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Telma 1 settembre 1997

un nuovo potere, immenso, modella la nostra esistenza


Le recenti vicende politiche hanno dimostrato che la tv non pi un'arma elettorale assoluta. Ma il suo strapotere e quello di tutti gli altri media stanno mettendo in discussione la stessa nozione di realt. E gli strumenti concettuali correnti necessari per ridefinirla sembrano tragicamente inadeguati
Non pi vero, e forse non lo stato mai cos generalmente nei decenni passati, che la cultura italiana egemonizzata dalla sinistra. E tuttavia, la pi grave crisi nei rapporti tra questa cultura e la televisione cominciata con la vittoria del Polo delle Libert, cio di Berlusconi e compagni, nelle elezioni del 1994. In quel momento la cultura, non solo di sinistra mi pare, ha cominciato a rendersi conto che la televisione era una potenza che poteva giocare anche a favore di orientamenti politici che, per non essere progressisti, erano sempre sembrati inconciliabili con una societ di comunicazione intensificata, libera, certo anche consumistica ma comunque orientata alla rottura di tutti gli sbarramenti tradizionali, delle barriere classicamente legate a visioni politico-sociali di tipo conservatore. Se posso ricordare alcune mie posizioni, o speranze, o ipotesi teoriche che mi sembrano documentare questo stato d'animo ottimistico circa la (quasi) inevitabile alleanza tra pervasivit della comunicazione, anche e soprattutto televisiva, e societ "aperta", progressista, solidale, richiamer due episodi molto diversi. Negli

anni dell'imperversare del fondamentalismo islamico nell'Iran khomeinista, quando si imponeva inflessibilmente l'uso del chador e si lapidavano le adultere, suggerii in un articolo di giornale, e non tanto per scherzo, di bombardare l'Iran con videocassette pornografiche e confezioni di profilattici. In fondo, ragionavo, l'affermazione dei principi di libert in Occidente ha proceduto anche sempre di pari passo con l'imporsi, attraverso la comunicazione di massa, del diritto alla ricerca della felicit e alla liquidazione di tante forme di repressione, di cui quella sessuale forse la pi dura a morire. L'altro episodio a cui penso se devo documentare le mie aspettative ottimistiche verso la societ della comunicazione pervasiva e anzitutto verso la televisione , lo confesso, una brutta figura (che fu poi ampliata da varie riprese in programmi come Blob nei giorni immediatamente seguenti): la sera prima dello scoppio delle ostilit nella guerra del Golfo, intervenendo a un dibattito televisivo, dissi che ritenevo impossibile lo scoppio di una guerra giacch era inverosimile che qualcuno decidesse di "premere il bottone" di avvio data l'onnipresenza dell'occhio della tv. Ritenevo di fondarmi sull'esperienza storica recente, che mostrava come molte guerre degli ultimi anni fossero scoppiate con un incidente, un errore, episodi oscuri di cui le parti si palleggiavano la responsabilit. L'informazione diffusa universalmente in "tempo reale" mi sembrava un forte deterrente per chi doveva prendersi la responsabilit di cominciare. Non stato cos, come si sa; e anche se per l'Iran alla fine penso che avr ragione, e cio si imporr una sete di libert sacrosantamente motivata anche da interessi "impuri", ideali di consumo e bisogno di felicit individuale, intensificati e potenziati a livello di massa proprio dalla televisione e dai media, soprattutto il disinganno delle mie aspettative circa la guerra del Golfo potrebbe essere considerato una prima avvisaglia del "distacco" dalla televisione che, individualmente ma credo anche come "esemplare" di intellettuale italiano medio, ho poi esperimentato nel 1994 con la vittoria di Berlusconi. Un distacco che personalmente mi ha fatto anche un gran bene: negli anni immediatamente precedenti ero diventato un consumatore eccessivo di televisione, anche a causa del peso politico che avevano assunto molte trasmissioni a partire dall'avvio dei processi della magistratura milanese contro la corruzione amministrativa. Ero teledipendente, ma mi giustificavo appunto con il fatto che, per un certo periodo, la politica italiana si faceva soprattutto in programmi come Samarcanda, il Tg3, e simili. Altre giustificazioni erano pi remote, ma per me importanti: la notoria passione di filosofi come Heidegger e Gadamer per le telecronache sportive, la confessata abitudine di un pensatore e amico come Jacques Derrida di passare molto tempo di sera davanti alla tv, e il ricordo di un televisore piuttosto imponente e in posizione strategica visto in casa di Emmanuel Lvinas durante la mia unica visita al maestro a Parigi. Dunque, sul piano personale, a partire dalla primavera del 1994 mi sono liberato dalla teledipendenza, e di questo devo ringraziare la vittoria elettorale di Berlusconi; a parte i notiziari e qualche film, oggi vedo assai meno la televisione e perci posso dedicare molto pi tempo a leggere. Quanto alla riflessione teorica, tuttavia, credo che dopo quella che mi sembra si possa chiamare la crisi del 1994, sia per me sia per tanti altri intellettuali italiani, il rapporto con la tv direi che si stabilizzato a un livello meno mitologico ma anche non pi cos demonizzante. Intanto, televisione o no, la situazione politica italiana cambiata; in meglio, dal punto di vista delle mie preferenze politiche, ma in meglio anche in generale, giacch si visto che alla fine la tv non quell'arma assoluta che si era pensato fosse.

Anche episodi come il passaggio di questo o quell'anchor man dalle tv di stato alle reti di Berlusconi o di Cecchi Gori ha contribuito a rimettere molti fenomeni nella loro giusta luce di fatti di spettacolo, appartenenti allo show business prima che alla lotta politica. Naturalmente, la centralit che la questione della legislazione su televisione, pubblicit, telefonia ecc, continua ad avere sullo sfondo del dibattito politico fa sospettare che, alla fin fine, i media e il potere su di essi non siano tanto i mezzi della lotta politica quanto piuttosto il principale contenuto, il fine, di essa. Non: dobbiamo dominare la tv per vincere le elezioni; ma: dobbiamo vincere le lezioni per comandare sui media, e questo non solo per assicurarci la vittoria alle elezioni prossime, ma per esercitare un ben pi vasto dominio - ideale, economico, e anche politico - sulla societ, che sempre pi completamente, nel suo insieme, un fatto di comunicazione. Se dopo le elezioni del '94 i dibattiti pi accesi avevano riguardato la maggiore o minore capacit dei partiti e dei loro leader di servirsi adeguatamente del mezzo televisivo - quante chiacchiere sulla telegenicit del Cavaliere, di Occhetto, di D'Alema - ora, dopo che Berlusconi stato battuto dalla "mortadella dal volto umano" Romano Prodi, a cui nessuno, come showman, avrebbe dato e darebbe un voto vicino alla sufficienza, la questione della tv si presenta in una luce assai diversa e, probabilmente, molto pi essenziale e autentica. La comunicazione non un (potente) mezzo di lotta politica, invece ci di cui si tratta in questa lotta; se la politica il luogo in cui competono diversi ideali di societ e diverse proposte sui mezzi per realizzarli, ebbene la societ di domani sar definita soprattutto dal come funzioneranno in essa i grandi mezzi di comunicazione, dal modo in cui saranno gestiti, da chi avr il potere di dirigerli e di modificarne il funzionamento, ecc. E' vero che qui torniamo alla questione del potere, si tratta sempre di vedere chi dispone di questi mezzi, chi decide che cosa, quando, ecc, trasmettere. Ma ci che tutti, parlamenti che legiferano, sociologi e critici che osservano e valutano conseguenze attuali o possibili, pubblico degli utenti, dovremmo avere pi chiaro in mente che non si tratta tanto di distribuzione di un potere politico in vista di scopi ulteriori, quanto di un modello di esistenza individuale e sociale che stiamo, pi o meno consciamente, costruendo. Mi pare che un esempio di ci che intendo dire si possa vedere nella diffusione dei telefoni cellulari. Qui, ci sono certo conflitti di interesse fra diversi gestori delle reti, produttori dei servizi, ecc; e correlativi conflitti circa le decisioni politiche pertinenti. Ma sotto tutto ci vi un intero modo di vita che cambia, in termini di cui per ora stentiamo a renderci pienamente conto. Se la questione della televisione, oggi che ci siamo resi conto che non l'arma assoluta nella lotta elettorale (o non lo tanto quanto credevamo), pu sembrare aver perso di importanza e di centralit, questo accaduto solo a prezzo di una ben pi radicale generalizzazione del problema. Non pi in ballo la distribuzione del potere politico soltanto; in ballo la stessa nozione di realt, che sembra abbisognare di un continuo sforzo di ridefinizione, anzitutto filosofica, quanto pi divengono pervasivi i media di ogni tipo, dalla tv ai computer alle nuove possibilit di comunicazione "cablata" alle applicazioni, spesso ludiche, dei meccanismi di "realt virtuale". Davanti al compito di questo ripensamento, che non nemmeno cominciato, gli strumenti concettuali correnti, con i loro residui ideologici ma anche con le loro patetiche nostalgie "realistiche", sembrano tragicamente inadeguati. GIANNI VATTIMO

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