario, che non saprei definire adesso, con tutti i ventisette anni trascorsi. So che piansi, che ero agitato, e non potevo star fermo. Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, sempre cogli occhi all'inno, mettendo gi frasi melodiche, l'un sull'altra, ma lungi le mille miglia dall'idea che potessero adattarsi a quelle parole. Mi alzai scontento di me; mi trattenni ancora un po' in casa Valerio, ma sempre con quei versi davanti agli occhi della mente. Vidi che non c'era rimedio, presi congedo e corsi a casa. L, senza neppure levarmi il cappello, mi buttai al pianoforte. Mi torn alla memoria il motivo strimpellato in casa Valerio: lo scrissi su d'un foglio di carta, il primo che mi venne alle mani: nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo e, per conseguenza, anche sul povero foglio; fu questo l'originale dell'inno Fratelli d'Italia."

Questo brano tratto da: I Poeti minori dell'Ottocento a cura di Ettore Janni - BUR 1955 FRATELLI D'ITALIA Inno di Mameli o Il Canto degli Italiani Scritto nell'autunno del 1847 (versione originale)
Fratelli d'Italia, L'Italia s' desta; Dell'elmo di Scipio S' cinta la testa. Dov' la Vittoria? Le porga la chioma; Ch schiava di Roma Iddio la cre. Stringiamci a coorte! Siam pronti alla morte; Italia chiam. Noi siamo da secoli Calpesti, derisi, Perch non siam popolo, Perch siam divisi. Raccolgaci un'unica Bandiera, una speme; Di fonderci insieme Gi l'ora suon. Stringiamci a coorte! Siam pronti alla morte; Italia chiam. Uniamoci, amiamoci; L'unione e l'amore Rivelano ai popoli Le vie del Signore. Giuriamo far libero Il suolo natio: Uniti, per Dio, Chi vincer ci pu? Stringiamci a coorte! Siam pronti alla morte; Italia chiam. Dall'Alpe a Sicilia, Dovunque Legnano; Ogn'uom di Ferruccio Ha il core e la mano; I bimbi d'Italia Si chiaman Balilla; Il suon d'ogni squilla I Vespri suon.

Stringiamci a coorte! Siam pronti alla morte; Italia chiam. Son giunchi che piegano Le spade vendute; Gi l'Aquila d'Austria Le penne ha perdute. Il sangue d'Italia E il sangue Polacco Bev col Cosacco, Ma il cor le bruci. Stringiamci a coorte! Siam pronti alla morte; Italia chiam.

Inno scritto nel 1847 da Goffredo Mameli e musicato lo stesso anno da Michele Novaro. Divenne Inno d'Italia nel 1946 in sostituzione della Marcia Reale, inno d'Italia dal 1861 al 1946, scritto da Giuseppe Gabetti per Carlo Alberto.

Carlo Alberto Amedeo di Savoia detto il Magnanimo (francese: Charles-Albert; piemontese Carl Albert; Torino, 2 ottobre 1798 Oporto, 28 luglio 1849) fu Re di Sardegna, Re titolare di Cipro e di Gerusalemme, principe di Piemonte, duca di Savoia e duca di Genova dal 1831 al 23 marzo 1849, settimo Principe di Carignano dal 1800 al 23 marzo 1849, e conte di Barge dal 1800 al giorno della sua morte. Lo stemma di Carlo Alberto di Savoia Re di Sardegna Ha legato indelebilmente il suo nome alla promulgazione dello Statuto fondamentale della Monarchia Savoia 4 marzo 1848 - noto, appunto, come Statuto albertino che rese il Regno di Sardegna, prima, e l'Italia, poi, una Monarchia costituzionale. Lo Statuto fu, fino all'adozione della Costituzione repubblicana, la legge fondamentale e fondativa dello stato italiano.

di -

GOFFREDO MAMELI
(Genova 5 settembre 1827 - Roma 6 luglio 1849)

Se una figura umana dovesse simboleggiare con l'aspetto d'una seducente giovinezza il
Risorgimento d'Italia, che pure ebbe stupendi uomini rappresentativi - Mazzini, Cavour, Garibaldi non si saprebbe quale innalzare e amare meglio che quella di Goffredo Mameli, poeta a quindici anni, guerriero a ventuno, avvolto a ventidue nella morte come nella nuvola luminosa in cui gli antichi favoleggiavano la scomparsa degli eroi. Stirpe di marinai soldati, figlio d'un comandante di nave da guerra e d'una leggiadra donna che aveva fatto palpitare il cuore giovane di Giuseppe Mazzini, Goffredo il romanticismo, il patriottismo, sopra tutto la poesia che fiorisce sull'azione. Frequenta l'universit, prepara i suoi esami di diritto e intanto fiammeggia nel fuoco d'italianit de' suoi compagni, che lo sentono un capo. Appena giunta a Genova la notizia delle Cinque Giornate parte alla testa d'un manipolo di giovani, si batte nella campagna del '48; s'agita perch non se ne subiscano con rassegnazione

le tristi conseguenze militari, mazziniano puro, con la sua Genova impaziente e intollerante verso la Torino monarchica. E' incerto se correre a Venezia o a Roma. Si risolve per Roma. E' di Mameli il telegramma "Venite, Roma, repubblica" in cui si invitava Mazzini a raggiungere la Repubblica Romana. E' a fianco di Garibaldi, ma vuole prima di tutto trovarsi dove pi rischiosamente si combatte. Ferito a una gamba il 3 giugno in un combattimento nel quale s'era voluto gettare a ogni costo, fu male assistito nell'ospedale dai medici che avrebbero dovuto sollecitamente amputargli la parte offesa e invece tanto tardarono che poi l'operazione non valse pi a salvarlo, ed egli spir il 6 luglio, un mese prima di compiere i ventidue anni, recitando versi in delirio.

La sua poesia poesia d'amore e di guerra: pensando a guerre come quelle, i due pi alti temi d'ogni poesia, la donna ideale e la libert pura. I critici, naturalmente, rilevano le imperfezioni artistiche che non mancano. Ma per quel che v', ed tanto, di vivo e di bello in promessa anche pi che in fatto si pu dire che, se fosse vissuto, l'Italia avrebbe avuto in lui un magnifico poeta. Qui si riproducono, naturalmente, il canto indimenticabile Fratelli d'Italia che fu messo in musica del maestro Novaro e che la Repubblica Italiana d'un secolo dopo ha ripreso come inno nazionale nonostante l'elmo di Scipio e la Vittoria schiava di Roma.

L'inno di Mameli
I versi del nostro Inno Nazionale vennero scritti dal mazziniano Goffredo Mameli (nella foto cartolina commemorativa della morte), poeta e patriota genovese il quale, durante gli esaltanti anni risorgimentali, faceva parte di quella generazione che lo storico francese Jules Michelet defin "misteriosa" perch "amava i sogni, disprezzava il successo e serviva la causa pi con il sangue che con la vittoria". Goffredo Mameli era nato a Genova (citt del Regno di Sardegna) il 5 agosto 1827. Allepoca lItalia era suddivisa in 8 piccoli Stati governati, in maniera dispotica, da dinastie in massima parte straniere. Questa frantumazione politica e la mancanza di libert e di democrazia, fecero approdare il giovane autore del nostro Inno agli ideali mazziniani che ipotizzavano unItalia libera ed unita. Lattivismo "rivoluzionario" di Mameli si evidenzi con forza incontenibile nel 1846, nel Capoluogo ligure durante le cerimonie organizzate per ricordare il leggendario episodio del ragazzo G. Perasso, detto "Balilla", a cento anni dal fatto. Nella circostanza le varie manifestazioni commemorative vennero trasformate in veri moti popolari per costringere C. Alberto a concedere lo Statuto. Nel tardo pomeriggio del 10 settembre 1847, mentre Mameli si trovava in casa del console francese a Genova, dove spesso si discuteva di politica, scrisse di getto la poesia romantica risorgimentale: "Il canto degli italiani", per esprimere con vigore e commozione le tensioni di quel particolare momento storico ed esaltare i valori della Patria. Infatti nel carme viene spesso

sottolineato che gli italiani devono amarsi ed unirsi. C anche un fugace riferimento a Scipione (il valoroso e vittorioso guerriero romano), allevidente scopo di richiamare il patrimonio di esempi, di memorie e di gloria lasciatoci dai nostri antichi progenitori: i romani! "Il canto degli italiani" venne subito stampato a Livorno e non a Genova, per evitare la censura piemontese, e diffuso in tutto il Regno. La sera del 24 novembre 1847 a Torino, nel corso di una riunione nellabitazione di Lorenzo Valeri (noto democratico piemontese), alla quale partecipava anche il compositore Michele Novara, uno dei presenti che era appena giunto da Genova consegn a questultimo un foglietto, inviatogli da Mameli, sul quale era trascritto "Il canto degli italiani". Il musicista lo lesse ad alta voce ed esclam: "stupendo"! poi con le lacrime agli occhi, si port al cembalo per trovare un accompagnamento musicale a questi versi infuocati. Al momento, afferma il Novara: "misi gi frasi melodiche, una sullaltra, ma lungi le mille miglia dallidea che potessero adattarsi a quelle parole". Scontento si rec subito a casa dove, nella notte, diede a questo poema di speranza e di battaglia, una musica fortemente ritmata e coinvolgente. Ne risult cos un Inno, definito da Garibaldi "trascinante e guerriero". Mameli perse la vita il 6 luglio 1849 (aveva appena 21 anni), a seguito di ferite riportate combattendo con Garibaldi, durante lassedio di Roma. Tale immatura morte sul campo, un a chiara testimonianza che per lui il verso del suo Inno: "siam pronti alla morte", non un addobbo retorico, ma qualcosa di veramente sentito. Nel 1946, con lavvento della Repubblica, "Il canto degli italiani" diventato il nostro Inno Nazionale. Scelta certamente non casuale perch dopo la caduta del fascismo e le disastrose conseguenze della seconda guerra mondiale, occorreva ritrovare lItalia del dopo Risorgimento che si impose non solo per la collaborazione, operosit e rigore dei cittadini, ma anche per il loro senso di appartenenza ad una sola Patria. Oggi lesortazione ad amarci ed unirci sotto ununica Bandiera che ci viene dallInno di Mameli, quanto mai attuale poich sulla base di un malinteso cosmopolitismo, si cerca di mettere in discussione addirittura la Patria! Contro questa moda che porta a svuotare di contenuto morale il Risorgimento, lInno Nazionale pu costituire un antidoto molto efficace purch, senza moderare gli impulsi, lo si canti ad alta voce in ogni favorevole occasione, per sottolineare a noi stessi ed agli altri che ancora crediamo nella Patria con accentuata fermezza.

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