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Mlanges de lEcole franaise de Rome

Moyen ge MEFRM 119-2 2007

MEFRM 119/2 2007, p. 297-304.

Le questioni longobarde
Osservazioni su alcuni testi del primo Ottocento storiografico italiano
Enrico A RTIFONI

Questo seminario dedicato al tema dei popoli dominatori e dei popoli dominati nella medievistica italiana e francese dellOttocento offre loccasione di presentare, nella forma non perfettamente elaborata consentita da un incontro seminariale, qualche nota su testi rilevanti della discussione in materia longobarda che si svolse in Italia nella prima met del secolo XIX. Sono alcuni frammenti di un corpus ben pi ampio, ma consentono a mio parere qualche proposta sullinsieme di cui fanno parte : che , per quanto attiene alla sua genesi, un insieme sufficientemente omogeneo, visto che trova il suo archetipo nel Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Italia pubblicato da Alessandro Manzoni nel 1822 unitamente alla tragedia Adelchi, rispetto alla quale il Discorso doveva servire da ampia introduzione storica. Si tratta di un capitolo spesso citato della cultura storiografica italia-

na (la questione longobarda), che ha come principali esponenti alcuni storici e storici del diritto di matrice cattolico-liberale, da Cesare Balbo a Carlo Troya, da Gino Capponi a Pietro Capei, cui doveroso aggiungere, anche se non se ne parler in questa sede, almeno i due giuristi piemontesi Federico Sclopis e Carlo Baudi di Vesme. Che sia per un capitolo davvero ben conosciuto di storia della medievistica italiana, non si pu dire. Esistono studi eccellenti sui singoli autori, si dispone di alcuni profili di sintesi (ormai classici quelli di Giorgio Falco e di Giovanni Tabacco)1, ma si desidera ancora una ricostruzione ampia della questione longobarda, che faccia spazio al contributo dei singoli alla discussione generale ma soprattutto alla trasformazione subta nei decenni dai termini di questa stessa discussione. Perch, questo il punto, la questione longobarda visse alcune fasi ed

*. Pubblico questo contributo, con lievi ritocchi e laggiunta delle note strettamente indispensabili, nella forma in cui fu esposto nel seminario torinese del 3 luglio 2006 di cui si pubblicano qui gli atti (Racconti dei tempi barbarici. Dominatori, dominati e nazioni nella storiografia italiana e francese dellOttocento). Si tratta evidentemente di una parte di un lavoro ancora in corso, del quale altri elementi sono stati forniti nei miei contributi citati alla nota 1. 1. Mi limito a ricordare, tra i profili complessivi, G. Falco, La questione longobarda e la moderna storiografia italiana, [1951], in Id., Pagine sparse di storia e di vita, Milano-Napoli, 1960, p. 11-26; M. L. Carloni, Gli studi storici in Italia nei secoli XIX e XX. La questione longobarda, Udine, 1958 (opuscolo di valore limitatissimo); D. Moscarda, Sulla condizione dei Romani durante la dominazione longobarda nella storiografia dellOttocento, in Annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari dellUniversit di Roma, V, 1965, p. 97-113; G. Tabacco, Introduzione storiografica, in Id., Egemonie sociali e strutture del potere nel medioevo italiano, Torino, 1979, p. 3-47; Id., Manzoni e la questione longobarda, in Manzoni e lidea di letteratura, pubblicazione a cura del Liceo linguistico Cadorna, Torino, 1987, p. 47-57; Id., La citt italiana fra germanesimo e latinit nella

medievistica ottocentesca, in R. Elze e P. Schiera (a cura di), Italia e Germania. Immagini, modelli, miti fra due popoli nellOttocento, Bologna, 1988 (Annali dellIstituto storico italo-germanico in Trento, Contributi, 1), p. 23-42; Id., Latinit e germanesimo nella tradizione medievistica italiana, in Rivista storica italiana, 102, 1990, p. 691-716; E. Artifoni, Il Medioevo nel Romanticismo. Forme della storiografia fra Sette e Ottocento, in G. Cavallo, C. Leonardi, E. Menest (a cura di), Lo spazio letterario del medioevo, 1, Il medioevo latino, IV, Lattualizzazione del testo, Roma, 1997, p. 175-221; Id., Ideologia e memoria locale nella storiografia italiana sui Longobardi, in C. Bertelli e G. P. Brogiolo (a cura di), Il futuro dei Longobardi. LItalia e la costruzione dellEuropa di Carlo Magno. Saggi, Milano, 2000, p. 219-227. Non riguarda in modo diretto il tema, ma , come sempre, acuto e ricco di bibliografia M. Moretti, LItalia, la civilt latina e la civilt germanica (1861). Sulle origini degli studi medievistici di Pasquale Villari, [1988], in Id., Pasquale Villari storico e politico, Napoli, 2005, p. 77-146. Non ho potuto tenere conto di un articolo uscito dopo la redazione di questo contributo : E. Occhipinti, I comuni medievali nella storiografia italiana del Risorgimento, in Nuova rivista storica, 91, 2007, p. 459-530, che prende in esame varie opere qui citate.

Enrico Artifoni, Dipartimento di storia, Universit degli studi di Torino, via SantOttavio 20, I 10124 Torino.
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evoluzioni non sempre messe in rilievo, sulle quali vale la pena di soffermarsi in una prospettiva specifica di storia della medievistica. Linsistenza sulla lettura medievistica non mette in dubbio limportanza, che non qui oggetto di discussione, del tema longobardo per uno studio del rapporto tra il nostro medioevo e il nostro Risorgimento 2. Vale tuttavia la pena di notare che appunto questa importanza ne ha in qualche modo condizionato lo studio, come questione di storia medievale s, ma in fondo troppo significativa nello svolgimento della cultura nazionale per lasciarla ai soli medievisti e al loro specialismo. Pensiamo a due esempi fra loro molto lontani. La Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono di Croce, che esce in due volumi nel 1921 ma raccoglie pagine scritte nel 1914-15, d dellargomento una lettura essenzialmente politica, come parte di un movimento della cultura italiana generato nel primo Ottocento dalla congiunzione tra storiografia e nazionalit e dalla proiezione nel medioevo dei bisogni dellItalia presente (Il sentimento politico nazionale e il suo incontro col pensiero storiografico il titolo del cap. V, da cui ha inizio lesame della storiografia ottocentesca rigenerata dallidea di nazione, che prosegue nei capitoli successivi includendo la questione longobarda) 3. secondo Croce un indubbio momento di progresso, in quanto fase del pensiero storico fecondata da tensioni che nascono dalla contemporaneit. La scuola cattolicoliberale o neoguelfa il luogo elettivo della discussione longobarda, che conosce due fuochi collegati : il problema della condizione giuridica dei romani sottomessi e quello del giudizio sullazione papale che chiam in Italia i Franchi in funzione antilongobarda. Lo svolgimento non tutto positivo, ha in s delle aporie :
La tendenziosit della scuola cattolico-liberale era duplice, come si vede, e come suona il nome stesso che le abbiamo dato : verso la difesa della fede religiosa e verso la difesa del sentimento nazionale; sebbene le due tendenze confluissero in una merc limmaginosa concezione dei rapporti del Papato con lItalia. E luna e laltra la portavano fuori della critica e fuori della scienza, perch la tendenziosit pa-

triottica o nazionalistica cangiava la sua storiografia in poema della patria, e laltra, religiosa, la spingeva addirittura nella mitologia e nella teologia 4.

Qui appare chiaro il nucleo del discorso di Croce, che meno interessato ai precisi termini medievistici della questione che alla definizione in termini latamente culturali del rapporto tra storiografia, nazionalit e religione nella prima met dellOttocento. Invero ci che realmente Croce pensava sulla rilevanza del tema di latinit e germanesimo nella storia medievale dItalia risulta chiaro allaltro capo della sua opera, quando salutando lavvento della storiografia economico-giuridica alla svolta del nuovo secolo si compiace di scrivere che, soprattutto grazie a Volpe, finalmente allora germanesimo e latinit e altrettali fantasmi erano stati posti in fuga, esorcizzati e discacciati 5. A conti fatti, chiaro che linteresse non tanto per ci che i longobardisti dicevano nella prima met dellOttocento, quanto per ci che essi rappresentavano, una particolare configurazione storiografica influenzata dal sentimento nazionale. Il secondo esempio, che prova tanto la continua energia sprigionata da quella discussione ottocentesca quanto appunto per questo limpegno a leggerla in un suo ampio significato culturale, ci conduce invece ad anni molto recenti e alla ricerca delle logiche profonde sottostanti ai discorsi fondativi della nazione. Alberto Banti, anche attraverso un richiamo esplicito a Foucault, ha portato su questo un contributo di rilievo. Il cuore di questa posizione sta nella volont di collocare il discorso ottocentesco sui Longobardi dentro un aggregato di dimensione europea di pensiero/sentimento che d forma a unidea di nazione intesa anzitutto come una comunit di discendenza biologica fondata sulla primazia del sangue e del suolo, a un modo torbido di dire la nazione in cui
la retorica della libert fosse essa da intendersi come lotta per lindipendenza nazionale, o per la sofferta riconquista di garanzie rappresentative trovava solido appoggio in una trama storica che grondava sangue e violenza, sacrificio ed eroismo, e che, in

2. Su cui si veda il recente buon saggio di S. Soldani, Il medioevo del Risorgimento nello specchio della nazione, in E. Castelnuovo e G. Sergi (a cura di), Arti e storia nel medioevo, IV, Il medioevo al passato e al presente, Torino, 2004, p. 149-186 (con bibliografia precedente).

3. B. Croce, Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, I, Bari, 19302, p. 97 sgg. 4. Ibid., I, p. 149-150. 5. Ibid., II, p. 147.

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definitiva, affondava le sue radici nella terra dei padri e nellappartenza ad una razza, considerati come i connotati originari delle comunit nazionali 6.

Non entro nel merito di questo importante discorso, che deve essere valutato con seriet e ha il pregio di porre laccento sui lati oscuri dellidea di nazione (tra i due modelli di cui parlava Chabod, la nazione come fatto naturalistico e la nazione come fatto volontaristico e di scelta, senzaltro Banti insiste sulla preminenza del primo) e mi limito a notare che lesigenza primaria in questa prospettiva quella della ricostruzione globale dellinsieme discorsivo fondato sulle idee di discendenza, di sangue e di terra, la percezione insomma del linguaggio che, dicendo le cose, d ad esse forma anche al di l di una precisa intenzionalit di chi lo usa. In quanto parte di un pi ampio continente di linguaggio di scala europea, la discussione longobarda vale qui innanzitutto per la ricostruzione di quel continente, anche nei suoi indubbi tratti inquietanti. Rimane tuttavia il problema di una vicenda storiografica che va guardata, oltre che per ci che signific, per ci che effettivamente disse su alcuni punti specifici della storia dellalto medioevo italiano, e in modi talvolta diversi secondo autori e fasi. Ricorriamo ai testi, e in primo luogo al testo istitutivo, il discorso manzoniano sui Longobardi, di cui si esporranno qui alcuni aspetti strettamente funzionali, lasciando da parte temi pur importanti ma non indispensabili in questa sede : i precisi rapporti del Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Italia con la stesura dellAdelchi e con la con-

cezione manzoniana della storia; la doppia stesura del Discorso stesso, che dopo quella del 1822 ebbe una seconda versione nel 1847 7. Sono limitazioni in fondo legittimate dal fatto che il testo che apr la discussione, e a cui ci si rifer in tutti gli interventi, fu quello del 1822 (scritto tra il settembre e il novembre 1821), mentre la seconda versione giunse, per cos dire, a cose fatte; e che nel corso del dibattito stesso lopera fu letta autonomamente come un contributo storico, senza un particolare richiamo al resto del lavoro manzoniano e anche, come vedremo, come un appello alla ricerca in una determinata direzione. In quanto alla derivazione culturale delle pagine di Manzoni, su cui molto si scritto, fermo restando che lopera si nutre di vari apporti sussistono pochi dubbi che, in termini di costruzione del paradigma interpretativo, lispirazione principale venga da Augustin Thierry e soprattutto dalle Lettres sur lhistoire de France pubblicate da Thierry sul Courrier Franais nel corso del 1820 (il che non esclude laltra importante presenza nellopera, quella di Sismondi) 8. Frasi come questa contengono un forte ricordo di Thierry : Due, e talvolta pi nazioni viventi sullo stesso suolo, e diverse dinteressi, di lingua, di fogge, e in parte di leggi, tale il fenomeno che present quasi tutta lEuropa dopo le invasioni e gli stabilimenti barbarici 9. Lo schema posto, valido anche per lItalia : una dominazione di popoli conquistatori su popoli conquistati, una convivenza separata sulla stessa terra. Per il ragionamento che stiamo conducendo ha un rilievo particolare il rapporto che si instaura in Manzoni tra momento confutatorio e momento affermativo. Si sa che il Discorso ha una struttura

6. A. M. Banti, Le invasioni barbariche e le origini delle nazioni, in A. M. Banti e R. Bizzocchi (a cura di), Immagini della nazione nellItalia del Risorgimento, Roma, 2002, p. 21-44, citazione a p. 39; cfr. anche Id., La nazione come comunit di discendenza : aspetti del paradigma romantico, in Parolechiave, 25, 2001, p. 115-141 e in termini pi generali Id., La nazione del Risorgimento. Parentela, santit e onore alle origini dellItalia unita, Torino, 2000. 7. Uso la nuova preziosa edizione : A. Manzoni, Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, a cura di I. Becherucci, con una Premessa di D. Mantovani, Milano, 2005 (Edizione Nazionale, 5). Il volume contiene il testo del 1822 (Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Italia), quello del 1847 (Discorso sopra ecc.), le Notizie storiche anteposte allAdelchi secondo il testo del 1822, e le Lettres sur lhistoire de France pubblicate nel 1820 da Augustin Thierry nel Courrier Franais.

8. Cfr. C. De Lollis, Alessandro Manzoni e gli storici liberali francesi della Restaurazione, Bari, 1926; G. P. Bognetti, La genesi dellAdelchi e del Discorso e il pensiero storico-politico del Manzoni fino al 1821, [1951-52], in Id., Manzoni giovane, Napoli, 1972, p. 27-164; G. Nava, Il Manzoni e lHistoire des rpubliques italiennes del Sismondi, in Studia ghisleriana, s. II, 3, 1967, p. 143-172. Cfr. anche D. Mantovani, Le vocazioni del Discorso, in Manzoni, Discorso ... cit., p. XIII-LXV (saggio pubblicato anche, con il titolo Le vocazioni del Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia di Manzoni. Longobardi e Romani fra diritto e poesia, in Rivista storica italiana, 116, 2004, p. 671-714, ma citer dalledizione in volume) ed I. Becherucci, Introduzione , in Manzoni, Discorso ... cit., p. LXIX-XCIX. 9. A. Manzoni, Discorso ... cit., cap. II, p. 39. Sulla derivazione da Thierry cfr, oltre le note della curatrice, C. De Lollis, Alessandro Manzoni ... cit., p. 50 e sgg.

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essenzialmente polemica, dominata da una volont di piena restituzione di barbarie ai Longobardi : era anzitutto una sistematica rfutation di opinioni sbagliate, ne scriveva lautore al Fauriel10. Manzoni si impegna assiduamente nella discussione con una parte della storiografia settecentesca (Giannone, Muratori, Fumagalli) e in genere con il giudizio prevalente nel secolo XVIII, ma in realt risalente ancora a Machiavelli, secondo il quale la dominazione longobarda in Italia era stata mite ed equilibrata, ispirata a un corpus di leggi semplice e chiaro e promulgato in un consenso di popolo (come diceva Angelo Fumagalli a fine Settecento nelle Antichit longobardico-milanesi, le leggi romane sono opera de dotti e le longobardiche de saggi), e la fusione tra longobardi e romano-italici sarebbe stata piuttosto precoce11. La parte costruttiva dello scritto di Manzoni in realt ridotta e consiste in qualche proposta, peraltro avanzata come appendice del ragionamento polemico, sul tema dei matrimoni misti, che a suo parere non avrebbero alterato la distinzione giuridica tra i due popoli; su quello della coscienza etnica longobarda, che sarebbe rimasta ancora ben viva nel secolo VIII, e su quello del naufragio della legge romana, di cui sarebbero rimasti in vigore solo alcuni frammenti12. Detto questo, il nucleo generatore delle discussioni dei decenni successivi non sta nella parte polemica, bens nellappello, che ritorna pi volte nellopera, a indagini che erano ancora da svolgere, per le quali Manzoni indicava alcuni criteri etici e storiografici :
Primieramente : essendo i Longobardi padroni del suolo, soli legislatori in quello, arbitri in gran parte e senza contrasto, del destino della popolazione indigena, il punto pi importante della loro morale, la materia pel giudizio che si dee portarne, devessere la loro condotta verso la classe numerosa dei vinti. La tentazione di essere ingiusti doveva esser grande in proporzione della facilit, dellimpunit, e del profitto; e secondo la natura comune degli uomini, non

le azioni solo ma le idee e le teorie morali potevano facilmente foggiarsi su queste circostanze. Per chiamar buoni o tristi i Longobardi, converrebbe dunque cercare se essi hanno ceduto a questa tentazione, o se lamore della giustizia ha predominato in essi, se ha prodotto un riconoscimento volontario dei principj eterni di quella. Ma supponendo le due nazioni fuse in sol corpo, gli scrittori moderni hanno escluso dalle loro considerazioni lesame di quei rapporti; hanno, per tal modo, coperto il lato importante e vasto della questione. Secondariamente : quando si faccia attenzione alla divisione delle due nazioni, si vedr certo, che questo fatto deve servir di misura a stimare la moralit dei Longobardi anche nei rapporti fra loro. Poich, per dichiarare virtuoso un sentimento, un atto qualunque, non basta riconoscervi qualche carattere di sagrificio, o di austerit, o di benevolenza; conviene accertarsi che non sia opposto ai doveri della equit e della carit universale. Ora, vi ha delle circostanze nelle quali, per mantenere lingiustizia, sono appunto necessarie alcune di quelle disposizioni danimo, le quali generalmente sono stimate virt. [...] I Longobardi erano appunto in una situazione di questo genere. Quando adunque nelle loro leggi sincontrano prescrizioni che suppongono una cura delicata di tutti glinteressi e di tutti i diritti dei nazionali, quando nella loro storia si trovano aneddoti di generosit o di temperanza, prima di andare in dolcezza ed in ammirazione, prima di scoppiare in applausi, bisogna esaminare se questi atti ed abiti virtuosi fossero effetti dun sentimento pio del dovere, o se nascessero da spirito di corporazione, da una speculazione, forse non ipocrita, ma neppur virtuosa, nel senso preciso che si dovrebbe dare a questa parola13.

Qui siamo allargomento cruciale. Lerrore settecentesco di ritenere le due nazioni fuse in un sol corpo ha impedito secondo Manzoni che il

10. Sulle forme argomentative nel Discorso cfr. E. Gabbuti, Il Manzoni e gli ideologi francesi. Studi sul pensiero e sullarte di Alessandro Manzoni con saggi di manoscritti inediti, Firenze, 1936, da cui la citazione nel testo (p. 258). 11. [A. Fumagalli], Delle antichit longobardico-milanesi illustrate con dissertazioni, I, Milano, 1792, diss. I (sopra i Longobardi, i loro re e real corte, il loro governo, le loro leggi, scienze e

costumi), p. 26, e cfr. p. 108-110, p. 125 sgg.; G. Tabacco, Manzoni e la questione longobarda ... cit., p. 47-57; E. Artifoni, Il medioevo nel Romanticismo cit., p. 213-214; Id., Ideologia e memoria locale nella storiografia italiana sui Longobardi ... cit., p. 223. 12. E. Artifoni, Il medioevo nel Romanticismo ... cit., p. 214. 13. A. Manzoni, Discorso ... cit., cap. IV, p. 121-125.

301 giudizio si imperniasse sul criterio davvero risolutivo, la [...] condotta verso la classe numerosa dei vinti, ovvero la condizione subta dai romano-italici nel regno dei conquistatori. Capire precisamente la posizione manzoniana su questo punto permette di cogliere le trasformazioni successive. Come ha rilevato bene Mantovani, nelleconomia del Discorso laccertamento (anzi linvito ad accertare) la situazione giuridica dei romano-italici sotto il dominio longobardo, non un fine, ma uno strumento. Se tale condizione che si voleva definire risultava infine servile (ci di cui Manzoni convinto), allora la reazione papale, con le sue conseguenze, approvabile in quanto atto di restituzione di libert14. Detto in altri termini, la condizione giuridica personale dei dominati non posta da Manzoni come una questione autonoma ma parte integrante della discussione sullatteggiamento di papa Adriano I, la cerniera per la formulazione di un giudizio storico che va ben al di l del tecnicismo giuridico. Quale fu la sorte di questo legato manzoniano nei decenni successivi? Pur attraverso una ridotta selezione di testi, il panorama risulta forse pi complesso di quanto normalmente non si dica, e appare contrassegnato da due elementi : una disarticolazione della logica di fondo che reggeva il Discorso manzoniano; e una successiva riformulazione del tema longobardo intorno a fuochi parzialmente nuovi, tra i quali il pi evidente quello della storia cittadina italiana. Il tutto avviene secondo una cronologia che va seguita attentamente. Nel 1830 comincia un importante scambio di lettere tra il nobile torinese Cesare Balbo e il giurista napoletano Carlo Troya, uno scambio che arriva fino al 1839, anche se le lettere pi interessanti e pi fitte risalgono al periodo 1830-3115. Questo carteggio, che richiederebbe uno studio apposito da parte non solo di un medievista, ma di un longobardista, visti gli aspetti estremamente tecnici che vi si affrontano con un ricorso larghissimo a tutte le fonti allora disponibili, mette a confronto per via epistolare due figure culturalmente diver14. D. Mantovani, Le vocazioni del Discorso ... cit., p. XXVII. 15. stato pubblicato, pur privo di varie lettere di Balbo degli anni Trenta, in Della civile condizione dei Romani vinti dai Longobardi e di altre quistioni storiche. Lettere inedite di Carlo Troya e Cesare Balbo, con prefazione di E. Mandarini, Napoli, 1869. Le cinque lettere di Balbo (pi una sesta edita altrove) sono state ripubblicate anche in C. Balbo, Storia dItalia e altri scrit-

se. Balbo, in sintonia con gli ambienti giuridici torinesi, tende inizialmente a pensare in termini continuistici; era uno schema influenzato dalla grande Geschichte des rmischen Rechts im Mittelalter di Friedrich Carl von Savigny, i cui volumi altomedievali erano usciti nel 1815-1816 e di cui Manzoni, per sua ammissione, non aveva conoscenza quando stese il Discorso del 182216. Savigny nella Geschichte esprimeva la convinzione che le migrazioni dei popoli germanici non avessero travolto la fisionomia sostanzialmente romana di gran parte delle genti europee e dei loro ordinamenti : il diritto comune permane come un grande contenitore che non annulla le specificit dei diritti germanici, ma in qualche modo induce in essi un processo ininterrotto di perfezionamento che tende a rendere sempre meno significative le differenze. Troya si colloca su una posizione ben diversa, di tipo catastrofistico, e la ribadisce con assoluta energia nel corso dello scambio epistolare : naufragio degli ordinamenti romani, riduzione della popolazione romano-italica in una condizione che tiene a definire non propriamente di schiavit ma servile, la condizione dellaldionato, cio una sorta di semilibert del tutto passiva e gravata da obblighi tributari nei confronti dei dominatori. Quale sia il nucleo vero della discussione detto da Troya con chiarezza fin dallinizio del carteggio :
Lo studio del vero, lamore per la nostra Italia e la felicit che dagli stud procede sono lunico stimolo ed il solo premio delle nostre fatiche : io son sicuro da unaltra parte che luno di noi due ritrarr volentieri da qualche sua privata opinione, se laltro gli mostrer qualche giusto motivo in contrario. E per io entro schiettamente nella gran questione, ove mi sembra riposta la pi gran parte della storia dItalia; la quistione cio di sapere qual fu la civile condizione dei Romani vinti dai Longobardi17 ?

Solo due osservazioni nellimpossibilit di entrare nel dettaglio. La prima riguarda quella che ho chiamato la disarticolazione della logica manzoniana. La condizione civile dei romani vinti dai Longobardi, qui e altrove non appare pi come il
ti editi e inediti, a cura di M. Fubini Leuzzi, Torino, 1984. 16. Su Savigny e gli ambienti giuridici piemontesi si veda L. Moscati, Da Savigny al Piemonte. Cultura storico-giuridica subalpina tra la Restaurazione e lUnit, Roma, 1984. 17. Della civile condizione dei Romani ... cit., lettera I di Troya a Balbo (Roma, 15 ottobre 1830), p. 1-2.

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fulcro argomentativo necessario per giungere al giudizio sullatteggiamento papale : diventata il centro autonomo della discussione, che infatti per tutto lo scambio epistolare tocca la politica papale in modo assolutamente secondario e solo per cenni. Se noi pensiamo che di solito per questi scrittori si adotta la categoria di neoguelfi, ricavata da unidea di centralit del loro atteggiamento filopapale, comprendiamo che la categoria soffre, per lo meno sul tema longobardo, di una estensione non del tutto giustificata della prospettiva manzoniana sulla storiografia successiva. La seconda osservazione conferma in parte la prima : nel corso dello scambio di lettere Balbo non solo sembra disposto a rivedere in senso antifusionista le sue posizioni ma, quel che pi importante, accetta pienamente il piano del discorso, cio quella che possiamo chiamare secondo i punti di vista la riduzione o la concentrazione assoluta del pensiero sui termini giuridico-personali del problema18. Per concludere su questo, sembra chiaro che dopo il Discorso manzoniano va gi distinta una seconda fase della questione longobarda, concidente approssimativamente con gli anni Trenta dellOttocento. Spostiamoci ora pi avanti, al 1844. Escono in quellanno nel tomo I dellAppendice dellArchivio storico italiano due lunghe lettere Sulla dominazione dei Longobardi in Italia indirizzate dal marchese fiorentino Gino Capponi al professor Pietro Capei, a cui fecero poi seguito nella stessa rivista altre tre lettere di Capponi nel 185919. Se Capponi era storico noto, Capei era un giurista in contatto personale con Savigny, del cui lavoro aveva dato ampia notizia fin dal 1828 sulle pagine dellAntologia di Vieusseux. Le due lettere fanno capire che nel giro di pochi anni i termini del

problema hanno subto evoluzioni importanti, tanto che non sembra ingiustificato parlare per il decennio Quaranta di una terza fase della questione longobarda. Almeno tre elementi richiamano lattenzione, ed opportuno presentarli in una sorta di ordine crescente di rilevanza. A una prima lettura colpisce un certo insistito richiamo alla dimensione razziale del problema : Io per me credo molto alla potenza inestinguibile della razza nelle qualit dei popoli, e credo letnologia essere base allistoria, scrive Capponi, e tuttavia lindagine in materia razziale, quando si tratti di popoli commisti nelle migrazioni, appare impresa pressoch disperata; ma soprattutto, a una lettura dellinsieme delle lettere capponiane, la nozione di razza sembra intesa in senso piuttosto debole, rimandando, pi che a una stretta accezione biologica, a una specie di indole mentale dei popoli, il che deve metterci in guardia da una trasposizione immediata dei nostri sconcerti di oggi sul lessico di allora, nel quale la parola razza sembra talvolta usata con valore di metafora di attitudini culturali e di pensiero 20. In secondo luogo, limpostazione del problema sembra a tutta prima circoscritta, fin dalle righe iniziali della lettera desordio, entro i tradizionali termini postmanzoniani, tipici della seconda fase della discussione :
Persistete voi, mio dotto amico, in quella vostra ingegnosa ma non per anche a voi medesimo ben accertata lezione del luogo famoso di Paolo Diacono? Che cosa ne inferite voi per ci che spetta alla condizione del popolo italiano sotto il dominio dei Longobardi; e qual giudizio recate delle opinioni del Troya su questo punto capitalissimo, da cui dovrebbe pigliare le mosse e dove inciampa listoria nostra 21?

18. Riassuntivamente sullimportanza del carteggio e sulle posizioni successive di Balbo, cfr. G. P. Romagnani, Storiografia e politica culturale nel Piemonte di Carlo Alberto, Torino, 1985, p. 250 sgg. 19. G. Capponi, Sulla dominazione dei Longobardi in Italia. Lettere al Prof. Pietro Capei ; le prime due uscirono in Archivio storico italiano, Appendice, I, 1844, p. 185-238, le tre restanti in Archivio storico italiano, n. s., 10/2, 1859, p. 3-59. Le cito da G. Capponi, Scritti editi e inediti, a cura di M. Tabarrini, I, Scritti editi, Firenze, 1877, ma sono ripubblicate anche in G. Capponi, Sulla dominazione dei Longobardi in Italia e altri saggi, a cura di E. Sestan, Roma, 1945. Buona contestualizzazione dello scambio Capponi-Capei nelle tematiche trattate dalla rivista in I. Porciani, LArchivio storico italiano. Orga-

nizzazione della ricerca ed egemonia moderata nel Risorgimento, Firenze, 1979, p. 131 sgg. 20. G. Capponi, lettera I, in Id., Scritti ... cit., p. 57; e cfr. la lettera III del 1859, p. 138-139 : io tengo di questa razza latina gran dote essere il concetto della unit comprensiva in religione ed in politica ed in ogni cosa : che in altri termini vuol dire, lidea creativa tradotta in sapienza per lunghi secoli di coltura, la scienza, frenata e fecondata in verit dal senso ingenito nei popoli e dalla potenza delle tradizioni : n, come avviene troppo sovente nelle pi astruse speculazioni dei settentrionali, mutata a nuovo volta a volta per via di dialettica, lingegno per fare s solo creatore, venendo a rendersi infecondo. 21. G. Capponi, lettera I, in Id., Scritti ... cit., p. 54.

303 Tuttavia, e giungiamo infine al punto pi rilevante, il pensiero di Capponi registra nella seconda lettera una novit profonda, una pluralizzazione degli aspetti del dibattito che incrina la concentrazione assoluta sul tema della condizione personale dei vinti e scompone la discussione in dimensioni certamente collegate ma distinte. Per un pieno intendimento del tema longobardo, dice Capponi, tre aspetti vanno tenuti presenti : il primo quello della libert o servit dei romani, il secondo quello della vigenza del diritto romano sotto la dominazione (e fin qui siamo in un ambito gi visto), il terzo quello dei municipi 22. un aspetto, questultimo, con implicazioni forti sul piano storiografico. Vuole dire che la storiografia italiana nei primi anni Quaranta giunta a interrogarsi su che cosa significa il germanesimo in Italia non solo per i due secoli longobardi ma per tutto il medioevo italiano. Porre la questione della sopravvivenza dei municipia, cio degli ordinamenti municipali, significa vi ha insistito con la necessaria chiarezza Tabacco 23 interrogarsi implicitamente e talvolta in modo diretto sulla questione delle origini dei comuni e proiettare il tema di latinit e germanesimo fino al basso medioevo, con una rimozione a questo punto (e in questi testi) quasi integrale della domanda di partenza manzoniana, e cio il giudizio sullazione papale che determin lintervento dei Franchi. Occorrer naturalmente un ben pi ampio lavoro di confronto e di accertamento di tutta la testualit implicata nel dibattito, ma difficile non cogliere, sia nella seconda fase sia a maggior ragione in questa terza che andiamo esaminando, una progressiva riformulazione secondo nuovi assetti tematici allinterno della storiografia cattolico-liberale. Vale la pena di notare che anche nello scambio Capponi-Capei, secondo una dinamica che abbiamo visto gi operante nelle lettere tra Balbo e Troya, lavanzamento avviene attraverso la costituzione progressiva di un questionario comune fra gli interlocutori. Capei risponde a Capponi sulla stessa rivista nel 1845 e prima di esprimere la sua personale posizione, che in realt molto moderata e influenzata da Savigny, quindi con tratti continuistici, riassume i quattro aspetti principali sui quali gli pare che ci si debba interrogare, incorporando nellagenda di lavoro gli spunti di Capponi (quattro pertanto sono le questioni intorno a che raggiransi le domande vostre) :
Qual fu sotto i Longobardi la sorte deglItaliani vinti [...]? Rimasero liberi, o servi, o in condizione quasi di servi de privati Longobardi? E, se i vinti non furono ridotti servi, n in condizione quasi di servi, serbarono essi il proprio diritto, o lo perderono, o lo tramescolarono? [...] Il municipio e sue franchigie, questo cos stupendo trovato della romana sapienza, dur, sinfievol, simbastard, o spar nella et longobarda, per luna o laltra o per ambedue le parti onde si componeva; tanto cio, per la giurisdizione dei magistrati propri, quanto per lamministrazione nei municipi delle cose comuni? [...] Le chiese e gli ecclesiastici finalmente, con che legge vissero? Con la romana o la longobarda? O non pi presto, ciascuno degli ecclesiastici con la legge propria del popolo onde traeva origine 24 ?

Si pu gi dire che questo riallineamento tematico non riguarda solo Capponi e Capei, ma coinvolge esponenti significativi dellintero longobardismo italiano della prima met del secolo. Per fare lesempio di uno dei protagonisti gi incontrati, Carlo Troya, che pure notoriamente il pi deciso nellimperniare la discussione sulla condizione giuridica dei romano-italici, pubblica nel 1841 un discorso Sulla condizione de Romani vinti da Longobardi, riproposto in volume nel 1844 con unappendice e le Osservazioni mosse nel frattempo allo scritto da Francesco Rezzonico (una riedizione che prova, nota Sestan, quale largo interesse suscitasse allora tale dibattito nel pubblico colto) 25. Qui

22. G. Capponi, lettera II, in Id., Scritti ... cit., p. 97 sgg. (libert e servit), p. 103 sgg. (vigenza della legge romana), p. 115 sgg. (i municipi). 23. Cfr. i lavori di Tabacco citati sopra, nota 1; su Tabacco e la questione longobarda in sede di storiografia si veda E. Artifoni, Giovanni Tabacco storico della medievistica, in Giovanni Tabacco e lesegesi del passato, Torino, 2006 (Accademia delle Scienze di Torino, Quaderni, 14), p. 47-62, p. 56. 24. P. Capei, Sulla dominazione dei Longobardi in Italia, in Archivio

storico italiano, Appendice, II, 1845, p. 471-548, citazioni a p. 472. 25. C. Troya, Della condizione de Romani vinti da Longobardi e della vera lezione dalcune parole di Paolo Diacono intorno a tale argomento, edizione seconda con osservazioni di Francesco Rezzonico ed appendice dellautore, Milano, 1844, un volume su cui cfr. E. Sestan nelledizione romana del 1945 degli scritti longobardi di Capponi (sopra, nota 19), p. 323, nota 33; si veda anche E. Artifoni, Il medioevo nel Romanticismo ... cit., p. 215-216.

304

Le questioni longobarde Enrico A RTIFONI

ascolto chieder da molti, se i Comuni dItalia dopo il Mille fossero stati dorigine germanica o romana, prendeva atto Troya registrando il nuovo livello della discussione, cio la piena confluenza fra tema longobardo e tema cittadino e comunale; e rispondeva, fra testo originale e appendice, con radicale coerenza catastrofistica, confermando la dissoluzione dei municipi romani e riconducendo la rinascita comunale a una tradizione di ordinamenti cittadini longobardi sopravvissuti anche in et franca e in et ottoniana 26. La congiunzione concettuale di questione comunale e questione longobarda senzaltro il dato pi importante di questultima fase, e serve a ribadire ulteriormente linsufficienza di interpretazioni tradizionali, secondo cui la discussione longobarda della prima met del secolo sarebbe stata un insieme monolitico e assillato in primis da una volont di rivalutazione del ruolo papale. Detto questo, necessario ricordare in sede conclusiva due specificazioni importanti, per non rischiare, in favore della concisione, colpevoli omissioni. La prima tocca il ruolo della storia del diritto tedesca nellallargamento degli orizzonti tematici italiani. Non si pu trascurare che la costruzione di un arco concettuale che collegava in termini problematici la questione del germanesimo alle origini comunali era stata al centro delle osservazioni mosse a Savigny da un altro storico tedesco del diritto, Heinrich Leo, che aveva pubblicato nel 1824 unopera sullo sviluppo costituzionale delle citt lombarde, tradotta in italiano proprio da Cesare Balbo nel 1836 27. In polemica con Savigny, romanista e continuista, Leo postulava una derivazione dei consoli comunali dagli scabini franchi, dunque immetteva il germanesimo nel cuore della rinascita urbana del basso medioevo italiano. Il ri-

lievo di questa discussione in Italia, soprattutto dopo la traduzione dellopera di Leo, ebbe probabilmente un ruolo importante nella dilatazione tematica della questione longobarda : ma questo prova appunto la disponibilit di quegli studiosi italiani a farsi investire da problemi che andavano ben al di l dellapologia papale. La seconda specificazione, sulla quale mi limito a offrire un cenno, visto che a pi riprese stata toccata da Giovanni Tabacco, che il collegamento longobardo-comunale, mentre segn forse il punto pi alto e tematicamente comprensivo della discussione, ne segn anche lesaurimento nei suoi termini originari, perch la colloc dentro unaporia insanabile : detto con semplicit, se la calata longobarda liquid gli ordinamenti municipali romani, bisognava ammettere unorigine germanica dei comuni; e se si voleva salvare lorigine latina dei comuni bisognava ammettere che gli ordinamenti preesistenti erano sopravvissuti, e i Longobardi non avevano determinato una frattura storica di proporzioni epocali. Stante lorigine della discussione, unorigine programmaticamente antilongobarda, e che proprio a partire dallet longobarda era giunta a toccare let comunale, nelle condizioni culturali di allora una terza via (per intenderci, una via volpiana) non si dava ancora con chiarezza. Lo spinoso collegamento tra il VI secolo barbarico, anzi tra lintero medioevo barbarico dItalia, e lXIXII secolo, per essere affrontato senza contraddizioni andava di necessit ricostruito dentro un quadro diverso, in cui lelemento etnico non fosse pi il criterio dominante, ma una delle componenti della storia dellalto medioevo italiano. Il che fu fatto in seguito, ma appunto fuori dalle coordinate della questione longobarda della prima met dellOttocento come comunemente intesa.
Enrico ARTIFONI

26. C. Troya, Della condizione ... cit., p. 306 (corsivo nelloriginale). 27. H. Leo, Entwickelung der Verfassung der lombardischen Stdte bis zu der Ankunft Kaiser Friedrich I. in Italien, Hamburg, 1824, tradotto come Enrico Leo, Vicende della costituzione delle citt lombarde fino alla discesa di Federico I imperatore in Italia, tradu-

zione dal tedesco del conte Cesare Balbo, Torino, 1836 (volume corredato di una Prefazione di Balbo e di molte sue note esplicative). Per il rapporto tra scabinato e consolato cfr. la terza parte dellopera, p. 87 sgg. delloriginale, p. 212 sgg. della trad. italiana; per la discussione con Savigny cfr. soprattutto lappendice alla prima parte.

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