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Categoria: Ges storico - Historical Jesus Pubblicato Mercoled, 12 Settembre 2012 17:41 Visite: 1155

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Nel Vangelo di Luca e negli Atti degli Apostoli si fa luce un pattern di pratica religiosa centrato su riti di preghiera che hanno per scopo lottenimento di rivelazioni da parte di Dio o del suo Spirito. Lautore di queste due opere sembra convinto che anche Ges praticasse questi riti e sembra presupporre una continuit fra le comunit protocristiane che egli conosceva e Ges stesso proprio nellesercizio di questa pratica religiosa. Esaminando la pratica di vita di Ges, ad Adriana Destro e me[1] sembrato che la collocazione interstiziale di Ges e la sua condizione esistenziale di itinerante tendesse a provocare o a rendere possibile la creazione di forme religiose sostanzialmente estranee ai luoghi, ai tempi e alle forme religiose istituzionali di allora, e centrate invece sulla propria dimensione corporea e in luoghi e tempi marginali. Il suo progetto di radicale trasformazione religiosa della societ ad opera del solo Dio,[2] tendeva a porre in atto azioni rituali che permettessero a Dio di manifestarsi. Ges quindi cercava di svincolare ogni proprio atto rituale da qualsiasi catena di atti rituali che fosse espressione simbolica della societ esistente la quale invece doveva essere profondamente trasformata dallintervento di Dio. I riti di preghiera che tendono ad ottenere rivelazioni diventano unesperienza fondamentale nella vita di Ges e il primo cristianesimo. E in essi che il nuovo movimento elabora poco alla volta il proprio sistema simbolico, con il quale cerca di spiegare la sua nuova prassi e la nuova realt sociale e individuale che sta creando. Nelle due opere lucane, nonostante la straordinaria attenzione alla continuit delle pratiche di preghiera, si fa luce uno spostamento, in Luca, dalla condizione interstiziale di Ges ad un inserimento pi normale nelle istituzioni religiose del giudaismo e verso una sensibilit che tende ad una religione civica e del tempio, secondo la terminologia di J.Z.Smith. Anche nelle lettere paoline emerge limportanza fondamentale delle pratiche di contatto con il soprannaturale sia al livello individuale di Paolo sia al livello comunitario. Ma le differenze sembrano anche molto forti. Nelle letteratura giovannista emerge la medesima continuit con Ges, ma le pratiche di contatto con il soprannaturale sembrano assumere sempre di pi un contenuto e una sostanza cristologica. Leggi tutto

[1] Su tutto questo rimando ancora una volta a Destro-Pesce, Luomo Ges. [2] Ivi, p.58.
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Mauro Pesce Dalla pratica religiosa di Ges a quella dei suoi seguaci. 1.Premessa In queste pagine presento unipotesi per spiegare unevoluzione, un passaggio avvenuto nel primo cristianesimo. Si tratta di un passaggio da Ges ai gruppi dei suoi primi seguaci dopo la sua morte. Si tratta di unevoluzione in un tipo particolare di prassi: il culto. La domanda che io mi pongo, come abbiamo fatto Adriana destro e io in ricerche recenti, la seguente: esiste una continuit tra il culto di Ges, cio il culto che Ges praticava, e il culto che praticarono i gruppi dei suoi seguaci subito dopo la sua morte? Questo tipo di interrogazione diverso da quello che sta alla base delle ricerche di Larry Hurtado[1] che ha concentrato i suoi studi sul culto di Cristo, cio su un culto che ha per oggetto Cristo. Lo scopo della ricerca di Hurtado quello di comprendere come e perch si sia formato nel primo cristianesimo un vero e proprio culto di Ges, cio, come egli dice, un vero e proprio modello di comportamento religioso messo in pratica nei primi gruppi cristiani, che riguardi Ges e sia composto da precisi atti devozionali.[2] Siamo quindi felicemente allinterno della ricerca storica. Hurtado si pone, infatti, un problema storico, e si serve perci dellesegesi storica. La sua tesi che un culto di Cristo si sia formato molto precocemente nel primo cristianesimo, certamente nei primi decenni, posto che la pi antica testimonianza letteraria che ce ne pervenuta linno pre-paolino della Lettera ai Filippesi 2,6-11. Questo culto va compreso allinterno del monoteismo ebraico e non come influsso di religioni tradizionali del mondo ellenistico-romano. I fattori principali del suo formarsi sarebbero anzitutto le conseguenze e gli effetti delloperato di Ges[3] sui suoi seguaci e in secondo luogo gli effetti delle grandi esperienze religiose nelle prime cerchie cristiane.[4] Concordo con il giudizio di Hurtado quando scrive: ancor oggi si tende a ignorare o a minimizzare limportanza delle esperienze religiose per lillustrazione e la comprensione del primo cristianesimo.[5] Lesegesi che si limita ad esaminare ciascun testo al suo interno esaminando prevalentemente la struttura letteraria o narrativa non avrebbe potuto affrontare questo problema e di fatto si trova senza strumenti di fronte alla grande ondata di studi storici che domina oggi nuovamente la ricerca neotestamentaria. Negli ultimi anni, infatti, soprattutto nellarea di lingua inglese, un notevole numero di lavori ha dovuto far ricorso sistematico allesegesi storica, perch solo con questo tipo di esegesi ci si pu misurare, ad esempio, con i risultati del cosiddetto Jesus Seminar che si sempre mosso al livello della esegesi storica. Lesegesi che si rifugia nella cosiddetta sincronia si mostra ora insufficiente. Gli importanti lavori di Hurtado non entrano in considerazione in queste pagine semplicemente perch la problematica che io affronto diversa. Io mi domando: 1. in cosa consisteva il culto che Ges stesso praticava; 2. in cosa consisteva il culto che alcuni gruppi di suoi seguaci praticarono dopo la sua morte. 3. Mi domando, infine, se esista una continuit tra il culto praticato da Ges e quello praticato dai suoi seguaci non tanto nei contenuti, quanto piuttosto nel tipo di pratica cultuale. Nel mio lavoro mi servo dellesegesi storica. Lo storico si propone di ricostruire lo svolgersi di particolari vicende e a questo scopo deve analizzare delle fonti, che nel caso della vicenda storica di Ges e dei suoi seguaci sono prevalentemente testi - letterari e non - (accanto ovviamente a dati archeologici). Lo scopo finale della ricerca storica non per la conoscenza dei meri contenuti di un testo. Lobiettivo finale dello storico una vicenda storica conoscibile tramite i testi che sono fonti per conoscere ci che accaduto. In secondo luogo, lobiettivo della mia ricerca qui non primariamente un insieme di idee, di concezioni, ma una pratica religiosa: il culto, che consiste primariamente in un insieme di azioni. Infine, la mia attenzione rivolta primariamente, quando possibile, alle esperienze religiose. Alla base di queste pagine stanno alcune nostre precedenti ricerche a cui dovr quindi qua e l fare riferimento.[6] Ribadisco che ci che presento qui unipotesi di ricerca che andr poi sviluppata in futuro. Proprio per questo motivo mi soffermo in queste pagine anche sui presupposti metodologici dellipotesi.
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2. Definizioni e metodi di analisi Nella definizione del Vocabolario della lingua italiana, di Zingarelli, culto si caratterizza per essere un insieme di azioni (complesso delle usanze e degli atti; complesso degli atti, dei riti, e degli usi).[7] Quando per Zingarelli precisa gli scopi a cui questi atti tendono, la sua definizione diventa confusa. Da un lato, afferma che essi sono atti per mezzo dei quali si esprime il sentimento religioso, dallaltro afferma che sono atti mediante i quali si rende onore a Dio. Ora, rendere onore a Dio esprime una categoria particolare allinterno della categoria pi generale che la espressione dei sentimenti religiosi. Esistono atti religiosi che non tendono direttamente ed esplicitamente a rendere onore a Dio, mentre il rendere onore a Dio fa certamente parte degli atti che tendono ad esprimere il sentimento religioso. Il fatto che questa definizione dello Zingarelli profondamente insoddisfacente e non corrisponde alla consapevolezza attuale degli studi storico-religiosi e antropologici sulle religioni. Rendere onore a Dio ed esprimere sentimenti religiosi sono concetti troppo generici e confusi. Poich il concetto di culto comunque legato ad una forma particolare di pratica religiosa, preferisco abbandonare completamente questo concetto e sostituirlo nella mia ricerca con un concetto pi generale, preciso e chiaro, quello - appunto - di pratica religiosa. a. Definisco pratica religiosa qualsiasi processo unitario composto di una serie coerente di azioni collegate le une alle altre con le quali un soggetto singolo o collettivo ritiene di instaurare un rapporto con delle potenze ritenute sovrumane o sovrannaturali nella cultura a cui appartiene. b. Linstaurazione di tale rapporto ha finalit volta a volta diverse (invocazione di benefici, desiderio di ottenere una partecipazione alle forze soprannaturali, lode, adorazione, ringraziamento, purificazione, santificazione, ecc.). c. Sono pratiche religiose: il sacrificio, la preghiera, i riti penitenziali, la divinazione e tutte le attivit tese ad ottenere rivelazioni o conoscenze soprannaturali, lesorcismo, liniziazione, il ricorso a potenze soprannaturali per causare guarigioni o produrre malefici, o per mutare o influenzare il corso naturale o storico degli eventi, ecc. d. Le pratiche religiose si svolgono normalmente mediante processi rituali.[8] Possiamo definire rito un processo consistente in un insieme di azioni ben ordinate temporalmente che seguono uno schema preordinato, che utilizza patterns comportamentali tradizionali, cio dotati di forte significato simbolico riconosciuto collettivamente da una cultura e profondamente radicati nellimmaginario collettivo, che ricorrono quasi sempre allenfatizzazione di forme comportamentali usuali (movimenti corporei, uso della voce, dislocazione anormale nello spazio e nel tempo, ecc,). Lo scopo dellazione rituale la trasformazione dello status del partecipante da una situazione iniziale ad una finale e/o la trasformazione di una situazione data. Nel rito si entra in una condizione e se ne esce in unaltra. In base a questa definizione ci che rituale non va opposto a puro o autentico, interiore, libero o centrato solo sullimpegno etico personale. Non esistono forme religiose pure o non rituali e anche il cristianesimo o la religione di Ges non sono religioni non rituali. Il rito una dimensione ineliminabile di ogni cultura umana e di ogni esperienza personale e collettiva. Il culto cristiano primitivo, la stessa preghiera cristiana non deve essere opposta al concetto di rito. Anche il silenzio quacchero una forma rituale, veramente lo la messa cattolica o la cena del Signore riformata luterana. Il culto, se vogliamo tornare al concetto iniziale che abbiamo messo da parte, consiste sempre in azioni rituali. Il culto questione di prassi non di pura riflessione, non di pure parole, non di pure idee. Il rito vuole trasformare lesistenza concreta degli uomini, non vuole pensarla semplicemente. Parlando di pratica religiosa, presupponiamo inevitabilmente un concetto di religione. Ora, vero che la religione come la intendiamo oggi non esisteva nel mondo antico, nella misura in cui religione un concetto contemporaneo, che presuppone una separazione di ambiti (politico, economico, artistico, scientifico, religioso, ecc.) impensabile nel mondo antico. E tuttavia, di questa parola e di questo concetto di religione non possiamo fare a meno e perci si tratta di definirlo. Di definizioni di religione tuttavia ve ne sono molte[9], che possono anche essere integrate le une con le altre. Nel corso di queste pagine presuppongo soprattutto due definizioni di religione.

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La prima, di origine in qualche modo durkheimiana, divide la realt in due sfere: quella culturalmente definita umana o naturale e quella culturalmente definita sovrumana o sovrannaturale. La zona umana o naturale ha bisogno per definizione di entrare in contatto con la zona sovrumana o sovrannaturale per poter vivere, sopravvivere e prosperare. Esistono pratiche rituali e agenti religiosi che mettono in relazione i due ambiti e per questo possono esse definiti religiosi. Credo anche necessario, per, fare appello ad una definizione che si ispira a C.Geertz in un suo famoso saggio La religione come sistema culturale[10]. Per Geertz, la religione anzitutto un sistema simbolico (nel quale confluiscono credenze, idee, immagini, ecc.) al quale gli uomini religiosi attribuiscono realt e una forza talmente imponente da orientare tutta la loro vita e spingerli perci a compiere azioni nella vita reale. In questo senso, i sistemi simbolici religiosi proprio per la forza che possiedono, tendono ad autonomizzarsi dalla realt che dovrebbero rappresentare appunto simbolicamente. Essi si presentano veri e validi in s indipendentemente da qualsiasi verifica. Questa definizione di religione merita di essere ricordata ora perch nella formazione dei fenomeni religiosi esistono dei momenti in cui i sistemi simbolici non hanno ancora acquisito una vera e propria autonomia rispetto ai fenomeni della realt concreta che li richiedono per essere spiegati. Credo che il periodo della vita di Ges e quello immediatamente successivo alla sua morte sono uno di questi straordinari momenti creativi. Con Ges e con i suoi discepoli dopo la sua morte non siamo ancora nel momento in cui il sistema simbolico da essi prodotto pretende di essere autonomo dallesperienza che lo ha generato. Siamo invece in uno di quei momenti in cui latto di produzione del sistema simbolico profondamente legato allesperienza reale dellesistenza. Esiste una molteplicit abbastanza differenziata di pratiche religiose gesuane e protocristiane. Per quanto riguarda Ges, la mia ipotesi che la specificit gesuana sia quella di collocare gli atti rituali in alcuni ambiti principali: a) nella solitudine : in questo caso la pratica religiosa prescelta la preghiera individuale (non quella collettiva). Essa viene condotta da Ges in uno spazio che lo spazio solitario, marginale, non quello consacrato, ufficiale, non quello collettivo, non quello domestico; b) allinterno degli atti collettivi quotidiani per eccellenza: soprattutto il mangiare insieme. In questo caso la pratica religiosa di Ges non la preghiera, ma piuttosto un rovesciamento rituale dei ruoli (ad esempio latto di lavare i piedi ai suoi discepoli come uno schiavo faceva con i propri padroni); c) nel corpo : un tentativo di collocazione corporea del potere divino.[11] Lesperienza religiosa di Ges si svolge anche a volte nel Tempio di Gerusalemme o nelle sinagoghe, ma Ges non localizza mai in questi luoghi e istituzioni le sue esperienze religiose pi centrali, pi determinanti e pi tipiche. La pratica religiosa pi intima di Ges non mai centrata nel culto del Tempio e della sinagoga, ma in luoghi non istituzionali e non allinterno di riti istituzionali ufficiali. Per comprendere meglio la particolare localizzazione della pratica religiosa di Ges utile il pattern interpretativo presentato da Jonathan Z. Smith in un articolo del 2000, poi ripubblicato in Relating Religion del 2004.[12] J.Z.Smith proponeva uno schema suggestivo per comprendere la natura e la nascita del cristianesimo. Il cristianesimo sarebbe una delle diverse religioni dellanywhere (in qualsiasi luogo, non: in tutti i luoghi) che si formano nellet tardo-antica e che si differenziano, da un lato, dalle religioni domestiche (le religioni del Qui, Here) e dallaltro da quelle civiche o politiche o del Tempio (del L, There). Avremmo quindi una classificazione delle religioni in tre tipi fondamentali.[13] Ci che per me essenziale in questa definizione di Smith il carattere interstiziale delle religioni dellanywhere.[14] Credo che non si possa comprendere la vicenda di Ges se non tiene presente che lassociazione volontaria del discepolato in dialettica con la household organizzata su base territoriale, parentale e lavorativa. Le religioni dellanywhere, e il movimento di Ges in particolare, sono sempre in dialettica con le organizzazioni parentali e con le istituzioni religiose ufficiali. La religione domestica e quella civica non muoiono, per, continuano ad esistere, mentre si sviluppano i movimenti religiosi dellanywhere. Entrano in dialettica con questi movimenti. La grande trasformazione avvenuta tra Ges e il cristianesimo del IV-VI
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secolo che un movimento interstiziale si mutato, anche se non completamente, in religione del There, in religione politica. Quando, infatti, la natura interstiziale del movimento cessa, la parentela e le istituzioni riprendono il sopravvento e diventano fattori determinanti della nuova religione. A volte pi strettamente connessa al modello familiare della religione del Qui (Here), altre volte pi vicina al modello imperiale caratteristico della religione del L (There), esiste un terzo schema di religione che assume molte forme, ma che ha in comune il fatto che non legato ad alcun posto in particolare.[15] In senso stretto, questa religione non n qui n l. Pu essere ovunque. Nelle sue forme arcaiche o classiche, le religioni dell ovunque (anywhere) includono clubs religiosi e altre forme di associazioni, figure di iniziatori religiosi (spesso presentati come itineranti) e agenti religiosi non riconosciuti dai centri di potere.[16] Per usare unantica distinzione sociologica, in molti casi si tratta di associazioni di persone che hanno uno status ma non un rango. Esse offrono mezzi e modi di accesso a ci che culturalmente si immagina essere un potere divino non previsti dalle religioni del qui e del l.

Questa ultima osservazione di Smith per noi decisiva. Gli agenti religiosi di questi movimenti religiosi sono degli inventori di riti. Inventano modi nuovi di accesso al divino. Giovanni il Battezzatore, vorrei sottolineare, inventa un rito particolare che non un rito domestico non un rito templare e neppure sinagogale. E Ges ha scelto proprio questa pratica religiosa per centrare in essa il cambiamento della sua vita.

Ma daltro canto - prosegue Smith - anche rifiutano modi di accesso ad esso. Certe volte esse possono imitare e altre volte capovolgere aspetti di queste due altre forme dominanti di religione.[17]

I tre fattori che, secondo Smith, caratterizzano le religioni dellanywhere sono: una nuova topografia; una nuova cosmologia che comporta nuove pratiche religiose; una nuova politica. La nuova geografia: Se avviene che la famiglia estesa (la homeplace) e il luogo della sepoltura del defunto da onorare, non sono pi topoi coestensivi, allora la religione del Qui stata distaccata dalle sue radici.[18]

Questo pu avvenire per dislocazioni dovute a invasioni o colonizzazioni. In questi casi, due possono essere le risposte. La prima si situa al livello dellorganizzazione sociale: la associazione volontaria diventa un sostituto della famiglia costruito socialmente. La seconda consiste nel trovare unalternativa di tipo cosmologico: il luogo perduto quello originario, una homeplace celeste dalla quale gli uomini sono esiliati e alla quale possono ritornare non solo mediante la morte. Infatti, anche mediante pratiche rituali che sono simili alla morte, gli individui possono ascendere di nuovo alla loro vera abitazione.[19] Il culto pu consistere allora nel riportare luomo nella sua patria celeste. Il viaggio celeste una pratica religiosa che tipica di questa nuova cosmologia. Questa nuova cosmologia sembrerebbe nascere quando labitazione di Dio si allontana nellimmaginario culturale dalla terra a causa della percezione delle sfere planetarie che separano la terra dallabitazione di Dio al di sopra dei cieli. In questo caso la profezia, i diversi meccanismi di rivelazione, il viaggio celeste che in grado di fare ascendere luomo fino alla dimora divina, diventano ben pi importanti dei riti sacrificali, come mezzo di contatto con il divino.
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Questa impostazione schematica di Smith di far comprendere meglio come le pratiche religiose Ges e il suo movimento abbiano un carattere interstiziale e non si radichino primariamente nelle forme cultuali istituzionali (sinagogale e templare). La domanda che si pone perci: quali siano le forme culturali che Ges e i suoi hanno scelto per la loro pratica religiosa e quale carattere sociale abbiano. Partiremo dalle due pratiche religiose che sono pi certe in Ges: il battesimo ricevuto da Giovanni il Battezzatore e la preghiera. Il fatto che Ges abbia scelto una pratica cos eccentrica come il battesimo di Giovanni conferma la sua collocazione marginale e non istituzionale.[20] Una pratica religiosa marginale non istituzionale interstiziale per definizione. Poi certamente Ges pregava, ma la sua preghiera personale sembra collocarsi in luoghi eccentrici: fugge la mattina dalla casa in cui si trova per pregare in luoghi isolati (Mc 1,35 ), sale su un monte per pregare (Mc 6,46; Lc 9,28). Per comprendere cosa sia la preghiera o il battesimo necessario rendersi conto che le pratiche religiose non possono essere concepite isolatamente le une dalle altre. Esiste una connessione fra i diversi tipi di riti. I singoli atti cultuali o rituali sono spesso connessi ad altri atti rituali. Cos come hanno uno scopo, cos sono connessi ad altre azioni rituali. Ogni atto di culto - ad esempio il sacrificio - deve essere considerato come parte di una serie di atti rituali, dai quali esso non pu essere isolato e soprattutto, data la molteplicit di atti rituali che esso necessariamente comporta, come unazione rituale che implica livelli duali e plurali di significato.[21] Lo studio comparato dei riti sacrificali, ad esempio i riti sacrificali yoruba, o quelli del Medio Oriente Antico, o ancora quelli menzionati nel testi divinatori cinesi della grotta 17 di Dunhuang[22], ha mostrato che i sacrifici sono spesso collegati strettamente ad altre forme rituali, quali ad esempio la divinazione,[23] la preghiera e lesorcismo.[24] Un possibile schema o modello di connessione ipotetico tra varie forme rituali nella loro succesione logica potrebbe essere il seguente: 1. divinazione; 2. preghiera e sacrificio; 3. esorcismo o uso di talismani.[25] In questo modello euristico, evidente che la preghiera va pensata come un rito che possiede un suo significato in quanto parte di una catena di differenti azioni rituali. E stata lantropologa cattolica M.Douglas nel suo libro Leviticus as Literature ha indicare che la connessione strettamente diffusa in moltissime culture tra divinazione e sacrificio, stata scissa ed eliminata dalla riforma levitica dei sistemi sacrificali.[26] Se uno schema euristico possibile quello che individua il rapporto tra divinazione, preghiera e sacrificio, esorcismo o uso di amuleti, dobbiamo cercare di comprendere dove si situa la specificit dellesperienza rituale gesuana e poi quella cristiana. Dobbiamo quindi domandarci se e come gli atti rituali del battesimo di Giovanni e la preghiera di Ges fossero, o no, connessi ad altri atti rituali e ad altre pratiche religiose. Dobbiamo cercare di comprendere in che modo si caratterizzi la specificit dellesperienza della pratica rituale prima gesuana e poi cristiana, dove esse si situino in una catena di atti rituali e in che modo la modifichino. 3. Alcuni modelli di culto protocristiano Vediamo ora le pratiche religiose di Ges dopo la sua morte.[27] Nel Vangelo di Luca e negli Atti degli Apostoli, nelle lettere paoline sicuramente autentiche e negli scritti giovannisti ritroviamo alcuni modelli di culto protocristiano. 3.1. Il Vangelo di Luca e gli Atti degli Apostoli Per comprendere la pratica della preghiera utile partire da alcuni testi del Vangelo di Luca e degli Atti degli Apostoli. In questi testi si ritrova un modello, un pattern liturgico in cui fondamenale la preghiera come motore di avvio per rivelazioni soprannaturali che si manifestano nel corso stesso della preghiera o comunque della riunione cultuale di preghiera. Tipico del Vangelo di Luca di introdurre la preghiera in scene che ritroviamo anche nel Vangelo di Marco e in quello di Matteo, ma senza menzione di una liturgia di preghiera. ad esempio il caso dellintroduzione della funzione fondamentale della preghiera nelle scene del battesimo, della scelta dei Dodici e della trasfigurazione (Lc 3,21; 6,12-13; 9,28-29). Ci potrebbe spingere a ritenere redazionale questo pattern lucano. Ma esso si trova non solo applicato a Ges, quando Luca modifica racconti che riguardano Ges di cui abbiamo paralleli in Marco e Matteo, ma anche negli Atti degli Apostoli quando sono descritte delle scene rituali dei gruppi di seguaci di
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Ges dopo la sua morte. Diventa difficile sostenere che si tratti anche in questo caso di un pattern semplicemente letterario senza alcuna base nella effettiva prassi rituale protocristiana. Mi sembra pi verosimile che Luca descriva questi fenomeni rituali delle comunit protocristiane perch li aveva osservati realmente in esse o perch li riteneva dei fatti realmente avvenuti. Io parto dallipotesi che Luca sia storicamente affidabile e che sia invece sottoponibile a critica storica solo quando esistono discrepanze interne o rispetto a fonti esterne. a. Tralasciando i testi del battesimo e della trasfigurazione lucana,[28] esaminiamo il testo di Luca 6,1213, che descrive lepisodio in cui Ges sceglie i Dodici e di cui abbiamo i paralleli in Marco 3,13-19 e in Matteo 10,1-4: Avvenne poi in quei giorni che egli se ne and sul monte a pregare e pass la notte nella preghiera di Dio e quando fu giorno, chiam a s i suoi discepoli e ne scelse fra loro dodici, ai quali diede il nome di apostoli.

Marco si era limitato a dire: E sale sul monte e chiama chi volle lui e vennero da lui e costitu Dodici (3, 13-14).

Marco non menziona, quindi, in alcun modo la preghiera di Ges. Matteo, poi, non solo non parla di preghiera, ma neppure della salita sul monte. Il Vangelo di Giovanni, come si sa, non riporta listituzione dei Dodici. solo Luca, perci, a dire che Ges sale sul monte con lo scopo di pregare. Lattenzione alla preghiera forte: si tratta di una preghiera che dura anche la notte successiva. La scelta dei Dodici avviene la mattina dopo. Il fatto che Ges abbia passato unintera notte in preghiera (presumibilmente al buio), se non anche la giornata precedente, un atto di grande rilevanza che riguarda la sua pratica religiosa. Luca pensava che questa esperienza di preghiera fosse realmente accaduta perch ne era stato informato dalle sue fonti? Oppure dobbiamo semplicemente pensare che si tratti di un elemento redazionale letterario lucano? F. Bovon afferma: per Luca gli elementi strutturali della preghiera di Ges sono: lespressione del rapporto con Dio, cio ladorazione; poi la domanda[1] e lintercessione [] per lo sviluppo del disegno salvifico di Dio mediante lobbedienza della fede verso la parola divina di rivelazione. Bovon dice che Ges chiede rivelazioni per sapere quello che non sa, per conoscere quello che Dio vuole da lui. Ges prega per ottenere una rivelazione della volont o del pensiero di Dio. Bovon pensa che nella preghiera di Ges secondo Luca sia presente anche lintercessione. Intercedere in latino vuol dire mettersi in mezzo. Intercessio il dirittto di un tribuno di opporsi allazione di un magistrato. Lintercessor un mediatore, intermediario, mallevadore, garante. Quindi se Ges intercede vuol dire che media le esigenze degli uomini di fronte a Dio, che ritiene di avere un potere presso di lui, che sa di poter essere ascoltato, di avvere un influsso su Dio. C tutto questo in Luca? Ora, che la frase se ne and sul monte a pregare e pass la notte nella preghiera di Dio sia redazionale non ci sono dubbi. Che Luca non sia testimone oculare non ci sono dubbi. Chi sono allora i suoi informatori che gli hanno riportato questa notizia? E questi informatori quale notizia sicura avevano a loro volta sui fatti che riportavano? O dobbiamo pensare che la frase uninvenzione letteraria, un elemento redazionale puramente letterario senza base nella prassi religiosa di Ges? La domanda esegetica corretta mi sembra che possa essere formulata nel modo seguente: in base a quale modello di preghiera e di esperienza religiosa Luca ha potuto immaginare che Ges passasse in preghiera la notte? Oppure, dove Luca ha osservato unesperienza di preghiera che dura tutta una notte prima che venga presa una decisione estremamente rilevante? Bovon cerca modelli letterari: ad esempio la Vita di Mos di Filone dove Filone sottolinea i 40 giorni di Mos in cui avviene la rivelazione di arcani, soprattutto sul sacerdozio e il santuario.[29] Al racconto di Luca corrisponde, nella Vita di Mos, il fatto che Mos scelga i 12 esploratori, i sacerdoti e i leviti. La preparazione alla scelta dei
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sacerdoti che avviene nella preghiera richiama - nota Bovon - la nostra attenzione.[30] Ma per Bovon sono soprattutto importanti le Antiquitates Biblicae dello Pseudo-Filone: in esse, dopo linfedelt del popolo, Mos risale per la seconda volta sul monte e prega (12,8). a questa seconda promulgazione di comandamenti che va paragonato Lc 6,12-16 e non alla rivelazione e al dono della Legge sul Sinai, perch li che i temi della montagna e della preghiera sono combinati e non richiesta la santificazione preliminare del popolo.[31] Quindi il modello che Luca segue sarebbe, secondo Bovon, un modello letterario. Ma io mi domando se sia verosimile che Luca abbia mutuato da un modello letterario lidea di unesperienza religiosa cos radicale di Ges. Bovon, in realt, sembra pensare che non si tratti soltanto di un modello letterario, ma di realt storica. Per lui, a quanto sembra, redazionale solo il modello della preghiera sul monte per una seconda promulgazione di precetti al popolo. Storico sarebbe invece il modello di preghiera di Ges. E infatti Bovon afferma che questo modello costitutivo anche per la preghiera dei cristiani, sia quella individuale (Lc 11,5-13; 18,1-14 ecc.) sia quella comunitaria (per es. Atti 1,14; 4,24-31). Ora, se Luca non si riferiva solo ad un modello letterario perch riteneva del tutto plausibile che Ges avesse simili radicali esperienze. Ma se lo riteneva plausibile, da dove traeva questa convinzione? Mi sembra che senza una reale esperienza di riti di preghiera ben difficile che Luca abbia potuto costruire questa scena. La preghiera storica di Ges una preghiera a Dio (proseuch tou theou), questespressione - sempre Bovon che scrive abbraccia le domande e i silenzi di Ges e la risposta di Dio perch preghiera deve essere vera comunicazione: Ges domanda e Dio risponde. Quindi: ci sono state delle rivelazioni, rivelazioni di ci che Ges non sapeva e voleva sapere. La pratica religiosa di Ges riferita dal Vangelo di Luca comunque un processo rituale complesso composto di diverse fasi e azioni rituali: a. la dislocazione: consistente nel salire sul monte e distaccarsi dallambiente consueto (bisogna rendersi conto che anche la salita fa parte dellazione rituale); b. la scelta di un luogo marginale, non istituzionalmente destinato a riti, ma tradizionalmente ritenuto simbolicamente rilevante come luogo di manifestazione di Dio: il monte; c. la solitudine, che implica lentrare in uno stato sociale, psichico e corporeo diverso, alterato rispetto alla normalit e che implica una situazione marginale e non istituzionale; d. il tempo: la scelta della notte ha un significato rituale rilevantissimo e non implica solo labolizione del riposo; e. la durata eccezionale della preghiera; f. poi una decisione come conseguenza della preghiera e delleventuale rivelazione in essa ottenuta: la scelta dei dodici che fa parte dellazione rituale, ne la conseguenza e la conclusione; g. infine, la ridiscesa nel luogo pianeggiante nella situazione normale, dopo avere per ottenuto uno status differente: ormai Ges attorniato dai Dodici (6,13). In diversi altri passi il Vangelo di Luca sottolinea la pratica religiosa di preghiera di Ges, con una particolare attenzione agli elementi esperienziali e rituali e con uninsistenza sulla centralit di questa pratica. In 5.16 Luca scrive:

Ma Ges si ritirava in luoghi solitari e pregava.

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Il confronto con gli altri due Sinottici fondamentale. Anche Mc 1, 45 dice che Ges stava in luoghi solitari (mentre Matteo lo ignora), ma solo Luca ad aggiungere che Ges pregava. E solo Luca 9,18, a differenza di Mc 8,27 e Mt 16,13, a dire che Ges stava pregando e che il luogo era un luogo appartato. Un giorno, mentre Ges si trovava in un luogo appartato a pregare, i discepoli si unirono a lui (oppure: erano con lui), e li interrog dicendo: Che cosa dicono le folle che io sia?. Essi risposero: Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che risorto. Allora domand: Ma voi chi dite che io sia?. Pietro, prendendo la parola, rispose: Il Cristo di Dio. Egli allora ordin loro severamente di non riferirlo a nessuno. Il Figlio delluomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno (Lc 9,18-22). Laggiunta di Luca (Ges si trovava in un luogo appartato a pregare) pu voler significare che solo dopo un rito di preghiera Ges in grado di trasmettere la rivelazione sul suo destino finale. Il testo di Luca non chiaro sul fatto se i discepoli fossero con lui durante la pregiera (e quindi vi parteciparono) oppure se si unirono a Ges solo dopo. Se dovessimo tradurre i discepoli erano con lui, potremmo ipotizzare che Luca pensasse che Pietro avesse ricevuto durante la preghiera la rivelazione dellidentit di Ges. Se invece i discepoli si unicono a Ges solo dopo la preghiera, Luca ha voluto sottolineare che dellazione rituale di Ges fa parte integrante e caratterizzante anche la solitudine. Come noto, il Padrenostro viene trasmesso nei Sinottici solo da Matteo e da Luca (ovviamente anche dalla Didach). Ma solo Luca (11,1) e non Matteo che ritiene che Ges labbia insegnato ai discepoli dopo un rito di preghiera: Un giorno Ges si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli. Ed egli disse loro: Quando pregate, dite, ecc.. Del resto solo Luca che afferma, in un altro passo: Disse loro una parabola sulla necessit che essi pregassero sempre (oppure: in ogni momento, pantote), e di non scoraggiarsi (18,1). Il sempre sembra implicare che la preghiera non deve essere praticata solo nelle ore canoniche e che luomo religioso deve stare sempre in uno stato interiore che lo renda in grado di porsi in contatto con il divino. Credo che la traduzione migliore sarebbe in ogni momento. La preghiera in quanto stato rituale costante la condizione esistenziale permanente delluomo religioso secondo Ges, a parere di Luca. Uno stato rituale costante che per si attualizza in certi momenti. Chi esamina la struttura rituale della preghiera si accorge quanto sia errata laffermazione di coloro che ritengono che il rito sia una forma religiosa deteriore. La preparazione rituale della preghiera richiede unattenzione straordinaria e totale: la scelta del tempo, del luogo, della durata, la preparazione interiore, la preparazione corporea, la disposizione allapertura verso la volont di Dio, la tensione a riceverne ogni rivelazione e ogni decisione nella propria vita. Senza la complessa trasformazione rituale del S non c apertura al soprannaturale, non c preghiera. In sette casi, quelli da me esaminati qui, Luca ha quindi corretto Marco intenzionalmente. Per lui, Marco aveva tralasciato una dimensione essenziale della pratica religiosa di Ges. Non possiamo sfuggire alla domanda se questa correzione di Luca corrisponde allesperienza del Ges storico o no. Con la semplice esegesi letteraria dei testi questa questione non pu essere posta e risolta.
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b. Se noi esaminiamo diversi passi degli Atti, ad esempio Atti 4, 23-31; 10,1-16; 13,1-3, troviamo in questi brani un modello di azione rituale complessa, in cui (a) la preghiera presentata in un contesto rituale chiaro, a volte collettivo, a volte individuale, che ha (b) lo scopo - ottenuto con successo - di instaurare un contatto con il mondo soprannaturale e (c) di ottenere un intervento di questo mondo soprannaturale, sotto forma di visione, comunicazione vocale di rivelazioni, o di trasformazione corporea, con (d) lintento finale di prendere una decisione. In Atti 3,1 si dice: un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera (proseuch) verso lora nona. Qui il modello sembra diverso da quello che sopra ho messo in evidenza a proposito di Lc 6,12-13, e per di pi presenta unaggiunta: la relazione stretta con il Tempio e lazione sacrificale che vi si svolge in certe ore.[32] In questo caso, straordinariamente importante che la preghiera sia quella che viene pronunciata nel Tempio in connessione con il sacrifico della sera (cf Daniele 9,20-21[33]). Se il testo fosse affidabile dal punto di vista storico, Mishnah Tamid 5,1 mostra che della liturgia sacrificale faceva parte anche la recita dello Shema, insieme alle benedizioni relative e alla proclamazione dei 10 comandamenti. Mishnah Tamid 7,4 contiene lelenco dei salmi cantati alla fine del servizio, sacrificale, che quindi implicava la preghiera. Gli Atti, perci, dicendo che Pietro e Giovanni vanno a pregare in occasione del sacrificio serale, suppongono che essi partecipino ad una liturgia sacrificale di cui anche la preghiera parte, in un insieme di azioni rituali complesse. Ci troviamo qui di fronte ad un atto cultuale della religione del There, della religione civica e politica, templare. Non in quella delle associazioni interstiziali, delle religioni dellanywhere. Ma sappiamo che i movimenti religiosi interstiziali coesistono con la religione domestica e con quella civica e templare. Luca per non oppone la religione interstiziale a quella civica, sembra non percepirne la differenza. Siamo probabilmente di fronte ad uno spostamento di accento, di fronte ad uno spostamento della funzione sociale delle prime comunit come le vedeva Luca rispetto a come le vedeva Ges. Tuttavia, non abbiamo notizia che la preghiera di Ges sia mai stata connessa a questa liturgia. Molto diverso lo schema rituale di Atti 13,1-3 e Atti 10,1-16. Leggiamo il testo di 10,1-16: Cera in Cesara un uomo di nome Cornelio, centurione della coorte Italica, uomo pio e timorato di Dio con tutta la sua famiglia; faceva molte elemosine al popolo e pregava sempre Dio. Un giorno verso lora nona vide chiaramente in visione un angelo di Dio venirgli incontro e chiamarlo: Cornelio!. Egli lo guard e preso da timore disse: Che c, Signore?. Gli rispose: Le tue preghiere e le tue elemosine sono salite, in tua memoria, innanzi a Dio. E ora manda degli uomini a Giaffa e f venire un certo Simone detto anche Pietro. Egli ospite presso un tal Simone conciatore, la cui casa sulla riva del mare. Quando langelo che gli parlava se ne fu andato, Cornelio chiam due dei suoi servitori e un pio soldato fra i suoi attendenti e, spiegata loro ogni cosa, li mand a Giaffa. Il giorno dopo, mentre essi erano per via e si avvicinavano alla citt, Pietro sal verso la sesta ora sulla terrazza a pregare. Gli venne fame e voleva prendere cibo. Ma mentre glielo preparavano, unestasi (ekstasis) venne su di lui. Vide il cielo aperto e un oggetto che discendeva come una tovaglia grande, calata a terra per i quattro capi. In essa cera ogni sorta di quadrupedi e rettili della terra e uccelli del cielo. Allora risuon una voce che gli diceva: Alzati, Pietro, uccidi e mangia!. Ma Pietro rispose: No davvero, Signore, poich io non ho mai mangiato nulla di profano e di immondo. E la voce di nuovo a lui: Ci che Dio ha purificato, tu non chiamarlo pi profano. Questo accadde per tre volte.

Nel caso di Cornelio, bisogna supporre che la visione che egli riceve avvenga mentre pregava perch si dice che egli pregava sempre Dio (deomenos tou theou dia pantos ). Non sfuggir che dia pantos un sinonimo di pantote, lavverbio che il Ges di Lc18,1 usa per dire che bisogna pregare in ogni momento. Che Cornelio riceva la visione mentre prega confermato dal testo stesso di Atti 10,30: Cornelio allora rispose: Quattro giorni or sono, verso questora, stavo pregando (mn
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proseuchomemos ) la nona nella mia casa,[34] quando ecco di fronte a me un uomo in veste splendente. Al v. 4 langelo dice a Cornelio: Le tue preghiere e le tue elemosine sono salite, in tua memoria, innanzi a Dio. Come ha notato E.Delebecque,[35] ricordando il Salmo 140 (141),2, la salita della preghiera innanzi a Dio in connessione con la salita del fumo dei sacrifici al cospetto di Dio. La preghiera, in sostanza, non scindibile dal sacrificio con cui connessa. Molto probabile, ma non certa, anche la connessione dellora della rivelazione con lora del sacrificio nel Tempio di Gerusalemme. Se anche questa seconda connessione fosse pensata dallautore degli Atti, potremmo dire che qui la visione appare allimprovviso durante la preghiera fatta in connessione con il sacrificio del Tempio. Non pu essere causale che le ore indicate per la preghiera e la rivelazione ottenute da Cornelio e da Pietro coincidano con quelle dei sacrifici che si svolgono nel Tempio. Del resto difficile pensare che lautore degli Atti (se lo stesso autore del Vangelo di Luca) non stia molto attento al fatto che lora nona quella della morte di Ges che era pensata in connessione allora del sacrificio del Tempio di Gerusalemme. Che lautore degli Atti pensi forse che vi sia una connessione tra visione e sacrificio, non deve sembrare strano. La connessione tra sacrificio e divinazione, infatti, come abbiamo fatto notare fin dallinizio pu essere normale in molte culture ed esisteva nella religione romana di cui lautore degli Atti certamente informato. Anche la visione ricevuta da Pietro in Atti 10,9-16 si verifica durante il rito della preghiera individuale (non abbiamo qui alcuna liturgia collettiva).[36] Sembra anche che Pietro non intraprenda la preghiera per ottenere una rivelazione. Durante la preghiera si verifica in modo improvviso ci che il testo chiama ek stasis :[37] i cieli si aprono e Pietro vede scendere in terra il lenzuolo pieno di bestie considerate impure dal libro del Levitico. In questo caso, la funzione della visione quella di porre in luce un problema, quello della impurit del cibo, e immediatamente dopo la sua soluzione. Una decisione su questa questione sarebbe stata impossibile senza una legittimazione soprannaturale. La rivelazione ottenuta di straordinaria rilevanza Ci che Dio ha purificato tu non farlo profano.[38] La connessione della preghiera di Pietro con lora sesta fa problema agli esegeti perch non sembra in connessione con un sacrificio del Tempio n con unora fissa per la preghiera.[39] Mentre quindi la preghiera di Cornelio sembra maggiormente espressione di una religione del tempio quella di Pietro sembra maggiormente muoversi al di fuori di essa. Svolgendosi in qualsiasi luogo e tempo. In ogni caso, la preghiera appare in Atti 10, 1-16 come un atto rituale complesso e ad essa si connettono rivelazioni (che si esprimono con voci e visioni) che avvengono allimprovviso durante la preghiera stessa. Leggiamo ora anche il testo di Atti 13,1-3: Cerano nella comunit di Antiochia profeti e dottori: Barnaba, Simeone soprannominato Niger, Lucio di Cirne, Manan, compagno dinfanzia di Erode tetrarca, e Saulo. Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando , lo Spirito Santo disse: Riservate per me Barnaba e Saulo per lopera alla quale li ho chiamati. Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li accomiatarono. Gli Atti descrivono, qui, un rito collettivo localizzato ad Antiochia. Ad esso sembrano partecipare solo cinque persone qualificate come dottori e profeti. Anche se non possiamo escludere che gli Atti omettano di nominare altri partecipanti che per sono pensati presenti, il che implicherebbe una liturgia di ben pi ampie proporzioni. Questa forma rituale sembra essere caratterizzata da due elementi: il pregare e il digiunare. Lelemento del digiuno conferisce una durata temporale particolare al rito e implica quindi anche una sua preparazione adeguata. Si deve infatti pensare che un digiuno, per essere chiamato tale, duri almeno un intero giorno. Ci che supposto culturalmente in questo rito che lo Spirito santo possa manifestarsi ed entrare in contatto con gli esseri umani
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in seguito a preghiera e per giunta che ci possa avvenire quando il corpo umano sia stato sottoposto ad un pi o meno lungo digiuno. Sembra comprensibile, come hanno sostenuto molti, tra cui J.Pilch,[40] che il ricorso al digiuno sia praticato in quanto permette lottenimento dello stato di trance, il quale a sua volta permette lattivazione di capacit particolari di percezione psichica. In questo caso, durante il rito di preghiera, ad un momento non precisato, ma che si capisce essere improvviso, lo Spirito santo si manifesta, non con unapparizione sembra - ma mediante un dire: separate per me Barnaba e Saulo per lopera alla quale li ho chiamati. Terminato questo rito, gli Atti aggiungono: Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li accomiatarono.

Siccome il digiuno implica un periodo di tempo di almeno un giorno, dobbiamo ipotizzare che lautore degli Atti stia pensando ad un secondo atto rituale complesso che forse non pu che svolgersi nei giorni successivi. Solo unaffrettata lettura puramente letteraria del testo pu indurre il lettore a pensare che la scena si svolga immediatamente dopo e rapidamente. Anche questa seconda azione rituale lunga: richiede infatti un digiuno. Essa consiste in una preghiera con funzione divinatoria, una decisione e limposizione delle mani su Barnaba e Saulo. Sembra quindi che lautore degli Atti degli Apostoli possieda un modello rituale, il quale corrisponde con tutta probabilit ad una precisa pratica di alcune comunit. Egli ci dice che il rito si svolgeva ad Antiochia, citt che da altre fonti protocristiane sappiamo essere molto caratterizzata da fenomeni che potremmo definire forse profetici.[41] Secondo questo modello, la manifestazione dello Spirito santo cercata intenzionalmente e accuratamente mediante riti collettivi preparati. Una prima conclusione che si impone che le rivelazioni vengono cercate in relazione ad una decisione importante da compiere o ad una rilevante incertezza da superare. Emerge da questo episodio che unlite di profeti e dottori (proftai k ai didask aloi) che sembra presiedere sia ai modi per ottenere una conoscenza e una legittimazione soprannaturale sia alle decisioni che ne derivano. Ci sembrerebbe riflettere una fase della storia delle comunit dei seguaci di Ges in cui gli specialisti del contatto con il soprannaturale (chiamati genericamente dottori e profeti) detengono un ruolo fondamentale nelle decisioni e nel modo di prenderle. La domanda da porsi se ci caratterizzi una fase particolare della storia protocristiana o anche solo di alcune sue zone geografico-culturali. Ma non possiamo certo rispondere qui a questa domanda. Esaminiamo adesso un terzo passo degli Atti degli Apostoli: [4.23] Appena rimessi in libert, andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto i sommi sacerdoti e gli anziani. [24] Alludire ci, tutti insieme levarono la loro voce a Dio dicendo: Signore, tu che hai creato il cielo, la terra, il mare e tutto ci che in essi, [] Ed ora, Signore, volgi lo sguardo alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di annunziare con tutta franchezza la tua parola. [30] Stendi la mano perch si compiano guarigioni, miracoli e prodigi nel nome del tuo santo servo Ges. [31] Quandebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati trem e tutti furono pieni di Spirito Santo e annunziavano la parola di Dio con franchezza (4,23-31). Anche in questo caso siamo di fronte (a) ad una liturgia di preghiera, (b) di carattere collettivo, (c) che ha lo scopo di ottenere un intervento soprannaturale, e che (d) di fatto lo ottiene (il luogo trema e tutti ricevo lo Spirito Santo e possono annunciare la parola di Dio). La liturgia non si svolge in luogo deputato istituzionalmente alla preghiera. Riassumiamo ora i dati che emergono da questi tre testi. 1. Anzitutto i passi di Atti 4,23-31; 10,1-16; 13,1-3 dimostrano che Luca aveva conoscenza di prassi rituali di preghiera individuale e collettiva che avevano per scopo un contatto con il soprannaturale (e che di fatto lottenevano), al fine di risovere questioni e prendere decisioni o compiere azioni di significato religioso rilevante in cui non si aveva n lappoggio della tradizione religiosa
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giudaica, n quello di parole o prassi di Ges; 2. In secondo luogo, abbiamo visto che Luca ha interpretato il battesimo di Ges, la sua la trasfigurazione, la scelta dei dodici e diversi altri episodi della sua azione come forme di contatto col soprannaturale rese possibili tramite la pratica di un rito di preghiera; 3. ci significa che Luca riteneva che esistesse una continuit di prassi rituale tra Ges e le comunit dei suoi discepoli. Luca riteneva che anche Ges avesse realmente praticato riti di preghiera per ottenere un rapporto speciale con il soprannaturale in vista di importanti decisioni. 4. La continuit tra la prassi rituale di preghiera di Ges e quella delle comunit a lui successive sta nel fatto che la preghiera era rivolta - sia da Ges sia dalle comunit dei suoi seguaci - a Dio, dal quale ci si attendeva intervento e rivelazione. 5. Ci significa che la continuit tra le comunit protocristiane e Ges sta nel fare ricorso a rivelazioni di Dio tramite riti di preghiera, pi che nei contenuti delle rivelazioni ottenute o delle decisoni prese in base a rivelazione. 6. lobbedienza a rivelazioni di Dio ottenute nella preghiera che costituisce la continuit, non la ripetizione di norme e insegnamenti gesuani. 7. Ci spiega che, nonostante la continuit con Ges nella prassi rituale di preghiera, i suoi discepoli dopo la sua morte potessero innovare rispetto a lui e anche differenziarsi fra loro in base alle rivelazioni ricevute e alle decisioni prese in connessione ad esse. 3.2. Lo scenario delle comunit paoline e giovanniste a. Ci dovremmo ora domandare se simili pratiche rituali di preghiera esistevano anche altrove nelle comunit protocristiane e se queste pratiche derivassero da quelle che Ges stesso aveva fatto proprie. La riposta a questa domanda richiederebbe tuttavia unampia indagine impossibile qui. Mi limiter perci solo ad alcuni brevissimi accenni riassumendo argomenti trattati da Adriana Destro e me in altre occasioni. Come scrivevamo in un articolo pubblicato alcuni anni fa: un fatto su cui esiste un consenso ci sembra molto vasto che i fenomeni di rivelazioni, visioni, ascolti di voci, sogni, viaggi celesti, ecc. rappresentino una caratteristica del cosiddetto primo cristianesimo. Dai testi protocristiani, sia quelli che poi diventeranno canonici sia quelli che poi diventeranno apocrifi, questo dato emerge in modo impressionante.[42] [] esiste una continuit tra Ges e la comunit dei suoi seguaci in queste pratiche culturali? Dobbiamo cercare di spiegare la loro apparizione nei gruppi di Ges, subito dopo la sua morte, come assunzione di forme culturali dellambiente circostante che Ges non aveva praticato o che in lui non erano centrali? Oppure dobbiamo ipotizzare che Ges stesso sia allorigine di questa prassi? Non da escludere che quanto pi si sviluppa nei gruppi dei seguaci di Ges la convinzione che egli fosse un essere di tipo soprannaturale, appartenente alla sfera divina, tanto pi potevano essere messe in ombra quelle esperienze di lui che invece presupponevano la chiara distanza tra lui e il mondo divino. Un essere divino non ha bisogno di rivelazioni, non ha bisogno di chiedere altrove conoscenza e potenza. Ne hanno bisogno gli uomini. La ricerca di rivelazioni, infatti, dettata in genere dal bisogno umano di raggiungere lambito divino o soprannaturale dal quale ottenere sostegno, guida, protezione per la vita ordinaria. Uno dei problemi centrali per comprendere la nascita del cristianesimo dunque quello della continuit o discontinuit tra Ges e le comunit dei suoi seguaci dopo la sua morte. Il tema continuit/discontinuit stato spesso studiato dal punto di vista degli elementi dottrinali. Noi vogliamo studiarlo invece dal punto di vista di precise forme culturali impiegate da Ges e dai gruppi che a lui si ispirarono, cio quelle che rendevano possibili dei contatti con la sfera della divinit cos come era concepita nelle culture del I e del II secolo.[43] b. Comincer con Paolo. A differenza dellautore del Vangelo di Luca e degli Atti degli Apostoli, Paolo non descrive mai la pratica religiosa di Ges e quindi non possiamo sapere se egli pensasse che le proprie pratiche di contatto con il soprannaturale fossero o no affini a quelle di Ges. Sappiamo per che tutta la sua vita religiosa stata determinata in modo assoluto da rivelazioni. Ci che ha determinato il cambiamento fondamentale della sua vita e la sua adesione al movimento di Ges stata una rivelazione (Gal 1,1.12.16). Tutti i momenti decisivi della sua esperienza successiva sembrano determinati da rivelazioni. Certo, egli ha un contatto con quanto avviene nel resto dei gruppi dei seguaci di Ges e ritiene normativo un certo numero di pratiche religiose e di dottrine che gli sono state tramandate da questi gruppi (1 Cor 15,3-5; 11,23). Certo, egli ha un contatto con la trasmissione delle parole di Ges, come essa avveniva allinterno dei diversi gruppi di predicatori protocristiani.[44] Ma il centro della sua esperienza determinata dal possesso dello Spirito santo, o dello Spirito di Cristo, e quindi da unesperienza che potremmo definire latamente profetica, cio centrata su rivelazioni. Anzi, egli considera che la certezza delle
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convizioni religiose vada ottenuta mediante un contatto con il mondo divino attraverso un insieme di pratiche che preferisco definire di contatto con il soprannaturale. Nelle comunit paoline, le pratiche di contatto con il soprannaturale sono molto diffuse ed lo stesso Paolo che le considera essenziali e desidera che si diffondano. Secondo Paolo, tutti i battezzati hanno accesso allo spirito santo, alle rivelazioni di Ges Cristo e di Dio. E anzi doveroso cercare di ottenere dei particolari carismi, cio doni dello spirito (1 Cor 12, 31: cercate i carismi pi grandi; 14, 39: cercate la profezia).[45] Si tratta di esperienze abbastanza differenziate. Mi limiter a riasumere solo tre soli aspetti. (a) Alcuni di questi fenomeni hanno carattere collettivo, rituale ed interno alle chiese. Esistevano pratiche religiose nelle quali i profeti potevano accedere alla conoscenza della volont di Ges, potevano ricevere rivelazioni da lui mediante lo Spirito (1 Cor 2,6-3,1; 1 Cor 12-14 e in particolare 1 Cor 14, 23-25; 29-33; 37-38; Fil 3,15),[46] (b) altre pratiche sembrano riservate ad una cerchia particolare (1 Cor 2,6-16) anche se Paolo non dice chiaramente come e dove questa cerchia si riunisca, (c) altre infine sembrano avere una dimensione esclusivamente individuale e non liturgica: il caso delle esperienze personali di Paolo (2 Cor 12, 1-4), ma forse anche di pratiche religiose individuali dei profeti paolini di cui per non abbiamo testimonianza testuale nelle lettere. Fra le rivelazioni di carattere individuale, Paolo sostiene di avere avuto visioni e rivelazioni (2 Cor 12, 1) dal Ges celeste.[47] Tra queste esperienze, egli annovera anche uno o forse due viaggi celesti, uno al terzo cielo e laltro fino al paradiso. Potrebbe darsi che sia stato Cristo stesso, secondo Paolo, a trascinarlo al terzo cielo o al paradiso. Si conferma che il contatto con il Ges celeste fondamentale e costituisce probabilmente lapice dellesperienza di questo tipo di religione. Nel testo di 2 Cor 12,3-4, interessante che Paolo, nella sua qualit di uomo che ascende al paradiso, sostenga di avere udito parole ineffabili che non lecito alluomo pronunciare. Nel descrivere il proprio caso, Paolo, non sottolinea semplicemente di poter profetizzare o parlare in lingue, o comunque in modo ispirato, nellassemblea, ma di custodire personalmente il senso di rivelazioni non comunicabili. Ci significa che la finalit di queste rivelazioni individuali non quello di costruire un sapere comune, o di fornire una base per listruzione dei membri della ek k lsia. Queste esperienze conferiscono al soggetto una qualit supplementare, quello del conoscitore delle cose segrete.[48] Le esperienze soprannaturali di 2 Cor 12, 1 ss, in conclusione, non rendono Paolo un messaggero. Le rivelazioni che lo costituiscono tale sono di un altro tipo (cfr. ad esempio Galati 1,12). Se confrontiamo il quadro paolino con quello gesuano ci sembra, in sostanza, che possano essere messi in rilievo alcuni elementi di continuit ed altri invece di discontinuit. Sia in Ges sia in Paolo appaiono esperienze che hanno carattere e finalit solo individuale (il battesimo di Ges e i viaggi celesti di Paolo) altre che hanno almeno alcuni aspetti di carattere esoterico ed iniziatico come lepisodio della trasfigurazione o come le esperienze di rivelazione dello Spirito tra Paolo e alcuni membri perfetti delle comunit paoline (1 Cor 2,6-3,4). Non appaiono invece in Ges le scene di rivelazione profetica comunitaria e collettiva che sono parzialmente descritte in 1 Cor 12-14. Anzi il battesimo, le tentazioni e la trasfigurazione non hanno carattere profetico. Sono proprio le esperienze di rivelazione dello Spirito di carattere iniziatico che hanno maggiore possibilit di connessione con le esperienze iniziatiche di Ges. E tuttavia la pratica religiosa del viaggio celeste sembra molto apparentata in Paolo a quelle pratiche religiose simili che sono attestate nel suo tempo sia ambito ellenistico che in ambito romano (e non solo giudaico!).[49] Per quanto riguarda il giovannismo, ripresento qui in sintesi i risultati di una precedente ricerca, mia solo a met.[50] Il profetismo giovannista si basa su una trasmissione dello Spirito che viene percepito come fonte soprannaturale di una conoscenza totale, che va al di l sia della Sacra Scrittura sia delle stesse parole di Ges. Ci sembra che, in Giovanni, emergano indizi che ci permettono di ipotizzare: (a) un contesto cultuale della esperienza del contatto con il divino; (b) unesperienza (estatico-profetica) che si concreta nel viaggio celeste;[51] (c) una tecnica ermeneutica che sembra presupporre unattivit di scuola; (d) la produzione di un testo come espressione dellattivit profetica. Ci sembra che sia ipotizzabile una raffigurazione implicita di Ges come profeta alla quale deve essere aggiunta ed integrata quella che emerge dai testi nei quali a Ges esplicitamente
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attribuito il titolo di profeta. Lambiente giovannista, quindi, si concepisce in continuit con il profetismo di Ges. Giovanni afferma esplicitamente che Ges comunica la sua capacit profetica ai discepoli mediante la trasmissione dello spirito.[52] Forse si potrebbe ipotizzare che nel giovannismo esista una evoluzione che vede tre fasi o livelli: Ges, il discepolo amato, i cosiddetti profeti giovannisti. Mentre, nelle prime due fasi o livelli, la ricerca del divino si manifesta con il carattere della eccezionalit o della singolarit, nella terza il profetismo appare come esperienza di un insieme di discepoli, forse di tutti i membri del gruppo. Appare come un fenomeno di scuola che ha i suoi metodi ermeneutici, procedimenti analitici, applicati sia alle parole di Ges, sia alla Scrittura (pur senza rinunciare allesperienza soprannaturale profetica, cultuale o meno). A questo livello si manifesta peraltro una lotta interna al giovannismo tra una profezia che si pretende vera ed una che viene giudicata falsa.[53] Nel giovannismo ogni forma di vita religiosa deve consistere in un rapporto mistico-reale con Ges tramite lo Spirito. Quindi tutte le attivit cultuali del giovannismo debbono avere un rapporto essenziale con il Ges risorto. Nel giovannismo, quindi, il profetismo sembra assumere una dimensione cristologica gi presente, seppure in forma diversa, anche in Paolo. 4. Osservazioni conclusive In queste pagine non mi sembra avere fatto di pi che presentare unipotesi di ricerca e gli elementi che la possono giustificare e che meritano di essere posti al centro di una ricerca accurata. Nel Vangelo di Luca e negli Atti degli Apostoli si fa luce un pattern di pratica religiosa centrato su riti di preghiera che hanno per scopo lottenimento di rivelazioni da parte di Dio o del suo Spirito. Lautore di queste due opere sembra convinto che anche Ges praticasse questi riti e sembra presupporre una continuit fra le comunit protocristiane che egli conosceva e Ges stesso proprio nellesercizio di questa pratica religiosa. Esaminando la pratica di vita di Ges, ad Adriana Destro e me[54] sembrato che la collocazione interstiziale di Ges e la sua condizione esistenziale di itinerante tendesse a provocare o a rendere possibile la creazione di forme religiose sostanzialmente estranee ai luoghi, ai tempi e alle forme religiose istituzionali di allora, e centrate invece sulla propria dimensione corporea e in luoghi e tempi marginali. Il suo progetto di radicale trasformazione religiosa della societ ad opera del solo Dio,[55] tendeva a porre in atto azioni rituali che permettessero a Dio di manifestarsi. Ges quindi cercava di svincolare ogni proprio atto rituale da qualsiasi catena di atti rituali che fosse espressione simbolica della societ esistente la quale invece doveva essere profondamente trasformata dallintervento di Dio. I riti di preghiera che tendono ad ottenere rivelazioni diventano unesperienza fondamentale nella vita di Ges e il primo cristianesimo. E in essi che il nuovo movimento elabora poco alla volta il proprio sistema simbolico, con il quale cerca di spiegare la sua nuova prassi e la nuova realt sociale e individuale che sta creando. Nelle due opere lucane, nonostante la straordinaria attenzione alla continuit delle pratiche di preghiera, si fa luce uno spostamento, in Luca, dalla condizione interstiziale di Ges ad un inserimento pi normale nelle istituzioni religiose del giudaismo e verso una sensibilit che tende ad una religione civica e del tempio, secondo la terminologia di J.Z.Smith. Anche nelle lettere paoline emerge limportanza fondamentale delle pratiche di contatto con il soprannaturale sia al livello individuale di Paolo sia al livello comunitario. Ma le differenze sembrano anche molto forti. Nelle letteratura giovannista emerge la medesima continuit con Ges, ma le pratiche di contatto con il soprannaturale sembrano assumere sempre di pi un contenuto e una sostanza cristologica.

[1] How on Earth did Jesus Become a God? Historical Questions about Earliest Devotion to Jesus , Grand Rapids: Eerdmans, 2005; Lord Jesus Christ: Devotion to Jesus in Earliest Christianity. Grand Rapids: Eerdmans, 2003 (ora tradotto dalla editrice Paideia di Brescia: Signore Ges Cristo, 2006; "Homage to the Historical Jesus and Early Christian Devotion", Journal for the Study of the Historical Jesus 1/2 (2003), Pp. 131-46; At the Origins of Christian Worship: The Context and Character of Earliest Christian Devotion (The 1999 Didsbury Lectures),
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Carlisle: Paternoster Press, 1999; Grand Rapids: Eerdmans, 2000; One God, One Lord: Early Christian Devotion and Ancient Jewish Monotheism, Philadelphia: Fortress Press, 1988. British edition by SCM Press. Second edition, Edinburgh: T. & T. Clark, 1998 reprint edition, London: T&T Clark (Continuum), 2003. La lista dei suoi numerosi articoli sul tema consultabile sulla home-page di Hurtado presso il sito web dellUniversit di Edinburgo. [2] Signore Ges Cristo, p.53. Egli (One God, One Lord, 100-114) indica sei di questi atti rituali. [3] Signore Ges Cristo, pp. 66-67. [4] Ivi, p. 76. Da qualche hanno Adriana Destro ed io abbiamo messo al centro dei nostri interessi lo studio delle esperienze religiose di Ges (cfr. nota 6). [5] Signore Ges Cristo, p. 77. [6] Si tratta soprattutto dei tre seguenti articoli di A. Destro e M. Pesce, Il profetismo e la nascita di una religione: il caso del Giovannismo, in: G.Filoramo (a cura di), Carisma profetico, fattore di innovazione religiosa, Brescia, Morcelliana, 2003, 87-106; Continuit o discontinuit tra Ges e i gruppi dei suoi seguaci nelle pratiche culturali di contatto con il soprannaturale? in L.Padovese (a cura di), Atti del Atti de Nono Simposio Paolino. Paolo tra Tarso e Antiochia. Archeologia / Storia / Religione, Roma, Pontificia Universit Antoniano, 2006, 21-43; La funzione delle parole. Rivelazioni dopo l'ascensione di Ges", in L.Padovese (a cura di), Atti del Atti de Decimo Simposio Paolino, Roma, Pontificia Universit Antoniano, 2007, 159-174. [7] Bologna Zanichelli, 1970, decima edizione, p. 458. [8] Sul rito, cf C.Bell Ritual Theory, Ritual Practice. New York / Oxford: Oxford University Press, 1992; S.J.Tambiah, Rituali e cultura, Bologna, Il Mulino, 1995, (or. am.: Culture, Thought, and Social Action. An Anthropological Perspective, Cambridge MA, Harvard University Press, 1985). Altra bibliografia in A. Destro, Antropologia e Religioni. Brescia, Morcelliana, 2005. [9] Cf. G. Filoramo, Che cos' la religione : temi, metodi, problemi, Torino, Einaudi, 2004. [10] Interpretazione di Culture, Bologna, Il Mulino, 1998, pp. 245-92. Per una critica a Geertz cfr. T.Asad , The Construction of Religion as an Anthropological Category, in Lambek M. (ed.) Anthropology of Religion. Oxford, Blackwell Publishing, 2002. [11] Ges aveva una capacit corporea taumaturgica che risiedeva nel suo corpo: Cf A.Destro - M.Pesce, Luomo Ges. Luoghi, giorni, incontri di una vita, Milano, Mondadori 2008, pp. 157-187. [12] Relating Religion. Essays in the Study of Religion, University of Chicago Press, Chicago and London, 2004. [13] Ovviamente, dal punto di vista metodologico si tratta di un pattern , un modello, uno schema euristico. Ogni modello serve solo per vedere meglio, non si identifica con la realt storica, non sostituisce lindagine storica n la fase etnografica dellanalisi antropologica. E' vero che la sociologia e l'antropologia, sebbene in forme abbastanza differenti, elaborano ed utilizzano modelli per l'interpretazione dei fenomeni, ma questi modelli non sono altro almeno nella impostazione che io seguo - che degli schemi mentali euristici che servono a vedere meglio l'oggetto da studiare, non a trasformarlo in base a schemi astratti. L'antropologia ha posto al cuore del suo metodo una approfondita analisi dell'uso critico dei modelli e dei concetti antropologici, visto che il suo scopo la ricostruzione dei sistemi concettuali cosiddetti emici, cio caratteristici
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dell'oggetto particolare della sua ricerca. L'antropologia ha fatto del rispetto dell'identit particolare dell'altro lo scopo forse primario della sua indagine. Lo studio antropologico parte dalla consapevolezza della distanza e della diversit tra il ricercatore e il suo bagaglio concettuale da un lato e gli esseri umani studiati e il loro bagaglio concettuale dallaltro. D'altra parte agli occhi degli studiosi di storia delle religioni o di antropologia delle religioni sono proprio le opere di molti biblisti ad apparire dominate senza sufficiente autocritica da problematiche e schemi concettuali che sono tipici delle loro chiese di appartenenza in modo tale che i testi biblici e i relativi fenomeni vengono indebitamente assimilati alle chiese di oggi, alle loro teologie e alle loro problematiche, senza una adeguata consapevolezza della distanza e della differenza. La prospettiva metodologica di questo studio si basa, in ogni caso, sulla consapevolezza che indipendentemente dalle discipline adottate qualsiasi interprete, sia egli filologo, storico o antropologo, pu conoscere l'oggetto della sua indagine solo a partire dal bagaglio concettuale suo proprio e perci diverso da quello dell'oggetto studiato. E' lo studio filologico e storico stesso che deve permettere quel processo dialettico che produce una conoscenza che in tanto possibile in quanto le categorie dell'interprete si aprono ad un confronto che alla fine le rende in grado di comprendere le categorie diverse, distanti e lontane, 'altre' appunto, dell'oggetto indagato. Lo studio che qui introduciamo parte quindi dalla consapevolezza che noi apparteniamo ad una cultura e a una societ che sono profondamente separate e distanti dalle culture e societ che si fanno luce nelle fonti protocristiane. La costruzione di reticoli concettuali consapevoli serve proprio allo scopo di neutralizzare i presupposti culturali inconsapevoli della nostra cultura di oggi. [14] Sullaspetto interstiziale del movimento di Ges rimando Destro - Pesce, LUomo Ges, 128-156. [15] Litineranza di Ges ha la funzione di non legarlo a nessun luogo particolare e a nessuna funzione e forma sociale particolare permettendogli tuttavia di vivere continuamente allinterno dei nuclei domestici e degli ambiti lavorativi e in modo sconvolgerne la logica a causa della sua totale mancanza di reti sociali di interesse personale (cfr. Destro-Pesce, Luomo Ges, 42-58. 128-156. [16] Questo il caso non solo di Giovanni il Battezzatore e di Ges, che non erano riconosciuti dai centri di potere, ma anche di Paolo che, almeno inizialmente, fa molta fatica ad essere accettato da chi detiene autorit a Gerusalemme nel movimento dopo la morte di Ges. [17] Relating Religion, pp. 329-330. Daltro canto, parentela e istituzioni religiose tendono sempre a risucchiare col tempo le forme interstiziali. Un altro schema interpretativo quello offerto dalla distinzione tra comunit e societ e la crisi di identificazione con le istituzioni (M.Pesce, Linevitabile rapporto tra religioni e potere: prospettive socio-antropologiche, Ricerche Storico-Bibliche 18 (2006) 17-42). [18] Ivi, 330. [19] Ivi, 330-331. [20] Non mi soffermo sul battesimo perch ne abbiamo parlato a lungo in: Destro-Pesce, Continuit o discontinuit tra Ges e i gruppi dei suoi seguaci nelle pratiche culturali, vedi nota 6. [21] Identificare dei rituali significa anche distinguerli, ma con distinzioni relativamente contrastive (piuttosto che assolute) (Tambiah, Rituali e cultura, 125). [22] Kalinowski 2003. [23] La divinazione nelle sue differenti forme ha lo scopo di identificare le cause degli eventi, soprattutto negativi. Essa esige di essere seguita da una serie di rituali tra i quali la preghiera e lesorcismo che hanno lo scopo di eliminare le cause individuate. [24] Una pratica rituale pu essere definita esorcistica quando ha come scopo di neutralizzare un potere maligno.
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Le pratiche esorciste possono includere sia luso di talismani che il ricorso a riti sacrificali. [25] A.Destro - M. Pesce, The Levitical Sacrifices in Anthropological Perspective: The Case of the Ritual for a Leper (Lev. 14: 1-32), in Ph.Esler (Ed.), The Old Testament in its Social Context, Minneapolis, Ausburg Fortress, 2005, 66-77.; tr. it.: I sacrifici levitici in prospettiva antropologica. Il caso del rituale per il lebbroso (Lev. 14,1-32), in Philip F. Esler, Israele Antico e scienze sociali, Brescia, Paideia, 2009, 86-99. [26] M.Douglas, Leviticus as Literature, Oxford/New York, Oxford University Press, 1999. [27] Esistono molte preghiere protocristiane, e sono state anche raccolte in utili antologie. Cf. Mark Kiley, Prayer From Alexander to Constantine. A Critical Anthology, Routledge, London, 1997; S. Pricoco - M. Simonetti, La preghiera dei cristiani (Scrittori greci e latini), Milano, 2000. Nella collezione di Kiley sono elencate le seguenti preghiere del primo cristianesimo: il Padrenostro (Q 11: 2b-4; Mt 6,9b-13; Lc 11,2b-4 Did 8,2); il Magnificat (Lc 1,46-55); la preghiera di Gv 17; At 4,24-30 (vedi soprattutto il v. 30: Stendi la mano perch si compiano guarigioni, miracoli e prodigi nel nome del tuo santo servo Ges); Fil 2,6-11. Nessuna di queste preghiere rivolta a Cristo. [28] Per i quali rimando a Destro-Pesce, Continuit o discontinuit tra Ges e i gruppi dei suoi seguaci nelle pratiche culturali. [29] Ivi, 328. [30] Ivi, 329. [31] Ivi, 329. [32] Ad esempio i due sacrifici del mattino e della sera (Es 2,39.41; Num 28,4.8; Lev 6,2-6; Giuseppe, Ant. 14,65). [33] Mentre io stavo ancora parlando e pregavo e confessavo il mio peccato e quello del mio popolo Israele e presentavo la supplica al Signore Dio mio per il monte santo del mio Dio, mentre dunque parlavo e pregavo, Gabriele, che io avevo visto prima in visione, vol veloce verso di me: era lora del sacrificio (thysia ) della sera (sulla connessione preghiera sacrificio cf anche Giuditta 9,1). Cfr. A.Loisy, Les Actes des Aptres, Paris, Nourry, 1920, ad loc.; D.Marguerat, Les Actes des Aptres (1-12 ), Labor et Fides, Gnve, 2007, 117. D.Hamm, The Tamid Service in Luke-Acts: The Cultic Background Behind Lukes Theology of Worship, Catholic Biblical Quarterly 65(2003), 215-231. [34] Le varianti testuali del codice D e di altri manoscritti sono interessanti per il loro interesse allora della preghiera e alla relazione tra preghiera e digiuno. [35] Les Actes des Aptres, Paris, Les Belles lettres, 1982, 49. Cfr. anche Marguerat, Les Actes des Aptres , 375 che ricorda Siracide 35,9. Marguerat, tuttavia, sottolinea di pi la connessione con lora della preghiera giudaica piuttosto che con lora del sacrificio e il fatto che dans le judasme du second temple sest dveloppe lide que les prires et la charit, et mme ltude de la Torah, sont des sacrifices spirituels quivalents ceux qui sont offerts au temple. Ora queste osservazioni corrono il pericolo di eludere la connessione culturale forte tra preghiera e sacrificio che invece sottesa dal testo. Il testo non dice che le preghiere sostituiscono il sacrificio
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e lo spiritualizzano. Al contrario, senza sacrificio la preghiera fa parte ideale del culto sacrificale. [36] Il fatto che la rivelazione avvenga ad un singolo e non in una liturgia collettiva non sembra fare alcun problema allautore degli Atti. [37] Il racconto degli Atti degli Apostoli implica da parte dellautore una conoscenza e unattenzione ai fenomeni di dislocamento, alterazione definiti ek stasis . Filone, Her. 69-70 connette la dislocazione con luscire da s dei posseduti e dei coribanti, come nota L. Nasrallah, An Ecstasy of Folly. Prophecy and Authority in Early Christianity, Cambridge MA, Harvard Theological Studies, 2003, 38. Sullestasi in Filone sullo sfondo e nella cultura greca, giudaica e protocristiana cfr. ivi, 36-44. [38] Se un problema di conferma della validit o certezza della rivelazione si pone, esso risolto mediante il meccanismo della convergenza di una pluralit di rivelazioni che si confermano le une con le altre: quella di Cornelio e quella di Pietro (ci avviene negli Atti anche nel caso della visione concessa a Paolo, confermata da quella ad Anania). [39] Cfr. Marguerat, Les Actes des Aptres , 376-377; J.A.Fitzmyer, The Acts of the Apostles : A New Translation with Introduction and Commentary (The Anchor Bible), Doubleday, New York, 1998, 454. Diversamente Loisy, Les Actes des Aptres , 435. [40] J.Pilch, Visions and the Healing in the Acts of the Apostles. How the Early Believers Experienced God, Liturgical Press, Collegeville Minnesota, 2004. [41] P. Bettiolo, A.Kossova, C.Leonardi, E.Norelli, L.Perrone (eds.), Ascensio Isaiae. 2 voll. (CCSA, 7-8), Brepols, Turnhout, 1995; E. Norelli, LAscensione di Isaia. Studi su un apocrifo al crocevia dei cristianesimi (Origini, Nuova Serie 2), EDB, Bologna, 1995; A.Destro - M.Pesce, Plurality of Christian Groups at Antioch in the First Century: The Constellations of Texts, in L.Padovese (a cura di), Atti dellOttavo Simposio Paolino, Paolo tra Tarso e Antiochia. Archeologia / Storia / Religione, Roma, Pontificio Ateneo Antoniano, 2004, 139-156. [42] D. Aune., La profezia nel primo cristianesimo, Brescia, Morcelliana, 2003 (orig. ingl. 1983); J.D.G Dunn, Jesus and the Spirit. A Study of the Religious and Charismatic Experiences of Jesus and the First Christians as Reflected in the New Testament, SCM, London, 1975; G.Filoramo, Veggenti Profeti Gnostici.

Identit e conflitti nel cristianesimo antico, Brescia, Morcelliana, 2005; J. Pilch, Visions in Revelation and alternate Consciousness: A Perspective from Cultural Anthropology, Listening: Journal of religion and Culture 28 (1993) pp. 31-44; Id., Altered States of consciousness Events in the Synoptics, in B. J.Malina, W.Stegemann, G. Theissen (eds.), The Social Setting of Jesus and the Gospels, Fortress Press, Minneapolis, 2002, pp. 103115; The Transfiguration of Jesus: An experience of Alternate Reality, in Ph.Esler (ed.), Modelling Early

Christianity: Solcial-scientific Sudies of the New Testament in its Context, Routledge, London and New York, 1994, 47-64. [43] A. Destro e M. Pesce, Continuit o discontinuit tra Ges e i gruppi dei suoi seguaci nelle pratiche culturali di contatto con il soprannaturale? in L.Padovese (a cura di), Atti del Atti de Nono Simposio Paolino. Paolo tra Tarso e Antiochia. Archeologia / Storia / Religione, Roma, Pontificia Universit Antoniano, 2006, 21.
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[44] Pesce, Le parole dimenticate di Ges, Fondazione Lorenzo Valla, Milano, 2004, 4-23. 499-527. [45] La grande importanza dei fenomeni rivelativi nelle comunit paoline si mostra anche nello sviluppo di una terminologia molto articolata e specializzata per descriverli. Paolo distingue varie forme di rivelazioni: apocalissi, conoscenza, profezia, insegnamento, glossolalia (cfr. 1 Cor 14, 6 ma anche 1 Cor 12, 4-11). Cf anche M.Pesce, Le due fasi della predicazione di Paolo, 000-000. [46] Cfr. E.Boring, Sayings of the Risen Jesus. Christian Prophecy in the Synoptic Tradition, Cambridge, Cambridge University Press, 1982; M. Pesce, L'apostolo di fronte alla crescita pneumatica dei Corinzi (1 Cor 1214). Tentativo di analisi storica della funzione apostolica, Cristianesimo nella storia 3(1982)1-39; Id., La profezia cristiana come anticipazione del giudizio escatologico in 1 Cor 14,24-25, in: Testimonium Christi. Scritti in onore di Jacques Dupont, Brescia Paideia, 1985, 379-438, ora in: Le due fasi della predicazione di Paolo. Dall'evangelizzazione alla guida delle comunit, Bologna, Edizioni Dehoniane, 1994. [47] A. Destro - M.Pesce, Le voyage cleste.Tradition dun genre ou un schema culturel en contexte? in: N.Belayche - J.-D. Dubois (eds.), Cohabitations et Contacts , Paris, Cerf, 2009, pp. 000-000. [48] Si potrebbe paragonare questa condizione a ci che emerge nel soggetto abitato da uno spirito nelle situazioni di possessione. Questultimo, al suo ritorno (che un aspetto sicuramente molto importante dellesperienza) non libero di trasmettere quello che sa, se non forse in specifici casi. Si costruisce una sorta di solitudine di chi ha fatto il viaggio celeste o di chi abitato dallo spirito, che non consiste in una situazione di privazione o di immobilit. [49] Cfr. Filone Cicerone Seneca, Plutarco, Luciano; A.F. Segal, Heavenly Ascent in Hellenistic Judaism, Early Christianity and their Environment , ANRW II 23.2, Berlin, de Gruyter, 1980, pp. 1333-1394, qui p. 1388. Di Segal, vedi anche : Paul and Ecstasy, Society of Bibical Literature 1996 Seminar Papers , Atlanta Georgia, Scholars Press, 1996, 555-580 ; Destro-Pesce, Le voyage cleste. [50] A. Destro - M.Pesce, Il profetismo e la nascita di una religione: il caso del Giovannismo, in: G.Filoramo (a cura di), Carisma profetico, fattore di innovazione religiosa, Brescia, Morcelliana, pp. 87-106. [51] M.Pesce, Isaia disse queste cose perch vide la sua gloria e parl di lui (Gv 12,41): Il Vangelo di Giovanni e lAscensione di Isaia, Studia Patavina 50 (2003) pp. 649-666. [52] A. Destro - M.Pesce, Come nasce una religione. Antropologia e esegesi del Vangelo di Giovanni, Bari-Roma, Laterza, 2000, pp. 000-000. [53] Accanto ai profeti, appaiono anche pseudo-profeti (cfr. 1 Gv 4,1-3), il che significa che lesigenza di rifarsi a rivelazioni profetiche, da parte dei diversi gruppi giovannisti in lotta fra loro, porta alla conseguenza di accusare di falsa profezia i profeti avversari. In questa terza fase o livello, il profetismo giovannista crea soprattutto un testo dotato di autorit. E il testo che, per molti versi, delimita il gruppo giovannista, lo giustifica e lo fonda. [54] Su tutto questo rimando ancora una volta a Destro-Pesce, Luomo Ges. [55] Ivi, p.58.
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