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APPUNTI

SUI

LONGOBARDI

OTTOBRE - DICEMBRE 1993

"'

ORIGINI

CARATTERI

ORIGINALI

Longobardi

o Langobardi - secondo

tradizioni

leggende

narrate

da

loro storico Paolo di

Warnefrido

forse anche su fonti

gotiche

reminescenze

classiche,

si

sarebbero

chiamati

originariamente

Winnili

(combattenti vittoriosi); poi

avrebbero

assunto

nome ab

intactae ferro barbae longitudine

dopo

che

longibarba ti
/f^\

li aveva chiamati

il dio Wotan,

scambiandoli con

le

loro

donne

le quali, seguendo il consiglio di Frea

moglie

del

Dio,

si erano lasciati cadere sulla faccia, a guisa di barba,

capelli di sciolti.

L'etimolog ia

dal nome non e' assurda;

tanto pi* se si mette

in

relaz ione

con il culto di Wotan, fra i cui attributi era

appunto

1'imponenz a della barba.

Altri,

invece,

vorrebbe derivato

il nome

dalle lunghe lance (alabarde) e qualcuno,

meno

attendibilmente,

da

lange

Borde o estesa pianura litoranea, come erano

le

loro

sedi

orig inarie,

che secondo indicazioni

oscuree

discusse

di

Paolo Diacono,

sarebbero state 1'"isola" della Scandinavia.

Ma

si

ha

agione di

sospettare che questa provenienza scandinava

come

lo

stesso nome di Winnili, siano

entrati

nella

leggenda

longobarda per contaminazione con le antiche tradizioni dei Goti,

sulle

qual i,

a un certo momento, per

nobilitarsi

alquanto,

Longobardi

avrebbero ricalcato

la

loro prima storia.

Invece

le

ricerche

glottologiche,

confermate

da

affinita'di

costumi,

corrispondenza

di

istituzioni

giuridiche

politiche,

fanno

appartenere

i Longobardi

ai

Germani occidentali,

ascrivendoli

al

gruppo

ingavonico

insieme ai Frisi,

agli

Angli,

ai Sassoni.

Le

loro

sedi

pi'

antich,

dove

cominciarono

differenziarsi

dagli

altri

popoli

di

comune origine,

sarebbero state le

regioni

del

basso

Elba;

e si vuol riconoscere nel

Bardengau,

nome

di

territorio,

ed

in

Bardowick,

nome

di

antica

citta'

presso

l'attuale Lunenberg,

traccia dell'

antica dimora.

Stando ai pochi cenni delle fonti classiche sui Longobardi, essi,


jljSP\
sottomessi

da Tiberio nel

5 d.C,

sarebbero subito dopo

passati

sotto i Marcomanni,

liberandosene poi con l'aiuto di

Arminio,

re

dei

Cheruschi.

Nel

47, possono gi'

dare aiuto

al

nipote

di

Arminio

cacciato

dal

trono. Nel

165, molti di

essi,

con

altri

popoli,

fanno una

incursione in Pannonia:

segno che si erano gi'

al lontanati

dalle loro sedi, costretti forse dalla pressione

dei

Odoacre.

iamo

cosi*

alla fine del

secolo V,

quando

ormai

la

storia

dei

Longobardi esce dall'incertezza della leggenda.

Gudeoc succedono, di

padre in figlio, Claffo e poi

il

figlio

Tatone,

so tto cui

i Longobardi emigrano ancora verso

una

vasta

pianura,

campi patentes:

certo, quella regione del 1'Umgheria

che

va dalla Theiss al Danubio.

Quivi,

partiti

i Goti,

acquistano

un

potere preponderante e vasta rinomanza.

Vincono ed annientano gli

Eruli,

asso ggettano gli

Svevi,

stringono alleanza con

i Bizantini

con

i TUringi e di

alleanza sono richiesti dal

re

dei

Goti,

Vitige.

Vac one,

nipote e successore di

Tatone,

e'

il

pi'

potente

re

longobardo

di

questo periodo,

che,

con

la

vittoria

sugli

Svevi, dischiude al suo popolo un nuovo periodo di

storia.

Le

parentele che egli contava con le case regnanti dei

Turingi,

dei Gepidi,

degli Eruli, dei Franchi,

mostrano

il nome longobardo

largamente conosciuto,

rispettato,

temuto. Dopo di

lui,

il figli

Waltari;

p i, Audoin,

col quale,

attorno alla meta'

del

sec.

VI,

i Longobardi passarono

in Pannonia,

stanziandovisi come

federati

del 1'Impero

Loro

compito

arginare

l'avanzata

dei

Gepidi,

estesisi,

dopo

la

morte

di

Attila,

dalla

Theiss

al

corso

popoli

finitimi pi'

potenti.

Dopo di

allora le fonti

classiche

tacciono.

Paolo

Diacono,

invece, che accoglie leggende

tradizionali

non

prive di

va lore storico -

il ricordo,

se non altro,

della

grande

instabi1 ita

di

questo

popolo,

costretto

continue

peregrinazioni attraverso terre spesso

inospitali - ci narra

che

i
."jP^v

Longobardi

dalla

Scandinavia

passano

in

Scoringa

(paese

rivierasco)

dove vengono a guerra con i Vandali e

li

sconfiggono,

trasportandosi

in seguito

in Mauringa (paese acquitrinoso)

dove

trovano il passaggio ostacolato dalla resistenza degli

Assipidi,

che

pera'

sono vinti,

e poi

in Golanda (Yolaida,

la

sconfinata

steppa),

donde

passano

ad

abitare

distretti

di

Anthaib,

Bantahaib
/WS

e Vurgundaib

(Burgundaib, paese dei

Burgundi).

Di

qui

riprendono,

dopo qualche tempo,

la

loro marcia portandosi al

di

qua'

di

un fiume,

il cui passaggio, dice la leggenda, era

difeso

dalle

Amazzoni.

Ma subito dopo sono sorpresi

sconfitti

dai

Bulgari,

che poi

loro volta vincono.

Infine sotto la guida

di

Gudeoc,

quinto nella serie dei

loro re,

i longobardi

passano

ad

occupare

la

terra

dei

Rugi,

poco prima

vinti

dispersi

da

infer iore

della

Sava.

Sostennero fiere

lotte

con

Gepidi,

mescolate a contese dinastiche.

Ma ne ebbero ragione solo

quando

Alboino, figlio e successore di

Audoin, si

alleo'

al

popolo turco

degli

Avari che premevano dalle Alpi di Transi1vania.

Gepidi,

assaliti

su

due fronti, furono vinti

in una sanguinosa

battaglia

dai

Longobardi;

il re Cunemondo fu ucciso; Rosmunda

sua

figlia

tratta

a forza in moglie da Alboino. La vittoria dei

Lomgobardi

fu

fatale

alle

sorti

del

germanesimo

nell'Europa

danubiana

carpatica,

poich'

distrusse la germanica Gepidia,

senza

dare

maggiore

stabilita'

ai Longobardi nella

Pannonia.

Infatti,

inorgogliti

della vittoria o allettati a nuove imprese dal

mite

clima,

dalle

terre fertili,

dalle deboli

condizioni

politiche

dell'Italia,

o premuti dalla minacciosa avanzata degli

Avari,

che

si erano tosto spinti fino alle rive della Theiss,

certo e*

che,

subito dopo vinti

i Gepidi,

i Longobardi

lasciano la Pannonia per

venire

in

Italia.

Da

tutto

quello

che

sappiamo

dei

Longobardi,

si

pu'

con

sicurezza

argomentare che siano stati,

tra i

popoli

germanici,

dei

pi'

tardi a uscire dallo stato di civilt'

primitiva.

Le

frequenti

migrazioni,

il

perenne stato di

guerra,

come

avevano

mantenuto

costumi

rozzi e violenti,

cosi'

avevano

impedito

lo

sviluppo

della loro economia e quello della loro

organizzazione

civile.

Ila

pari

delle

altre

popolazioni

germaniche,

da

principio

ciascun gruppo deve aver provveduto da se',

sotto

la

guida

di qualche capo,

condottiero

in guerra,

giudice

in

pace

agli

scarsi bisogni di

un popolo pressoch'

nomade.

Alle

forme

monarchiche,

espressione di

una volont'

unita nella

tutela

di

interessi

omuni,

principio di

una organizzazione politica,

pare

siano venuti

in tempo abbastanza recente,

stanchi del governo dei

capi

trat ti

dall'esempio degli

altri popoli.

Comunque quando

i Longobardi vennero

in Italia, dopo essere stati

al

contatt o

di

popoli

pi'

progrediti,

in

gran

parte

gi'

guadagnati

al

cristianesimo,

e dello stesso

impero di

Bisanzio,

dovevano

aver

fatto

notevoli

passi

sulla

via

della

loro

organizzaz)

one

politica

e militare,

in

Italia

Longobardi

sentirono

viva e progressiva l'azione della pi'

alta

civilt'

dei

vinti

dei

pi*

sviluppati

ordinamenti

dei

popoli

confinanti,

Bizantini, Franchi, Bavari. Ma anche per

il carattere

della

loro

invasione, di popolo cio*

penetrato

in

Italia,

differenza

dei

barbari

precedenti,

senza

alcun

vincolo

con

l'impero,

da vero conquistatore, non tenuto a riguardi

verso

vinti

(i1

traditum

nobis a Deo popolum romanorum)

le

loro

istituzioniL

in condizioni quindi di maggiore indipendenza

dalla

civilt'

loro,

Longobardi restarono

un

polo

profondamente

germanico
0^i
germanica

e furono,

cosi',

il principale veicolo

dell'influenza

in Italia.

D'altra parte questo stesso loro

carattere

di

conquistatori

segno*

un netto

distacco

fra

Lomgobardi

armati,

ma

poco numerosi e

incolti,

e gli

italiani,

vinti,

ma

costituenti

la massa della popolazione,

rimasti

in possesso delle

loro

leggi ,

della

loro

religione,

degli

avanzi

della

loro

cultura.

Questo

distacco

non impedi'

una

fusione

tra

due

popoli,

ma permise ai

vinti di

meglio conservare la loro civilt'

di

dare

i vincitori

pi'

di

quanto da essi ricevessero.

ORGANIZZAZIONE POLITICA,

AMMINISTRATIVA,

MILITARE

Per

i Longobardi,

lo Stato originariamente e',

e virtualmente non

cessa

mai di

essere,

l'unione di

tutti

i liberi atti alle

armi,

la

cui

volont'

si

esprime nelle assemblee generali,

fonte

di

tutti

i poteri,

quello sovrano compreso.

Anche quando,

per

l'irrobustirsi del

potere regio,

da una

parte,

per

le crescenti difficolta'

pratiche della loro riunione e

del

loro

funzionamento,

dall'altra,

il

valore

politico

di

tali

assemblee

va

scadendo

ed

esse

si

trasformano

in

adunanze

di

alti

dignitari,

convocate

e presiedute dal

re,

mentre

il

popolo

vi

assiste

solo pr forma;

anche allora le assemblee non

sono

mai

soppresse.

Anzi

esse, espressione del principio che gli uomini

liberi

non

possono

essere

costretti se non a ci'

cui

hanno

consentito,

restano

sempre in possesso,

virtuale almeno,

della

somma

della

pubblica potest'.

Quindi

anche il potere regio emana dall'assemblea, e

la

corona

e',

perci',

elettiva.

La successione ereditaria ha potuto essere

molte

volte

un fatto,

e raramente nella elezione non

e1

stato

rispettato

qualche

vincolo di

sangue,

ma non e'

mai

stata

un

diritto,

il re, come era eletto dalla nazione,

o perlomeno,

se

la elezione era avvenuta per

le mani

di

pochi

potenti,

acclamato

dalla assemblea,

cosi'

poteva essere anche da questa deposto.

Tuttavia

re

longobardi

presto

mostrarono

la

tendenza

ad

assumere

le

forme ed

i caratteri

dell'assolutismo

romano,

Li

aiuto'
/$fPN

in questo

lo

stesso concetto cristiano del

potere sovrano;

pi'

ancora

dovette

influire il

carattere che essi,

di

fronte

alla popolazione italiana dei

vinti,

avevano di

sovrani

impostisi

con pienezza di

potere per diritto di

conquista.

Il

primo e pi'

alto potere del

re e'

sempre quello militare,

che

e*

quello da cui pare tragga origine la stessa monarchia,

la

cui

sovranit'

e'

essenzialmente rivolta al

conseguimento

dei

fini

per

quali

e'

necessario l'impiego

delle

armi,

perci',

accettata in guerra, essa e*

contrastata in pace.

Con

tutto

ci'

la

monarchia,

pure

lottando

con

le

forze

decentratrici,

ha

raccolto

in Italia tutti

poteri:

il

re

comanda l'esercito,

decide della pace e della guerra; convoca,

in

occasione

dell'annuale

rassegna dell'esercito, per

solito

nel

mese

di

marzo,

le assemblee che

sono

in

origine

l'esercito

stesso, e le presiede con piena iniziativa della loro attivit' e

con

azione

sempre

pi'

prevalente

che

gli

da',

quindi,la

direzione

del

supremo potere legislativo;

e'

capo

del

potere

giudiziario e giudica direttamente in tutte le cause pi'

gravi e

nei

casi di

denegata giustizia;

accorda il suo alto

patrocinio,

mundium o mundiburdium regis,


0Hl\

scutm regis potestatis,

tutte

le

persone

deboli,

povere,

incapaci di far uso

delle

armi,

che

manchino

di

un loro naturale e

legittimo

mundoaldo;

presiede

infine a tutta l'amministrazione del

regno.

re

longobardi

non

abbandonano

il

costume

germanico

di

circondarsi

di

compagni d'arme fidati,

gasindii,

fideles;

ne

fanno

anzi

una

categoria speciale munita

di

una

particolare

defensio

regia,

che si precisa in un

guidrigildo

superiore

quello degli altri arimanni. Ma da essi

il re trae gli

ufficiali

della sua corte i quali, con l'allargamento del potere del re, si

sono

trasformati

in alti

funzionari

dello

stato.

La

corte regia assume cosi'

il carattere

di

un'amministrazione

centrale,

che si foggia sul modello della corte

imperiale,

del

10

palatium.

la sua sede, quello di una

capitale.

Questa,

pur

contrastata

in qualche momento da Milano,

sede essa pure

di

re

longobardi, e'

Ticinum,

Pavia.

L'amministrazione

dello stato longobardo risente essa

pure

del

suo

originario

carattere militare e del

suo

adattamento

alle

istituzioni

romane.

Il

sistema amministrativo dei

longobardi si basava,

in

origine,

sulla

loro organizzazione militare,

una serie di

raggruppamenti

familiari

(fare)

riuniti

fra

di

loro

in

modo

da

formare

unita'

sempre

maggiori,

i cui capi militari esercitavano,

anche con

il

concorso

degli

uomini

liberi e delle loro

assemblee,

funzioni

giudiziarie

e civili.

Venuti

in Italia e prese stabili

sedi,

Longobardi

si

trovarono

costretti

ad adottare

un

sistema

di

p\

circoscrizioni

territoriali,

che

furono

quelle

della

amministrazione

romana:

non la provincia, che scomparve,

ma

le

civitates,

coi

loro municipia,

vici e pagi,

gi'

pi'

autonome,

pi'

intimamente

legate alla vita locale,

pi*

resistenti.

Ed

esse servirono

di

base

alle

nuove circoscrizioni

territoriali

dei

ducati

(gau,

districtus,

iudiciaria).

Alla loro

testa

stavano

11

degli

ufficiali,

latinamente

detti

duces,

anche

iudices

(ignoriamo

il

vero

originario titolo),

provvist,

per

quella

inscindibilit'

di

poteri

propri

degli

stati

primitivi,

di

autorit'

militare,

giudiziaria,

civile,

arbitri

del

disbrigo

degli

affari delle assemblee locali.

La loro nomina dipendeva dal

re

ed

era

di

solito

vita.

Ma,

nonostante

le

tendenze

assolutiste
/flK

e gli sforzi centraiizzatori della monarchia,

re

longobardi non riescono mai a tenere pienamente soggetti a se'

duchi

che

rappresentavano

le

tendenze

autonomiste,

particolariste,

decentraiizzatrici.

Essi

furono

specialmente

impotenti

contro

duchi delle

regioni

di

confine

(Friuli,

Spoleto,

Benevento)

sempre pronti ad insorgere,

e di

fatto resisi

pressoch'

indipendenti.

Erano pero1

sottratte alla giursdizione dei duchi

tutte le terre,

citta',

villaggi dell'immenso patrimonio della corona, che

erano

governate direttamente dal re per mezzo dei

suoi agenti

preposti

all'amministrazione

delle pubbliche sostanze,

incaricati di

far

valere

diritti

del

fisco,

di

difendere

le

donazioni,

le

immunita',

i benefici concessi dal re : i gastaldii.

12

gastaldii,

pur

essendo

anch'essi

investiti

di

poteri

amministrativi,

giudiziari

e di

autorit'

militare,

e pur essendo

del

tutto

indipendenti

dai duchi,

non avevano

la

pienezza

dei

poteri

di

questi,

e,

nominati

a tempo,

restano

pi'

soggetti

all'autorit'

del

sovrano e meglio conservano

il

carattere

di

organi

esecutori

del

potere.

La

monarchia

tende

cosi'

ad

appoggiarsi
/fPN

ai

gastaldi pi'

che ai

duchi e ad estendere

l'area

della

loro giurisdizione,

sottomettendo talora a

quelli

interi

distretti

tolti

a questi.

Entro

le

maggiori circoscrizioni dei duchi e

dei

gastaldi

si

differenziavano

quelle

minori,

governate da ufficiali

da

essi

dipendenti che portavano i nomi di

sculdhais,

sculdasius, o anche

centenarius,

scario,

oberscarius

(biscario),

decanus,

actionarius,

nomi

tratti

in parte dalla gerarchia militare e

che

accoppiavano,

con

pi'

limitate

attribuzioni,

le

varie

giurisdizioni.

Strettamente

congiunta

con

l'ordinamento

politico

amministrativo

dello

stato e'

l'organizzazione

militare.

Ogni

libero

e*

per dovere e per diritto arimannus,

cio'

exercitalis

13

qui sequitur scutum regis,

l'esercito e'

il popolo

in armi.

Base della formazione dell'esercito e'

in origine l'aggruppamento

familiare della far che ne costituiva la pi*

piccola unita'.

loro

maggiori

aggruppamenti formavano

le

unita'

maggiori,

latinamente dette decania,

centena. Pi'

centene costituivano

le

maggiori

unita'

comandate dai

duchi.

Dopo

la conquista, distribuite le varie fare nelle

varie

parti

del

territorio,

collocatisi

i vari capi militari,

i duchi

nelle

citta',

gli

sculdasci,

i decani da

loro dipendenti

nei

centri

minori,

alla

base

gentilizia si

e'

dovuta

sostituire

quella

territoriale.

Si perfeziona,

inoltre,

l'organizzazione

militare

con pi'

largo uso della cavalleria,

imposto,

fra l'altro,

dalla

necessita'

di

combattere

Franchi

Bizantini

dototi

di

una

ben

agguerrita cavalleria pesante.

Anche presso

i Longobardi

la prestazione militare dovette

essere

subordinata

alla

condizione

economica

differenziata

dalla

maggiore

minore

ricchezza

misurata

principalmente

dalla

propriet'

del

suolo.

Con Astolfo,

le categorie

della

milizia

sono

definitivamente

fondate

sul diverso

grado

di

ricchezza

14

immobiliare.

Esclusi

dall'esercizio

delle

armi

erano

non

liberi

salvo

le

eccezioni

determinate

dalla

suprema

necessita'

di

guerra;

ed

esclusa,

da

principio,

anche

la

popolazione

sottomessa.

Ma

adeguatosi

l'obbligo

militare

alla

capacita'

economica,

avvicinatisi

sempre

pi'

vincitori

ai

vinti,

l'esclusione,

che

sarebbe ormai stata

un

privilegio,

dovette

cessare.
0^

Lo

provano

i negotiatores,

dei

quali

pi'

dovevano

essere romani,

chiamati

alle armi da Astolfo.

Il

re dava l'ordine di

raduno cui

tutti

dovevano obbedire pena

la

multa

di

SO

soldi,

assumeva

personalmente

il

comando

dell'esercito,

lo

scioglieva

appena

compiute

le

operazioni

mi 1i tar i .

La conquista dell'Italia impose ai

Longobardi

la necessita

della

difesa

del confine sia dalla parte dei Greci che da

quella

dei

Franchi.

Lungo

le

varie

linee di

confine essi

posero,

con

le

stesse

caratteristiche

delle

colonie

dei

milites

limitanei

dei

bizantini,

degli

stanziamenti

di

arimanni

cui

erano

date

in

possesso

delle terre e

l'uso,

come e'

probabile,

di

pascoli

per

15

il

mantenimento dei

cavalli con l'obbligo,

gravante sulle

terre

concesse, di

provvedere alla difesa del fortilizio, della chiusa,

della

citta'

cui erano assegnati. Tali stanziamenti

vennero

costituire

degli

speciali distretti

amministrativi

(arimannia)

sottratti

alla

giurisdizione

ordinaria dei

comuni

iudices

sottoposti

a quella diretta del

re.

Di un sistema tributario e finanziario presso

i Longobardi non e'

il

caso di

parlare. Nulla conosciamo di

particolare. Scarsi,

in

ogni

caso,

bisogni

della

loro

rudimentale

organizzazione

politica.

L'esercito bastaca a se'

stesso,

i giudici si

pagavano

con

le ammende e

la giustizia, d'altra parte,

era in molti

casi

un

affare

privato.

Alle opere pubbliche

provvedevano

pi'

direttamente

interessati.

Soccorrevano

inoltre,

bottini

imposizioni

di

guerra, e spesse volte bastavano le sostanze

del

re

dei capi.

In Italia,

nei primi

tempi

della

conquista,

Longobardi

dovettero

restar paghi di

requisizioni

bottino.

Passato

pero'

il primo periodo di

violenze

depredatrici

di

spoliazioni

tumultuosee costretti essi

a provvedere con una certa

regolarit'

al

loro

sostentamento,

imposero

ai

proprietari

16

romani,

la*

dove trovavano comodo di

insediarsi - e'

improbabile

infatti

che

si

disperdessero

per

tutto

il

paese

una

contribuzione

o requisizione diretta di

derrate nella misura

di

un terzo dei

prodotti.

Cosi'

i proprietari romani diventavano tributari dei

longobardi,

gi'

messi

loro carico;

e questi furono hospites dei Romani

in

analogia

al

sistema di

acquartieramento (hospitalitas), gi'

in

uso tra i romani

nei

riguardi dei barbari

insediatisi nelle terre

dell'impero.

Riorganizzatisi pero',

con Autari,

il regno,

veniva

creato,

con

la cessione di

meta'

delle sostanze e

rendite

dei

duchi,

un

vasto demanio regio che

sopperisse

alle

necessita'

finanziarie

della

corona;

venne

anche

rimaneggiata

la

contribuzione

della

tertia.

Delle

imposte

vigenti

al

momento

dell'invasione,

l'imposta

diretta

fondiaria romana e

l'imposta sul capitale impiegato

nel

commercio

non sono pi'

ricordate. Del resto

il

disorganizzarsi

delle

curie

che

ne

erano

l'organo

di

riscossione,

gli

sconvolgimenti

portati

nella propriet'

fondiaria,

la

penuria

crescente

di

moneta,

forse anche la repugnanza

germanica

alle

17

imposte

dirette,

dovettero

concorrere

farle

rapidamente

sparire.

E'

dubbio se continuasse il

testaticum,

capitatio

humana

plebeia,

che gi'

i proprietari

romani

erano

andati

scaricando

sui

rustici

della pars colonicia delle

loro

terre.

Forse

si

trasformo'

in un censo patrimoniale,

quale

pi'

tardi

troviamo

qua

la'

dovuto

dai

coloni

alle

curtes

da

cui

dipendevano.

Si

mantenne

invece,

si

and'

anzi

sviluppando,

come

pi'

rispondente

alle consuetudini

dei

nuovi

dominatori,

alla

debole

amministrazione statale,

alla impoverita economia pubblica,

tutto

un sistema di

tasse e

di

imposte indirette che divento'

il

nerbo

del

sistema tributario dei

Longobardi:

diritti

di

transito e

di

approdo,

diritti sui

mercati,

diritti

di pascolo,

di caccia,

di

pesca,

oneri

relativi

alle opere pubbliche,

vie,

mura,

terme,

cloache,

contribuzioni per

l'esercito

in moto,

per

il sovrano

la

corte al

loro passaggio,

per

i pubblici

ufficiali

recantisi

sul posto per

l'esercizio delle loro funzioni.

Molti di questi oneri erano in natura. Pi', pero, che da

questi

diritti

fiscli,

per

la

maggior

parte

consumati

sul

posto,

18

assorbiti nei servizi stessi da cui

avevano avuto origine,

goduti

dai

duchi

e dai

loro ufficiali,

l'erario regio

era

alimentato

dalle rendite dell'immenso patrimonio del

re,

che,

se era

spesso

assottigliato

da donazioni

e concessioni

luoghi pii,

fedeli

del

re

o ad altri,

era anche

continuamente

accresciuto

dalle

nuove

occupazioni

territoriali,

dalle

confische

giudiziarie,

dalle

successioni

devolute

al

fisco.

Disseminato in tutte le parti del regno,

pi'

o meno discontinuo,

diviso

in curtes,

actus e altre minori

unita',

retto dalle curtes

gastaldiali

i suoi redditi mettevano capo alla curtis

regia

di

Pavia,

o palatium,

l'organismo centrale finanziario del regno.

19

IL

DIRITTO

I Longobardi,

anche dopo

la

loro venuta in Italia,

tutti

intenti

dapprima

rassodare la

loro conquista,

continuarono

per

vari

anni

ad

attenersi

alle

loro

antiche

leggi

consuetudini,

cavarfide,

che essi

sola memoria et usu retinbant

(Paolo Diacono,

IV,

<<>.

La codificazione e
ifpN

il

riordinamento delle leggi

longobarde si

ha

solo con Rotari

che,

nella sua vasta opera

intesa ad ordinare e a

consolidare

lo

stato

all'interno

all'esterno

ravvivarvi

la

vita

nazionale,

volle

mettere per scritto

le

antiche

leggi,

completandole

col

consiglio

il

consentimento

dei

primati

giudici

di

tutto

il

popolo

dei

liberi.

L'Edictus

regis

Hrotaris,

promulgato

in Pavia

il 22 novembre 643,

indirizzato

tutti

sudditi,

con

evidente

tendenza

dare

alla

legge

carattere

universale

territoriale,

divento'

la

base

fondamentale

della legislazione longobarda.

I re successivi

non

fecero che apportarvi aggiuente e modificazioni: Grimoaldo con

capitoli

(688),

Liutprando

con

153

(713-731),

mentre

ne

aggiunse Rachi

(746) e 22 Astolfo (750 e 755). Caduto il regno,

20

duchi

di

Benevento,

considerandosi

quasi

successori

dei

re

longobardi,

emanarono

essi

pure

alcune

leggi

come

aggiunte

all'editto.

Pero'

, nemmeno

la'

dove sottentro'

la

dominazione

franca

il diritto

longobardo scomparve. Esso continuo'

vivere

come diritto personale.

Anzi,

sviluppatisi gli studi di

diritto,

fu

oggetto di

una elaborazione il cui centro fu Pavia e

le

cui

pi'

importanti

manifestazioni si hanno nel sec.

XI

con il

Liber

regis longobardorum,

o Papiensis e con la Lombarda.

Pero',

verso

la

meta'

del

sec.

XIV,

si

pu'

considerare vinto dal

risorgente

diritto

romano

solo

rimasto

informare

alcuni

istituti

del

diritto

feudale

del

diritto

statutario.

Qualche

maggiore

resistenza ebbe nelle Provincie degli

antichi ducati

meridionali

dove se ne ha ancora qualche traccia nel

sec.

XVI.

Il

diritto

longobardo e'

certo fra

i barbarici

quello

che

ha

meglio

sentito

gli

influssi

delle idee cristiane,

del

diritto

romano,

di

quello volgare e degli

usi della vita del

poplo vinto.

Se ne hanno manifestazioni evidenti nell'Editto di Rotari e

pi'

ancora

nelle

aggiunte

dei

successori

specialmente

di

Liutprando.

La

sua

ispirazione,

tuttavia,

e'

decisamente

21

germanica,

e si rivela specialmente nel

diritto penale,

fondato

sul

concetto

primitivo

che

il

reato

sia

solo

violazione

dell'interesse particolare della parte offesa,

dalla quale quindi

deve

partire la reazione contro

il colpevole.

L'azione

punitiva

e'

quindi

di

iniziativa

privata,

vindicta,

faida

quod

est

inimicitia,

cio'

perdita della pace di fronte all'offeso

ai

suoi

solidali,

quando

l'offesa

colpisce

il

singolo;

di

iniziativa pubblica,

per cui

il colpevole perde la pace di

fronte

alla

collettivit',

cade sotto

il

bannus del

re,

quando

vi

e'

violazione

dell'interesse

collettivo.

La

inimicitia

privata

pubblica,

pero',

si

pu'

estinguere

pagando

una

indennit'

(Guidrigildo)

alla parte offesa.

Vero'

e'

che

al

momento

della

codificazione

delle

leggi

longobarde,

questi

concetti,

sotto

l'azione del

diritto romano

della

chiesa,

hanno avuto un ulteriore sviluppo e

hanno

subito

qualche

modificazione.

Si

fa strada sempre

pi'

evidente

la

concezione

del

reato come violazione del

diritto

sociale;

lo

stato

meglio organizzato tende a sostituire in tutti

casi

la

sua

azione a quella privata,

il guidrigildo va perdendo del

suo

22

carattere

di

prezzo di

riscatto per assumere quello di

ammenda,

muleta,

pene pubbliche si

introducono nei casi

di

offesa

di

pubblici

interessi.

Il

legislatore longobardo cerca cosi'

di

restringere sempre

pi'

la

sfera di

azione della vendetta, facendo prevalere il

sistema

della

composizione pecuniaria,

e regola questa

proporzionandola

all'offesa,

non

trascurando

nemmeno

l'elemento

morale

intenzionale.

Anche

il

procedimento

giudiziario

e',

nella

sua

essenza,

germanico.

La partecipazione infatti di

pi'

persone,

iudices,

il

carattere,

cio'

popolare della sentenza,

rappresenta

il concetto

fondamentale

del

processo

longobardo.

E'

cessata

pero'

la

completa

distinzione fra chi dirige il giudizio e chi

pronuncia

la

sentenza,

nella formazione della quale concorrono

tanto

gli

altri giudici

quanto

il

presidente dell'assemblea,

cio'

il duca,

il gastaldo,

lo

sculdascio,

o un loro messo.

La procedura e'

orale e quindi formalistica.

Alla prova e'

tenuto

il

convenuto ed essa consiste nel

sacramentum,

il

giuramento,

convalidato

da

quello di

altri sacramentales,

e nella

pugna

23

duello giudiziario. Ma anche in questo campo si nota un

continuo

progresso.

Gi'

Rotari,

in alcuni casi

di

grave

importanza,

esclude

il

duello; Grimoaldo ne restringe ancor pi'

l'uso;

Liutprando lo proibisce in parecchi casi,

introducendo invece

la

prova

documentaria e

testimoniale

che

va

gradatamente

sostituendosi

al

duello e al

giuramento.

Conteporaneamente

va

introducendosi
/p>\

il

principio

romano

che

la

prova

spetta

al 1'attore.

Germanico

e*

anche

il concetto

della

capacita*

giuridica

intimamente legato alla prova giudiziaria della pugna.

Per

la sua

pienezza

si richiede non solo la condizione di

libero,

ma

anche

la capacita'

fisica e morale dell'uso delle armi.

Il

libero

che,

per

ragioni

di

sesso,

di

et',

di

invalidit*

fisica,

non

sia

atto alle armi,

ha una capacita'

giuridica limitata,

che e*

pero*

integrata

dal

presidio familiare.

Interviene

allora

l'istituto

tutto germanico del

mundio che investe tutto

il

diritto familiare

patrimoniale longobardo e che e'

dominio,

ma,

essenzialmente,

rappresentanza

giuridica,

protezione e difesa che il

padre

di

famiglia

esercita verso

i suoi familiari parzialmente

incapaci,

24

per tutto

il

tempo

in cui dura la

loro

incapacita':

quindi,

fino

all'et'

maggiore per

i maschi,

per

tutta la vita per

la

donna,

che

non pu*

mai

selmundia vivere.

Anche

il

servo e'

sottoposto

al

mundio del padrone,

fino a che,

almeno,

una piena manomissione

non

lo renda fulfreal e amund.

Chi non ha un legittimo

munduald

passa sotto

la protezione del

re.

Anche

il

concetto

di

propriet',

per

quanto

modificato

dall'influsso

delle

idee romane, risente ancora

dell'originaria

incapacita'

germanica di

renderlo

indipendente

da

un

rapporto

materiale fra le persone e

le cose, di

distinguere

la

propriet'

dal

possesso,

di

svincolarlo dall'elemento sociale.

I Longobardi,

venuti

in Italia,

avevano certamente oltrepassato

lo

stadio della

propriet'

comune;

ma prevale ancora in essi che

la

propriet'

sia legata alla famiglia.

I membri

presenti di

questa hanno su di

essa,

pi'

che un diritto di

libera disponibilit',

un diritto di

godimento e di

aspettativa.

Al centro dell'ordinamento sociale e politico longobardo, sta

la

famiglia.

Essa

in

quanto

e'

unione di

tutti

quelli

che

si

potevano considerare derivati dallo stesso stipite, cio'

far

25

gens,

famiglia

in

senso largo, e* almeno

alle

origini,

base

dell'ordinamento

militare

politico,

centro

della

vita

economica.

Come consorzio domestico vero e proprio,

che lega

in

una

stretta solidariet'

di

interessi gli

immediati

ascendenti,

discendenti

collaterali,

famiglia in senso stretto,

essa

e'

organo

di

quella

protezione e

tutela

che

la

originariamente

debole
40HH\

organizzazione

dello

stato non era

in

grado

di

dare

all'individuo.

Questi

trova,infatti,

nella famiglia assistenza ed

aiuto:

sia nella vindicta parentum o faida,

sia nella

espiazione

del

crimine (concorso nel pagamento del guidrigildo), sia

nella

prova giudiziaria del

giuramento,

prestato dai

propri consorti,

sacramentales

e,

se ancora incapace,

nella

rappresentanza

in

giudizio

nella

pugna. Per ci'

la

famiglia

e'

saldamente

organizzata,

tenuta

unita sotto l'autorit*

del

capo,

che

si

esercita

specialmente nel mundio, che,

se e'

dominio che

arriva

fino

al

diritto del

padre di

liberarsi

dei figli

appena

nati,

esponendoli,

di

venderli,

in certi

casi

riconosciuti

dalla

legge,

di

punirli

fino

all'uccisione,

e'

anche

dovere

di

mantenimento,

di

protezione e di

difesa.

Altro beneficio

per

26

membri

della

famiglia,

ed elemento pure

di

coesione,

e'

il

godimento del patrimonio familiare.

Solenni

e pubblici sono pertanto gli atti di

costituzione

della

famiglia

legittima : la cerimonia degli sponsali,

davanti

alle

due

parentele,

con la costituzione della meta o metfio,

assegno

maritale

dello

sposo alla sposa,

e quella delle

nozze

con

la

traditio
/^P\

della sposa e

la costituzione del

morgengabe,

cio'

la

donazione

dello

sposo alla sposa,

il

mattino

successivo

alle

nozze.

Pi'

tardi

si aggiunse l'assegnazione

alla

donna

del

faderfio,

quod mulier de parentibus adduxit,

la quota cio'

che

le

spettava

dei

beni

della

famiglia

paterna,

che

and*

acquistando

il

carattere di

vera e propria dote.

Dalle

giuste

nozze

si

originavano

figli

legittimi.

Notevoli

pero*

le

differenze

tra i maschi e

le femmine,

non soltanto nei

riguardi

della

perpetua

soggezione al

mundio,

ma

anche

nella

limitata

capacita'

succedere,

che

pero'

fu

molto

aumentata

da

Liutprando.

Minori

diritti,

limitati

diritti

successori,

una

qualche partecipazione alla vita della famiglia avevano

i nati di

concubinato,

i quali

potevano essere legittimati.

Esclusi da ogni

27

diritto,

per

lo pi'

esposti,

erano

figli

adulterini

ed

incestuosi.

A cominciare da Liutprando,

sotto

la

manifestazione

della

chiesa

la condizione dei figli naturali

degli

stessi

legittimati va peggiorando.

La

societ'

longobarda non era

costituita

diversamente

dalle

altre

societ'

antiche.

Anche

essa

era

divisa

in

servi

in

liberi.

Quelli

sono privi di

diritti civili e politici

solo

personalmente responsabili

dei

loro reati;

sono cose,

capitale di

lavoro,

confusi

con gli

animali e a essi

equivalenti.

Questi,

sciolti

da ogni dipendenza personale,

hanno

l'uso delle

armi

fanno parte,

con pienezza di

capacita'

civile e di

partecipazione

alla

vita pubblica,

del

popolo dei

liberi

e perci'

arimanni

exercitales.

Queste

due classi non sono rigide,

ne'

immobili.

Esse si differenziano

in categorie varie pi'

alte o pi'

basse e

si

notano

in

esse

movimenti

di

ascesa

di

discesa.

Fra

veri

servi e

i liberi stanno tutti coloro la cui servit'

era mitigata

da qualche diritto o

la cui

liberta'

menomata da qualche vincolo.

In

primo luogo gli

aldi,

vincolati al fondo di

cui

godevano

il

possesso,

obbligati, quindi verso un dominus,

ma con

diritto

28

famiglia

legittima

libera

propriet';

condizione

non

dissimile

da quella dei coloni romani con i quali facilmente

si

confusero.

Accanto

a questi,

in condizione

inferiore,

ma

che

tende

migliorare,

tutta

una classe

di

servi:

manentes

massarii,

adibiti al

lavoro dei campi,

ma verso corresponsione di

solo

una

quota

parte del prodotto

di

determinati

servizi

personali,

che

formano

essi

pure

famiglia

legittima,

hanno

proprio

peculio e protezione della legge contro gli

arbitri

del

padrone;

i servi

regi,

i servi ecclesiae,

servi addetti

a qualche

ufficio

o arte manuale,

ministerium,

cio'

i servi

nisteriales;

categorie

tutte

nelle

quali

il diritto

assoluto

del

padrone

spesso anche solo per effetto di

consuetudini

locali,

va di

molto

attenuandosi,

avvicinandole alla condizione degli

aldi.

Parimenti

dai

liberi si distacca,

ancora prima della conquista,

la

classe

dei

nobili;

nobilt'

di

schiatta

di

incerte

origini,

forse

guerresche e forse in parte anche sacerdotali.

L'antica nobilt', di

molto assottigliatasi dopo

la conquista, si

and'

confondendo con la nuova nobilt'

che traeva la sua origine

dal

servire il sovrano a corte, negli uffici,

nell'esercito,

29

dalle

ricchezze,

specialmente dal possesso

fondiario

diventato

misura

del

grado del

servizio militare e quindi

della

dignit*

personale. Differenza di

grado fra i liberi

troviamo nelle

carte

nelle

leggi

ove si parla di

optimates,

maiores,

proceres,

mediani,

minores e anche minimi

(qui nec casas nec

terras

suas

habent);

il

che

ci

mostra

un

progressivo

differenziarsi

di

categorie

nella

classe dei

liberi

in modo

corrispondente

alla

diversa

condizione

economica

quindi

uno

svalutarsi

della

liberta*

che

non

fosse

sostenuta

difesa

da

altri

fattori

economici

e sociali.

La differenza fra

il semplice libero

il

nobile

e*

riconosciuta

anche dalla legge

che

attribuisce

un

diverso

valore

ai

rispettivi guidrigildi come al

mundio

delle

rispettive donne.

La liberta'

non era tale che non si potesse perdere o acquistare.

Per

determinati delitti,

per

insolvenza, per

prescrizione,

per

oblazione si poteva scendere dalla liberta'

alla servit'

come si

poteva uscire dalla servit'

per emancipazione.

Vi

erano forme di

emancipazione

che non attribuivano liberta'

illimitata

perche'

mantenevano

il servo sotto il mundio del padrone.

30

LA

VITA

ECONOMICA

DEI

LONGOBARDI

La

venuta

dei

longobardi

in Italia non giovo'

certo

alla

gi'

impoverita

sconvolta

economia

italiana,

cui

nuove

rovine

aggiunsero

i primi

tempi della conquista con le fughe egli eccidi

della

popolazione

urbana,

con

le

requisizioni

forzate,

le

espropriazioni,

le

interruzioni

di

comunicazioni fra

le

terre

invase e
jP^

quelle rimaste ai

greci.

I pi'

colpiti dall'ira e dalla cupidigia degli

invasori furono i

nobili,

grandi

proprietari e,

con ogni

probabilit',

fu

nei

latifondi del

fisco e

dei

privati

che i Longobardi,

cui

conveniva

per

ragioni

di

offesa e difesa,

rimanere piuttosto raccolti,

si

insediarono

in gruppi,

per fare,

imponendo

l'onere della tertia o

la cessione di

una parte di

terre.

Rassodata

la

conquista,

anche la vita economica

riprese

ritmo

pi*

regolare

e fu vita essenzialmente

agricola.

Molti

degli

stessi

arimanni

longobardi,

diventati

propretari

di

terre,

da

guerrieri

si

trasformarono

in agricoltori.

Certo

l'Editto

di

Rotari e'

gi'

in gran parte la

legge di

un popolo agricolo.

L'assetto fondiario rimase sostanzialmente quello precedente.

31

La

propriet'

privata

rimase

la regola.

Jugeri

moggia,

le

unita'

catastali romane,

restarono nell'uso comune,

come rimasero

le

locuzioni

tecniche

romane

indicanti

il

modo

la

locazione

dei

terreni.

Se

al

momento dell'invasione molte

grandi

propriet'

furonosconvolte e disgregate,

altri grandi possessi si

formarono

con

le

terre

del

re,

dei duchi,

con quelle

delle

chiesee

di

potenti

privati.

In essi,

pi'

territori

costituiti

da

terre

lavorate

economia

per mezzo di famigli

di

servi,

con

prestazioni

di

opere

fornite

da

altri

soggetti

(terrae

dominicae),

da terre coltivate da coloni dipendenti

organizzati

nei

piccoli

villaggi,

vici,

presso

le chiese rurali

dispersi

nelle

case

tributariae,

ingenuiles,

massaricae,

tenuti

corresponsioni

varie di

canoni,

censi

in denaro,

in

natura,

in

servigi

ed

opere

(pars

colonica

massaricia),

erano

amministrativamente

uniti

intorno ad una villa centrale,

sala

curtis dominica,

retta direttamente dal

proprietario

, o dai suoi

actors,

servi,

ouescarii.

Che

l'economia rurale

, favorita anche

dalla

povert*

della

vita

economica,

si

andasse

adattando,

specialmente nei maggiori

possessi,

a quell'economia chiusa,

non

32

ignota

al

latifondo romano,

bastante entro certi

limiti

se'

stessa,

in

cui

i consumi

i prodotti

tendono

ad

adeguarsi

vicenda,

e'

pi'

che certo.

E cosi'

nelle corti maggiori

meglio

organizzate

funzionano anche quelle attivit'

industriali

pi'

frequenti

e pi'

necessarie ai

bisogni

dei

loro abitanti

dei

lavori

agricoli,

quali

quelle dei fabbri,

tessitori,

calzolai,

ecc.

Ma questa forma di

economia,

l'economia della corte,

non

fu

esclusiva

e nemmeno prevalente. La vita economica

italiana

era

troppo

imperniata sulle citta'

perche'

questa non dovesse,

appena

possibile,

riprendere

la sua funzione.

Del

resto

i Longobardi

non

rifuggivano

la vita delle citta'.

Le citta'

furono fatte sede dei

duchi,

centro dell'amministrazione civile e militare,

divennero

residenza di

molti signori

longobardi; cosi'

vediamo nel

periodo

f1

longobardo

continuare

i rapporti fra citta' e

campagna

fra

citta'e

citta',

i rapporti economici di

produzione

consumo

oltrepassare l'ambito della corte.

Nelle

corti,

salvo che

in qualche monastero

ma

nell'Italia

longobarda,

in generale nell'Italia dell'epoca,

non

erano

grandi monasteri centri di grandi pellegrinaggi e perci'

centri

33

di una pi*

attiva vita economica che permettesse una pi'

larga

produzione

industriale - si produceva solo per gli

immediati

pi'

comuni

bisogni

agricoli e domestici.

Per

la

produzione

industrialmente

pi*

costosa

artisticamente

importante

la

campagna

deve

dipendere

dalla

citta1.

L'industria

scopi

commerciali

e'

esercitata

in

citta'

da

liberti

liberi.

Essa

trova
/$Ps

la sua organizzazione nella officina che di

solito si

trova

intorno

al

mercato

cittadino,

che

conserva

la

stessa

organizzazione romana,

governata da un magister,

assistito da

un

numero,

certamente esiguo,

di operai

uniti

al dirigente da legami

di

interesse,

non gi'

da vincoli corporativi:

i collegia

romani

si

devono considerare scomparsi. L'industria cittadina in

genere

continua ad essere esercitata da artigiani

romani,

ridotti

forse

(f^

alla condizione di redditiales, costretti, cio' non diversamente


dai proprietari di terre, a qualche corresponsione in denaro o in

natura.

Ma

vi

erano anche artefici

longobardi esperti nella

lavorazione

dei metalli e nelle costruzioni

in legno. Con i longobardi, sulla

casa laterizia dei

romani prevale quella

in legno,

e si

modifica

3<t

il

tipo

stesso

della casa sostituendosi

la

struttura

con

la

grande sala centrale a quella greco-romana ad atrio e peristilio.

L'attivit'

commerciale nel periodo longobardo si

svolge

nelle

stationes del

mercato cittadino e nei

minori

mercati,

per

solito

intorno

alle chiese, centro delle vicinie,

per

il

commercio

al

dettaglio.

Quivi

il mercante e'

per solito anche il

produttore.

Ma

vi

erano

anche i veri e propri

negotiatores,

che

Astolfo

parifica

nel

servizio

militare

alla

classe

dei

maggiori

proprietari

del suolo.

E vi

erano anche nel regno dei

mercanti

stranieri,

veneziani,

gaietani,

amalfitani,

mentre

mercanti

longobardi

troviamo nel mercato di

Parigi aperto da re Dagoberto.

Venezia

Ravenna

erano

le

teste

di

linea

del

commercio

nella

valle
/$p*\

del

Po,

Pisa,

potente sotto

Longobardi,

di

quello

dell'Italia

centrale.

Le

strade di

comunicazione

erano

ancora

le

antiche

vie.

Salvo che negli ultimi

tempi del

regno, quando

con

una

maggiore sicurezza e certezza giuridica si

avverte una

pi'

intensa

attivit'

agricola e commerciale,

la vita economica

dei

Longobardi

appare

povera

e rispondente

esigenze

rozze

ed

elementari. Delle monete longobarde si conoscono il soldo, moneta

35

reale,

il

fremisse sottomultiplo del soldo,

il quale nell'uso

si

tagliava

anche in quattro parti uguali, e

la siliqua che

valeva

1/aO di

sol do.

36

LA

RELIGIONE

DEI

LONGOBARDI

Poco

conosciamo

della vita spirituale dei

Longobardi.

La

loro

antica leggenda, quale e*

raccolta nel racconto di

Polo

Diacono,

attribuiva

una

loro

vittoria

sui

Vandali

all'aiuto

di

Wotan

all'intercessione della moglie di

lui Frea.

La loro antica religione era quindi

legata al culto di

Odino, una

delle
/jjPN

divinit1

principali

dell'Olimpo

germanico,

il

Dio

guerriero che conduce i suoi protetti di

vittoria in vittoria,

ma

che pu'

anche votarli

alla disfatta e

trascinarli

nel Walhalla.

Venuti

pero'

contatto con l'Oriente bizantino

con

altri

popoli

germanici che avevano accettato

l'arianesimo,

si

fecero

anch'essi

in gran parte ariani,

per passare poi gradatamente

al

cattolicesimo in seguito alla loro venuta

in Italia.

Tuttavia

l'antico

paganesimo,

non

radicalmente

estirpato,

continuo'a

sopravvivere

lungo qua e

la'

in

riti

pratiche

superstiziose, di cui conservano memoria documenti pontifici

del

tempo e

le stesse leggi di Liutprando.

37

LA

LINGUA

DEI

LONGOBARDI

Della

lingua

parlata dai Longobardi non

possediamo

documenti.

Conosciamo circa 200 vocaboli

e alcune centinaia di

nomi

propri,

personali e

locali, conservatici

in testi e documenti

latini.

La scarsit'

la qualit'

del materiale,

nonch'

il

modo

in

cui

ci

venne

trasmesso,

non

consentono

di

ricostruire

se

non

frammentariamente la storia della


/dft^S

lingua longobarda.

Alcuni

suoi caratteri fonetici si possono tuttavia

riconoscere.

Si

pu'

affermare

che il vocalismo

longobardo

nelle

sillabe

radicali

generalmente rispecchia una fase abbastanza arcaica

in

confronto

a quella rappresentata nei

muonumenti

letterari

delle

altre

lingue

germaniche occidentali.

Ad esempio,

dalle

vocali

germaniche o ed e

in longobardo,

al

contrario di

ci'

che avviene

in

tedesco,

non si

svolgono dittonghi;

dittonghi

germanici

ai,

au restano per

lo pi'

inalterati.

Senza dubbio

l'alfabeto

latino

non

era

adeguato

alla

rappresentazione

foneticamente

rigorosa

di

un linguaggio germanico,

soprattutto

nei

riguardi

delle

consonanti.

Ad

ogni

modo

si

vede

che

le

consonanti

longobarde

subirono

il

cosiddetto

"2o

spostamento

fonetico"

38

(Lautverschiebung)

caratteristico dei dialetti

alto-tedeschi.

In

complesso

lo sviluppo delle singole consonanti e'

simile

quello

delle corrispondenti consonanti

tedesche,

ma

il punto

di

arrivo non e'

sempre il

medesimo nelle due

lingue.

Ad

esempio

il

suono

germanico p

in

longobardo

si

svolge

soltanto nell'interno di

parola mentre all'inizio e probabilmente

anche

in

fine,

nel

corso del sec.

Vili

si

svolge

t.

Della

declinazione

si

pu'

ricostruire

ben

poco,

poich

nomi

logobardi nei

testi

latini che ce

li

tramandano o sono dati

nella

forma

del

nominativo singolare,

trattata come

indeclinabile

assumono

desinenze

latine.

Della

coniugazione non sappiamo pressoch'

nulla:

l'imperativo

lid

"va"

il

participio passato

fulboran

"voilburtig",

che

occorrono nell'Editto di Rotari

(173 e

154)

sono

le sole reliquie

superstiti;

alcuni

infiniti, quali gamaitare,

thingare,

uuiffare

sono

latinizzati

nella

desinenza.

Dei vocaboli attestati come longobardi

taluni si

ritrovano

anche

in

italiano:

gastald,

"castaido", sporo (spero)

"sperone",

far

"famiglia,

stirpe"

e gahagium

(cafagium)

sopravviventi

nella

39

toponomastica (l'ultimo anche nel derivato cafaggiaio).

Criteri

linguistici,

soprattutto fonetici,

ai

quali

si

talvolta

si

aggiungono

considerazioni di

ordine storico,

permettono

di

riconoscere

entro

la

massa

dei

prestiti

fatti

da

lingue

germaniche

all'italiana,

un buon numero di

vocaboli

di

origine

longobarda,

distinguendoli sia da quelli

importati

anticamente

dai

Goti

o da altri germani sia da quelli

introdotti pi'

tardi

dai

franchi

o da altre genti

tedesche.

Possiamo cosi'

attribuire

ai

longobardi

l'importazione di

parole

come

federa,

schiena,

snello

che hanno un e

aperto mentre,

se risalissero

al

gotico,

avrebbero un e chiuso

(da

i);

e di

un'altra serie di

parole

come

schermo,

scherno,

stormoche hanno vocale chiusa

in condizioni

in

cui

il

gotico darebbe vocale aperta;

e altre ancora,

quali

bara e

strale

in cui

il gotico avrebbe dato e al

posto di

a.

Spesso

il

criterio

e'

fornito da una consonante:

ff,

f da

in

staffa,

tuffare,

tanfo,

tonfano,

ecc.

(in tuffare e tonfano

va

notato

anche

t da d);

z da t in zana, zazzera,

zecca (animale),

gazza,

gcc.;

ce

da hh

(invece di

e da k)

in biacca,

ricco,

spaccare;

particolarmente

caratteristico e'

lo

scambio tra media

tenue

40

nelle coppie balco palco,

balla palla,

banca panca e simili.

Che

per tutto il sec.

Vili

i Longobardi conservassero

in

Italia

l'uso

della propria lingua e'

ormai

generalmente

riconosciuto.

Ci'

risulta

non

solo dal fatto che Paolo

Diacono,

il

quale

scriveva

sul

declinare

di

quel

secolo,

pot'

registrare

un

manipolo

di

voci

longobarde,

ma anche

principalmente

dal

dialogo che egli

(Historia Langob.,

VI,

24)

narra avvenuto tra il

duca friulano Ferdulfo e

lo

sculdhais (rector

loci,

come

traduce

lo

stesso

Paolo)

Argait.

Testimonianze

isolate

permettono

di

stabilire

che

nei

secoli

IX-X

il

longobardo

ancora

viveva

intorno

al

1000 non era del

tutto spento.

Sono

significativi

tale

riguardo

certi

soprannomi,

quali

drancus

"giovane

gagliardo",

dungo

"grasso" o "grave",

zanvidus

"che ha i

denti

divergenti",

scarnafol

"sporcaccione"

che

troviamo

attestati

rispettivamente

per

gli

anni

812,

818,

919,

1003,

poich'

evidentemente

furono

coniati

da

chi

aveva

il

senso

vivo

della

lingua.

ci'

non contrsta

l'espressione

che

troviamo

nel

Chronicon

salernitanum (scritto verso

il 978), cap. 38:

"lingua

todesca,

quod

olim

Langobardi

loquebantur",

poich'

si

deve

41

pensare

che nelle singole regioni

italiane, come era diversa

la

densit'

dell'elemento

longobardo,

cosi'

la sua vita abbia durato

pi*

o meno

lungamente.

Il

Longobardo

apparteneva al

gruppo

occidentale

delle

lingue

germaniche.

Il

"2o spostamento fonetico"

lo

avvicina

all'alto

tedesco.

D'altra

parte

esso

presenta

alcune

concordanze

lessicali

con

lingue

proprie

originarie

della

Germania

settentrionale,

specialmente con l'antico

inglese.

Se si riflette

che

i Longobardi

stanziati dapprima

in Germani di NO,

dopo

varie

peregrinazioni

giunsero a SE,

il contrasto si

appiana:

la

loro

lingua,

che

in origine doveva essere prossima al

gruppo

anglo-

frisio e al

basso-tedesco,

si

trovo'

poi esposta agli

influssi da

cui

dipende il

"2o spostamento fonetico" e

in genere

prese

uno

sviluppo simile a quello dei dialetti

tedeschi del mezzogiorno.

42

LA

CULTURA

DEI

LONGOBARDI

Non e'

il caso di parlare di

una cultura presso

i Longobardi.

La

facilita'

con la quale i Longobardi accettarono il

latino

come

lingua dei documenti e delle leggi e

la prevalenza che

acquisto'

abbastanza presto

il

latino volgare come lingua parlata mostrano,

se

pure

ve

ne fosse bisogno,

l'assenza presso di

loro

di

un

qualche
JfPS>

patrimonio

spirituale.

Se

mai

qualche

manifestazione

letteraria

ebbero

in canti popolari,

traccia dei

quali

possiamo

trovare

nel

racconto di

Paolo Diacono,

questi

con

l'abbandono

della

lingua nazionale e dell'antica religione,

andarono perduti.

I pochi

avanzi di genere letterario dell'Italia longobarda a

noi

pervenuti,

qualche epitaffio,

qualche carme,

qualche

pagina

di

storia,

mostrano,

dai

nomi

dei

loro autori,

di

essere

stati

prodotto

di

elementi romani e

chiesastici.

L'unico

scrittore

longobardo,

scrittore

di

notevole

valore,

e'

Paolo

di

Warnefrido

(Paolo

Diacono).

Ma egli compare solo

negli

ultimi

tempi,

quando sono pressoch'

scomparse le differenze tra

romani

longobardi

ed e*

inoltre uomo di chiesa.

Migliori

manifestazioni

di

studio e di progresso di

sapere

si

43

hanno

nel

diritto.

L'Editto

di

Rotari e

le successive aggiunte mostrano che si

era

andato

formando nei Longobardi una dottrina giuridica che

tiene

sempre

pi'

conto delle idee della chiesa e del diritto

romano,

il

quale

quindi

doveva

essere

coltivato.

Tutto

presuppone

l'esistenza,

sin da tempo assai remoto,

di

qualche

scuola,

che

non

e'

difficile

ammettere

Pavia.

Tuttavia

anche

nella

redazione delle leggi si

trova la maggiore anarchia

grammaticale

rozzezza

di

espressione,

la quale

e',

anzi,

maggiore

in

Liutprando che

in Rotari.

Povere

del

pari

le manifestazioni dell'arte

longobarda,

della

quale

del

resto abbiamo poche e non sempre sicure

tracce.

Esse

consistono

specialmente nelle suppellettili delle

necropoli

di

Benevento,

Bolsena, Castel Trosino

(Ascoli), Civezzano

(Trento),

Cividale,

Nocera Umbra,

Testona (Torino), che ci hanno dato spade

altre

armi,

fibule,

croci pettorali d'oro,

del

tesoro

di

Teodolinda nel quale non e'

facile precisare che cosa sia

dovuto

ad artisti

longobardi o sia prodotto d'arte straniera.

Si

tratta

in

ogni caso di

lavori

in metallo,

arte trattata dai

Longobardi

44

anche prima di

lasciare

la Pannonia.

Longobardi ci sono rappresentati rozzi di

costumi e feroci

di

animo.

Che l'invasione e

i primi

tempi della

conquista

dessero

luogo

ad atti di

violenza e a sfoghi di

crudelt'

e'

facilmente

ammissibile.

Che

vi

fosse nei

loro

costumi

qualche

cosa

di

grossolano e ferigno pu'

essere provato dalle

loro stesse leggi.

La

stessa

storia

dei

loro

principi

e'

intessuta

di

drammi

sanguinosi

il

piissimo e clemente Liutprando

non

manca

di

vendicarsi atrocemente dei suoi nemici.

Ma gli stessi

tratti e

le

stesse manifestazionisi

trovano anche fra gli

altri

barbari,

dei

quali

i Longobardi non dovettero essere peggiori.

Solo che

sulla

loro

fama

influ'

molto

l'insanabile

odio,

sia

pure

spiegabilissimo,

della

Chiesa romana e

la mancata

fusione

con

l'elemento

indigeno poco propizia cosi'

a disarmare

gli

animi

come

mitigare

i costumi.

I Longobardi, almeno

al

tempo

di

Agilulfo

e di

Teodolinda, usavano larghe vesti ornate

di

liste

intarsiate di

larghi colori e portavano calzari aperti quasi fino

alla cima del pollice e alternatamente allacciati da stringhe

di

pelle.

Radevano

il capo al

di

dietro fino alla nuca e

lasciavano

45

cadere i capelli, divisi alla meta'


dal1'altra

della fronte, da una parte

del volto.

I servi erano completamente rasati.

46

IL

REGNO

DEI

LONGOBARDI

IN

ITALIA

Longobardi, non molto dopo aver vinto e sterminato

il

popolo

dei

Gepidi,

abbandonarono la Pannonia,

terra

troppo

aperta

troppo

minacciata da Avari, Slavi e Bizantini,

perche'

potesse

offrire

sufficiente sicurezza a un popolo, come essi erano,

non

molto numeroso.

Dovette sollecitare il

loro spirito di

avventura

anche la non lontana Italia, ben conosciuta da quelli di essi che

vi

avevano

militato

con Narsete.

E'

da

considerare

favola

il

racconto

di Paolo Diacono che i Longobardi fossero

invitati

dal

patrizio

Narsete, comandante delle forze greche in

Italia,

per

odio

alla corte di Costantinopoli. Se mai, si

potrebbe

pensare

che

Narsete intendesse, con i contingenti

longobardi, parare

le

minacce di

altri barbari

(Franchi, specialmente) e tenere a freno

la

poco docile popolazione italiana.

Comunque e' certo

che

Longobardi,

sotto il re Alboino, vincitore dei

Gepidi,

stretti

accordi

con

gli Avari,

ingrossatisi con

forti

contingenti

di

Sassoni

(20.000

secondo

Paolo

Diacono)

con

schiere

raccogliticce

di Gepidi, Bulgari e di altre genti,

il

aprile

568

iniziarono

la

lori

marcia

verso

l'Italia.

Sboccano,

47

attraverso
Cividale,

il

passo

di Predi 1, a Forum

Iulium

(Cividale);

presidiata con forze scelte e posta sotto il

fratello

del

re, Grasulfo (Paolo Diacono dice il nipote Grasulfo, ma

mal

concordano i dati cronologici), diventa la prima base delle

loro

operazioni.

Rafforzatisi con l'occupazione di

tutto

il

settore

fra

il

Tagli amento e l'Isonzo fino al mare, mentre i

Greci

si

rinchiudono

nel

sistema difensivo

Oderzo,

Padova,

Monselice,

Mantova,

i Longobardi per Treviso,

Vicenza,

Verona,

muovono verso

la

Liguria (attuale Lombardia)

facendo fuggire innazi

se'

la

popolazione

della

Venezia,

parte

della

quale

cerca

rifugio

temporaneo,

poi definitivo,

nelle isole lagunari.

Il

settembre

569

(secondo alcuni 568), Milano apre loro

le porte.

Ma

resiste

la

ben munita Pavia (Ticinum), chiave strategica della

regione,

che

perci'

Alboino non pu'

trascurare e

investe

di

assedio,

mentre

una parte delle sue forze,

passato

il

Po,

opera alla

sua

destra

impadronendosi

di

Parma, Reggio,

Modena

Bologna

e,

passato

l'Appennino

(passo

della Cisa),

scende a

Lucca

si

avanza forse fino a chiusi.

Pavia si

arrende dopo circa tre

anni

di

assedio.

Ma non molto dopo Alboino muore a Verona,

vittima

di

48

una

congiura,

nella quale sotto i

particolari

romanzeschi

di

Paolo

Diacono e' da vedere un intrigo ordito dai Greci,

con

la

complicit'

di personaggi della corte longobarda e della

stessa

moglie di Alboino Rosmunda (vendetta del sangue per disfarsi, con

mezzi

insidiosi, di

quei Longobardi, dai quali essi non erano

in

grado

di

liberarsi

(28

giugno

572)).

Longobardi

allora,

radunatisi

in

Pavia

si diedero un

nuovo

re,

di

nobilissima

schiatta,

Clefi

(572-574),

che,

per

vendicare

Alboino,

fece

strage

di

nobili

romani,

morendo

poi

egli

stesso

di

mano

assassina,

dopo appena un anno e sei

mesi di

regno.

Troppo giovane il figlio Autari per raccoglierne l'eredita',

non

si

addivenne alla elezione di

un nuovo re,

i capi militari,

duchi,

sparsi nei vari

territori assoggettati,

li governarono per

conto

proprio

in una specie di federazione

politico

militare.

La

morte di

Alboino dovette rallentare alquanto

l'impeto

primo

dell'avanzata dei

Longobardi:

ma essa non si

arresto'.

Per quanto

privi,

come

come si mostrano,

di

un vero e

proprio

programma,

assottigliati

di

numero,

dispersi

spesso

in

scorrerie

depredatrici,

Longobardi,

divisi

in

piccole

schiere,

49

infiltrandosi

tra gli ostacoli, continuano a spargersi

ovunque,

nell'Italia

settentrionale, centrale e anche meridionale,

dando

origine

ai ducati di Spoleto e di Benevento. Capi animosi,

come

Zotto

di

Benevento e Faroaldo di Spoleto

, si

estendono

nella

Campania

nella

regione fra Roma e Perugia e

fra

Perugia

Ravenna, assediano Roma, e, mentre l'uno minaccia Napoli,

l'altro

espugna la stessa Classe, porto militare di Ravenna. Ma privi

di

ogni direzione unitaria,

i Longobardi non sanno sfruttare i

loro

successi. Sprovvisti di flotta, non possono togliere ai Bizantini

luoghi che potevano essere difesi e soccorsi per

acqua:

come

Napoli,

Roma,

Ravenna, centri di grande importanza

militare

civi le.

Il

periodo del governo dei duchi

e' nella storia longobarda

il

momento del maggiore disordine, delle stragi e delle spogliazioni

pi'

crudeli. Ci* non vuol dire che la popolazione italiana,

Romani, siano stati ridotti

in servit' e privati dei

loro

beni.

Senza dubbio,

i vincitori conservaron o per se'

l'uso delle armi,

il governo e

l'amministrazione dello stato,

mantenedosi quindi

in

una

condizione

di superiorit'

di

fronte ai

vinti.

Ma

questi,

50

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