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Introduzione.

I. Le violon d’Ingres.

Commentare è un’arte.
Penetrare nel segreto di un’opera, sia essa scritta in
parole, tradotta in immagini, o cantata in un accordo, è
compito ambizioso, spesso irto di difficoltà, tanto per il
critico quanto per il lettore.
Capita talvolta, però, di imbattersi in commenti di
artisti su artisti, in chiose che uniscono alla nobiltà
dell’argomento l’affascinante voce di una personalità
eccezionale.
Quando poi a illuminarci sul mistero dell’arte corre in
aiuto un poeta, allora la magia è assicurata.
È successo con Chateaubriand per le cattedrali
gotiche, con Baudelaire per Delacroix, con Zola per
Manet, e poi avanti fino a Pasolini, che le opere d’arte
non s’è accontentato di commentarle, ma le ha inserite
tali e quali in alcuni dei suoi film…1
È successo con Eugenio Montale.

1
Cfr. René de Chateaubriand, Génie du Christianisme (Lyon, 1809) ;
Charles Baudelaire , L’art romantique (1868) ; Emile Zola, Edouard Manet,
études biographiques et critiques (Paris, 1867).
Pier Paolo Pasolini, già allievo di Roberto Longhi, drammatizza scene
ritratte in capolavori d’arte inserendo nelle sue pellicole dei tableaux vivants
fedelissimi alle raffigurazioni originali : v. l’episodio La ricotta in Rogopag
(1963), dove in due tableaux rivivono La Deposizione di Rosso Fiorentino
(1521) e quella del Pontormo (1528). A questo riguardo cfr. P.M. De Santi,
Cinema e Pittura, Art e Dossier n.16, Giunti, Firenze, 1987.

5
Avvicinarsi alla sua produzione poetica è già
impegnativo, ma la mole delle prose che ci ha lasciato
in dono richiede forse, nella sua vastità, uno sforzo
ancora maggiore.
Tra saggi e articoli si trova di tutto: recensioni
operistiche, scritti musicali, cronache di mostre ed
eventi culturali, fino alle interviste, alle osservazioni
riguardo la società, la letteratura e l’estetica.
E su tutto svetta la personalità di un uomo, spesso
distante dall’immagine ufficiale di poeta, cosciente
della sua originalità come dei limiti, della propria
coerenza artistica come delle cose che non è riuscito a
fare.
Montale scrive le Prime alla Scala con passione da
addetto ai lavori perché, al di là della competenza in
materia, è un baritono mancato.
Ed è un poeta che scrive di pittura e scultura perché,
per sua stessa definizione, è un pittore della domenica2.
La grandezza di un artista sta, è ovvio, in ciò che è
riuscito a produrre, nell’eredità spirituale che ha
lasciato a chi è disposto a raccoglierla, ma nessuna
personalità artistica può dirsi esplorata nella sua
completezza senza un riferimento a ciò che non è

2
Il poeta si definisce un “pittore della domenica, anzi di poche e lontane
domeniche” in Con tanti auguri a Tabusso (lettera di presentazione al
catalogo della mostra dell’artista Francesco Tabusso realizzata nel 1969 a
Torino). Il testo è riportato in E. Montale, Il secondo mestiere. Arte Musica
Società, a cura di G. Zampa, Mondadori, Milano 1996 (SA, pag. 1452), d’ora
in poi abbreviato come ISM, AMS. Le “poche e lontane domeniche” si
riferiscono, senza dubbio, ai periodi di villeggiatura trascorsi a Forte dei
Marmi, dove l’incontro col pittore, stimatissimo, Raffaele De Grada, lo
avvicina appunto alla pratica pittorica.

6
arrivato a fare, a ciò che avrebbe voluto ma non ha
realizzato.
In un’intervista del 1966, a chi gli chiede ragguagli sui
suoi “passatempi” pittorici, Montale risponde:

“La pittura è stata così un violon d’Ingres (…) anzi sospetto che i
miei quadri saranno, un giorno, l’unica mia produzione valutata,
l’unica cosa per cui sarò ricordato”3.

In questo caso il poeta non è stato un buon profeta, ma


non bisogna ignorare la presenza di una certa dose di
sorniona ironia, somministrata cautamente quanto
diffusamente nella quasi totalità delle esternazioni
montaliane.
Se occorre riconoscere che i disegni e i pastelli lasciati
non eguagliano, per forza espressiva, un solo osso,
nondimeno essi si caricano di nuovo interesse se
ripensati alla luce delle idee del poeta sull’arte e sulla
pittura, se guardati come saggi, forse ingenui, di quella
figurazione naturalisticamente originata dal dato reale,
ma portatrice al tempo stesso di significati “altri”,
ritenuta l’unica schietta forma di espressione artistica.
Tale convinzione, integrata e confrontata con altre
considerazioni estetiche, emerge con chiarezza dalle
prose di Montale, per esplicita ammissione dell’autore,

3
Da un’intervista rilasciata da Montale nel 1966 a Paolo Bernobini, ora
contenuta nella videocassetta Montale racconta Montale a cura di G. Sica,
Einaudi – RAI Educational, Torino, 2000. La stessa intervista è riportata, in
versione integrale e col titolo di Montale svagato in ISM, AMS, cit.
(Interviste, pagg. 1649-1655).

7
o depositata tra le righe di un commento un po’ più
accorato.
Così una recensione diventa occasione per indovinare i
sottintesi di un uomo straordinario, del suo pensiero e
della sua poetica, e porre magari in evidenza aspetti
poco considerati del suo essere artista e critico.
Montale ci ha lasciato una quantità notevolissima di
scritti in materia musicale e letteraria, tanto da apparire
quasi inadeguata la definizione di “secondo mestiere”,
da lui attribuita alla propria attività di critico rispetto a
quella, ufficiale, di poeta da Premio Nobel.
Dalla lettura di questo copioso materiale è piuttosto
agevole rintracciare i capisaldi del pensiero
montaliano, le coordinate dei suoi percorsi estetici tra
poesia e musica, arti tradizionalmente “sorelle” ma
assai raramente, come negli scritti del genovese,
trattate con tanta ampiezza di prospettiva.
Motivo, questo, per cui tale aspetto della sua
produzione critica è stato nel tempo oggetto di
numerosi studi.
Le prose riguardanti l’arte figurativa creano invece
qualche difficoltà in più.
Numericamente esigui gli Scritti sull’arte, il resto è
costituito perlopiù da parentesi, brevi quanto dense di
significato, all’interno di prose d’argomento più
generale, oppure incastonate nei versi di una poesia.
Sono perle, veri indizi di poeticità, nelle quali la
sinteticità di giudizi e definizioni, lungi dal lasciare il

8
lettore insoddisfatto, apre invece spiragli indicativi sul
rapporto profondo che lega Montale all’universo delle
arti figurative, troppo spesso solo accennato e passato
in second’ordine in conseguenza della maggiore
prolificità dell’autore alle prese con altri ambiti
artistici.
La presente trattazione, comprendente tre sezioni,
intende rintracciare e soprattutto esplodere tali
“illuminazioni”, così da raccordarle in un discorso
unitario che contribuisca a completare la già nota
figura del Montale critico letterario e musicale.
Nella prima parte si rende conto dell’evoluzione della
montaliana Idea dell’Arte: a partire dalle giovanili
considerazioni estetiche, soprattutto in rapporto alla
vita, contenute nel Quaderno genovese, in seguito
profondamente influenzate dallo studio di un’opera
filosofica capitale quale l’Estetica crociana, per
giungere infine al disincantato e amaro “testamento
morale” licenziato con Auto da fé dal poeta ormai
maturo.
Segue la sezione intitolata Il secondo mestiere e la
pittura, dove trovano spazio le prose riguardanti in
modo specifico l’arte visiva: dagli Scritti sull’Arte più
significativi, dedicati ad opere e artisti figurativi, agli
incontri con Braque e Brancusi raccontati in Fuori di
casa, fino alle prose di fantasia ispirate al tema della
pittura e al mistero insondabile della creazione
artistica.

9
Anche nell’ambito di una trattazione, come questa,
non incentrata sulla produzione in versi di Montale,
appare comunque necessario un riferimento, benché
privo di qualsiasi pretesa esaustiva, alla poesia del
genovese: nella terza e ultima parte, intitolata Poesia e
Pittura, trovano infatti spazio quei soli componimenti
in cui il poeta allude, più o meno apertamente, alla
propria passione per colori e tavolozza.
Seguono infine alcune considerazioni parallele tra i
versi del genovese, tratti in particolare da Ossi di
seppia, e i temi cari alla pittura metafisica.
Si vuole così proporre un modo (uno solo, tra i tanti
possibili) per leggere, in filigrana, l’amore per l’arte di
un uomo che, impegnato nel suo “secondo mestiere”,
non dimenticò mai, non poté dimenticare, d’essere
poeta.

10
II. Nota alle abbreviazioni.

Ove non diversamente specificato, per rintracciare più


agevolmente i saggi, gli articoli, le recensioni e tutti gli scritti
montaliani citati, si è fatto riferimento all’edizione critica
dell’opera omnia di Eugenio Montale, pubblicata (in cinque
voll. più un vol. di Indici analitici) da Arnoldo Mondadori per la
collana “I Meridiani” nel 1996, in occasione del primo
centenario della nascita del poeta.

Si annotano di seguito i volumi e le sezioni, con relativa


abbreviazione, da cui sono stati tratti i brani citati:

- Eugenio Montale, (ISM, AMS)


Il secondo Mestiere. Arte Musica Società.
a cura di Giorgio Zampa, Mondadori, Milano, 1996.
Auto da fé (AF)
Prime alla Scala (PAS)
Altri Scritti Musicali (ASM)
Quaderno genovese (QG)
Scritti sull’arte (SA)
Sulla propria lirica (SPL)
Inchieste (INC)
Interviste (INT)

- Eugenio Montale, (PR)


Prose e racconti,
a cura di Marco Forti e Luisa Previtera,
Mondadori, Milano, 1996.

11
Farfalla di Dinard (FD)
Fuori di casa (FC)
La poesia non esiste (PNE)
Trentadue variazioni (TV)
Prose varie di fantasia e d’invenzione (PFI)

Le poesie sono tratte da:

- Eugenio Montale, (TLP)


Tutte le poesie,
a cura di Giorgio Zampa, Mondadori, Milano, 1990.

Per i saggi letterari ci si riferisca a:

- Eugenio Montale, (SP)


Sulla Poesia,
a cura di Giorgio Zampa, Mondadori, Milano, 1976.

12
PARTE PRIMA

L’Idea dell’Arte

13
Capitolo 1.

L’estetica ai tempi del Quaderno genovese.

“ Se nella mia vita non scocca – e presto –


una scintilla, io sono un uomo finito.
Ma quale scintilla?”
Eugenio Montale, Quaderno genovese.

1.1 Un diario d’arte e poesia.

Eugenio Montale (1896-1981) stende il suo Quaderno


tra il 1915 e il 1917, anno in cui viene chiamato alla
prima delle due guerre di cui sarà testimone e inizia a
confrontarsi coi più vivaci intellettuali del tempo.
Considerato il più antico scritto di Montale
pervenutoci, il Quaderno genovese4 è una preziosa
testimonianza originale circa gli studi, gli “incontri”
letterari, le prime composizioni di una personalità in
velocissima evoluzione.
Si tratta di appunti sulle letture effettuate presso le
biblioteche Universitaria e Brero di Genova, sua città
natale, di note critiche, già sorprendentemente acute,
data la giovane età dell’autore, intervallate da alcuni

4
Rinvenuto, senza titolo, nella villa del poeta a Monterosso, il diario fu
denominato Quaderno genovese solo nel 1983, quando venne pubblicato per
la prima volta da Mondadori, a cura di Laura Barile, edizione a cui si
rimanda per il puntuale apparato critico. Il Quaderno è anche in ISM, AMS,
cit. (QG, pagg. 1280–1340).

13
versi, spesso solo abbozzati ma dei quali si può
facilmente evincere la chiara derivazione crepuscolare.
Appena ventenne, in tasca un diploma di ragionerie di
cui non andrà mai molto fiero, impiegato temporaneo,
suo malgrado, nella società commerciale paterna,
Eugenio si dedica, letture a parte, alle lezioni di canto
impartite dal famoso Ernesto Sivori, che vede nel
giovane un promettente baritono.
Con la morte del Maestro, Montale abbandona la
strada per il palcoscenico, cui in verità non dovette mai
sentirsi troppo destinato, per l’indole schiva e la
consapevolezza di non essere fornito di quella dose di
“imbecillità”5 che contraddistingue, nelle sue parole,
ogni vero artista.
Di tale esperienza resterà, fin oltre gli anni milanesi,
una passione inestinguibile per la lirica, soggetto
principe dei suoi scritti prima sul Corriere

5
A proposito di Sivori e della lirica: “…Ero l’unico allievo sul quale
aveva fondate speranze… Già meditavo di darmi alla fuga, perché
cominciavo a scrivere qualche articolo su Il Lavoro di Genova, ma la morte
del Maestro fu decisiva … e poi non avrei resistito all’ambiente, alla vita
dell’artista lirico, che è piena di problemi, di sacrifici, e impone due qualità
diverse e inconciliabili: il genio e l’imbecillità, diciamo così. Io non so se
avessi genio, certamente no, ma non ero completamente provvisto neanche di
imbecillità. Quindi non si sa che cosa sarebbe venuto fuori da questo
connubio.” (da Montale svagato, cit.).
Alla passione di Montale per la musica e il bel canto Carlo Emilio Gadda (in
rapporto continuo benché talvolta distante col poeta) dedica l’articolo
Montale, o l’uomo-musico, nel quale riconosce la medesima ricerca
espressiva alla base dell’esercizio canoro come della creazione poetica : “La
voce, nota o parola, musica o poesia, è lo strumento principe dell’uomo
pensante e senziente. La transizione dal canto alla lirica si manifesta in lui
come un passaggio spontaneo: evoluzione fisiologica, felice ed ingenua
metamorfosi della urgenza espressiva”. (Già ne Il Tempo n. 196, 1943, ora in
Il tempo e le opere. Saggi, note e divagazioni, a cura di Dante Isella,
Adelphi, Milano, 1982, pagg. 161-166).
14
d’Informazione, poi sul Corriere della Sera, la
prestigiosa testata di cui diverrà, dal 1948, redattore.
Il periodo della formazione giovanile, che giunge sino
al ’27, quando Montale si trasferisce a Firenze, vede la
presenza di una guida fondamentale: l’amata sorella
Marianna, che segue Eugenio, l’unico in famiglia a non
ricevere un’istruzione superiore, nello studio delle
materie umanistiche e in particolare della filosofia.
Montale riesce così a superare quel “ritardo” letterario
sentito insopportabile, guadagnandosi anzi un
notevolissimo vantaggio intellettuale rispetto ai
coetanei.
L’ampiezza dei suoi interessi è attestata dal Quaderno.
Sfogliamolo.
La prima pagina si apre con la bozza introduttiva,
addirittura anteriore alla stesura del diario, di una
Storia della letteratura italiana.
In verità si tratta dell’incipit di un ambizioso progetto
che Montale pensa di condurre con l’amico Mario
Bonzi, al tempo collaboratore della rivista letteraria
Riviera Ligure, che non sarà però mai realizzato.
Bonzi, con la sua poesia appassionatamente decadente,
è un importante riferimento per la maturazione
stilistica del giovane Eugenio, che lo ricorderà a
distanza di cinquant’anni con immutata ammirazione.6

6
Del poeta genovese Mario Bonzi (1896-1982) Montale parla
nell’intervista del 1975 Ho scritto un solo libro: “[…] e M.B., al quale devo
molto. Divenne poi uno specialista dell’arte del Seicento, scrittore prezioso
15
Nonostante il carattere provvisorio, l’introduzione alla
Storia della letteratura pensata da Montale la dice già
lunga sull’esigenza fortissima di una critica riformata,
genuinamente artistica, breve e soprattutto vera, che sia
d’esempio alle migliaia di pagine scritte dalla “cultura
laureata”, in più di un’occasione avversata dal poeta:

“Mancando in Italia una Storia della letteratura scritta con serietà; e


cioè con intendimenti di analisi puramente artistiche e non
(social)filosofiche, politiche e sociali; noi abbiamo divisato di
riempire questo vuoto con un libro che presenti sulle altre opere
consimili il vantaggio della brevità e della sincerità.[…] I suoi autori
non appartengono alla classe - peraltro rispettabile – dei letterati
provvisti di lauree […], essi sono semplicemente due amanti della
bellezza in arte perfettamente convinti che questa s’identifichi in
fondo con la Sincerità e però con la Verità […] N.B. Avvertire della
propria ignoranza.”7

Tale spirito “sovversivo” rispecchia la bohéme


provinciale della Genova prebellica in cui Montale
muove i primi passi della sua avventura letteraria,
sull’esempio degli artisti dell’avanguardia
crepuscolare, soprattutto di Giovanni Boine.8
La frequentazione vociana introduce il giovane
all’incontro con il Simbolismo francese, assimilato non

molto stimato da Longhi. Forse è ancora vivo.” Per il testo dell’intervista cfr.
ISM,AMS, cit. (INT, pagg.1720-1725).
7
ISM, AMS, cit. (QG, pagg.1283-1284).
8
Di Boine (1887-1917), il giorno della sua scomparsa, Montale scrive:
“Per l’avanguardia (parlo della parte seria di essa) il danno è incalcolabile.
Ma che ci siano rapiti tutti quelli che valgono qualche cosa? Era un critico
d’oro nella rassegna spicciola dei libri; un poeta che sapeva affascinare con
certi sospiri di stanchezza che sgorgavano dalle sue pagine tra linea e linea.”
In ISM, AMS, cit. (QG, pag. 1325).
16
solo a livello poetico, ma nell’atteggiamento stesso nei
confronti della vita, che si fa polemico, eccentrico e
dunque tutto “letterario”.
Il movimento gli appare una sorta di appendice
consapevole del Romanticismo, del quale riconosce la
portata rivoluzionaria a livello spirituale, non però
senza rilevarne l’insufficiente autocoscienza critica,
che affiora solo con l’avvento del Simbolismo, corrente
finalmente “artistica” proprio per il suo carattere
spregiudicato, oltre che individualistico.
Baudelaire, Rimbaud, e soprattutto l’amato Verlaine
sono i campioni insuperabili di quel simbolismo
improntato ad un “impressionismo musicale”9,
principale motivo ispiratore della concezione
montaliana di una poesia coincidente coi suoi valori
sonori, già attuata in alcuni esperimenti poetici come i
sette Accordi pubblicati su Primo Tempo nel 1922, di
cui sopravviverà solo Corno inglese, compreso negli
Ossi di seppia dell’edizione gobettiana10.
La poesia deve dunque fondarsi sulle sensazioni,
frammentarie e allusive, più che sulle idee, poiché
queste, da sole, appartengono al dominio della
filosofia, mentre il campo della poesia è la sensibilità.

9
Per una ricognizione sui modelli letterari e le influenze musicali del
primo Montale cfr. R. Luperini, Storia di Montale, Laterza, Bari 1999,
capitolo I L’avanguardista malinconico. Sul Simbolismo letterario e
figurativo cfr. S. Fugazza, Simbolismo, Mondadori, Milano, 1991.
10
Eugenio Montale, Ossi di seppia, Gobetti, Torino, 1925.

17
L’arte può dunque risultare poco comprensibile alla
mente quanto aprire spazi infiniti all’immaginazione, e
in tal caso si tratta di arte pura, eccellente, che va però
indirizzata a chi la sa intendere, agli “happy few” di
wildiana memoria, per i quali l’individualismo diventa
condizione medesima dell’essere vivi.
A parte la figura grandiosa e già mitica del Des
Esseintes di À Rebours, il romanzo di Huysmans
divenuto vero oggetto di culto dell’ intera generazione
simbolista, lo spunto gli deriva forse, in modo meno
scontato, anche da Marziale, del quale annota sul
Quaderno un passo riguardante l’eticità dell’arte:

“L’arte non è mai morale, né può esserlo, poi che essa è esaltazione di
individualità; mentre la morale esige la retrocessione dell’individuo
nella collettività. Bueno.”11

La prima opinione estetica espressa dal giovane


Montale non prevede allora intenti morali
nell’esercizio artistico, quanto la ricerca di una bellezza
formale che sia di per sé significante e nella quale
riconoscere l’origine e il fine dell’intera pratica
poetica, musicale o figurativa.
Dopo poche pagine, però, Montale sembra cambiare
idea, e allude addirittura ad una missione etica insita
nell’artisticità:

11
ISM, AMS, cit. (QG, pagg.1285-1286).

18
“L’opera d’arte è vita; chi non ha vissuto non sviscera, non conosce
né anche la vita.[…] Comunione coll’opera d’arte è comunione
coll’artista creatore; sdoppiamento, a volte fusione completa con lui;
annullamento dunque della propria personalità. È la gioia di non
essere più, la gioia anzi di essere un altro! Arte è dunque moralità
infinita perché è comprensione e amore.”12

L’apparente cambiamento di rotta non deve però trarre


in inganno: lungi dal riferirsi ad un insegnamento etico,
la “moralità infinita” dell’arte s’identifica in quel senso
di fratellanza spirituale che unisce gli uomini eletti
nella comune contemplazione estetica, nel sentimento
condiviso del bello, nel miracolo di riconoscersi in altri
scrutando se stessi.
Lo scopo dell’artista, specie del poeta, è quello di
prolungarsi negli altri, renderli parte di sé, utilizzando
il minimo dei mezzi: l’opera d’arte, nei suoi valori
formali, non è che un trampolino per la nostra
immaginazione, coinvolta a tal punto da ricreare in noi
la visione dell’artista, a partire da quella rete di echi e
rimandi che costituisce la vera sostanza artistica.
Una considerazione va però aggiunta, ed è
fondamentale: l’opera d’arte, in quanto espressione di
un’individualità irripetibile, di un quid incomunicabile,
non può mai essere compresa completamente.
Anzi, si arriva a definire un eventuale elemento
accessibile un accidente dell’opera, che ambisce

12
ISM, AMS, cit. (QG, pag. 1291-1292).
19
semmai ad aprire nuove intuizioni in individualità
rinnovate, riscoperte.
I diversi passaggi attestano in ogni caso l’importanza
documentaria rivestita dal Quaderno riguardo la
formazione del “protomontale” alle prese coi primi
ragionamenti estetici e letterari, in un momento, non
dimentichiamo, in cui la filosofia del Croce si è già
largamente imposta al centro di animatissimi dibattiti.
La riflessione del poeta s’inquadra ancora
perfettamente nella già accennata cornice simbolista-
crepuscolare, con la sua malinconia, i suoi umori
umbratili, l'afflato universale e al tempo stesso la
destinazione a pochi.
Borghese, giovane e insoddisfatto, Montale s’avvicina
d’istinto ad un altro grande francese: Flaubert,
apprezzatissimo per il suo sguardo profondo e
disincantato sulla condizione umana, ritenuto molto più
illuminante delle mille disquisizioni dei filosofi.
L’uomo è un provvisorio fenomeno che passa e va,
semplicemente, in un quotidiano tanto vuoto da
ispirare più disprezzo che ribellione, e un sentimento di
pietà per il prossimo che già non è più amore, quanto
rimpianto per un improbabile eroismo.
Sguardo doloroso, senza dubbio, e reso ancora più
pungente dal contributo di analoghi prestiti leopardiani,
a riprova delle ideali convergenze poetiche tra Montale
e il recanatese, tanto spesso indagate dalla critica.

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