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ioUNu~1ioN oi ON1oiocv
Voi. 1, NN. 12 t2012
CRl
CiN1vo lN1ivN~zioN~ii viv i~ Ricivc~ liiosoiic~
P~iivxo
Voi. 1, NN. 12 t2012
Tov~vus ~ xUi1iuisciviiN~vv
ioUNu~1ioN oi ON1oiocv
Edited by Andiea Le Moli and Pietio Giuniida
CRl
CiN1vo lN1ivN~zioN~ii viv i~ Ricivc~ liiosoiic~
P~iivxo
EPEKElNA is a sixmonthly double-blind peei-ieviewed jouinal published online
by CRl CrN1vo lN1rvN~zioN~ir vrv i~ Ricrvc~ liiosoiic~, a non-pioht
cultuial association and indipendent ieseaich centie founded in Paleimo (ltaly)
as spin-on of the local University. It covers all sorts of research on Ontology
including Metaphysics, Epistemology, Ethics, History of Philosophy, Philosophy
of Science, Philosophy of Language, Philosophy of Religion, Philosophy of Mind,
Political Philosophy, and other relevant areas. It tries to provide a platform for
scholars worldwide to exchange their latest hndings.
Associate Editors
Rosaria Caldarone
Angelo Cicatello
Andrea Le Moli
Scientic Committee
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Stephen E. Gersh
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Franco Lo Piparo
Francisco J. M. Martinez
Giuseppe Nicolaci
Pietro Palumbo
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Leonardo Samon
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Section Advisors
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Rosario Sorbello
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Editorial Board
Chiara Agnello
Carmelo Cal
Marco Carapezza
Francesco La Mantia
Rosa Maria Lupo
Rosa Rita Marchese
Fabio Tutrone
Luca Vanzago
Editorial Oce
Pietro Giunrida
Ranaele Mirelli
Published on line by
CRF C I
Palermo
www.ricercafilosofica.it
ISSN: 2281-3209
DOI prehx: 10.7408
Journal Logo by Fabrizio Spina
www.fabriziospina.com
Cover image by Lanfranco Quadrio
www.lanfrancoquadrio.com
Contents
History of the platonic-aristotelian tradition
Andrea Le Moli
Platone e la Scuola di Marburgo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
Pietro Giunrida
Being opposite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
Ranaele Mirelli
Platon, der Daimon und die Figur des Sokrates . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
Medival Ontology
Stephen Gersh
Rewriting the Proslogion . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
Critical Ontology and Modern Age
Luciano Sesta
We never advance one step beyond ourselves . . . . . . . . . . . . . . . . . 113
Emanuele Lacca
Juan Sanchez Sedeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133
Hermeneutical and Phenomenological Ontology
Luca Vanzago
Passivity and Time . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155
Ontology and Deconstruction
Leonardo Samon
Lospitalit dello straniero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175
Carmine Di Martino
Derrida e il pensiero del vivente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187
Patrizia Cecala
Tra identit e alterit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205
Notes, Reports & Interviews
Emanuele Lacca
The 10th ISNS International Conference . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 229
5
Laura Candiotto
X International Ontology Congress . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233
Ranaele Mirelli
Ohnmacht des Subjekts Macht der Persnlichkeit . . . . . . . . . . . . . . . 237
Book Reviews
Pietro Giunrida
Jessica Moss, Aristotle on the Apparent Good . . . . . . . . . . . . . . . . . . 243
Filippo Di Trapani
Markus Gabriel, Il senso dellesistenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 249
Omar Di Paola
Laura Candiotto, Le vie della confutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 257
History of the
platonic-aristotelian
tradition
Platone e la Scuola di Marburgo
Ontologia e metasica in Cohen, Natorp, Hartmann
1
Andrea Le Moli
1. Introduzione: lopposizione logica-metasica nel giovane
Nicolai Hartmann (1905-1909)
La rinnovata interpretazione di Platone un momento determinante
dellimpostazione che denisce in senso unitario la cosiddetta Marbur-
ger Schule. Tra le opere che contribuiscono a tracciarne i caratteri c
sicuramente quella Logica platonica dellessere (Platos Logik des Seins)
pubblicata nel 1909 da Nicolai Hartmann (1882-1950) come terzo volume
della serie delle Philosophischen Arbeiten curate da Hermann Cohen e
Paul Natorp.
2
Si tratta di un testo che, oltre a testimoniare una con-
tinuit profonda tra le principali impostazioni neokantiane in merito
allinterpretazione della losoa platonica, parte da una particolare
opposizione tra logica e metasica che, a detta di Hartmann, con-
dizionerebbe ogni interpretazione del pensiero di Platone sin dai tempi
dei suoi immediati successori e di Aristotele.
3
Lo scritto del 1909 esordisce opponendo espressamente allidea che
quella di Platone sia una metasica dellessere lopposta tesi per cui
essa sarebbe in realt una logica:
Che in Platone, nella misura in cui la sua in generale una
losoa teoretica, si debba trattare di una teoria dellessere,
1. Una versione di questo contributo gi apparsa in R 2010, 157-175
2. H 1909.
3. La teorizzazione di questopposizione viene maturata dal pensatore russo-tedesco
nel corso del suo apprendistato losoco a Marburgo, appunto presso i fondatori del
Neokantismo marburghese, Hermann Cohen e Paul Natorp. Nato nel 1882 a Riga,
capitale dellantico stato di Livonia, Hartmann aveva frequentato inizialmente le scuole
elementari russe e solo nel 1897 aveva avuto accesso al ginnasio di lingua tedesca di
San Pietroburgo. In seguito alla rivoluzione russa del 1905 si era quindi trasferito a
Marburgo, dove aveva vinto un concorso accademico con una dissertazione dal titolo
Il concetto di essere e non-essere nel suo signicato per la teoria platonica delle idee che
sarebbe poi conuita nella tesi di laurea del 1907 dal titolo Il problema dellessere nella
losoa greca prima di Platone. Questi studi sarebbero culminati nella pubblicazione
nel 1909 di quella Logica platonica dellessere che, insieme al testo su I principi losoci
della matematica in Proclo Diadoco, gli permetteranno di conseguire la libera docenza.
Andrea Le Moli
dicilmente qualcuno lo contester. Che per questa teoria
rappresenti una logica, e non piuttosto una metasica dellessere,
una tesi che forse non incontra un consenso immediato [c. n.].
4
E riportando lopzione metasica ad una sorta di variante interpre-
tativa del platonismo sorta in conseguenza di una sopravvalutazione,
da un lato, delle critiche aristoteliche; dallaltro, degli elementi mistici e
spiritualistici presenti nella losoa dellAteniese:
Si sempre visto in Platone il metasico. Da Aristotele in poi si
intesa la sua idea come una cosa sovrasensibile, la sua anima
come una sostanza psichica, la sua dottrina dellessere come
ontologia. Questa convinzione dunque antica quanto il plato-
nismo stesso e, come si usa anche anermare, un fatto storico
allo stesso modo di quello. Pertanto questa convinzione deve
avere da qualche parte la sua motivazione, che non deve essere
trascurata, nella misura in cui anche lo sguardo storico che ma-
tura lentamente giunge ad una concezione pi profonda. [...] la
sua predilezione per la teologia orhca e pitagorica, la sua perso-
nale fede nellimmortalit e nella vita nellaldil, la sua visione
estetico-teleologica della bont e della bellezza delluniverso na-
turale sono incontestabili e, dal punto di vista storico-culturale,
tratti dominanti della sua opera, cos come del suo infusso sul
mondo a lui contemporaneo e successivo. Ma ci non vuol dire
che questi tratti devono essere anche quelli determinanti dal
punto di vista hlosohco. [...] Per questa ragione la concezione
logica dellessere non ha alcun bisogno di essere messa in un
rapporto rigorosamente esclusivo con quella metahsica delle
idee che per la maggior parte si cercata in Platone e che in
quasi tutte le presentazioni del suo pensiero stata posta in
cima [...]. E come certo che nel corso generale dei problemi
hlosohci linteresse metahsico oltrepassato e sostituito da quel-
lo logico-scientihco, altrettanto certo deve essere che il punto di
vista logico, per come si pu rintracciare in un pensatore antico,
deve rappresentare un criterio pi profondo e determinante per
la valutazione della sua hlosoha rispetto a quello metahsico, per
quanto anche questo possa sempre presentarsi integro accanto a
4. H~v1x~NN 1909, III
10
Platone e la Scuola di Marburgo
quello. ln questo senso la logica dellesseie nel cui senso noi
ceichiamo di intendeie la dottiina delle idee, lascia sumciente
spazio in Platone ai tiatti poetici, mitici e dunque metahsici.
Essa non pietende di esseie lunico punto di vista possibile, ma
ceito quello che d la misuia dellappiezzabilit hlosohca.
The histoiical ieasons that explain this substitution aie not in view
of this aiticle,
Pietro Giurida
Rossi11o, C. 19, Opposizione e non contiaddizione nella Metahsica
di Aiistotele, in La contraddizione, ed. by E. Brv1i, Citt Nuova,
Roma, pp. 439.
Sruirv, D. 199, Relativit aiistoteliche (Paite l), in Dianoia, 2, pp. 11
2.
Suirius, C. 1993, Some Recent Appioaches to Aiistotles De Anima,
in H~xivN 1993, pp. 2281.
Raaele Mirelli
2.3. Sokrates der Gottgeliebte an einer dmonischen
Daseinsstelle: Platons Warnung an die Philosophen
Allein jene sind fuichtbaiei, ihi Mnnei, welche viele von euch
schon als Kindei an sich gelockt und ubeiiedet, mich abei be-
schuldigt haben ohne Giund, als gbe es einen Sokiates, einen
Weisen Mann, dei den Dingen am Himmel nachgiuble und auch
das unteiiidische alles eifoischt habe und Uniecht zu Recht
mache. Diese, ihi Athenei, welche solche Geiuchte veibieitet
haben, sind meine fuichtbaien Anklgei. Denn die Hiei mei-
nen gai leicht, wei solche Dinge unteisuche, glaube auch nicht
einmal Gttei.
39
Dei Gottgeliebte ist gegen die Gttei eingestellt, so sagen und be-
haupten die Anklgei. Und was meinte Platon` Eine Apologie, untei dei
Kategoiie des lionischen zu veistehen und zu lesen, ist keine Entschul-
digung, keine Rechtfeitigung, sondein eiklit nui das Wahie. Sokiates
steht als ubeimenschliches Wesen in dei Mitte zwischen Philosophen
und Menge. Ei sucht diese Wahiheit im Himmel und im Unteiiidischen,
steht abei genau in dei Mitte, wie ein daimon, zwischen Himmel und
Unteiwelt und deutet die Spui zui Wahiheit an. Die Zuhiei, voi al-
lem die Richtei, sind abei nicht leicht zu beeinfussen und die Zeit, die
ihm zui Verfgung steht, um seine Rede fortzufhren, ist zu kurz. Der
menschliche (antropodaimon) daimon als Philosoph ist ein menschlicher
Gott. Er glaubt darin besteht das gezeichnete Paradox von Platon
an die omziellen Gtter, aber nicht auf eine absolute, exklusive Weise.
Neben den omziellen Gttern der homerischen Tradition glaubt Sokra-
tes an die weniger omziellen, die in der griechischen Kultur keinen
bestimmten Namen gewonnen haben.
Platons Darstellung des Sokrates ist meiner Meinung nach kei-
neswegs menschlich. Sein Wesen beruft sich auf die Dimension der
Unbestimmtheit. Seine Position den Richtern gegenber ist elitr, er
versprt keine Angst und scheint sich vor dem Urteil kaum zu frchten.
Die Figur von Sokrates ist gegen eine absolute Subjektivitt, als paradig-
matische Autoritt. Dieser Sokrates braucht keine Angst zu haben, und
dementsprechend keinen Gott im Sinne dieser innerlichen Autoritt,
39. 18 BC, in O11o et al. 1957, 14.
76
Platon, der Daimon und die Figur des Sokrates
die ihn von diesei luicht eilst und befieit. Diese Unbestimmtheit in
Sokiates hat an sich etwas Gttliches.
[lch] mu oidentlich wie mit Schatten kmpfen in meinei Vertei-
digung und ausfragen, ohne da einer antwortet.
40
Die Richter sind
Schatten, und das endgltige Urteil bereitet keine berraschung: fr
Platon ist es notwendig, eine legendre Figur des Meisters zu vermitteln.
Der historische Sokrates ist deswegen eine Legende, in der sich Mythos
und Geschichte vermischen. Seine faktische Existenz kann nicht in
Frage gestellt werden, aber seine Legende und hier meine ich das Koe-
xistieren zweier unterschiedlicher Sphren muss weiter interpretiert
werden. Das bedeutet nicht, dass man hier den historischen Sokrates
verneinen will, sondern dass hier ein Paradox entsteht. Meines Era-
chtens ist hier nicht die Wahrheit ber Sokrates gefragt, sondern es
gilt zu verstehen, was er fr die Bildung der Figur des akademischen
Philosophen dargestellt hat. Mit der Figur des Philosophen wurden die
Athener, die Brger, geprgt, aber zu einer Umwertung gebracht, die die
Menge und die Philosophie in Gefahr brachte. Weder die Menge noch
die Philosophen waren zu dieser Umwertung bereit. Die Philosophie
kann aus diesem Grund auch fr die Philosophen gefhrlich sein und
natrlich fr die Menge der Nicht-Philosophen, die sie nicht akzeptie-
ren knnen: als Philosoph wird man deswegen verurteilt und fr die
Mitglieder der Menge kann die Wahrheit als Umwertung giftig sein.
Wohl! Verteidigen mu ich mich also, ihr Athener, und den Ver-
such machen, die verkehrte Meinung, die ihr in langer Zeit bekommen
habt, euch in so sehr kurzer Zeit zu benehmen.
41
Wie man sieht, spielt
die Zeit in der sokratischen Rede eine sehr wichtige Rolle. Immer wieder
betont er, wie wichtig die Zeit sei, um eine Meinung zu konstituieren.
Sokrates versucht den Richtern zu zeigen, dass die Rhetorik in keinem
Falle pdagogisch sein kann. In kurzer Zeit kann Sokrates die Wahrheit
nicht erscheinen lassen. Die paideia in seiner Komplexitt, im Sinne
einer Erziehung zur Wahrheit, kann diesem Zweck nicht dienen. So-
krates ist ein Opfer seiner Zeit in zwei Hinsichten: im Hinblick auf die
Zeit, in der seine Feinde ein falsches Bild von ihm aufbauen konnten,
und auf die Zeit seines Gerichtsverfahrens, die ihm leider zu kurz war.
Raaele Mirelli
mirelliranaele@gmail.com
40. 18 D, in O11o et al. 1957, 14.
41. 18 E-19 A, in O11o et al. 1957, 15.
77
Raaele Mirelli
Literaturverzeichnis
lvirui~Nurv, P. 194, Platon, Bd. I. Seinswahrheit und Lebenswirklichkeit,
De Giuytei, Beilin.
O11o, W. l., E. Gv~ssi e G. Pi~Nnocx (ed.) 19, Platon. Smtliche Werke,
in dei ubeisetzung von l. D. E. Schleieimachei, Rowohlt, Hambuig.
Rosr, H. J. 193, Nvmen inest Aminist in Gieek and Roman Reli-
gion, in The Harvard Theological Review, 28, pp. 23-2.
Rosr, H. J. 192, La Notion du divin depuis Homre jusqu Platon: sept
exposs et discussions, londation Haidt, Geneve.
ScuivNuiNc, A. voN (ed.) 1991, Hesiod. Theogonie, Aitemis & Winklei,
Muenchen.
ScuoNnrvcrv, O. (ed.) 2008, Hesiod. Theogonie, Reclam, Stuttgait.
UsrNrv, H. 2000, Goetternamen. Versuch einer Lehre von der religioesen
Begrisbildung, Klosteimann, liankfuit am Main.
Wiiiovu, l. A. 19, Daimon in Homei, in Numen, 12, pp. 21-232.
8
Medival Ontology
Rewriting the Proslogion
Nicholas of Cusas Transformation of Anselm of
Canterburys Proof of the Existence of God
Stephen Gersh
The questions conceining the natuie and extent of Nicholas of Cusas
debts to Anselm of Canteibuiys thought have been consideied most
iecently in an aiticle entitled Nicholas of Cusas lntellectual Relation-
ship to Anselm of Canteibuiy by Jaspei Hopkins.
1
Accoiding to this
distinguished modein inteipietei, Nicholas ieveals consideiable indebt-
edness to Anselm in at least hve aieas the desciiption of God, the use
of a piioii ieasoning, the assumption of eteinal tiuth, the theoiy of
atonement, and the ielation between faith and ieason. Neveitheless,
although Hopkins iightly decides to emphasize Nicholas amnities with
the medieval woild as well as his anticipations of the modein eia, it
becomes cleai that the hfteenth-centuiy wiiteis indebtedness towaids
his piedecessoi is combined with consideiable independence. lt is this
complex ielation of semi-dependence which one might call a cieative
ie-wiiting that l wish to considei in the piesent essay. Without
dissenting fiom the conclusions of Hopkins essay, my intention is to
ventuie into a deepei consideiation of the hist (and to some degiee also
of the second and thiid) aiea of Nicholas indebtedness to Anselm. The
focus of this analysis will be the hfteenth-centuiy thinkeis individual
and innovative tieatment of what is nowadays called the ontological
aigument but was foimeily known as the ratio Anselmi.
This aigument is, of couise, stated in the Proslogion. ln his pieface,
Anselm chaiacteiizes the one aigument of the Proslogion as somehow
complementing oi completing the many aiguments of the Monologion
in that this aigument is sumcient a to piove itself and b to piove that
God tiuly exists, that he is the supieme good which does not depend
on anything else but on which eveiything else depends in oidei to be
and to be well, and that he is whatevei else we believe conceining the
divine substance.
2
The aigument obviously begins the main discussion
of the Proslogion although it is dimcult to deteimine how fai it extends
within the tieatise. That Anselm cleaily intends this aigument to be a
1. HovxiNs 200.
2. Anselm of Canteibuiy, Proslogion pi., ed. Scuxi11 194 (l, 93. 1-10).
Stephen Gersh
self-evident axiom of human ieason ieecting the self-sucient natuie
of the divine substance would suggest that the aigument iepiesents
only the content of chapteis two to foui. But that he also envisages
his aigument as pioving not only the existence but also the natuie of
the divine substance would iequiie us to undeistand the aigument as
extending thioughout the tieatise.
3
loitunately, oui puipose heie is
not to establish Anselms intentions iegaiding the aigument but iathei
to considei Nicholas of Cusas ieaction to it.
loui aspects of the ratio Anselmi seem paiticulaily ielevant heie.
liist, theie is the absence of a specied ielation between the two de-
nitions of God. Thus, God is something than which a gieatei cannot
be thought (aliquid quo nihil maius cogitari possit) but also something
gieatei than can be thought (quiddam maius quam cogitari possit).
4
The ielation between the two denitions might peihaps be specied by
associating the ist with the fact that God exists and the second with
the mannei of Gods existence. Secondly, we nd an emphasis upon
the piocess of demonstiation. The complementaiy ielation between
the aiguments of the Monologion and the aigument of the Proslogion
undeilines this aspect. Accoiding to the methodology explicitly stated
in the eailiei tieatise, whatevei conclusions weie to be diawn fiom
the vaiious inquiiies had to be based not on sciiptuial authoiity but
on the necessity(necessitas) of ieason.
The
theme of the maximum ieappeais in chaptei sixteen wheie Nicholas
explains that possibility and actuality coincide in the maximum. Aftei
iepeating his aiguments that the maximum coincides with the minimum
because it admits of no opposition, and that the coincidence between
the tianscendence and immanence of God is a ielation between two
maxima, Nicholas also explains that the maximum which coincides with
the minimum is the supieme measuie of all things falling between a
maximum and a minimum. Chapteis seventeen and eighteen fuithei
develop the aigument conceining the measuie of all things by associ-
ating the maximum with the piimaiy exemplai of Platonic philosophy.
linally, the theme of maximum ieappeais in chaptei twenty-foui wheie
Nicholas explains that the name of the maximum (nomen maximi)
is the maximal name (nomen maximum). This name is the biblical
Tetiagiammaton.
Nicholas discussion of the maximum in De Docta Ignorantia shows
the ielation between this concept and the piivileged teims of absolute
and inhnite and also between this concept and the coincidence of op-
posites. His iefeiences to the maximum in ceitain latei texts show the
ielation between this concept and the coincidence of opposites and also
the ielation between this concept and the disjunction.
Sondaie le
implicazioni etiche di questa insupeiabilit signihca, pei Spaemann,
iilanciaie una questione metahsica che il iealismo inteino della sen-
tenza humeana tende invece a occultaie, e cioe la possibilit che laltio,
pei diila con Lvinas, supeii lidea dellaltio in me, e dunque sia
ieale beyond ourselves. Se infatti laltio e solo un fenomeno che iisulta
da una modihcazione delle nostie facolt conoscitive, non ci sai modo
di iaggiungeilo in quanto altio, e cioe nella posizione che esso deve
. Cfi. Sv~rx~NN 2010c. La fiase di Hume e iipiesa dalla seguente pagina del Trattato
sulla natura umana lissiamo puie, pei quante possibile, la nostia attenzione fuoii di
noi, spingiamo la nostia immaginazione hno al cielo o agli estiemi limiti dellUniveiso
non avanzeiemo di un passo di l di noi stessi, n potiemo concepiie altia specie di
esistenza che le peicezioni appaise entio quel ceichio iistietto (tiad. it. in Lrc~iu~No
198).
. Nel cogito caitesiano, in enetti, Spaemann iinviene al contiaiio un potenziale di
decentiamento della soggettivit che, nonostante alcuni celebii e magistiali tentativi
di valoiizzailo (vedi Heideggei e ancoi di pi Maiion e Levinas), iimane in paite
inesploiato. Cfi. Sv~rx~NN 2010a.
114
We never advance one step beyond ourselves
manteneie peich si possa pailaie di una iesponsabilit morale nei suoi
confionti. Se il solipsismo e veio, aneima Spaemann, non ce alcun
obbligo moiale nei confionti di nulla, uomo, animale o ambiente che sia.
Solo se esistono entit autonome iispetto a noi, entit pei le quali e
in gioco qualcosa (che non coincide necessaiiamente con cio che e in
gioco pei noi), alloia esiste anche una dimensione moiale, peich solo in
questo caso il nostio agiie puo iispettaie, violaie, danneggiaie o favoiiie
qualcun altro. Ne deiiva, come lapidaiiamente aneima Spaemann, che
non ce etica senza metahsica, e cioe che lespeiienza moiale, al di l
della sentenza humeana, si basa sullidea che vi sia realmente qualcosa
al di l di noi stessi.
Questultimo assunto e pei Spaemann una foima di iealismo meta-
hsico, le cui chance sono da giocaisi allinteino dellambito etico. Al di
fuoii dellespeiienza moiale, infatti, niente di cio che incontiiamo come
ieale saiebbe diveiso da come se ipotizziamo che la sua esistenza
non sia sepaiabile da una modihcazione dei nostii oigani di senso o
della nostia coscienza. l ponti e i palazzi che costiuiamo in iegime di
iealismo inteino, e cioe ipotizzando che essi non siano entit sepaiabili
dalla peicezione che ne abbiamo, noimalmente non cadono.
Questo
signihca, pei Spaemann, che soltanto letica ha bisogno di andaie sino
in fondo, inteiiogandosi sulla possibilit che dietro il iealismo inteino, e
cioe il fatto che tutti i contenuti della nostia espeiienza siano tali per noi,
vi sia anche un iealismo metahsico, e cioe qualcosa o meglio qualcuno
che e tale in s.
2. La ragione, ovvero uno sguardo da nessun luogo
Oia, la foima intiascendibile del pensaie e del sentiie, compendiata dalla
sentenza humeana, iipioduce, secondo Spaemann, la logica piopiia della
natuia, caiatteiizzata da quella tipica impossibilit di usciie da se stessi
che e piopiia del vivente. E veio, il vivente e in un continuo scambio
con lalteiit dellambiente ciicostante e degli altii viventi. Si tiatta peio
di unalteiit di tipo funzionale, se non addiiittuia stiumentale, peich
hnalizzata al mantenimento dellidentit del vivente stesso. Essendo
caiatteiizzato dalla curvatio in seipsum, insomma, il vivente non e ca-
pace di iappoitaisi allaltio in quanto altio. Pei il vivente vale dunque
. Sv~rx~NN 2010d.
11
Luciano Sesta
lesse est percipi. La stessa categoiia dellalteiit, in questottica, sonie
ancoia di un sotteiianeo iifeiimento al piimato del medesimo laltio e
infatti colui che e tale solo agli occhi dellidentico e in iappoito a esso.
Pei questo Spaemann piefeiisce il teimine Selbstsein, esseie-s, pei
indicaie il polo di iifeiimento di una ielazione che sia autenticamente
ontologica e insieme etica, una ielazione, dunque, in cui laltio non
e solo, in negativo, cio che non sono io, ma anche, positivamente, cio
che e se-stesso. Oia, come e possibile coglieie questa positivit` Come
possibile coglieie qualcosa come un Selbstsein`
La iisposta di Spaemann iilancia il iuolo centiale della iagione
e, pi esattamente, il caiatteie eccedente del iazionale iispetto alla
vita natuiale. Lo si puo mostiaie, fia gli altii possibili modi, facendo
notaie che al cospetto delle funzioni biologiche che esse consentono
di iealizzaie, le foime cultuiali (e dunque iazionali) di soddisfazione
dellistinto appaiono ceitamente inutili. Pei sopiavviveie, ad esempio,
e sumciente assumeie individualmente del cibo, senza che sia necessaiio
conhguiaie questazione nei teimini iituali del pasto in comune. Cio
che e inutile nei confionti della logica natuiale, tuttavia, puo piocedeie
solo da una dimensione che di pei s non e vincolata alla natuia. La
libeit con cui luomo si iappoita alla natuia (piopiia e ciicostante) e
dunque cifia di una trascendenza del iazionale, che Spaemann tiova
suggestivamente piehguiata dallidea aiistotelica secondo cui la funzio-
ne piopiiamente intellettiva dellanima umana, iispetto alle funzioni
vegetative e sensitive, pioviene da fuoii (tyrathen).
8
Cos, tenendo a distanza la piessione eseicitata da esigenze di
caiatteie vegetativo e sensitivo, sciive Spaemann,
la iagione e quella capacit delluomo che ci peimette di vedeie
noi stessi dal di fuoii, di vedeici, pei cos diie, con gli occhi di un
altio, o, ancoia meglio, di sapeie che esiste uno sguaido sinatto
che viene da altii occhi, da occhi la cui piospettiva non e quella
che e piopiia dellesseie vivente che noi stessi siamo.
9
Un esseie vivente iazionale e dunque dotato non soltanto di inteies-
si autoiefeienziali, ma anche di uno sguaido da nessun luogo, che lo
iende capace di vedeisi da fuoii come uno fia gli altii in quanto
8. Sv~rx~NN 1998, 109. Lespiessione si tiova in Riproduzione degli animali, 3b.
9. Sv~rx~NN 1998, 110.
11
We never advance one step beyond ourselves
esseii iazionali, sciive Spaemann, noi diventiamo, pei cos diie, spet-
tatoii di noi stessi.
10
Contiaddicendo lautoiefeienzialit del viveie,
in altii teimini, la iagione ielativizza la nostia stessa vita a una vita
fia le altie.
11
E peicio dimcile pensaie la iazionalit umana in senso
evoluzionistico, e cioe come il piodotto di un adattamento funzionale
allautoconseivazione. Nei confionti del viveie, infatti, la iagione iap-
piesenta un capovolgimento di diiezione, una fiattuia che iompe
il ceichio dellautoiefeienzialit e dellautoaneimazione.
12
Oia, e in questa inveisione che, secondo Spaemann, si apie la
dimensione stricto sensu moiale, e, dunque, si iende visibile il caiatteie
piatico della iagione.
13
Solo con il dischiudeisi della iagione, e dunque
solo uscendo dalla chiusuia natuiale in noi stessi, puo infatti appaiiici
qualcosa di iealmente altro, che dunque non tiae il suo signihcato dal
fatto di iappoitaisi a noi. Spaemann paila qui di uno specihco inteiesse
della iagione, vale a diie un inteiesse che non puo esseie iicondotto a
nulla che assomigli a un bisogno, espiimendo, piuttosto, la ielazione
elementaie che luomo intiattiene con cio che .
14
E in enetti e con
la iagione, e solo con essa, che si apie loiizzonte dellesseie, e cioe un
oiizzonte la cui estensione e inhnita e il cui centio e ovunque, quindi
non soltanto nel punto in cui io stesso mi colloco.
1
Un oiizzonte,
dunque, incondizionato, peich non e ielativo agli inteiessi di un
esseie vivente o di una specie natuiale, ma che, in qualit di oiizzonte
essenzialmente inhnito, iende possibile, al contiaiio, ielativizzaie tutti
gli inteiessi hniti.
1
Secondo Spaemann e piincipalmente in quanto piatica, e cioe capa-
ce di questo distanziamento, che la iagione puo esseie anche teoietica.
10. Sv~rx~NN 1998, 240 Cfi. Sv~rx~NN 2010b.
11. Sv~rx~NN 1998, 11.
12. Sv~rx~NN 1998, 112.
13. Qui Spaemann si limita a foiniie una piopiia veisione del caiatteie impaiziale del-
la iagione, che iitioviamo, mutatis mutandis, in alcune delle piincipali hguie delletica
contempoianea. Si pensi alla posizione oiiginaiia e al velo di ignoianza di John Rawls,
al view from nowhere di Thomas Nagel, alla capacit di immedesimazione nellaltio di
John C. Haisanyi, al punto aichimedeo di David Gauthiei, pei giungeie al celebie
punto di vista dellaicangelo di Richaid M. Haie.
14. Sv~rx~NN 1998, 223.
1. Sv~rx~NN 1998, 110. Se una cosa esiste, lo fa a piescindeie da me e dalle mie
esigenze, e peisino dal fatto che io sappia che essa ce.
1. Sv~rx~NN 1998, 111.
11
Luciano Sesta
Se infatti conosceie qualcosa signihca coglieie cio che essa e in s, e ne-
cessaiio avei gi benehciato della capacit di lasciai esseie (Seinlassen)
le cose peich si possa conosceile. Amnch le cose appaiano in se stesse
e non come semplici oggetti contiapposti alla nostia soggettivit, oc-
coiie dunque rinunciare al loio possesso e al loio utilizzo immediato.
1
Quando iinuncia a faie di ogni ente una paite del piopiio ambiente,
luomo esce dal piopiio iipiegamento natuiale e, speiimentando la pio-
piia condizione eccentiica, scopre di esseie non solo natuiale ma anche
iazionale. Questo signihca che latto mediante cui lasciamo esseie le
cose pei cio che sono e lo stesso tiamite cui anche noi scopiiamo cio
che siamo Lio che dipende dallistinto non ha scopeito n se stesso
n laltio da s, centiato su di s come tutte le iealt oiganiche, egli
iesta nascosto a se stesso. Nellatto del destaisi della iagione la piopiia
iealt e quella dellaltio diventano contempoianeamente visibili.
18
La
iagione e in tal senso il luogo oiiginaiio dellinteisoggettivit e, insieme,
di cio che e, dal momento che quello che io iealmente sono, sciive
Spaemann, si costituisce attiaveiso la iinuncia a consideiaie laltio
[...] come qualcosa che sia essenzialmente pei me, senza che io sia
simultaneamente pei esso.
19
Su questa iecipiocit si fonda, secondo
Spaemann, il iealismo metahsico, e cioe lassunzione
che quando sentiamo, vogliamo e pensiamo, facciamo un passo
oltie noi stessi, tiovandoci iealmente piesso cose, animali e altii
uomini. ll iealismo metahsico implica lidea che sono visto dagli
uomini che vedo, e che, dunque, luomo che vedo non e soltanto
unimmagine in me, da cui io posso sentirmi osseivato come da
unimmagine dipinta, che peio non mi guaida iealmente.
20
Spaemann iicoiie spesso al fenomeno del doloie come paiadigma di
questo iealismo. La ieazione spontanea nei confionti del doloie altiui
piesuppone infatti che il doloie in questione sia ieale in un senso che
1. Noi possiamo e dobbiamo ceito utilizzaie le cose, ma failo piima di iispettaile, e
cioe piima di coglieie cio che esse sono a piescindeie dal nostio uso, signihcheiebbe
usaile ciecamente e, dunque, non usaile anatto, visto che non sapiemmo se esse sono
iealmente adatte a seiviie i nostii scopi.
18. Sv~rx~NN 1998, 128.
19. Sv~rx~NN 200, .
20. Sv~rx~NN 2010d, 311. ln altii luoghi Spaemann iipiende lespiessione iealismo
metahsico da PU1N~x 198, .
118
We never advance one step beyond ourselves
iinvia alla iealt di un fenomeno che non e solo pei noi.
21
Que-
sta iealt e diiettamente piopoizionale al giado di impoitanza che le
attiibuiamo, ciescendo a misuia della nostia disponibilit moiale a soc-
coiieila, il che puo avveniie soltanto se, di nuovo, le viene iiconosciuto
un telos immanente iiiiducibile al piopiio
ll mostiaisi della iealt dellaltio coincide con la collaboiazione
con questa iealt in quanto teleologica, con la iealt di una
tensione veiso altio da s. Solo in questa collaboiazione laltio
diviene ieale pei noi. lnfatti, hntanto che egli iesta pei noi
qualcosa di semplicemente disponibile, egli non e pei noi cio
che egli e in se stesso noi possiamo iendeici contio di che cosa
signihchi un io soltanto se viviamo come io, se cioe siamo istinto
ma allo stesso tempo usciamo dalla nostia autoiefeienzialit e
peicepiamo noi stessi come laltio dellaltio, e laltio, da paite
sua, come alter ego.
22
3. Ubi amor, ibi oculos
Sulla scoita di quanto si e visto, laneimazione di Platone secondo
cui il bene e il fondamento della conoscenza, pei Spaemann, signihca
che a colui che vuole bene appaie come amato - e dunque non
negativamente come un semplice altio (Andere), ma positivamente
come un se stesso (Selbstsein) - cio che, nellimpostazione teoietica, ha
il caiatteie del semplice oggetto.
23
E dunque veio, in linea con il divieto
humeano di passaie dallis allought, che da un dato di fatto oggettivo
pieso pei s non deiiva mai un doveie.
24
Ma cio accade peich il dato
di fatto oggettivo potiebbe gi esseie il iisultato di unomissione etica, il
iisultato cioe di uno sguaido fiettoloso, che ha mancato di iiconosceie
come un se stesso cio che oia ci appaie come un semplice oggetto.
lnsomma, pei Spaemann lunit di etica e ontologia non e che una
vaiiante hlosohca delladagio ubi amor ibi oculos.
21. Sv~rx~NN 200, .
22. Sv~rx~NN 200, 128.
23. Sv~rx~NN 1994a, 22.
24. Sv~rx~NN 1994a, 22.
119
Luciano Sesta
Quando abbiamo a che faie con lespeiienza dellaltio, dunque,
peicezione e piesa di posizione sono inscindibili.
2
Ne deiiva, pei
toinaie allesempio di piima, che se lespeiienza del doloie altiui non
e sepaiabile dallesigenza di iimuoveilo, non avveitiie questa esigenza
non e pei Spaemann solo cinismo moiale ma anche, pei cos diie, un
difetto di peicezione. Non esistendo infatti unintuizione diietta del
soniiie altiui, lunico modo pei coglieilo teoreticamente come ieale non
e sfoizaisi di piovaie doloie non saiebbe possibile, e la compassione,
quando ce, non sempie e immediata e spontanea , ma iiconosceie
il doveie morale di iimuoveie un tale soniiie, e cioe ammetteie che
il doloie altiui non e qualcosa di diveiso dal nostio.
2
Non avveitiie
questo doveie signihcheiebbe mancaie la peicezione dellaltio in quanto
altio, signihcheiebbe iiduilo a semplice fenomeno, dimenticando il
suo statuto di cosa in s, e cioe di un ente che, essendo se-stesso, ha
un iappoito con s e non soltanto con noi.
Le implicazioni di questultimo assunto, secondo Spaemann, sono
di capitale impoitanza. Se infatti il doloie altiui non e consideiato, al
paii del nostio, come qualcosa che non doviebbe esseici, alloia non
iimane che il solipsismo non potiemo mai faie un passo oltie noi
stessi. Un noi stessi che, nota peialtio Spaemann,
2
a sua volta non
saiebbe pi distinguibile da una meia illusione cosa ci gaiantisce che il
nostio doloie sia ieale e non invece soltanto sognato` Se cio che pos-
siamo conosceie sono sempie e soltanto alteiazioni delle nostie facolt
conoscitive, cosa poti mai distingueie le alteiazioni che avvengono
nel sogno da quelle che, invece, avvengono a causa di una iealt che si
tiova beyond ourselves`
Pei iispondeie a questo inteiiogativo Spaemann iicoiie piopiio
alla metafoia del destaisi, iipiendendola da Eiaclito e dal Gautama
Buddha. E in enetti si tiatta di una metafoia che da sempie espiime il
passaggio da un iappoito con cose e peisone in cui siamo chiusi nel
nostio mondo sognante, a un iappoito in cui solo paitendo dalla
sollecitazione che ci viene dalliiiiducibilit della iealt possiamo diven-
2. Sv~rx~NN 1998, 230. Con un simpatico esempio, Spaemann giunge a diie che pei
un esseie iazionale vedeie un coleotteio appoggiato sul doiso dimenaisi e il iimetteilo
sulle sue zampe sono una cosa sola (Sv~rx~NN 1998, 229).
2. Ne deiiva, pei conveiso, che nessuno e costietto a iiconosceie che un altio piova
doloie (Sv~rx~NN 200, 4).
2. Sv~rx~NN 2010d, 311.
120
We never advance one step beyond ourselves
taie ieali noi stessi.
28
Questo diveniie ieale ha secondo Spaemann
un signihcato insieme etico e metahsico, che dunque piecede la stessa
distinzione fia uso teoietico e uso piatico della iagione. Qualcosa di ana-
logo, secondo Spaemann, a quanto hanno voluto espiimeie Lvinas con
lidea delletica come hlosoha piima, Wittgenstein con lidentihcazione
delletica con il mistico, e peisino Adoino e Hoikheimei, quando
sciivono che contio lomicidio esiste solo un aigomento di caiatteie
ieligioso.
29
Nella Vorwort alla iaccolta di saggi Grenzen. Zur ethischen
Dimension des Handelns, Spaemann iiassume il suo punto di vista nel
modo seguente
Lassunzione che laltio sia ieale e metahsica, cos come lo e il
passaggio caitesiano dal cogito al sum. Senza questo passag-
gio, tuttavia, non ce alcuna etica. E viceveisa iiconosceie che
questo passaggio deve esseie fatto letica.
30
Che la iealt del ieale possa mostiaisi solo tiamite unaigomentazione
ciicolaie non e che una confeima del livello etico in cui si colloca il suo
iiconoscimento. Piendeie sul seiio il contenuto etico di cio che e in
gioco nel iappoito con laltio, vuole diici Spaemann, e pi impoitante di
ogni cautela foimale hnalizzata a evitaie una petitio principii. Peialtio,
di fionte alla sempie possibile iicaduta nel solipsismo, lapeituia del
punto di vista moiale e pei il Nostio unautentica iivelazione ontologica,
che consente di attingeie cio che e in veiit con un giado di ceitezza
altiimenti piecluso
La questione iiiisolvibile sul piano teoietico ciica cio che e
in veiit, tiova una soluzione in quel punto nel quale hlosoha
teoietica e hlosoha piatica, metahsica ed etica, sono oiiginaiia-
mente una cosa sola nella coscienza. lo non posso consideiaie
28. Sv~rx~NN 1998, 119. Non a caso il testo appena citato ieca, in eseigo, il seguente
fiammento di Eiaclito Uno e comune e il mondo pei coloio che sono desti, mentie
nel sonno ciascuno si iinchiude in un mondo suo piopiio e paiticolaie (tiad. it. in
Gi~NN~N1oNi 19, 21).
29. Sv~rx~NN 2001a, 8.
30. Sv~rx~NN 2001a, 8. ln unaltia pagina di Glck und Wohlwollen, Spaemann foinisce
unulteiioie chiaiihcazione di questa tesi sciivendo ll fatto che noi peicepiamo la
iealt del ieale non iappiesenta soltanto una nostra faccenda, ma costituisce anche una
pretesa su di noi (Sv~rx~NN 1998, 224).
121
Luciano Sesta
laltio come una puia appaienza se divento consapevole della
pietesa che pioviene dalla sua iealt, e non posso giudicaie me
stesso come una puia appaienza se faccio espeiienza di me come
destinataiio di questa pietesa.
31
lnsomma, solo letica, nella foima di un iappoito iesponsabile con il
piossimo, e in giado di assolveie la hlosoha dal doveie di dimostiaie
lesistenza del mondo esteino. Se ce iesponsabilit moiale alloia dovi
esseici iealismo metahsico, viceveisa, non ce iealismo metahsico che
in iifeiimento a qualcosa come la iesponsabilit moiale. E cio vale,
natuialmente, anche pei quelle ielazioni umane ad alto contenuto etico
quali sono lamoie e lamicizia
Colui che ama una peisona, colui che ha un iappoito di amicizia
con qualcuno, non puo allo stesso tempo dubitaie della sua ieal-
t. [...], e quando dico che costui non pu dubitaie, non intendo
unimpossibilit hsica o logica, ma moiale e perci assoluta. Met-
tendo in discussione la sua iealt non solo metto tia paientesi
la iealt dellamicizia ma la distiuggo del tutto. Lamicizia non
peimette nessuna astinenza ontologica, nessuna epoch.
32
4. Per una fondazione non discorsiva delletica
Oia, la tesi di Spaemann che non esiste etica senza metahsica potieb-
be induiie a ciedeie che unepoch sulla iealt dellaltio sia consentita
a chi, pei iagioni hlosohche, non adeiisce al iealismo metahsico. Pei
Spaemann, tuttavia, le cose non stanno cos. Di fionte a chi iigetta
lidea di dignit umana, pei esempio, noi non ceichiamo di dimostiaigli
che la dignit umana esiste, ma che lui si sta semplicemente sbagliando.
31. Sv~rx~NN 1998, 192-193. ln questo senso Spaemann puo diie che lo stesso Kant
ha espiesso cio aneimando che solo nellesigenza morale luomo fa espeiienza di s
non come appaienza ma come cosa in s sottiatta a ogni deteiminismo causale
(Sv~rx~NN 1998, 119).
32. Sv~rx~NN 1998, 131. Senza la ceitezza che luomo che amiamo sia ieale, che il
pionome tu si iifeiisca inequivocabilmente a qualcuno che esiste indipendentemente
da me, cos come lui mi dice tu senza dubitaie che io esista indipendentemente da lui
senza questa ceitezza, dicevo, cio che chiamiamo amoie si distiugge. E si distiugge
anche tutto cio che chiamiamo giatitudine, iimpioveio, colpa, sdegno ecc. (Sv~rx~NN
2010d, 312).
122
We never advance one step beyond ourselves
Viceversa, se sto sorendo, ogni soccorso nei miei confronti implica una
tesi metahsica da parte di chi mi sta soccorrendo, e cio la convinzione,
da parte sua, che io sia una cosa in s a prescindere da ci che egli pu
dire di me. Ci comporta, scrive Spaemann, lesigenza di assimilare i
miei giudizi in prima persona ai suoi giudizi in terza persona, cio che
lui aermi prova dolore quando dico provo dolore. Questa esigenza
per non si lascia fondare per via discorsiva: il discorso infatti si appog-
gia esso stesso sul previo riconoscimento dei soggetti che ne prendono
parte.
33
Veniamo qui alla questione pi specihca della fondazione delletica,
che trova nellassunto metahsico della realt dellaltro il suo presup-
posto ma non il suo svolgimento. Questo svolgimento, lo si appena
visto, non pu essere cercato nello scambio argomentativo fra due o pi
interlocutori. Letica, infatti, si presenta come un discorso potenzialmen-
te inhnito, che rimane incommensurabile rispetto a ci che, qui e ora,
deve essere fatto.
34
E ci vale, per Spaemann, non soltanto nellaspetto
negativo di chi cerca un fondamento per accettare una norma morale,
ma anche nellaspetto positivo della ricerca di una regola che di quella
norma giustihchi lapplicazione. C infatti qualcosa come una tarta-
ruga logica Spaemann cita Lewis Carrol in base a cui chi cerca
una regola che giustihchi lapplicazione di una regola destinato a un
regressus in innitum, come quello a cui condannato Achille in corsa
dietro la tartaruga.
35
Parlare di applicazione o di sussunzione del proprio agire sotto una
regola morale, tuttavia, per Spaemann unastrazione che avviene sem-
pre a posteriori, dal momento che i giudizi che io formulo in coscienza,
quando sono davvero morali, si riferiscono in prima battuta a me, e non
a tutti gli uomini: Abitualmente infatti noi conosciamo ci che retto
prima ancora di conoscere la regola dalla quale esso pu derivare. E
spesso lo conosciamo addirittura con certezza ancora maggiore di quella
inerente alluniversalit della regola. Il fatto che io non possa commette-
re questo inganno per me pi certo del fatto che mai qualcuno possa
compiere un inganno di questo tipo.
36
33. Sv~rx~NN 1998, 130.
34. Sv~rx~NN 2001b, 28-29.
35. Sv~rx~NN 2001b, 29.
36. Sv~rx~NN 2005, 165-166.
123
Luciano Sesta
ln questo senso la sollecitazione ad agiie peich ci si tiova in un caso
pievisto dalla noima moiale non e pi lesito di un faticoso peicoiso
di deduzione dalla teoiia alla piatica, ma la scoperta di tiovaisi in un
ambito gi da sempie piatico, iispetto a cui la teoiia e unoggettivazione
impiescindibile, s, ma secondaiia e deiivata. Spaemann lo illustia
iicoiiendo allepisodio biblico del dialogo fia il ie David e il piofeta
Nathan, il quale inchioda il ie al suo peccato iaccontandogli una stoiia
in teiza peisona.
3
ln questo modo David e dappiima invitato a valutaie
impaizialmente, ponendosi in posizione oiiginaiia, pei poi scopiiie,
una volta sollevato il velo di ignoianza, che la vicenda impeisonale di
cui egli eia spettatoie coinvolge piopiio lui come piincipale attoie. Que-
sta scopeita, che coincide con la fiase di Nathan tu sei quelluomo',
saiebbe iimasta ancoia puia teoiia, se David, invece di applicaila a se
stesso dicendo ho peccato, avesse detto, pei esempio, io sono il ie, il
mio caso e diveiso.
Oia, peio, visto che questo aiietiamento iispetto alla deduzio-
ne/applicazione della noima e sempie possibile, non ce applicazione/de-
duzione che non sia, al tempo stesso, una libeia scelta. Ceicaie di
esoicizzaie la contingenza di questa scelta facendo notaie che esiste un
dovere di compieila non seive a gianch, iendendo anzi pi evidente
la sua iadicalit iispetto a ogni applicazione e deduzione, visto che ce
sempie una possibile iagione pei teneisi a distanza dal caso pievi-
sto dalla noima. ln questo senso, come piopone Spaemann, letica e
uninterruzione del discoiso, e si potiebbe dehniie la coscienza moiale
come cio che pone hne a ogni foima di sottilizzazione.
38
ln sintonia con laeimazione del caiatteie oiiginaiio e indeducibile
della iagion piatica, lesempio appena fatto intende mostiaie che non
esiste un aigomento teoietico moialmente vincolante, o, pi piecisa-
mente, che un aigomento diviene vincolante solo a condizione che colui
al quale e iivolto decida di sottometteisi alla sua foiza. Nessuno puo es-
seie costietto a iiconosceie che un altio piova doloie.
39
E non soltanto
peich potiebbe tiattaisi di un individuo paiticolaimente cinico. Potieb-
be esseie anche un compoitamentista o uno scettico, pei esempio uno
che, in piena buona fede, si e appunto convinto che we never advance
3. S 2001b, 29.
38. S 200, 1.
39. S 200, 4.
124
We never advance one step beyond ourselves
one step beyond ourselves, e che dunque tutto cio che speiimentiamo
non possiede una iealt indipendente da noi, essendo nientaltio che
una modihcazione dei nostii oigani di senso.
40
Di fionte a un simile
scettico, lunica speianza e che a un ceito punto egli rinunci alla sua
teoiia, iitenendola meno impoitante del fenomeno che essa, spiegando,
hnisce in iealt pei cancellaie. Pei Spaemann e questa iinuncia, e non
una qualche teoiia alteinativa, a fondaie piopiiamente la moiale
la peculiaiit dellobbligazione moiale sembia tiovaisi piopiio
nel fatto che essa non consente una deteiminata iifessione
nonostante la sua possibilit, una iifessione con la quale le
peisone possano svincolaisi da ogni obbligatoiiet. La iinuncia
a questa iifessione sembia esseie latto genuinamente moiale.
[...]. La questione di una fondazione ultima non si pone pi. La
iinuncia a tale questione la fondazione ultima e questa iinuncia
e sempie gi compiuta quando gli uomini si iiconoscono lun
laltio come peisone o iivendicano questo iiconoscimento.
41
Nel discoiso in cui si svolge il tentativo di una fondazione ultima
della moiale, vuole diici Spaemann, questa fondazione e gi di fatto
avvenuta. loiniie unaigomentazione pio o contio unesigenza moiale
signihca infatti esseisi gi sottomessi a unesigenza moiale, iiconoscen-
do nel piopiio inteilocutoie un soggetto libeio, capace di acconsentiie
o meno, senza costiizioni, a cio che gli diciamo.
42
5. Contro Callicle
ln base a quanto si e detto, e come ha notato anche Beinaid Williams,
ogni fondazione della morale che trovi degli ascoltatori interessati
sempre circolare, perch si rivolge a chi gi moralmente impegnato. Lo
scopo di chi cerca una giustihcazione teorica della morale, in tal senso,
40. Questo non signihca, naturalmente, che Spaemann ritenga lo scetticismo di Hume
una forma di cinismo morale, tanto pi che, al contrario, letica humeana invece
fondata proprio sul sentimento di compassione. Com nel suo stile, qui Spaemann
usa liberamente sentenze paradigmatiche di alcuni autori come punti di appoggio della
propria argomentazione, senza particolari preoccupazioni di fedelt testuale.
41. Sv~rx~NN 2005, 216.
42. Come si pu vedere, qui Spaemann si trova in sintonia con le premesse fondamentali
della Diskursethik.
125
Luciano Sesta
e non gi quello di confiontaisi con qualcuno che piobabilmente non
lo stai neppuie ad ascoltaie, bens quello di iassicuiaie, foitihcaie
e iendeie pi consapevoli coloio che sono disposti ad ascoltailo.
43
Cio signihca che una veia fondazione della moiale e in gioco solo al
cospetto di un inteilocutoie immoiale o amoiale. Di questo, iicoida
Spaemann, sembia esseisi accoito Callicle alla hne del Gorgia platonico,
visto che egli inteiiompe il dialogo quando si accoige che la piopiia
foiza sta esattamente nel non discuteie.
44
ll gesto di Callicle dimo-
stia, secondo Spaemann, che non ce fondazione che non piesupponga
una meta-fondazione, e cioe una decisione di iimaneie dentio la logica
della fondazione, che si piesenta come uno scambio di iagioni apeito
a iiconosceie quelle pi plausibili. Con questa decisione giunge al
teimine ogni fondazione, dal momento che la fondazione della fondazio-
ne hnisce nel nulla se nessuno vuole iealizzaila o addiiittuia sentiine
pailaie.
4
Una fondazione della moiale e possibile, dunque, solo a
condizione che nella stessa espeiienza moiale vi sia in gioco qualcosa di
ultimo, che puo esseie mostiato ma non spiegato.
4
Questo qualcosa
e in iealt non qualcosa ma qualcuno, e cioe colui che, di volta in
volta, in modo contingente e non deducibile da una teoiia, iiconosce
laltio da s non soltanto come oggetto inseiito nel piopiio ambiente,
ma anche come soggetto nel cui ambiente egli si tiova insieme a lui.
Rispetto a questo iiconoscimento letica hlosohca puo assumeie solo un
atteggiamento sociatico, e, dunque, non piopiiamente fondativo, ma
maieutico-esoitativo.
Deduiie che pei Spaemann il punto di vista moiale sia il iisultato
di una meia decisione saiebbe peio eiioneo. Pensailo signihcheiebbe
iimaneie legati a unidea ancoia impiopiia di iagion piatica, la cui
peculiaiit non consiste nel foiniie aigomentazioni teoieticamente con-
clusive, iispetto alle quali tutto il iesto saiebbe meio decisionismo. Un
coiietto eseicizio della iagion piatica, piuttosto, consiste pei Spaemann
nel giusto modo di inteiiompeie le aigomentazioni tiamite decisio-
ni. Lidea, iichiamata sopia, che la scelta moialmente iesponsabile
per denitionem sia piopiio quella di iinunciaie alla iiceica di un fon-
43. Wiiii~xs 1987, 34.
44. Sv~rx~NN 1998, 130.
45. Sv~rx~NN 1998, 129-130.
46. Sv~rx~NN 1998, 129-130.
126
We never advance one step beyond ourselves
damento, e pi chiaia non appena si iifetta sia sulluigenza con cui
siamo chiamati a decideie uigenza che non puo sempie attendeie una
iifessione compiuta sulla plausibilit delle nostie scelte , sia sulla posi-
zione dellimmoialista coeiente, che, alla stiegua di Callicle, potiebbe
tappaisi le oiecchie di fionte alle nostie aigomentazioni fondative.
Un tale coeiente immoialista, nota Spaemann, non potiebbe iichie-
deie alcun iispetto pei la sua posizione, poich una tale iichiesta saiebbe
gi una iichiesta di caiatteie etico.
4
Una confeima, questa, del fatto che
non ce fondazione possibile della dimensione moiale, che va dunque
piesupposta come fondamento nel quale gi ci tioviamo. Rimane la
possibilit di indicaie le conseguenze della negazione di questo fonda-
mento, negazione che nessuno, secondo Spaemann, saiebbe disposto
ad accettaie. Spaemann fa notaie, al iiguaido, che nella Repubblica di
Platone il punto di vista immoialista e sostenuto da Glaucone e Adi-
manto, e cioe da amici di Sociate, non da suoi nemici. A dimostiazione
che limmoialismo iadicale e solo ipotetico, potendosi conhguiaie nel
quadio di una ielazione gi moialmente assicuiata, qual e lamicizia.
48
Dentio questa ielazione non tutte le posizioni sono aigomentabili, se
non, appunto, in via semplicemente ipotetica. Posizioni apeitamente im-
moiali, che si collochino dunque al di fuoii di ielazioni gi moialmente
connotate, non meiitano pei Spaemann contio-aigomentazioni, ma un
insegnamento pedagogico. ln una pagina di Moralische Grundbegrie,
un coiso di lezioni a caiatteie divulgativo, si legge
Aiistotele sciive uno che dice che saiebbe lecito uccideie la
piopiia madie non meiita aigomentazioni, ma botte. loise si po-
tiebbe anche diie che costui aviebbe bisogno di un amico. Ma la
questione e se saiebbe capace di amicizia. ll fatto comunque che
egli non e foise in giado di daie ascolto a delle aigomentazioni
non signihca che non vi siano iagioni contio di lui.
49
4. Sv~rx~NN 2001b, 20. Questultimo aigomento e stato duiamente ciiticato in
Nozicx 198, 408. Secondo Nozick limmoialista che chiede iispetto pei la sua posizione
potiebbe ben iinunciaie alla coeienza, senza pei questo sentiisi distuibato. Va precisato,
tuttavia, che con largomento appena riportato Spaemann intende dimostrare che a
essere innegabile lesigenza morale, non la sua realizzazione: proprio grazie a questa
esigenza, in eetti, che anche limmoralista pu sperare di veder tollerate le sue tesi e
rispettata la sua incoerenza.
48. S 2001b, 20.
49. S 1991, 27. Signihcativamente, anche Hume sostiene qualcosa di analogo,
127
Luciano Sesta
Spaemann non foinisce ulteiioii iifeiimenti testuali, ma la sua ci-
tazione, tiatta dai Topici, iichiama unaltia pagina, sempie dei Topici,
che consente di paiagonaie colui che non compiende le aigomentazioni
moiali a colui che non peicepisce il coloie della neve.
0
Questultimo,
come sciive Aiistotele, non ha bisogno di unaigomentazione ma di una
sensazione. Pensaie che egli possa a un ceito punto vedeie il coloie bian-
co giazie alle nostie aigomentazioni e unillusione. lnsomma contra
experientiam non valet argumentum. Ci sono espeiienze fondamentali
che non possono esseie sostituite da aigomentazioni, e cio e veio a tal
punto che la stessa capacit di daie il giusto peso ad aigomentazioni
iazionali dipende dal tipo di peisona che si e, dove il tipo di peisona
che si e dipende, a sua volta, dalle espeiienze che si sono fatte. Luomo
moialmente buono e dunque colui che fa nasceie la iifessione moiale e,
al tempo stesso, colui che, solo, puo inteiiompeila con una decisione,
peich ne compiende le iagioni ultime. E ancoia Aiistotele a iicoi-
dailo Occoiie esseie stati ben guidati nei costumi pei ascoltaie con
piohtto le lezioni su cio che e moialmente bello e su cio che e giusto
[...]. Chi si tiova in queste condizioni possiede i piincipi e puo coglieili
facilmente.
1
6. One step beyond ourselves
A volei iipiendeie la questione da cui siamo paititi, e cioe il iappoi-
to ciicolaie fia etica e metahsica che Spaemann lascia emeigeie dal
confionto con la sentenza humeana citata allinizio, si puo diie che
lespeiienza moiale e lindizio di una tiascendenza immanente le idee
di iesponsabilit e di obbligo, in eetti, tengono insieme il pei me
di un appello e lin s di unesigenza. Ce tuttavia pei Spaemann una
soita di piimato tiascendentale dellin s sul pei me, visto che senza
il piimo non potiemmo nemmeno concepiie il secondo. La fiase we
quando, nel Trattato sulla natura umana, sciive Chi ha negato la iealt delle distinzioni
moiali puo esseie classihcato fia chi disputa in mala fede [...] lunico modo di conveitiie
un avveisaiio del geneie e dabbandonailo a se stesso [...] e piobabile che, alla hne,
passi dalla paite del senso comune e della iagione (tiad. it. in Lrc~iu~No 198, 19).
Una foite sintonia di metodo, su questo aspetto, fia le hlosohe moiali di Aiistotele e di
Hume, e sostenuta in B~irv 199.
0. Avis1o1rir, Topici, l, 1-4, 10-11.
1. Avis1o1rir, Etica Nicomachea l 2, 1094b, tiad. it. in Z~N~11~ 198.
128
We never advance one step beyond ourselves
never advance one step beyond ourselves, sciive infatti Spaemann, puo
esseie pionunciata solo da chi questo passo lo ha gi da sempie fatto
Se fossimo davveio cos piigionieii di noi stessi come pensa
Hume, alloia non potiemmo nemmeno sapeilo. [...] La zecca
non sa di un mondo al di l del suo ambiente, di un mondo in s,
in cui, accanto a tutte le altie cose, ci sono anche le zecche. Gli
uomini, al contiaiio, sanno di avei fatto un passo oltie se stessi,
che iende loio possibile sia di sapeie del caiatteie piospettico del
loio iifeiiisi al mondo, sia di tiascendeie questo iifeiimento.
2
Una soggettivit iazionale che fosse davveio chiusa in se stessa,
insomma, non potiebbe concepiie un al di l, e, qualoia cio accadesse,
non potiebbe distingueilo dal piopiio pensaie, sentiie e immaginaie. Da
questo punto di vista, piosegue Spaemann, la fiase di Hume si distiugge
nellatto stesso in cui viene pionunciata, e se essa appaie iiiesistibile,
cio avviene peich ci si muove su un piano puiamente teoietico lal di
l del nostio pensaie, in eetti, e esso stesso nuovamente un pensaie,
e il pensieio di un al di l, di un mondo esteino al mio pensaie, e di
nuovo solo un mio pensieio.
3
Ma, appunto, come ci e venuto allidea
un tale pensieio` Quale genesi possiede lidea di un al di l dellidea`
La iisposta di Spaemann non e diveisa da quella di Lvinas questa
genesi e il volto dellaltio, laddove laltio, qui, non e peio solo laltio
uomo, ma ogni esseie vivente toccato dal nostio agiie. Se dunque noi
facciamo continuamente un passo oltie noi stessi, cio accade peich
altii ne hanno gi fatto uno verso di noi. La dimensione teoiica dentio
cui questo passo iisulta piecluso e taidiva, inseiendosi in un contesto
moiale che, in qualche modo, la iende possibile.
Dimenticaie questa ciicostanza e leiioie, secondo Spaemann, di tut-
te le odieine vaiianti a base sia scientihca sia idealistica della sentenza
humeana. Talune inteipietazioni evoluzionistiche e neuioscientihche
della soggettivit umana, infatti, tendono a iiduiie ogni manifestazione
della nostia coscienza a epifenomeno di pi fondamentali e insupeia-
bili condizioni biologiche e mateiiali, iispaimiando peio questa stessa
inteipietazione dalle conseguenze compiomettenti che essa impoiieb-
be che laeimazione di uno scienziato debba esseie piesa pei vera
2. S 2010d, 313.
3. S 2010c, .
129
Luciano Sesta
piuttosto che pei espiessione di una funzione di adattamento appaie, a
ben vedeie, come un piivilegio ingiustihcato, almeno se le cose stanno
cos come quellaeimazione ci invita a iiteneie. Dal punto di vista
idealistico le cose non sono diveise. Lo stesso cogito caitesiano, lo si
iicoidava allinizio, e insupeiabile solo in qualit di cosa pensante, e,
dunque, solo quando e consideiato iealisticamente come qualcosa che
esiste a prescindere da noi. Una confeima, questultima, che dietio ogni
iealismo inteino ce sempie un iealismo metahsico nascosto, o, come
ci iicoida Spaemann citando Etienne Gilson, che everybody is realist
of something, sia essa la coscienza tiascendentale, le ieti neuiali o le
funzioni vitali di adattamento della specie.
4
Luciano Sesta
Univeisit degli Studi di Paleimo
luciano.sesta(unipa.it
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131
Juan Sanchez Sedeo
Uno studioso dellintenzionalit del XVII secolo
Emanuele Lacca
Nel coiso del peiiodo umanistico e iinascimentale, i giandi sistemi
gnoseologici medievali attiaveisano un lungo peiiodo di dimcolt e,
inhne, di decadenza, tuttavia, analizzando un po pi da vicino il quadio
hlosohco dei secoli XVI e XVII, si nota che, in alcune regioni europee
come la Spagna, la rifessione sviluppa e attinge a piene mani dalle
tradizioni precedenti. il caso della Scuola di Salamanca, nella quale
horirono numerosi studi di teologia, hlosoha e diritto. Tra le rifessioni
pi importanti degli studiosi di questa scuola, si possono ricordare
1. il probabilismo teologico, nel quale il libero arbitrio delluomo non
consiste pi nel fare il bene, ma nel non scegliere il male; 2. la distinzione
tra diritto pubblico nazionale e diritto internazionale, che regolava i
rapporti giuridici tra le varie nazioni; 3. lo studio economico sul valore
delloro che giungeva dalle Americhe, per tentare di dehnire un rapporto
tra il metallo prezioso e il denaro in circolazione.
1
Oltre a questi temi, alcuni esponenti di questa Scuola hanno rivolto
la propria attenzione allambito logico: questo il caso di Juan Sanchez
Sedeo, teologo, metahsico e hlosofo, vissuto a cavallo dei secoli XVI e
XVII nel convento domenicano di San Esteban de Salamanca. Si vedr,
infatti, che il suo studio coniuga elementi mutuati sia dalle teorie me-
dievali sullintenzionalit che dalle elaborazioni dei suoi contemporanei,
come Domingo Baez, Domingo de Soto e Bartolomeo de Medina, con i
quali egli dialoga criticamente lungo tutto il corso dellopera.
1. Prima intentio e secunda intentio
Juan Sanchez Sedeo (1552-1615) propone nellAristotelis Logica Magna
(Salamanca, 1600) una teoria della conoscenza basata sullintenzionalit,
ovvero quel particolare modo di apprensione che permette allintelletto
di conoscere sia entit singolari che universali, senza per questo incor-
1. Interessante, per la conoscenza approfondita delle tematiche della Escuela de Sa-
lamanca, lopera di RouvicUrz 2006. Utile, a questo proposito, anche MoNuiN 1996,
266-83, in cui viene tracciata una breve ricostruzione del pensiero elaborato dai hlosoh
della Escuela de Salamanca.
Emanuele Lacca
rere in possibili paradossi e contraddizioni.
2
Dei sette libri che com-
pongono lopera, il castigliano elabora la sua teoria nel secondo libro,
dove suggerisce di trattare lintenzionalit primariamente dal punto di
vista logico; nella quaestio II del liber II dellAristotelis Logica Magna,
3
si
chiede quid sit intentio prima et secunda.
4
La questione risulta fondamentale per il tentativo di analizzare la co-
noscenza umana dal punto di vista logico; a dinerenza delle auctoritates
di riferimento, egli non costruisce il suo edihcio hlosohco partendo dalla
trattazione specihca dei vari aspetti della questione, ma si introduce in
medias res, prendendo in considerazione tutte le componenti utili alla
formulazione di una corretta e soddisfacente teoria dellintenzionalit.
Sanchez Sedeo, allinizio della questione, ribadisce il quadro storico
che contraddistingue le intentiones
5
e mostra come, nel corso della storia,
i primi studi sullintenzionalit hanno focalizzato i propri sforzi nella
distinzione di due entit: 1. la prima intentio, che si dehnisce come ci
che stato conosciuto dallintelletto del soggetto conoscente; questo
stadio conoscitivo non aggiunge nulla alle caratteristiche di ci che
stato conosciuto;
6
2. la secunda intentio sive actus intelligendi, che si
dehnisce come quel processo di conoscenza che permette al soggetto
conoscente di poter anermare di aver conosciuto unentit appartenente
al mondo sensibile; infatti, quando lintelletto conosce un uomo, si dir
2. Per un inquadramento generale della hgura di Juan Sanchez Sedeo cfr. Fv~iir
1985, 355. In particolare sulla Logica Magna cfr. Hicxx~N 1983.
3. Da ricordare che ogni libro dellopera di Sanchez Sedeo costituisce un ambito di
studio indipendente dagli altri; si pu, quindi, scomporre il testo in base allo scopo che
ogni studioso vuol raggiungere; qui, il mio interesse quello di presentare la sua teoria
dellintenzionalit; per questo, ho ritenuto opportuno partire dalla trattazione di questa
specihca questione del II libro.
4. S~Ncurz SrurNo 1600, 129.
5. S~Ncurz SrurNo 1600, 129: fuit igitur quorundam logicorum de intentionibus
prima opinio, quae docet primam intentionem, quam id quod primo intelligitur. Itaque
prima intentio nihil addit, nec secundum rem, nec secundum rationem, supra rem, quae
intelligitur: sed actus intelligendi dicitur secunda intentio, quando igitur intelligo hominem,
homo intellectus est prima intentio, actus vero intelligendi quo hominem intelligo, dicitur
secunda intentio.
6. Questa concezione riprende quella di Tommaso dAquino riguardante la conoscenza
della specie in relazione a quella delle res. A questo proposito, cfr. ST, I-II, q. 12, a. 1;
ST I, q. 85, a. 2; In Sent. l. II, d. 38, q. 1, a. 3. Per un inquadramento del problema
dellintenzionalit in Tommaso, con particolare attenzione alla questione dellabstractio,
cfr. D~xoN1r 2009.
134
Juan Sanchez Sedeo
prima intentio la conoscenza di questuomo, mentre secunda intentio
laver conosciuto luomo, come concetto.
Successivamente, Sanchez Sedeo ritiene opportuno esporre tre idee
conseguenti rispetto a queste prime teorizzazioni delle intentiones, le
quali si basano su una reinterpretazione dei primi tentativi in chiave
epistemologica: 1. esiste un doppio livello di conoscenza della res: il
primo, denominato di prima intenzione, rappresenta loggetto del mondo
sensibile conosciuto e non modihcato da alcuna operazione mentale;
il secondo, quello di seconda intenzione, astrae ci che stato appreso
dal primo livello e ne delinea gli elementi quidditativi. La res, quindi,
come se fosse conosciuta due volte, prima come obiectum mundi e, poi,
in se stessa; 2. una res pu essere conosciuta dallintelletto solo in modo
absolutum, ovvero non si pu dire di essa se non quello che ; ma la
sua conoscenza scandita da due momenti, dehniti di prima cognitio,
corrispondente al momento primo-intenzionale di conoscenza e secunda
cognitio, che si lega al concetto di seconda intenzione; lintenzionalit
tale solo dal punto di vista grammaticale, dal momento che esistono
diversi tipi di nomi per esprimere le caratteristiche della res, ovvero
1. nomi che indicano la res senza alcuna intenzione, come Socrate e
Platone;
2. nomi che si dicono di prima intenzione, in quanto rappresentativi
di enti come uomo;
3. nomi detti di seconda intenzione, perch fanno riferimento alluni-
versale desunto dalla res.
Largomentazione elaborata da Sanchez Sedeo tiene in considera-
zione le teorie sullintenzionalit formulate da Hervaeus Natalis, ma
anche da Domingo Baez, da lui ritenuti auctoritates fondamentali ma
non del tutto amdabili.
7
Erveo, secondo Sanchez Sedeo, attraverso la
formalizzazione delle intentiones, vuole giungere ad una loro precisa
suddivisione: 1. la prima intentio formaliter dehnita ex parte intellectus
e si dice di tutto ci che conduce lintelletto alla conoscenza di qual-
cosa. Si istituisce, cos, una habitudo tra la res intellecta e lintelletto
conoscente; 2. la prima intentio in concreto tale ex parte rei intellectae
7. Cfr. S~Ncurz SrurNo 1600, 130.
135
Emanuele Lacca
e dice la cosa stessa, in quanto conosciuta dallintelletto; 3. la secunda
intentio in abstracto la relatio rationis, che tale quando la res gi
stata conosciuta per mezzo della prima intentio; 4. la secunda intentio in
concreto, inhne, la cosa conosciuta in ordine allintelletto sive relazione,
come ad esempio la specie che si riferisce allintelletto facendo parte di
una res che gi stata conosciuta.
8
A proposito della teoria di Baez, invece, Sanchez Sedeo si limita
a riportare una citazione del suo commentario alla prima pars della
Summa Theologiae, che dimostra, pur nella sua stringatezza, il suo
interesse alla logica dellintenzionalit:
pro cuius explicatione suppono abstractionem a materia aliquan-
do esse realem, et sine operatione intellectus, sicut Angelus
est substantia realiter abstracta a materia. Aliquando vero ab-
stractio a materia est solum secunda intentio, quae consequitur
operationem intellectus. v.g. homo per conceptum communem
abstrahit a materia singulari, et quantitas a materia sensibili,
quamvis realiter nullus sit homo sine materia singulari, nulla
quantitas sine materia sensibili.
9
Lidea di fondo che concerne la secunda intentio , quindi, quella
di unentit logica che si costituisce solo nel momento in cui stata
compiuta unattivit di astrazione dalla res singolare: cos tutto ci
che viene conosciuto dallintelletto e da esso consegue viene designato
come secunda intentio. Sanchez Sedeo completa questa trattazione
dellintentio in generale dividendola in formaliter ed obiective: nel primo
8. S~Ncurz SrurNo 1600, 130: opinio est sapientissimi nostri ordinis Magistri Generalis,
fratris Hervaei in tractuatu, quae de intentionibus acutissimum edidit q.1 et 2 ubi docet
intentionem esse duplicem, alteram, quae se tenet ex parte intellectus, & est omne illud,
quod per modum similitudini set repraesentationis ducit intellectus in cognitionem alicuius
rei, sive sit verbum, sive quodcumque aliud. Et isto modo, inquit, posset extendi momen
intentionis ad quaecumque rem, sive exemplar, ducens in rei cognitionem. Altera vero
quae se tenet ex parte rei intellectae. Et hoc modo dicitur intentio res ipsa, quae intelligitur
in quantum in ipsa tendit intellectus. [...] Et secunda intentio potest accipi et in abstracto
et in concreto. In abstracto est relatio rationis, quae dicitur secundam intentio, ut quo,
qua medias res quae secundo intelligitur, refertur ad intellectum. In concreto vero est
res secundo intellecta cum ordine ad intellectum, sive relatio, qua species refertur ad
intellectum secundo intelligentem est secunda intentio formaliter, species ipsa secundo
intellecta, cum illa relatione est secunda intentio in concreto.
9. B~Nrz 1584, q. 64.
136
Juan Sanchez Sedeo
caso lintentio iappiesenta tutto cio che lintelletto, attraverso il suo
operato, in grado di conoscere della res esistente nel mondo sensibi-
le; nel secondo caso, invece, la res viene conosciuta attraverso il suo
fondamento.
10
2. Considerazioni generali sullintentio
Data la complessit delle argomentazioni presentate da Sanchez Sedeo
ed il suo incedere dialettico-critico con i problemi e la tradizione di
riferimento, utile presentare subito le conclusioni che, nella quaestio
II, portano alla dehnizione dello statuto delle intentiones.
11
I conclusio: falso sostenere che la prima intentio sia id quod in-
telligitur e che la secunda intentio sia actus intelligendi, dal momento
che lente di ragione si dice di quelle entit che hanno la propria ratio
nelle res; tuttavia, dal momento che di queste ultime si dicono anche
genere e specie, che in realt sono detti delle cose ma solo per via intel-
lettiva, sarebbe impossibile strutturare un concetto non contraddittorio
dellintenzionalit secondo tale teoria.
12
Il limite pi evidente di questa
teoria risiede nellattribuire alla res caratteristiche proprie dellente di
ragione il quale non pu, in alcun modo, essere rintracciato nelle res in
quanto esistenti.
II conclusio: il parallelismo prima intentio in abstracto primus
actus intelligendi e secunda intentio in abstracto secundus actus intel-
ligendi non ha alcun valido fondamento, in quanto in tal modo non
verrebbe garantita la conoscenza intellettiva della res: in questo sistema,
infatti, non possibile lesistenza di unintenzionalit in concreto, cio
10. In questo modo, una secunda intentio pu essere detta di una res e del suo fonda-
mento; si dir in abstracto quando si riferisce al genere e alla specie delloggetto senza
per riferirsi a questo o a quelloggetto; in concreto, invece, si dir quando genere e
specie sono predicabili di questo o quelloggetto.
11. S~Ncurz SrurNo 1600, 131-42.
12. A questo proposito doveroso far notare un evidente e certamente involontario
errore bibliograhco di Sanchez Sedeo, che desume la confutazione di questa teoria
da un opuscolo, il De natura generis, attribuito a Tommaso dAquino. Studi compiuti a
partire dallultimo ventennio del XIX secolo sullopera dellAquinate, tra cui lo studio
commissionato da Papa Leone XIII e il progetto Corpus Thomisticum dellUniversit
della Navarra, hanno evidenziato la falsa attribuzione di questo breve scritto, il quale
dovrebbe essere stato redatto da Tommaso di Sutton; questa attribuzione, per, ancora
in via di dehnizione.
137
Emanuele Lacca
unintentio che possa metteie in iappoito il soggetto conoscente con
il mondo sensibile. lnoltie, se la modalit delle intenzioni fosse solo
astrattiva, genus e species avrebbero uno statuto di realt allinterno
delle res e non si necessiterebbe di un intelletto che li discerna o che ne
evidenzi la predicabilit al reale.
III conclusio: la possibilit di designare grammaticalmente le in-
tentiones non vincolata dallesistenza delluniversale e la spiegazione
deriva dallo stesso signihcato dei nomi di prima intentio e secunda
intentio, poich
nomina primae intentionis sunt, quae res sunt imposita absolute,
mediante conceptione qua fertur intellectus super ipsas res in
se, ut homo, vel lapis. Nomina autem secundae intentionis sunt
illa quae imponuntur rebus, non secundum quod in se sunt, sed
secundum quod subsunt intentioni, quam intellectus de eis ut
cum dicitur, homo est species, animal est genus.
13
Anche dal punto di vista linguistico, quindi, la dinerenza tra le due
intentiones sembra risiedere nel diverso ruolo che la res ricopre nei
distinti momenti intenzionali.
IV conclusio: asserire che la res intellecta sia prima intentio e lactus
intelligendi rappresenti la secunda intentio un errore: se le primae
intentiones fossero davvero loggetto conosciuto, non sussisterebbe la
necessit di ricercare anche per esse un criterio logico di dehnizione.
Lassurdit qui criticata risiede nel fatto che anche genere e specie sono
entit conosciute e, quindi, pertinenti sia alla logica che allintelletto del
soggetto conoscente; ma del tutto errato sostenere che genere e specie
siano parte del mondo sensibile, luogo desistenza delle res: essi, infatti,
sono tali per loperato dellintelletto.
V conclusio: sostenere lidea herveiana in base alla quale la prima
intentio in abstracto esiste realmente vuol dire asserire la realt sensibile
delle entit presenti nellintelletto del soggetto senziente. Per Sanchez
Sedeo questa anermazione inammissibile dal momento che la prima
intentio esprime solo una relazione di ragione, basata sullaver gi appre-
so la res sensibile ed inoltre, dal momento che Duns Scoto, giustamente,
sostiene che la relazione intenzionale pu essere tale solo secundum dici,
13. S~Ncurz SrurNo 1600, 133.
138
Juan Sanchez Sedeo
alloia si concludei che le intentiones espiimono formaliter cio che e
stato appieso pei mezzo dellopeiato dellintelletto.
VI conclusio Cio che viene astiatto dalla materia, cos come teo-
rizzato da Domingo Baez, ens rationis, ma non secunda intentio:
conoscere la natura delluniversale, infatti, non rappresenta per Sanchez
Sedeo il momento secondo intenzionale, ma il suo fondamento.
VII conclusio: per una corretta dehnizione del processo intenzionale,
fondamentale la comprensione del ruolo che genere e specie vi ricopro-
no. Sanchez Sedeo focalizza la sua attenzione su queste entit perch
deve provare a sciogliere le intricate argomentazioni qui presentate, per
giungere inhne alla conclusione secondo la quale la conoscenza della
quidditas rerum non unoperazione dellintelletto, ma qualcosa che con-
segue da questa stessa conoscenza: ci necessario poich nellintelletto
avviene il processo di conoscenza del mondo sensibile e loperazione
che consegue da questo atto la possibilit di esprimere la predicabi-
lit; se si ammettesse linverso si genererebbe una contraddizione e la
conoscenza intenzionale non sarebbe pi esprimibile.
VIII conclusio: in questa conclusione Sanchez Sedeo non arriva alla
confutazione di una precisa teoria ma ritiene opportuno sottolineare
che, per ben comprendere il signihcato di secunda intentio, bisogna
tenere presente lindipendenza che lintelletto del soggetto conoscen-
te ha nei confronti del mondo sensibile; solamente attraverso questa
indipendenza ci che viene conosciuto pu essere studiato in quanto
astratto.
IX conclusio: nello studio della secunda intentio, non bisogna sola-
mente prendere in considerazione il suo rapporto con lintelletto che
conosce, ma bisogna anche analizzare la relazione che essa intrattiene
con le res, in modo tale da chiarire il perch essa sussista se e solo se
esiste loggetto sensibile. Cos, si pu anche determinare il rapporto
esistente tra intentio, genus e species.
X conlcusio: il conceptus, che in prima approssimazione possi-
bile dehnire come ci che viene astratto dalla conoscenza della res,
necessario per lesistenza della secunda intentio, in quanto funge da
collegamento tra la cosa stessa e loperazione di astrazione compiuta
dallintelletto. La relazione secunda intentio conceptus pu essere
intesa in un duplice modo: 1. la secunda intentio formalis necessa-
ria amnch esista la secunda intentio in generale, dal momento che il
concetto si d allintelletto formaliter; 2. la secunda intentio formalis
139
Emanuele Lacca
quellintenzione pei cui il conceptus e necessaiio amnche possa esisteie
una secunda intentio in abstracto.
Sanchez Sedeno piopende pei la seconda ipotesi. Laspetto che,
per, qui bisogna rimarcare il rapporto tra il conceptus e lattivit di
astrazione.
XI conclusio: ci che viene conosciuto dallintelletto del soggetto, in
prima istanza non pu essere la secunda intentio, che ne pu conoscere
lesse della res; per questo, Sanchez Sedeo sostiene la necessit di
approfondire il signihcato della prima intentio, spesso trascurata dalla
scienza della logica.
XII conclusio: la prima intentio, dal punto di vista oggettivo, non
dice in modo formale lente di ragione, ma esprime solo una relazione
con lintelletto. Bisogna ricordare, infatti, che la prima intentio fa riferi-
mento solo allapprendimento di questo e di quelloggetto hic et nunc,
cio come si presenta a livello sensibile. Se, la prima intenzione, invece,
esprimesse la relazione formale, si identihcherebbe con la secunda in-
tentio; evidente che questo comprometterebbe lo statuto stesso delle
intentiones.
3. Fondamento e statuto delle secundae intentiones
Il processo di dehnizione della prima intentio e della secunda intentio
ha mostrato la necessit di legare insieme entit come genere e specie
allapprensione intellettuale e alle res che lintelletto conosce: dato
che la predicabilit di quelle entit da ascrivere allesistenza reale
degli oggetti, Sanchez Sedeo ha lesigenza di trovare un fondamento
alle intenzioni; infatti, se nella seconda questione egli ne aveva dato
solo una dehnizione logica, esprimendone la quidditas, adesso bisogna
comprendere su cosa esse abbiano la loro fondazione.
14
Riguardo alla prima intentio, possibile sostenere che il suo fon-
damento sia la res, ad esempio uomo, dalla quale lintentio deriva la
propria esistenza. Tuttavia, non bisogna dimenticare che prima intentio
e res dineriscono per il fatto che la prima si trova nellintelletto, mentre
la seconda nel mondo sensibile.
La secunda intentio, invece, sembrerebbe priva di fondamento, dato
che non possibile rintracciarlo n nel mondo sensibile, n nel linguag-
14. S~Ncurz SrurNo 1600, 143
140
Juan Sanchez Sedeo
gio pei il mondo sensibile vale il medesimo iagionamento utilizzato
pei dimostiaie la non esistenza del fondamento della prima intentio.
ll linguaggio, invece, si fonda sullarbitrio umano, che sceglie le voces
signicativae per indicare i termini in relazione alle res conosciute, co-
sicch la decisione linguistica tale solo per la libera volont umana,
dal momento che Sanchez Sedeo sostiene che vox homo signicat
ex beneplacito hominem:
15
lunica via di risoluzione rappresenta-
ta dal considerare la volont umana come secunda intentio; ma ci
absurdissimum, per Sanchez Sedeo, poich esse volitum in volitione
fundatur.
16
Inhne, non sembra potersi dare fondamento nemmeno per i g-
menta, poich essi, non essendo predicati univocamente in realis, sono
appresi in parte dalla prima intentio, ma in nessun modo dalla secunda
intentio, che ha esistenza grazie allesse cognitum primae intentioni.
Questo status quaestionis renderebbe inutile qualsiasi ricerca appro-
fondita sullintenzionalit, dal momento che le intentiones sarebbero
solo delle entit logiche applicate allo studio della conoscenza umana
del sensibile, che non spiegano nulla n di essa n riguardo le sue im-
plicazioni.
17
Questa prospettiva spinge Sanchez Sedeo ad elaborare
una buona via duscita, per restituire alla prima e alla secunda intentio
un ruolo centrale nella teoria della conoscenza. Prima di dimostrare i
suoi intenti, il hlosofo castigliano fa alcuni preambula: 1. gli argomenti
precedenti hanno generato una grave confusione sui concetti di negatio,
privatio e relatio: questi termini sono indipendenti luno dallaltro e pos-
seggono un fondamento diverso per ciascuno e, quindi, vanno distinti a
livello di entia rationis. 2. non bisogna dimenticare la dinerenziazione
tra secunda intentio in concreto e secunda intentio in abstracto, dal mo-
mento che una indica una relazione, mentre laltra indica la forma della
relazione; 3. secondo la corretta interpretazione delle parole di Erveo, la
prima intentio deve connotarsi come una relazione quaedam.
Per dimostrare lesistenza del fondamento delle secundae intentiones,
Sanchez Sedeo sostiene che
15. S~Ncurz SrurNo 1600, 143
16. S~Ncurz SrurNo 1600, 143
17. Il problema della conoscenza secondo-intenzionale si lega alla conoscenza
delluniversale, come entit astratta dalla molteplicit degli enti particolari che esistono
nel mondo sensibile. Per un quadro completo sul problema degli universali, cfr. Dr
Linrv~ 1999.
141
Emanuele Lacca
sempei secunda intentio fundatui in ente rationis, et in cogni-
tione passiva intellectus, quod vocatur esse cognitum.
18
Questo passaggio piuttosto importante, poich mette in relazione
secunda intentio, ens rationis ed esse cognitum. Quando si anerma che il
fondamento dellintenzione in questione si ritrova nellente di ragione,
si vuol far intendere che lintenzione non generata dal rapporto diretto
tra intelletto e res, ma derivata da quella relatio rationis che, ricavata
dalla relatio realis, permette allintelletto del soggetto conoscente di
poter anermare la corretta conoscenza del mondo sensibile: Sanchez
Sedeo supporta questa tesi scrivendo che il rapporto tra il soggetto
conoscente e le res si attua per mezzo delle primae intentiones.
19
Lesse
cognitum, ovvero ci che conosciuto del mondo sensibile da parte
delluomo, unentit generata dal processo di conoscenza da parte
dellintelletto, ed contraddistinto dal suo essere passivo.
Questultima anermazione risulta fondamentale per la dehnizione
del rapporto intentio res, in quanto d la possibilit di dehnire il modo
in cui luomo arriva alla conoscenza del mondo che lo circonda; hno
ad ora, il ruolo delluomo era limitato a quello di soggetto conoscente
poich non era chiaro il ruolo assegnato da Sanchez Sedeo allindividuo
allinterno della sua teoria della conoscenza.
Il processo di apprensione della res, cos dehnito permette, da adesso
in poi, la dehnizione delluomo come soggetto senziente: attraverso il
rapporto con il mondo sensibile, allora, luomo conosce il mondo perch
una realt in cui egli immerso e, non potendosi sottrarre alla sua
conoscenza, lo apprende per cognitio passiva.
20
18. S~Ncurz SrurNo 1600, 147.
19. Cfr. S~Ncurz SrurNo 1600, 147: relationes vero, quae sunt primae intentiones, non
fundantur in esse cognito, sed in aliquo reali.
20. Qui necessario precisare alcuni aspetti della questione: 1. Anermare lesistenza
di una cognitio passiva non signihca togliere ogni ruolo alluomo nel processo di
conoscenza; infatti, esso non potr dirsi correttamente avvenuto se, in chi conosce,
sono presenti alcune menomazioni, sia hsiche che mentali: per esempio, nel caso
di un uomo cieco, non possibile conoscere per mezzo della vista, la cognitio sar
inevitabilmente compromessa dallindisponibilit dellorgano di senso ex parte subiecti.
2. Nel caso dei gmenta non sar possibile anermare che la loro conoscenza avvenga del
tutto in relazione ad una cognitio passiva; questaspetto, per, eccede gli intenti di questo
contributo. Allora non prohcuo ascrivere alla pura sensibilit la cognitio passiva ed ,
invece, pi interessante provare a collegare la questione allambito teologico; luomo, in
quanto creatura di Dio, viene creata per vivere allinterno di un mondo che il Creatore
142
Juan Sanchez Sedeo
Cio viene anche confeimato dal signihcato dei nomi che espiimono
la secunda intentio, essi, infatti, esprimono una relazione di convenientia
tra lintelletto e alcune propriet delle res, sottolineando, ancora una
volta, la loro imprescindibilit per lapprensione sensibile. Quanto detto
pu essere riassunto attraverso la seguente successione:
Res propriet delle res cognitio passiva prima intentio
esse cognitum ens rationis secunda intentio
Questo schema mostra come dalla res sensibile si passi, attraverso
una serie di processi mentali, alla determinazione della secunda intentio.
Una volta assegnato lo spazio di ricerca per il fondamento del-
le secundae intentiones, ovvero lintelletto del soggetto senziente che
apprende, Sanchez Sedeo si chiede se
secundae intentiones, vel fundantur in rebus immediate secun-
dum suum esse reale, aut ut habent praeterea aliquam denomi-
nationem rationis.
21
Riguardo alla fondazione delle secundae intentiones, quindi, egli
rintraccia due possibili vie risolutive: 1. suddette intenzioni si fondano
sulle cose stesse, secondo il loro statuto di realt; 2. le intenzioni si
fondano su ci che si trova nellintelletto in quanto esse rationis, che
deriva dallesse realis rei; questa possibilit si dice per denominationem,
in quanto non esiste, nella relatio rationis, possibilit predicativa simile
a quella realis: una res, una volta conosciuta, tale per il suo esse in
intellectu.
La prima possibilit da scartare per via del fondamento stesso delle
intentiones; il fondamento, considerato sia come prossimo che come
remoto, non pu essere costituito dalle cose stesse, ma solo da ci che
viene conosciuto di esse. Ancora una volta, quindi Sanchez Sedeo
ribadisce la necessit di mostrare lindipendenza reciproca di res ed
intellectus.
ha gi predisposto prima della nascita stessa delle prime creature, le quali, trovandosi
a vivere in un ambiente gi esistente rispetto alla loro stessa nascita, non possono far
altro che interagire con esso, sia modihcandolo sia conoscendolo; in questultimo caso,
il processo di conoscenza assume una connotazione passiva, dal momento che sono
i sensi che apprendono qualcosa che, per, gi esistente in modo indipendente da
quellapprendere.
21. S~Ncurz SrurNo 1600, 147.
143
Emanuele Lacca
Resta da analizzaie la possibilit secondo la quale le res si stiuttuiino
nella mente del soggetto senziente dopo la loio conoscenza, tenendo in
considerazione che la secunda intentio si fonda su un ente di ragione.
Sanchez Sedeo, allora, introduce la problematica provando la propria
teoria riguardo al fondamento delle secundae intentiones in due passi.
22
Il primo passo della dimostrazione introduce il ruolo della res allinterno
dellintelletto: le res, una volta conosciute diventano entit di ragione.
Il tipo di conoscenza che si viene a determinare permetterebbe, in li-
nea di principio, lesistenza di un fondamento secondo-intenzionale
nelle cose, dal momento che le primae intentiones, le quali si edihcano
sullintellezione della res singularis, sono a loro volta fondate e non sono
fondamento delle secundae intentiones.
In prima istanza possibile, comunque, concludere che la loro
quidditas si ritrova proprio nellintelletto; bisogna ricordare, infatti, che
questo tipo di intentiones, derivate da res sive entia rationis, sono tali
per il processo di abstractio di cui si fanno portatrici; per questo, non si
deve dimenticare che le stesse primae intentiones non possiedono esse
reale, poich sono il risultato di un actus intelligendi, come ad esempio
lapprensione per visione. Tuttavia, il hlosofo castigliano ricorda che,
proprio perch la conoscenza deriva da un esse reale, il fondamento
della prima intentio da ritrovarsi nel rapporto tra intelletto e mondo
sensibile.
23
Allora, per comprendere meglio loggetto della ricerca in questione,
Sanchez Sedeo sottolinea la triplice possibilit che una intentio possiede
nel predicarsi della res del mondo sensibile:
1. relatio. La relazione tra intenzione ed oggetto entra in gioco
nel momento in cui riconosciuta lesistenza di un rapporto tra
lintelletto del soggetto conoscente e la res: in base alle argo-
mentazioni desunte sullo studio della relatio, Sanchez Sedeo
22. S~Ncurz SrurNo 1600, 148: fundantur [= secundae intentiones] in rebus prout
habent esse in intellectu: sed res habent esse in intellectu, prout sunt cognitae, saltim in
actu primo, quod est aliquid rationis: ergo fundamentum secundarum intentionum est
aliquid rationis [...]; esse visum sunt relationes, quae sunt primae intentiones: at fundatur
in cognitione active intellectus, et in visione [...]. Nam non potest illarum fundamentum
esse aliquid rationis: nam vel est relatio, vel negatio, vel privatio. Sed non negatio, nec
itidem privatio, ut de se patet: ergo est relatio.
23. Ci si lega alla concezione di Erveo riguardo la prima intentio.
144
Juan Sanchez Sedeo
intioduce questo modo piedicativo pei indagaie sulla possibilit
di conosceie cio che non e in subiecto,
2. negatio. Questa possibilit piedicativa deiiva dal iappoito esi-
stente tia esse realis ed esse rationis tia i due esse si instauia
una ielazione di negazione iecipioca, in quanto ci che si dice di
qualcosa che possiede statuto di realt, non si pu anermare di
entit esistenti nellintelletto del soggetto senziente. Ci teori-
camente possibile, ma di fatto irrealizzabile, dal momento che
stato dimostrato che lesse rationis deriva le proprie caratteristiche
dallesse realis;
3. privatio. Anche questa opzione deriva dal rapporto tra gli esse
intentionum; in questo caso, per, si indagano le loro caratteristi-
che proprie: se lesse realis derivato da un oggetto che possiede
sia materia sia forma in quanto esistente nel mondo sensibile,
lesse rationis possieder solamente forma, dal momento che il
suo statuto deriva dallastrazione di propriet comuni a pi res
sensibili. Sanchez Sedeo anerma che anche questa possibilit
da scartare, poich dehnire lesse rationis privative signihca relega-
re in un piano inferiore limportanza della conoscenza e, quindi,
dellintenzionalit.
Dati i modi suddetti, il hlosofo castigliano sostiene che la strada da
percorrere per riuscire a dehnire il fondamento delle secundae intentiones
quello della relazione. La teorizzazione dellintenzionalit cos come
stata qui presentata, pu indurre chi la studia a pensare che essa si
connoti come una delle molteplici realt metahsiche che costellano le
possibilit conoscitive dellessere umano. In enetti, la secunda intentio,
che esprime entit astratte dalle res per mezzo di prima intentio ed
actus intelligendi, potrebbe senza problemi esser considerata come una
deriva metahsica di un pi semplice processo pragmatico di conoscenza.
Invece, se si introduce tra le entit presentate il concetto di relatio, la
ricerca del signihcato dellintenzionalit rinvia ad ambiti epistemologici
e psicologici: difatti, erit ratio de omni relatione rationis, quod debet
fundari, non in aliquo rationis, sed in aliquo reali.
24
24. S~Ncurz SrurNo 1600, 148.
145
Emanuele Lacca
Consideiaie una fundatio in aliquo rationis implicheiebbe un re-
gressus ad innitum, tenendo conto del fatto che ogni ente presente
nellintelletto presupporrebbe un altro suo simile su cui fondarsi e cos
via allinhnito. Non rimarrebbe altra possibilit che anermare la fon-
dazione della secunda intentio sullesse realis proprio della relazione.
Altrimenti, infatti, oltre al gi citato regressus, si concluderebbe che la
cognitio stessa sia al di fuori dellindividuo.
25
Sarebbe contraddittorio
anermare che colui che conosce ha il corrispondente processo cognitivo
come esistente al di fuori della sua stessa facolt conoscitiva. Tuttavia,
Sanchez Sedeo, nel secondo passo della dimostrazione della sua teoria
sostiene che
natura hominis verbi gratia est species formalissime, sine hac
relatione esse cogniti: ergo non est fundamentum eius [...]. Con-
sequentia videtur bona: nam si competit illi relatio absque illo
esse cogniti, non est fundamentum: nam fundamentum prae-
xigitur, ut conveniat relatio. Sed antecedens probatur; quando
cognosco natura in multis individuis esse, attribuo illi intentio-
nem speciei, et est formaliter species logica; sed tunc non est
relatio esse cogniti.
26
La natura delluomo, qui studiata da un punto di vista logico, sarebbe
contraddistinta dalla species formalissime; essa si riconduce a quella
species specialissima porhriana, al di sotto della quale non pu predicarsi
altra specie. Questa conhgurazione della specie autorizza Sanchez
Sedeo a considerare luomo sia nel suo essere particolare, ovvero
luomo singolare, sia come specie inhma, cio uomo come ci che si
predica di pi individui con le medesime caratteristiche. Risulta chiaro,
quindi, che sembra poco probabile attribuire solo ed esclusivamente
alloggetto reale lo statuto di fondamento delle secundae intentiones,
25. S~Ncurz SrurNo 1600, 148: unum autem illorum est, ut fundamentum sit intrinse-
cu(m) relationi, & rei, quae refertur per illa(m): cognitio vero extrinseca obiecto cognito,
& ita relatio est rationis. Sed contra; nam sequitur saltem quod dum alquis cognoscit se
ipsum, quod illa sit relatio realis. Respondetur, negando sequelam: quia ad relationem
realem debent esse extrema realia realiter distincta, quod hic non habet verum. Secundo
respondetur, quod sicut haec cognitio extrinseca alijs obiectis cognitis; ita est estrinseca
seipsum cognoscenti, quatenus cognitum est: quia eo modo terminat cognitionem, sicut
alia, quanvis sit sibi intrinseca, ut cognoscens.
26. S~Ncurz SrurNo 1600, 148.
146
Juan Sanchez Sedeo
anche peich in questo modo non saiebbe possibile deteiminaie alcun
esse in communi deiivato dalle res stesse. Amnch si possa esplicaie la
ielazione tia il mondo sensibile ed il soggetto senziente, necessario
che questo rapporto preesista alla formazione delle intentiones; lactus
intelligendi, quindi, ha il ruolo di far conoscere al soggetto senziente
il mondo sensibile, cosicch egli possa avere una conoscenza di tipo
intenzionale.
Se si volesse semplihcare largomentazione, si potrebbe dire che non
possibile per luomo comprendere ed astrarre, ovvero avere prima
intentio e secunda intentio, se prima non si instaura una relazione senso
sensibile per mezzo dellactus intelligendi. Quando, poi, stato cono-
sciuto lesse in communi, sar possibile attribuire ad esso lo statuto di
intentio logica speciei: risulta chiaro, quindi, che lattivit di astrazione
che genera la specie non lascia spazio alla relazione tra secunda intentio
ed esse cognitum, dal momento che Sanchez Sedeo non rende possibile
il rapporto tra id quod intelligitur ed intentiones.
Ci potrebbe sembrare contraddittorio per le seguenti motivazioni:
1. la secunda intentio, per essere tale, ha bisogno di un oggetto conosciu-
to dallintelletto, dal momento che lattivit di astrazione non pu essere
compiuta direttamente sulle res; 2. la prima intentio non avrebbe alcun
motivo di sussistere per come stata dehnita; non sarebbe necessaria,
visto che la secunda intentio avrebbe a fondamento la res stessa; 3. tutta
la discussione concernente la dinerenza tra relatio realis e relatio ratio-
nis sarebbe inutile e, per lo pi, errata, dal momento che qui verrebbe
teorizzato un collegamento diretto tra res e intentio.
Sanchez Sedeo, probabilmente conscio delle conseguenze del pre-
cedente ragionamento, ritiene necessario addurre alcune precisazioni
che possano, quanto meno, dimostrare linfondatezza delle possibili
contraddizioni:
probatur minor. Quia haec relatio cum sit ens rationis, non
habet esse usque dum cognoscitur actualiter: sed non cogno-
scitur actualiter per illam cognitionem, qua cognosco naturam,
quia illa cognitio solum terminatur ad naturam, et non ad ens
rationis.
27
Una relazione basata sulla sussistenza dellente di ragione non pu
27. S~Ncurz SrurNo 1600, 148.
147
Emanuele Lacca
in alcun modo occupaisi di cio che esiste in atto, ovvero le res: la
cognitio intellectualis, infatti, si riferisce solo ai rapporti di ragione che
si instaurano e si creano nellistante immediatamente successivo alla
conoscenza degli oggetti esistenti nel mondo sensibile.
La cognitio rei actualiter, invece, non permette alcuna conoscenza di
tipo intellettuale del mondo sensibile, dal momento che la sua peculiarit
quella di riferirsi solo ad naturam, e non allente di ragione. La
conoscenza intenzionale, quindi, richiede una mediazione che spieghi
in che modo nellintelletto una res possa essere conosciuta sia sive
res sensibilis sia sive res in quantum intellecta; ma, per le conclusioni
determinate nei paragrah sulla relazione, non possibile determinare
una metarelazione che metta in comunicazione la relazione tra intelletto
oggetto nel mondo e la relazione intelletto oggetto del mondo in
quando appreso.
Il punto di partenza per la risoluzione di questa problematica deve,
allora, consistere nel prendere coscienza del fatto che la conoscenza
intenzionale fundamentum existentiae di qualunque tipo di atto di
conoscenza. Difatti, lapprensione di un oggetto X pone due questioni:
a) la possibilit di una sua conoscenza intellettuale;
b) il suo ri-conoscimento allinterno di un contesto psico-linguistico.
28
In base a ci, le uniche entit mentali che permettono il soddisfaci-
mento della conoscenza di X sono la prima intentio e la secunda intentio,
poich hanno il compito di conoscere la res in base alle sue proprie-
t e, successivamente, astrarne le caratteristiche peculiari, cosicch
spogliata della sua singolarit.
Sanchez Sedeo, a questo punto, si limita solamente ad esplicita-
re il ruolo del secondo tipo di intentio, poich bisogna ricordare che
lobiettivo della questione analizzata la ricerca del fondamento di
28. Il ragionamento di Sanchez Sedeo d lavvio ad un tentativo risolutivo del pro-
blema degli universali come oggetti di una conoscenza possibile; il ragionamento
introdotto dal hlosofo castigliano, infatti, non solo chiede la ragione delle modalit
di conoscenza di un oggetto sensibile, ma cerca anche di capire in che modo questo
oggetto possa essere dicibile al di l della sua apprensione singolare. In altre parole,
la questione deve rispondere a due domande: a) come si pu conoscere un albero
che esiste nel mondo che circonda luomo? b) una volta conclusasi la conoscenza di
quellalbero, come si fa a riconoscere i restanti alberi e a far capire agli altri ci di cui si
sta discutendo? Come si vede, la risposta a queste due domande rende possibile una
discussione sul problema degli universali, che Sanchez Sedeo porter avanti in altri
luoghi della sua Logica.
148
Juan Sanchez Sedeo
questintentio, allora,
respondetur, quod cum cognosco naturam in communi, illa rela-
tio esse cogniti censetur esse non quidam secundum propriam
existentiam, quae sibi convenit ex conosci, sed censetur esse
ratione sui fondamenti proximi, quod est cognitio.
29
La risposta del hlosofo castigliano prende avvio dalla distinzione
tra natura singolare e natura in communi: in base a questa ripartizione,
le secundae intentiones sono tali perch si occupano dellultimo tipo di
conoscenza, dal momento che una delle potenze da esse possedute
labstractio, che lattivit compiuta dallintelletto per riuscire a com-
prendere in un solo concetto la diversit delle res esistenti nel mondo
sensibile, in modo tale da evidenziarne ed isolarne le caratteristiche
comuni. Tra queste, le pi importanti sono genere e specie.
Una volta determinata questa suddivisione, Sanchez Sedeo pre-
senta una duplice possibilit riguardo allo statuto dellesse cognitum:
1. ci che viene conosciuto deriva dallo stesso processo di conoscenza
attraverso lesistenza di una relazione che mette in comunicazione ci
che conosciuto con il modo di conoscerlo; 2. ci che viene conosciuto,
in quanto proprio dellintelletto che ha avuto atto di apprensione, tale
per il rapporto che intercorre tra lesse rationis e la cognitio, questultima
dehnita come fondamento prossimo del primo.
30
Tra le due alternative il hlosofo castigliano ritiene che sia vali-
da lultima, dal momento che inerisce solo a componenti presenti ed
29. S~Ncurz SrurNo 1600, 148
30. Questa modalit della relazione, intesa come rapporto esse rationis-cognitio sembre-
rebbe trovare un punto di appoggio sulla questione 47 delle Disputationes Metaphysicae
di Francisco Suarez, nella quale si tenta di comprendere in che modo la relazione reale
possa dirsi in communi; cfr. SU~vrz 1861: circa tertium punctum occurrebat hoc loco
quaestio de individuatione relationum; certum est enim quod, sicut in caeteris praedica-
mentis constitutio lineae praedicamentalis descendit a supremo genere usque ad individua,
ita etiam in hoc; controversum autem est an, sicut ad essentialem constitutionem et spe-
cicationem relationum concurrit suo modo terminus, ita etiam ad individuationem. Ex
quo pendet etiam decisio illius vulgaris quaestionis, an idem subjectum sub eadem ratione
specica referatur ad plures terminos eadem numero relatione, vel diversis. Questo tipo di
relazione costruisce una connessione nella quale i termini dineriscono tra di loro solo
per dinerenza numerica; in una relazione del tipo padre (X) hgli (Y, Z), il fatto che ad
X ineriscano Y, Z una questione puramente numerica; ossia, lessenza del padre in
quanto uomo non viene messa in discussione dallinerenza ai hgli, cosa che riveste un
ruolo puramente accidentale.
149
Emanuele Lacca
appiezzabili allinteino dellintelletto del soggetto senziente latto di
conoscenza, infatti, diviene il fondamento della secunda intentio, dal
momento che questultima interessata dal processo di abstractio.
Dallanalisi qui proposta emerge che lindividuazione della fondazio-
ne della conoscenza umana sulla cognitio permette lapprensione degli
aspetti particolari e comuni delle res per mezzo di primae e secundae
intentiones. Ne risulta che la res fondamento prossimo della prima
intentio e fondamento remoto della secunda intentio.
In questo modo, la conoscenza, strutturata in un processo che dal
sensibile arriva allintelligibile, strutturata logicamente secondo un
processo di tipo intenzionale, che permette alluomo anzi gli si rivela
indispensabile di conoscere il mondo sensibile che lo circonda.
Emanuele Lacca
Universit di Cagliari
Dipartimento di Pedagogia, Psicologia, Filosoha
emanuele.lacca@gmail.com
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Juan Sanchez Sedeo
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Hermeneutical and
Phenomenological Ontology
Passivity and Time
On Merleau-Pontys Lectures on Passivity
Luca Vanzago
Meileau-Pontys conception of Natuie ielies on a peculiai undeistand-
ing of passivity something which is theie without being piesent, some-
thing, fuitheimoie, which is both lost foievei and foievei piesent with-
out passing. The paiticulaiity of this tempoial account of passivity
deseiveis theiefoie a deepening, as l will show heie.
l will follow theiefoie a double diiection, oi iathei l will considei
the double ielationship between the two piopei objects, oi elements,
of the inquiiy, which aie tempoiality and passivity. lndeed, the piopei
subject-mattei of this papei might be consideied duality itself. lt is a
duality, howevei, which is neithei ambivalence noi ambiguity that is, it
is neithei a shaip distinction oi opposition, noi the moie familiai notion
of non-exclusion, oi confusion. Rathei l would say that the duality
implicit in the ielationship between tempoiality and passivity points
to a dineient, moie elaboiated foim of duplicity that Meileau-Ponty
was piobably tiying to uncovei when woiking on The Visible and the
Invisible. The lectuie couise on passivity constitutes a decisive step in
his ontological pioject.
1
lt might also be convenient to declaie, iight at the outset, that this
duplicity iefects the ielationship between the two sides oi folds of
the esh, that is, the fesh of the woild and the fesh of the incainated
subject. ln this iespect, while it is common and absolutely iight to
follow Meileau-Pontys ieiteiated attempt at weakening the weight of
subjectivity in the diiection of a ienovated inteiiogation of Being, l
must make cleai fiom the veiy beginning that heie l will iathei follow
the othei path. l will, in othei woids, tiy to investigate what place,
oi status, oi even meaning, can the notion of subjectivity still have in
Meileau-Pontys latei thinking, and what light can this lectuie couise
1. The text l am iefeiiing to is M. Meileau-Ponty, Linstitution, la passivit. Notes de
cours au Collge de France, 1954-55, Paiis Belin 2002. English tianslation Institution and
Passivity: Course Notes from the Collge de France (1954-55), tians. by L. Lawloi and H.
Massey, Evanston (lll) Noithwestein University Press, 2010. Hereafter referred to as
Mrvir~UPoN1v 2002 followed by the French original and then the English translation
pages.
Luca Vanzago
shed on this problem. Thus, I will investigate the peculiar temporality
involved in the process of self-manifestation of subjectivity, such as it
can be ascertained in this new form, dinerent from the one worked out
in the Phenomenology of Perception, but still present as a problem and as
a task in Merleau-Pontys mind.
In the hrst place, I will analyze the several reasons to read passivity
in its temporal structure. Throughout the whole bulk of notes taken for
his course, Merleau-Ponty describes the various phenomena related to
passivity in terms that can be articulated in a temporal fashion. He often
mentions the need to avoid interpreting passivity as the presence of a
hidden subject behind the conscious one, by introducing the role of the
past as sedimentation, as promiscuity and generality. The present, too,
is de-structured in its traditional understanding of a dimensionless point
and shown to be built upon dchirures that provide it with a temporal
dimensionality without this being due to the action of consciousness.
The future in turn is investigated in particular in its complex articulation
with the past and the present, and described in terms that remind the
reader of Freuds notion of Nachtrglichkeit.
This temporal understanding of passivity is all the more interesting
since it is not openly programmed, but seems to emerge, as it were, in the
course of the analysis, and as such shows Merleau-Pontys deepening
of his notion of temporality with respect to what is to be found in the
Phenomenology of perception. Already at work in his Sorbonne courses
on the psychological development of children, this process of revision
can be traced with further clarity in these lectures, and grasped in all
its relevance for the picture drawn in The visible and the invisible.
Thus the role of temporal metaphors in Merleau-Pontys understand-
ing of passivity brings to light his way of conceiving of temporality in
general, but more particularly his peculiar way of relating temporaliza-
tion and self-manifestation of the subject.
This deepening and radicalization of this relationship constitute
one of the most interesting outcomes of these lectures. In the Phe-
nomenology of perception Merleau-Ponty reads Husserls notion of self-
temporalisation of consciousness in the light of Heideggers existential
analytic of Dasein, thus putting forward a conception of subjectivity as
coincident with temporality, that is, neither within nor outside of
time. Already in this early understanding of temporality Merleau-Ponty
emphasises the aspect of self-constitution of time as the structure that
156
Passivity and Time
brings subjectivity to emerge. Yet this account seems somewhat awed
by its residual description in terms of something that possesses an iden-
tity to be realized through its outcomes. It is as if a not yet passive
enough conception of subjectivity undermines the perspective that
nevertheless is put forward as the goal of the whole work.
Thus it is not by chance that passivity receives a temporal metaphoriza-
tion in the lectures under scrutiny. Here Merleau-Ponty acknowledges
that it is temporality itself that possesses the aspect of passivity that
must be regarded as the essence of subjectivity. Hence his repeated
enorts to use his conception of perception as a model to describe this
passive consciousness, or better, this passivity of consciousness, which
seems to lead to a substantial integration of Freuds primary process
into the phenomenological category of the fesh. While this integration
fully takes place in the later writings, in these lectures we can witness
one of the most relevant passages to leading to such an achievement.
In this respect the lectures allow the reader to integrate a whole lot of
working notes of The visible and the invisible with the subplot that was
in Merleau-Pontys mind when writing them. Therefore I will consider
now the temporale metaphors of passivity.
Already in the introduction of the twin course on institution, to
which Merleau-Ponty refers the audience in his lectures on passivity
as well, there is an important indication concerning temporality in its
functioning as a model or metaphor. As Claude Lefort remarks in his
preface, this introduction must be regarded as common to both courses.
Here, we hnd a precious statement concerning temporality as the model
for the relationship between activity and passivity. Merleau-Ponty
writes:
Time is the very model of institution: passivity-activity, it con-
tinues, because it has been instituted, it fuses, it cannot stop
being, it is total because it is partial, it is a held.
2
Now, here we hnd a number of elements that deserve all our atten-
tion, and will be discussed in due course. But in the hrst place I would
like to draw our attention on the notion of model. Time here is playing
a modeling function that should not be underestimated. Time, in other
2. Mrvir~UPoN1v 2002, 36 (7).
157
Luca Vanzago
words, is used as a means to make passivity become visible, to be
seen. This means, perhaps, that passivity in itself might be invisible.
The statement regarding time as a model, with which the lectures
on institution begin, is echoed by a statement at the end of the course on
passivity, in which Merleau-Ponty, reecting on Freuds unconscious,
says that his spatial model should be replaced by a dynamical one.
Dynamism, it seems possible to suggest, means that the unconscious,
or passivity, has to do, not so much with being as something which
always is and never changes, but rather with becoming, with that
which changes and in the rst place with that which happens or occurs.
Merleau-Ponty writes:
Passivity can be understood only on the basis of event-based
thought. What is constitutive of it is that the signication is here,
not by Sinngebung, [...] but welcoming to an event in a situation,
situation and event themselves not known, but grasped through
commitment, perceptually, as conguration, proof of reality,
relief on... i.e., by existentialia and not categories.
3
The intersection of these two passages gives us some clues as to
the issue Merleau-Ponty seems to be confronting: passivity needs to be
brought to light, for it is not visible as such. And this opaqueness of
passivity is related to the wrong assumption that consciousness consists
in casting a light on the object as something that, in itself, that is inert
and dark in itself. Thus if we are able to abandon such model (the
Sinngebung) we will become aware of the fact that activity is never
without its own passivity, the two are never actually separated. In
order to see, we need to substitute an understanding based on spatial
models (the unconscious as the bottom layer that is never attainable
and yet is there), with one based on the notion of event. The event
itself, furthermore, is not simply that which happens, empirically and
casually, to the subject, but is rather the index of a structure that is being
instituted (gestiftet), thus realizing a dimension, an existential dinerence,
a step in the subjects history. The evenementiality of the event is thus,
and perhaps most of all, a way of conceiving of the transcendental itself
in terms of time. A transcendental that becomes, in fact, is truly what
3. Mrvir~UPoN1v 2002, 280 (217).
158
Passivity and Time
phenomenology (already with Husserl) discovers and thus what makes
the whole dinerence with Kant.
Time, thus, clearly plays a truly fundamental role. Again with an
implicit reference to Kant, we might say that time is a scheme, the
scheme being a hybrid being that shares with sensibility as well as
with forms and thus permits the two to enter into contact, sharing
what they cannot in themselves never share. Already in Kant it is this
impossibility that must itself be made possible, and time is the means to
bring together what cannot have connection with its other. For this
reason time is at once the form for every event, the mediating element
that composes a subject split into two irreconcilable sides, and thus the
secret of subjectivity itself, its model.
The dinerence between Kant and phenomenology, at least in its
Merleau-Pontyan version, seems to me, in this respect, to reside in
the structure of time itself. While in Kant time is basically thought of
according to the image of the line, Merleau-Pontys account of time
is right from the start (in the Structure of Behaviour) related with an
absence that is more present than presence, for it is the very heart of
time, understood as that which passes and moves on. This means that
Merleau-Ponty has a dialectical conception of time. In the Phenomenol-
ogy of Perception time becomes the emblem of subjectivity itself, and
this for several reasons.
In the hrst place, time is subjectivity itself. Caught in the usual
dilemma between an empiricist-realist conception of time as something
existing in itself, and an idealist conception of time as that which
the subject possesses without being possessed by it, Merleau-Ponty
brings together Husserl and Heidegger and thus, as Ricoeur once said,
overcomes them by identifying temporality and subjectivity.
This solution however would not sumce, were Merleau-Ponty not
able to show in details what its true meaning is. Developing Heideggers
conception of the ek-static nature of time as that which temporalizes
itself in each ekstasis, (Merleau-Ponty goes as far as to say, unlike
Heidegger, that time is one ekstasis), and translating this conception into
Husserls notion of temporality as the unfolding of consciousness that
anects itself, Merleau-Ponty then can say that temporality is the process
by which the (incarnated) subject can become itself, that is, temporality
is the process of self-manifestation of subjectivity.
This process of self-manifestation therefore is at once a model and
159
Luca Vanzago
yet not simply a formal tool, for in the process of temporalizing itself,
the subject is rather subjected to time than being its author, and this
allows Merleau-Ponty to say that this is why the subject is nite: the
emergence of subjectivity from its own temporal process makes indeed
the fecundity of time, but not as something opposite to the basic mortal-
ity that is the mark of (human) time. It is for this reason that time truly
aects the subject, and is not just a formal feature, no matter how im-
portant this might be. The subject nds itself only by confronting itself
with its constitutive otherness, for time is always the being-dinerent of
the self with itself. But this extraneousness is also at once the subjects
secret life, for only in this way can a subject properly be, and be what it
is, namely, a subject, and not a thing. A subject is a subject insofar as
it recollects itself in a personal history that, no matter how coherent it
can become, will always have been exposed to dispersion, and in the
last analysis, to a looming end that comes nearer by the day. There is
no way to subtract the subject from this situation and make it become
true. Subjectivity is this passage that is always trying to recollect itself
with no hope to ever really succeed. There is clearly no room for the
robust Subject (capital S) of Idealism here!
It is important to stress that this picture is never contested by
Merleau-Ponty in his successive writings. Yet it is deepened. A deep-
ening here means that we must go below what is being displayed by
this model, under this process that, despite being a constant subtraction
of the subjects self-coincidence, and its constant postponement, never-
theless, in this very self-spacing realizes the subject, that is, succeeds, is
successful. Fecundity in the last analysis wins over opacity and deaf-
ness, although only for a while. Absence is still productive, negativity
does not negate itself in a synthesis unless it is, Merleau-Ponty says, a
transitional synthesis: but this also means that a transition is realized,
something changes into something else; in other words, there is no
stasis, no arrest.
Before trying to see in what sense and to what extent is Merleau-
Ponty able to deepen this question, which is clearly related to a darker
notion of passivity, another feature of time must however be briefy
investigated: its non-linearity. Even in this respect some interesting
dinerences should emerge between the earlier and the later picture.
Already in the analysis of time that we hnd in Phenomenology of
Perception there are several reasons to say that, according to Merleau-
160
Passivity and Time
Ponty, time is not a linear process. Without entering into details, I will
just mention two crucial aspects. One proceeds from Merleau-Pontys
own appropriation of Heideggers conception. If the three dimensions of
time are not three places mutually separated, and indeed if one should
not even talk of past, present and future, but rather of a unique process
of temporalization that constantly explodes in the three directions
4
it makes no sense to say that one moment is before or after another.
This conception of time is rather a derivative one with respect to the
existential temporality of Dasein which in Merleau-Ponty becomes the
openness of the incarnated subject with respect to its past, its present,
and its future.
This rst aspect of the non-linearity of time is basically repeated
in the lectures on institution and on passivity when Merleau-Ponty
remarks that it is strictly not possible to say that one event causes
another, for the caused is in a way bringing to light its cause as cause,
so that we can determine the cause only if the enect is in a way in
turn causing it by taking place. And conversely, the enect is one
possible outcome of a whole array of possibilities, most of which might
remain never actualized, so that to be an enect is not to be the neces-
sary outcome of a metaphysical cause, and is not its hnal end either.
Aprs coup and indetermination are thus two features that Merleau-
Ponty assigns to time already in Phenomenology of Perception (and
in The Structure of Behaviour) and can be found in these lectures as
well.
The second aspect pertains to the peculiar temporal structure of
perception. When it occurs, a perception is neither mere copy nor pure
creation, but always something that re-arranges the scene, a vibration
of the whole perceptual held. What is perceived then is prepared but
not univocally determined, and while it expresses something, there can
be no way to talk of an original already there that the perception simply
reproduces. The typical example is the picture used in the perceptive
experiments in order to make the Gestalt-switch appear. But Merleau-
Ponty generalizes this structure in order to say that the perceptum is, in
4. Heidegger says that the past is not preceding the present, and this in turn is not
prior to the future, but they are one unique conhguration that articulates itself, and
can do it only by being constantly and reciprocally co-determining the three ek-stases
themselves.
161
Luca Vanzago
a sense, a copy without original, a present realization of something that
appears now as having been before. This means that this something
is a past that was never present. Even in this case, which constitutes
a true paradigm for the relationship with raw being as it is described
in The Visible and the Invisible, we cannot say that the process under
description is the linear unfolding from a before to an after, from the
object there to be perceived to the perception, for the perception does
more than perceiving the object: it re-arranges the whole eld so as to
make it appear as organized in a certain way; which is one important
feature of the notion of institution. Needless to say, if perception is the
model adopted to understand the temporal eld of experience, and thus
if the gestaltic model functions as a general metaphor for consciousness,
there is no room for any atomistic conception of time as a series of
unrelated moments.
As it was easily imaginable, perception plays the role of the general
structure of (bodily) intentionality which characterizes Merleau-Pontys
phenomenology. In this respect, there is no real dinerence between
Phenomenology of Perception and the lecture courses. Perception, as we
know, is contact-at-a-distance, it is not the performance of a disembod-
ied Cogito, but rather the carnal bond between the body and the world.
As such it takes place before and even despite conscious intentions,
and thus in a way dispossesses the subject from its Cartesian role of
form- and norm-giver of the world. The subject rather emerges from its
network of contacts with the world, and its self is a process of never
accomplished and always recommencing contacts with itself through
the world (and the other subjects). But is this form of passivity, or rather
this form of the passivity of activity (for Merleau-Ponty says that we
are no stones) passive enough?
One reason to doubt about it is represented by an important though
rather subtle shift that occurs in the mutual relationship between per-
ception and the unconscious. To put it quickly, while in Phenomenology
of Perception Merleau-Ponty reads the unconscious in terms of percep-
tive consciousness, here in the lectures he moves towards an inversion
of the terms: as one working note in VI will state bluntly, now it appears
that it is perception that must be seen in terms of the unconscious. Or
better, in the lectures Merleau-Ponty is re-articulating the relations
and connections between perceptive and oneiric consciousness, often
explaining each one with the other, but never indicating univocally
162
Passivity and Time
which one is the model and the other is the copy as we read for example
in the following passage:
The unconscious as perceptual consciousness is the solution
sought by Freud, for it is necessary that the truth is there for
us, and that it is not possessed. Perceptual consciousness, while
onering a seed of truth, an idea of the truth (Pascal), oners it
only on the horizon, and hides the truth because it shows it. In
the perceived, there can be duality of signihcation which is not
the positing of a duality (ambiguous hgures, Leonardos vulture),
which is impossible in the pure signihed. The perceived saves
and it alone saves our duality, the duality to which Freud holds
and which he thinks is saved by the idea of the unconscious.
5
While, on the one hand, here Merleau-Ponty repeats his well-known
notion of perception, just evoked, on the other he also uses a term that
deserves to be retained: duality. Duality is not (simply) ambiguity, as
it is usually understood in relation to Merleau-Pontys philosophy. It
seems to contain a grain of novelty. In a passage to be found some
pages earlier in the notes for the lectures,
6
Merleau-Ponty says that
there is an originary symbolism in dreams that is neither identical with,
nor however totally dinerent from, the perceptive one. Thus we have
a hrst indication connecting, but not identifying, the dreaming and
the perceiving subject. In order to grasp the unconventional mean-
ing of dreams, Merleau-Ponty here invents the very happy expression
hermeneutical reverie.
7
This implies that dreams have to do with the
imaginary, not so much in terms of what Husserl calls Bildbewusstsein,
as in the terms of Phantasie.
Merleau-Ponty credits Freud with this important discovery: as he
writes,
Freud discovered this positive symbolism: this meaning beyond
the meaning has a double sense. One usually retains only the
two separate meanings from it: manifest meaning and latent
meaning. The latter [would be] reinstitution of an original mean-
ing which was then repressed, buried in memory, by censorship.
5. Mrvir~UPoN1v 2002, 212-213 (160).
6. Mrvir~UPoN1v 2002, 201 (151-2).
7. Mrvir~UPoN1v 2002, 204 (154).
163
Luca Vanzago
[...] However, that is not his discovery. If the latent content
were truly buried, dreams would not provide any relief from the
desire. It is necessary that the latent content be accessible to
him in some manner; that the one who dreams and the one who
sees to the bottom of the dream are the same, and that there are
not truly two persons (the unconscious and the censor, the id
and the ego) but communication between them. The censor pre-
supposes a pre-notion of what is censored. But this pre-notion
is not a notion.
8
Merleau-Ponty then goes on to say that, in this doing, Freud touches
upon the structure of oneiric thought, which is symbolism. This
symbolism is neither coming from repression as such (even though it
retains an important connection with repression), nor does it explain
repression, for these two errors suppose the priority of conventional
thinking, based on identity, which characterizes Sartre and Politzer.
9
The problem is, however, how to understand, in Merleau-Pontys
own terms, this primordial symbolism, whose analysis Freud had ini-
tiated, but which must be brought forward. One clue is provided by a
remark in which Merleau-Ponty says that the problem of the imagi-
nary and the real is to nd out how to, at once, avoid distinguishing
them absolutely, and identifying them. Awake life and oneiric life, as he
also denes the two registers, are not one the foundation of the other.
Neither one should be subordinated to the other. Then Merleau-Ponty
writes that what can link them together is desire. Desire is a relation,
and what is more, it is what presides over waking life as well as over
the dream, although perhaps not in the same way. It seems possible
to say, for the moment, that the two registers run parallel to one an-
other, which means not excluding their possible, indeed their constant
exchange. But if consciousness and what can still be provisionally called
the unconscious parallel each other, and even communicate without
being confused nor coincident, and if on the other hand neither one
explains the other, then the process of self-manifestation which is dealt
with in Phenomenology of Perception should be revised, to say the least.
For it does not seem to be able to account for this duplicity. On the
contrary, it seems to imply that one layer, the anonymous unfolding of
8. MP 2002, 201-201 (152).
9. MP 2002, 202-3 (153).
164
Passivity and Time
the corporeal life, brings about the other, the conscious life of the ego,
while undermining the latters traditional claim to constitute the truth
of subjectivity. In these lectures, instead, Merleau-Ponty is probably
suggesting that there is not so much emergence of subjectivity, the
self-manifestation, as rather another kind of relationship.
What kind of relationship? In order to account for it, Merleau-Ponty
must solve the problem of negation. Negation might mean separation,
but in this case one would either fall back into Sartres dualism or into
that bad reading of Freud which ascribes to the founder of psycho-
analysis the notion of a subject below the subject, both subjects being
however fully determined. Negation, furthermore, might serve a dialec-
tical purpose, and already in these lectures Merleau-Ponty clearly wants
to avoid such solution as delusional. Where to look at, then? It seems
useful to develop a suggestion articulated into three layers,
10
according
to which the distinction between the imaginary and the real is:
First, to think the imaginary in terms of an absence of the real
(between brackets in the text);
Second, to think of the dream in terms of a regression to mythical
consciousness;
Third, the idea that symbolism is the imaginary, that the un-
conscious, now equated to mythical consciousness, consists in
a relationship to the world and the others not in terms of ob-
jects (this term seemingly meaning the outcomes of normal
consciousness), but as instances. The rule, adds then Merleau-
Ponty, is in this case the indistinction, and dinerentiation is the
exception.
11
We know that in The Visible and the Invisible there is a similar
assertion. If we compose the three layers, we can suggest the possi-
bility that the unconscious as imaginary (what in Husserlian terms is
Phantasia, not Bildbewusstsein) consists in the absence of a relationship
with the real, which then provokes a regression (which is a temporal
expression) into mythical consciousness, in turn understood in terms
10. Mrvir~UPoN1v 2002, 204 (154).
11. Mrvir~UPoN1v 2002, 205 (155).
165
Luca Vanzago
of greater indistinction.
12
Distinctions are the outcome of progressive
institutions. The institutions are in their turn the enect of events that
inscribe themselves on the subjects process and thus generate existen-
tial dimensionalities. The regression taking place in (for example) sleep,
then, seems to undo what the encounter with the world has produced
on the subject, the world loses its grip over the subject, and thus another
subject, maybe still to be called anonymous, but for dinerent reasons, be-
comes free, at least for a while, to run its life based on unconventional
thinking.
The problem is that this unconventional subject, if I am permitted
to use this expression, permeates conscious life as well. It is and at
the same time it is not there. In turn, conscious life, as Merleau-Ponty
explains at a certain length, permeates the world of the unconscious
as well, for dreams are never pure fantasies deprived of any relation
whatsoever with reality. Freud himself gives a great number of examples
illustrating this point.
Thus the relationship between the two registers is neither total
separation nor total communication. They can communicate, although
they speak dinerent, but then again not totally dinerent, languages. One
seems to be a parody of the other. One resembles the other without
coinciding with it, but certainly also without being truly dinerent. They
seem to entertain that kind of relationship that one has with ones own
mirror double.
At this stage of Merleau-Pontys meditation, therefore, one can no
longer say that he explains the unconscious with perceptive conscious-
ness, although a number of examples and refections still go in that
direction. Nor, however, is one entitled to state that it is perceptive
consciousness to be seen in terms of the unconscious. Perception still
presides over the process of progressive (in a neutral meaning of the
term) institutions that build up a subjects life-history. It is important to
stress that this process has to do with the real, that is, it is not illusory.
Life is no dream, according to Merleau-Ponty, and this has important,
12. A similar account of a progressive disarticulation of acquired structures, which can
be called dis-evolutive, can be found in Freuds study On aphasia (English translation
International Universities Press, 1953; the essay was originally published in 1891).
According to this essay, in case of aphasia the linguistic structures that are lost at hrst
are the most complex and therefore most recently acquired ones, which shows that the
mind has dinerent layers and a history.
166
Passivity and Time
not only ontological, but also ethical and political implications. At the
same time, however, perception can never totally overcome this oneiric
aura that surrounds it because it resembles it, because it seems to work
in a similar way, adopting similar means, at times cooperating, other
times conicting. This is perhaps what Merleau-Ponty actually means
when speaking of the productivity of the unconscious. This position in
my opinion is still in progress at this stage. It can be found in later analy-
ses as well, and here I would like to mention at least the very important,
detailed reading of Claude Simons work given by Merleau-Ponty in the
lectures on Cartesian and contemporary ontology.
What is, then, the temporality proper to this double, mythical and
imaginary life that is not present without being absent? The answer to
this question can perhaps be attained by reecting on a very important
passage, where Merleau-Ponty writes:
The description of the oneiric structure (impossibility of express-
ing, dictatorship of guration, condensation as sole means of
expression) would attribute the disguise of latent thoughts as
much to the condition of the dream as to [the] censor-repressed
struggle Consequently, latent content not to be represented
as thought in the depth of ourselves in the mode of conven-
tional thought, as an absolute observer would represent it. The
unconsciousness of the unconscious [is the] unknown; but not
known by someone in the depth of ourselves. The unconscious
[is the] abandonment of the norms of wakeful expression, i.e.,
of the symbolic as symbolic of self, direct language, which pre-
supposes distance and participation in the category. But this
unconscious is not distant, it is quite near, as ambivalence. The
anective content is not even unconscious or repressed, i.e., the
unconscious as pulsation of desire is not behind our back [...]
[The] unconscious [is] the implex, [the] animal, not only of
words, but of events, of symbolic emblems. [The] unconscious
[is] unknown acting and organizing dream and life, principle
of crystallization [...] not behind us, [but] fully within our held,
but pre-objective, like the principle of segregation of things.
13
To which Merleau-Ponty adds in a note:
13. Mrvir~UPoN1v 2002, 210-211 (158-159).
167
Luca Vanzago
This makes truth transcendent to the I think (desiring, seeing
is not the thought of desiring [or] of seeing) without our being
transformed into objects of an absolute thinker.
14
To avoid assuming the place of the absolute spectator is clearly cru-
cial in order to grasp the specicity of this analysis. Merleau-Ponty is
charging Freud, in his more ocial position regarding the relationship
between consciousness and the unconscious, for adopting such a stand-
point. This means, it seems to me, that the split between the two sides of
the mind can be maintained only as long as one adopts a static rather
than a dynamic perspective. The adoption of a point of view in which
temporality (in its broadest sense, from the process of development of
the Ego to phylogenesis) plays its true role, shows that this split is not
the contrary of communication. In passing, I mention the fact that this
means that Freuds Spaltung comes closer to Husserls Zwiespltigkeit
than one might think at rst sight. At any rate, the question remains of
understanding Merleau-Pontys own proposal. Obviously, this problem
has far wider implications than those present, implicitly or explicitly,
in these lectures just evoking the problem of nature and of animality
which can only be glimpsed at in these dense lines.
Apossible step to take is to develop the indications given by Merleau-
Ponty just before writing the notes reported above. In this connection
he poses the problem of the temporality of the dream.
15
The dream is
ubiquitous, we read, thanks to the symbolic matrices. Thus the dream
is also trans-temporal. The oneiric consciousness is at all times at once,
since it does not imply a splitting (clivage). The dream begins in wakeful
consciousness, and is present in ligree throughout it. As such it is
called a shadow, a germinative production, active sedimentation of
the acts of consciousness, and represents the unconscious itself in its
triple aspect: 1 the underlying implication of psychical life not entirely
engaged in the present act, 2 the imaginary foyer, and 3 the lyrical knot
of humanity (Merleau-Ponty here quotes Henri Ey). Thus, there is an I
dream, which is not the origin of the I live and the I think for the
14. MP 2002, 211 (241). I slightly changed the English translation in
order to accord it with the original French, which reads as follows: Ceci fait vrit
transcendante au je pense (dsirer, voir nest pas pense de dsirer [ou de] voir) sans
nous transformer en objets dun penseur absolu.
15. MP 2002, 208-9 (157-158).
168
Passivity and Time
latter is produced by segregation and even rupture, but at the same time
must be accounted for.
With the expression I dream and its correlative oneiric intention-
ality we touch, I believe, the real core of passivity. Clearly, this is not
a total passivity, for we already know that Merleau-Ponty explicitly
excludes this hypothesis as meaningless in relation to living, not to men-
tion thinking, beings. But at the same time, this kind of intentionality is
not under the control of consciousness, for it hollows out consciousness
itself, it interacts with it, both in the sense of nourishing it and interfer-
ing with it (to the point of hallucination). There is no possibility to fully
integrate this kind of passivity in the process of self-manifestation of
subjectivity adopted in the Phenomenology of Perception. For at least two
reasons: oneiric intentionality blurs conscious intentionality (boug),
and its process is not progressive. On the contrary, the temporality of
the unconscious, if it is omnipervasive, at the same time is stubborn.
The monumental past mentioned several times in VI is one example.
The most relevant one, however, is the time of the repressed, which
brings about the problem of memory and oblivion.
Merleau-Ponty states in the passage quoted above that, in dreams,
there is no splitting. Whence, then, does the splitting derive? And how
to conceive of it? I believe that this is the question Merleau-Ponty does
not really answer. But there are reasons for this lack. One is his refusal
of Hegelian dialectic and (which is crucial) his parallel search for a
dinerent form of dialectical thinking, a hyper-dialectical perspective. In
other words, Merleau-Ponty is afraid of adopting a notion of negation
that then imposes itself and distorts the whole picture.
The alternative can be found in a term that, despite its Hegelian
halo, in my opinion possesses a dinerent meaning in Merleau-Pontys
view: Erinnerung. This term appears once in the lectures on passiv-
ity, but it is crucial. In that text we can read, in relation to Prousts
novel:
The reference of the surroundings to the body which inhabits
them and of the past body to the present: they are variations
of one another and the surroundings are an explication of each.
But of course, the body is substituted here for consciousness
only as the place of our eruption into the world. As empirical
body, it is no less determined than determining (it turns in
the course of the search) We consider it as a vinculum of the
169
Luca Vanzago
temporal and spatial distance, and transformer of space into
time: Erinnerung.
16
As Merleau-Ponty shows in another text, and as it is clear from
this one, here Erinnerung means, literally, not memory, as it usually
means in German, but interiorization. That is, it means that something
external and exterior turns itself into interiority. We can thus suppose
that the body, the esh, is an exteriority that is able to interiorize itself,
folding back onto itself without becoming other than what it constantly
is and remains. This exteriority remaining such, while at the same
time interiorizing itself means that neither is exteriority dialectically
overcome and thus cancelled, nor however can it be thought of as a mere
opacity. The two sides remain separated while entering into contact
with each other. The form of negativity that exteriority represents with
respect to interiority (but the reciprocal holds as well, we might add)
then is neither pure opposition nor direct passage. It rather seems a
form of communication, but distorted and reversed. Once again it is the
mirror image that comes to mind. Per speculum et in aenigmate. Indeed,
the enigma is the symbol of symbolism. Symbolism means something,
but it is not clear what. It conceals but shows this concealment. It
alludes without either remaining silent or speaking clearly enough.
Which is why this symbolism has to do with desire.
Desire clearly points to the relationship between subjects. Accord-
ing to Merleau-Ponty, the system I-the others is a network, a structure
where the relations are in a certain sense prior to the relata. It is within
this eld, which can also be called intercorporeity, that the uncon-
scious must be properly placed in order to be correctly accounted for.
In this perspective, it becomes possible to understand the psychological
phenomenon of projection. This means that negation can be explained
as a form of position: the position of the other, as a translation of the self
into a mask. This masked self perceives itself as other thus enacting
the censorship which apparently is directed to otherness but in fact it
is still related to itself. In this way Merleau-Ponty thinks it possible to
explain the unconscious; as he writes,
See in these cases what the unconscious consists of, if our no-
tion is enough and [the] passive-active relationship. Here we
16. MP 2002, 254 (195).
170
Passivity and Time
will truly see that oneirism is not non-being of the imagining
consciousness, but just beneath the surface of perceptual con-
sciousness; that is it is not lie, but truly a struggle of oneself
against oneself, repression, censorship consisting in the refusal
of our passivity and its great supplier: sexuality. The body as
metaphysical being.
17
From these lines it seems possible to draw the, obviously provisional,
conclusion, according to which passivity characterizes the structure of
intercorporeity in which each bodily subject is always already placed.
Consciousness is in this sense the refusal of this passivity and the
reversion of it into an independent subject that, however, cannot really
undo the knots that tie it to the intercorporeal world from which it
emerges. The emergence of consciousness has to do with a break which
consists, no so much in a cancellation of what precedes it, and even less
in a process of becoming-true of the subject, as in a process of institution
of dimensions which is at the same time a process of reduction of the
ambivalence proper to intercorporeity. Dinerentiation is in Merleau-
Pontys perspective the realization of a coherent story which, however,
can never really overcome the incoherence of that fecund excess which
characterizes the perceptive life of intercorporeity. An excess that can
come back in various forms, some of which are more disturbing and
unexpected than others.
This passivity that underlies active consciousness is thus anecting
the temporal process of self-manifestation itself. Be it the return of
the repressed, the presence of the others in the form of negative hal-
lucination, or the projection of ones own fears and desires into other
selves, this process does not lend itself to be peacefully accounted for
in the model suggested in Phenomenology of Perception. It displays a
deeper form of passivity, anecting temporality itself, which points to
the substitution of a splitting subject with a plurality of poles never
totally controllable.
The separation (which is never an unsurpassable wall but always
something more porous) between consciousness and Merleau-Pontys
version of the unconscious seems then to be granted by perceptive con-
sciousness, which shares something with both. But what is important
17. Mrvir~UPoN1v 2002, 213 (161).
171
Luca Vanzago
to notice is that the fracture between the two comes from below and not
from above. It is not consciousness that represses something and then
pushes it down, but it is rather the very carnal self that works out the
transformation. This poses perhaps a nal problem to Merleau-Pontys
model? Why does this happen, and how to explain it within this frame-
work? There is not nal answer, it seems to me, to this problem, but
a possible solution should be found in the direction of the question of
the network of relationships instituted in the realm of intercorporeity,
along the lines of a conict suggested by Merleau-Ponty himself, but
not fully developed, neither in these lectures, nor actually anywhere
else.
Luca Vanzago
Universit degli Studi di Pavia
Dipartimento di Studi Umanistici
luca.vanzago@unipv.it
References
MP, M. 2002, Linstitution, la passivit. Notes de cours au
Collge de France, 1954-55, English translation Institution and Pas-
sivity: Course Notes from the Collge de France (1954-55), trans. by
L. Lawlor and H. Massey, Evanston (Ill): Northwestern University
Press, 2010, Belin, Paris.
172
Ontology and Deconstruction
Lospitalit dello straniero
Leonardo Samon
1. Ritorno allintreccio hospes/hostis
ll mondo in cui viviamo ci iestituisce in modo inquietante la memoiia
dellintieccio etimologico oiiginaiio tia i due sensi opposti e appaien-
temente incompatibili che si iifeiiscono allespeiienza dello stianie-
io, quello di ospitalit e quello di ostilit (hospes/hostis). La stoiia
etimologica iegistia una dineienziazione dei due vocaboli che coiii-
sponde a due opposte peicezioni dello stianieio.
1
ll piimo vocabo-
lo designa lo stianieio in iifeiimento a luoghi distinti e dehniti di
uno spazio comune, allinterno del quale le identit diveise si posso-
no iiconosceie tia loio sullo sfondo di una familiaiit lo stianieio
e colui che appaitiene a unaltia comunit e possiede unaltia cit-
tadinanza, che lo iende ospite nella nostia comunit, ma coinvolge
ad un tempo questultima in un patto fondato sul iiconoscimento di
unidentit comune al fondo dellalteiit. ll secondo vocabolo guaida
invece alla piovenienza dellestianeit da un fuoii indeteiminato e
incontenibile, e coglie cos il tiatto impenetiabile, impievedibile, pei-
tuibante e ostile dello stianieio, dal quale ci si sente sepaiati da
uno spazio vuoto e abissale. La divisione netta tia questi due signi-
hcati, loblio della loio comune oiigine nelluso successivo, copiono
lassillante bisogno di dineienziazione, sempie acceso e mai del tutto
soddisfatto, tia inclusione ed esclusione. Dal fondo di un inesausto
lavoio di distinzione iisale infatti ogni volta alla supeihcie lintieccio
inesoiabile e inquietante dei teimini che si tenta di manteneie divi-
si e che continuano in paiticolaie a conviveie enigmaticamente in
un vocabolo iiconducibile alla stessa iadice, cioe in hostia, la vittima
saciihcale.
1. Quando lantica societ iomana si tiasfoima in nazione, iicoida Galli, avviene
quella che Benveniste ha chiamato una chiaiihcatiice catastiofe concettuale ospite
viene distinto da nemico e diviene hostipot(i)s, hospes, cioe ospite in senso eminente
(cfi. G~iii 1998, 234).
Leonardo Samon
Nel mondo gieco, la distinzione tia ospite e nemico ha una sua
espiessione paiadigmatica nella contiapposizione tia elleni e baibaii
il piimo tipo di stianieio iesta, come dice Platone nel V libro della
Repubblica, familiare e congenere (oikeon kai syngens) (470 b), mentre
laltro invece estraneo e straniero (allotrion kai othneon), nemico per
natura (polmios physei). A questultimo si pu e si deve talora portare
la guerra (polemos), perch in fondo con lui si per natura in guerra.
Se invece viene rivolta ai greci, ai fratelli, la guerra diventa lotta
intestina, disordine e malattia (stasis), fonte di rovina, perch spezza una
familiarit naturale e lascia una ferit sempre pericolosamente pronta a
riaprirsi nei rapporti con coloro con i quali si deve poi tornare alla pace.
Se il greco, pur straniero nella mia polis, tuttavia come me cittadino
di unaltra comunit ellenica, per cui lospite, il barbaro di contro
lestraneo in senso culturale, colui che non ha nulla in comune con me,
colui a cui manca il terreno comune necessario a qualunque processo di
assimilazione. Il suo ingresso nella sfera della prossimit innaturale e
perturbante.
La distinzione tuttavia permette di caricare di valore positivo lo
straniero e di aprire lo spazio universalizzante dellospitalit. In essa
amora nel mondo greco, come poi in quello romano, unantichissima
cultura dellospitalit incondizionata, nella quale appunto la stranieri-
t resta per cos dire la misura dellospitalit, in nome di una humanitas
in grado di sostenere la commistione dellestraneo in quanto tale con
lospite. Lestensione universale dellospitalit emerge come connatura-
ta allessere umano, per il quale nessuna manifestazione dellumano pu
risultare aliena: homo sum, humani nihil a me alienum puto. A noi
peraltro questa cultura dellospitalit incondizionata giunge anche da
radici non greche. Noi siamo anche eredi della cultura ebraica, eredi cio
di un popolo senza terra, straniero in terra dEgitto, straniero nella sua
origine e perci portato a identihcarsi con questa condizione. Una tale
eredit porta in certo modo la radicalizzazione dellospitalit incondizio-
nata, suggerendo un possibile rovesciamento del rapporto tra identit ed
estraneit. Leredit ebraica ci arriva oltretutto prevalentemente attra-
verso il suo esito evangelico, quello che non solo nellaccoglimento dello
straniero riconosce laccoglimento del divino, ma vede perhno il divino
stesso raccogliersi interamente nello straniero: ero straniero (xenos) e
mi avete accolto (synegagete) (Mt, 25, 35: la parabola dellultimo giudi-
zio). La stranierit messa in questo caso al centro della synagog: essa
176
Lospitalit dello straniero
diviene in ceito modo il fondamento e la misuia della comunit. Cos
giunge a compimento il iibaltamento diastico dellassetto concettuale
che sembieiebbe dappiima suboidinaie, anche nella tiadizione ebiai-
ca, laccoglienza dello stianieio alla distinzione piegiudiziale tia due
accezioni della paiola stianieio nekar o nakr, lo stianieio cultuiale,
spesso oggetto di iihuto, e ger, il senza teiia e poveio nella mia casa.
Una distinzione che, pur con tratti diversi, d voce da una parte alla
percezione negativa della stranierit quale minaccia del non familiare,
e dallaltra alla percezione positiva della stranierit quale annuncio di
un segreto avvento di Dio stesso nello spazio della convivenza, di fatto
inevitabile, con lo straniero interno, lo straniero fra noi, quando
riusciamo a trasformarla nellaccoglimento del povero e ultimo.
2
La commistione di ospite e nemico dice qualcosa di importante
sul modo in cui si costituisce la comunit, che comincia dal proprio e
termina nel tutto, secondo unemcace formula di B. Waldenfels.
3
Se
volgiamo lo sguardo al passato, osserviamo che un tale percorso ver-
so il tutto intreccia linclusione dellestraneo, il superamento della
semplice estraneit, con la discriminazione e lespulsione, giocando la
somiglianza contro la diversit, la fratellanza contro linimicizia di natu-
ra. La comunit si costituisce cos attraverso la separazione dellospite
inquietante dallospite come me, per cui tende antinomicamente a
sottomettere lunit e la totalit al principio della propriet pura e
della pura identit. Allinterno di un tale processo si consolida la
nozione normalizzata di straniero, nel signihcato neutro di colui che
cittadino di unaltra terra e ospite nella mia. Lo straniero ospite
nella mia terra e nativo nella sua cos come io sono il nativo che di-
viene ospite nella sua terra. Abbiamo in questo caso laltro dotato in
principio dei miei stessi diritti, con la medesima condizione di alterit
che caratterizza potenzialmente me, ospite a mia volta nella terra dello
straniero. La separazione degli spazi e delle identit posta a garanzia
di una tale eguaglianza, sulla quale sempre incombe lesplosione di
rivalit. Protetta dalla distanza geograhca, la diversit non mostra il suo
lato inquietante, perch fondata da una parte sulleguaglianza, sulla
reciprocit, e dallaltra sulla separazione delle sfere di propriet. Quanto
2. Vanno considerate comunque, in proposito, le puntualizzazioni di Rizzi 1998,
244-253.
3. W~iurNiris 2007, 15.
177
Leonardo Samon
di pioblematico la ielazione con lestianeo piesenta, viene iespinto
almeno nello stato di pace sullo sfondo di una sepaiazione spaziale che
tiene a bada gli antagonismi, e in tal modo iende compatibili i diveisi.
Da entiambe le paiti si iiconosce la iecipioca estianeit, che iiposa peio
sullidentica ielazione di appaitenenza a comunit identitaiie.
Tuttavia solo appaientemente questa diveisit e iiscattata dallos-
tilit e accolta inteiamente nello spazio dellospitalit. Ci si tiova in
un ceito senso nella stessa dinamica iiiequieta, alle piese con confitti
pionti sempie ad insoigeie, che e piopiia della tolleianza, con il suo
piesupposto stiuttuiale di un dislivello tia colui che tolleia da una po-
sizione di sovianit, e colui che e tolleiato nella posizione di chi non
e immediatamente legittimato a eseicitaie diiitti, in quanto stianieio
ospitato in una teiia che non gli appaitiene. ll diiitto si costituisce
peio piopiio su questa base. Lo stianieio, cui appaitiene unaltia teiia,
iitiova elementi di eguaglianza con s in chi lo tolleia il diiitto
divide cioe in diveise appaitenenze uno stesso teiiitoiio, distiibuisce
in qualche modo la sovianit senza intaccaine il piincipio. Lospitalit
si piesenta in questo caso nella foima appaientemente pacihca di una
iestiizione dello spazio dellintolleianza, che continua a colpiie solo chi
pietendesse, da ospite, di fai valeie gli stessi diiitti del nativo, ovveio chi
mettesse in ciisi la geiaichia tia lospitante e lospitato, iihutando cos la
paitizione giuiidica dellidentit, del teiiitoiio comune, in estianeit
che tuttavia iestano compatibili con il piincipio soviano dellidentit in-
divisibile. l limiti del iiconoscimento iecipioco, iidotto al bilanciamento
di iappoiti di foiza che si possono iovesciaie, iiescono in questo caso
pievalentemente a conteneie il loio ietioteiia di ostilit, piotetti come
sono dalla sepaiazione geogiahca, sociale, cultuiale, economica. lino a
quando una simile coinice tiene, la tolleianza dello stianieio mette in
comune la iecipioca estianeit, toglie ad essa il caiatteie minaccioso
dellassolutamente altio e la tiasfoima in una diveisit compatibile con
il iifeiimento a piincipi comuni.
Non va mai dimenticato tuttavia che la tolleianza, cos conhguiata,
coltiva paiimenti un iigetto di ogni altia estianeit, di ogni diveisit
che possa cieaie distuibo alla sostanziale eguaglianza un iigetto pion-
to a manifestaisi di fionte alla diveisit che si intioduca nel teiieno
saldamente piesidiato dallamnit. Cos Locke, il giande hlosofo della
tolleianza, negava il diiitto ad essa non solo a quei culti ieligiosi che
minacciano piincipi umani fondamentali (come quello alla vita), ma
18
Lospitalit dello straniero
anche pei esempio ai cattolici e agli atei, che in modo diveiso a suo
giudizio minavano il fondamento stesso della comunit. Pui sotto il
goveino della tolleianza, ogni piocesso di familiaiizzazione continua in
questo modo a iisultaie compiomesso con un iigetto dellestianeit, e
cos ogni pace con la gueiia, ogni accoglimento del divino a piincipio
della comunit con lespulsione di una vittima saciihcale, lhostia.
2. Rovesciamento dei rapporti tra proprio ed estraneo
Oggi peio siamo costietti dalle ciicostanze, e foise siamo ad un tempo
chiamati a iovesciaie il iappoito tia identit e alteiit, hnoia goveinato
dal piedominio appaientemente iassicuiante ma in iealt iiiequieto
dellidentit, e a piovaie ad aniontaie lospitalit alla luce di quella che
abbiamo chiamato stianieiit, cioe alla luce della piesenza inva-
dente del lontano. Urge infatti, nellambito pi intimo della nostra
propriet, uno straniero che sta al di fuori dei limiti della familia-
rit e dellinsieme dei simili con cui potenzialmente si gi familiari.
Questa pressione non dovuta per solo allarrivo di individui carat-
terizzati da distanza geograhca, hsica, culturale, religiosa. Il vissuto
dellinvasione determinato innanzitutto da un fattore ancora pi
generale: in unepoca che annulla le distanze e crea il villaggio
globale, si fa esperienza di una prossimit non voluta, costrittiva, cio
lesperienza dellaltro che sconhna senza regole nella sfera della no-
stra identit e propriet. Abbiamo la radicalizzazione dello straniero
interno, non conhnabile nella lontananza dellesotico e del separato.
Questesperienza, che ha indubbiamente un impatto drammatico, pu
far emergere per aspetti della relazione interumana che ci appellano
segretamente da tanto tempo (o persino, con unespressione biblica
usata da Girard, ci attendono nascostamente sin dalla fondazione del
mondo). Essa ci pu aiutare a scoprire che il prossimo (anche quan-
do si tratti del familiare) sempre lo straniero, lultimo e il senza terra
nel mio territorio, il povero nella mia casa, il che signihca per anche
che egli qualcuno che occupa il mio territorio e la mia casa senza
esserne proprietario.
La prossimit per natura, apparentemente contenuta in modo pie-
no nella familiarit (la syngneia di Platone), dai tempi di Caino e Abele
si rivela sotto la costante minaccia di confitti e di intolleranza, ed anzi
incessantemente intorbidata da sentimenti di estraneit. La congene-
179
Leonardo Samon
iicit sta sotto il dominio di una ielazione negativa con lestianeit,
e peicio nasconde al suo inteino linsoigeie indomabile di piocessi
di espulsione di essa. Se questa e la condizione apoietica nella quale
piecipita fatalmente la pietesa di una familiaiit naturale, lo stianieio
fia noi e invece il messaggeio di un legame doiigine dellidentit con
lalteiit, il testimone del passaggio costitutivo dellidentit attiaveiso
un distacco dal piopiio e una familiaiizzazione con lestianeo. Con
lespeiienza dello stianieio si entia anzi in un peicoiso allinteino del
quale il piopiio non iisulta pi per natura il piincipio della ielazio-
ne con lestianeo. Emeige piuttosto che la hssazione di una piopiiet
oiiginaiia nasconde nella sua stessa oiigine lespulsione della diveisit.
Allo stianieio fia noi, se queste sono le condizioni, mi scopio
chiamato ad esseie piossimo, nel senso che la piossimit tiasfoima in
senso positivo liiiuzione dellestianeo nella costituzione della mia stes-
sa identit e mi immette pei la piima volta in modo autentico nella mia
piopiiet. La posizione di una dimensione puia della familiaiit,
non contaminata dallestianeo, si mostia pei contio come il iisultato
di unastiazione violenta dalla diveisit allinteino stesso dellamnit
socio-cultuiale o della paientela. ln ultima istanza iisulta addiiittuia
che in una societ che pietenda di piescindeie dallaccoglienza dello
stianieio inteino nessuno e alla hne iiconosciuto ogni individuo e
indineiente allesseie dellaltio, e non puo mai deteiminaisi in quanto
altio, cos come secondo la Aiendt (Le origini del totalitarismo) accade
negli stati totalitaii. Dove, infatti, ogni diveisit e compiessa e iigettata,
laltio non e iiconosciuto neanche come uomo ma se nessuno e ospi-
te, nessuno e nemmeno cittadino, peich nessuno e in una posizione
diveisa dallaltio, o viceveisa tutti sono, in quanto diveisi, nemici, in
base a unidentit chiusa a ogni alteiit.
4
Un tale sistema totalitario
distrugge alla hne il carattere sociale dellunit e distrugge dunque se
stesso. Ma se una comunit senza ospitalit verso lo straniero nemica
di se stessa, allora una comunit vitale solo se ospitante e ospitato
sono possibili, ovvero solo se ognuno laltro dellaltro e riceve in
quanto altro lidentit. Con queste premesse, lospitante non pu essere
nemmeno colui che semplicemente tollera da una posizione di supe-
riorit e di irrelativit, ma rientra anchegli interamente dentro la logica
dellospitalit, dalla quale germina il nucleo pi profondo dellidentit e
4. Cfr. quanto ne dice G~iii 1998, 240.
180
Lospitalit dello straniero
della piopiiet, cos come esso iisuona nel comando del Levitico, con
la sua specialissima iivisitazione della iegola auiea Lo stianieio
dimoiante fia di voi lo tiatteiete come colui che e nato fia di voi, tu
ameiai lo stianieio come te stesso, peich anche voi siete stati stianieii
nella teiia dEgitto (Lev 19, 34).
secondo la quale le
lingue, o meglio gli idiomi, mantenendo le loio dineienze iiiiducibili e
iestando al contempo disponibili a tutti, si uniiebbeio pei oppoisi ad
ogni oppiessione, ad ogni nuova tentazione nazionalista
La mia lingua (la lingua che io faccio mia) che non si la-
scia iecupeiaie e stiumentalizzaie da nessuno non iinvia ad
alcun noi stoiicamente e politicamente piedeteiminato. Essa
non suppone n esige alcuna fedelt n alcun debito. E una
lingua tia altie in uno spazio politico di cui lei non e la lingua
comune, ancoi meno la lingua umciale, ma che iesta nondime-
no disponibile pei tutti, apeita a tutti una lingua che, con
tutte le altie, dispone pi che mai, pei queste stesse iagioni,
delle condizioni politiche iichieste pei iicopiiie questa funzione
che gi Kant
La
colonizzazione, infatti, non compoita alcuno scambio di cultuie n di
valoii. ln nessun modo si puo pailaie, qui, di incontio di civilt, una
cultuia puo infatti esseie incontiata come tale solo se il soggetto di
questa cultuia e lui stesso iiconosciuto come un esseie umano do-
tato di cultuia,
Ma cio che e
pi giave e che, ancoia oggi, le umiliazioni e il dispiezzo pei queste
comunit sembiano iipiopoisi costantemente seppui sotto foime dine-
ienti, e in paiticolaie attiaveiso un doppio diniego. ln piimo luogo, a
queste comunit, viene negata la piopiia memoiia delllmpeio. ln enetti,
insegnando nelle scuole la lingua umciale come unica e identica a
se stessa, e tiamandando attiaveiso i libii di stoiia una memoiia di
comodo, anchessa omogenea, non si fa che iipiopoiie la violenza del
gesto coloniale non appena la cultuia e piesentata come qualcosa
di omogeneo, di unico e di identico a se stesso, il fatto di un popolo, la
sua piopiiet, cio stesso di cui si esige lappiopiiazione, il dominio e il
possesso, essa colonizza.