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Costantino Paglialunga

L'ESPLOSIONE MISTERIOSA
DI BODAJBO

Una nuova Tunguska?


Prime analisi di un evento sconcertante

edizione per Internet a cura di:


Novembre 2003
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L'ESPLOSIONE MISTERIOSA
DI BODAJBO
Costantino Paglialunga di Edicolaweb

L'ESPLOSIONE MISTERIOSA DI BODAJBO - C. Paglialunga


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N.B.: Le foto, in dimensione maggiore, sono prelevabili all'indirizzo riportato sotto la didascalia.

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UNA NUOVA TUNGUSKA?


È notte fonda e all’improvviso un bolide penetra nell’atmosfera
sovrastante l’Altopiano Stanovoj, nel sud della Siberia Orientale. Alcuni
bagliori, una serie d’esplosioni assordanti e il tremore della terra
gettano scompiglio e incredulità negli abitanti della zona vicina
all’evento. Sono le ore 1 e 48 minuti locali del 25 Settembre 2002
quando improvvisamente inizia la tregenda.
In principio i residenti, in particolare gli abitanti dei villaggi di Vitimsky
e Mama del distretto di Mama-Chuya, pensano istintivamente che sia
l’inizio di una guerra atomica. L’area colpita è situata a nord-est del
Lago Bajkal, distante circa 60 Km dalla grande città di Bodajbo. Le
autorità locali si sono limitate a chiedere via fax informazioni
sull’accaduto al governo centrale di Mosca, mentre dagli Osservatori
Meteorologici non sono giunte notizie allarmanti perché non sono
riusciti ad interpretare il fatto in tempo reale. La zona interessata è
montagnosa, impervia e disabitata, mentre quella circostante è
frequentata dai cercatori d’oro, nel periodo che va da Aprile a
Settembre.

Alcuni dati interessanti


Testimone eccezionale è stato un satellite artificiale americano del
Dipartimento della Difesa (DoD), che ha intercettato il bolide ad
un’altezza di 62 Km da terra e lo ha seguito fino a 30 Km sulla verticale.
La traiettoria percorsa nella discesa si è sviluppata verso nord-est con
un’inclinazione di 34° circa. Alcuni scienziati ritengono però che il
satellite abbia sbagliato nel determinare i dati. A parte questo, rapporti
ufficiali hanno dichiarato che il picco dell’intensità di luce osservata
nella zona dello spettro visibile sia stata di 2,4 x 1011 watt/ster. Inoltre
l’energia totale irradiata equivale a 8,6 x 1011 Joules (6000 °K del corpo
nero), che trasformata nell’altra unità di misura, corrisponde a 8,6x1018
ergs. È stato dichiarato che equivale all’energia rilasciata da
un’esplosione di circa 200 tonnellate di tritolo.

Foto 1 - Raffigurazione di un satellite spia (DoD), gestito dal Dipartimento della Difesa
degli Stati Uniti d’America.
www.edicolaweb.net/bodaf01g.htm

Secondo il modello sviluppato dallo studioso Nemchinov, l’energia


cinetica totale posseduta dal corpo in discesa doveva corrispondere

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invece a circa 2300 tonnellate di tritolo. L’altro ricercatore Peter Brown,


considerando incerti alcuni parametri iniziali, ha dichiarato che il valore
corretto dell’energia rilasciata avrebbe dovuto corrispondere a circa 100
tonnellate di tritolo. Assumendo poi una velocità d’entrata in atmosfera
di 20 Km/sec e che l’energia cinetica del meteoride si trasformi quasi
completamente in energia radiante (anche questo parametro è dubbio),
egli ha dedotto una massa in entrata corrispondente a circa 2
tonnellate.

Foto 2 - Mappa dettagliata del territorio dove è avvenuto l’impatto e le esplosioni del
bolide. È situato a nord-est del Lago Bajkal e la città più vicina e più grande è Bodajbo.
L’indicazione in rosso rappresenta la probabile traiettoria del meteoride avente
un’inclinazione di circa 34°. La freccia indica la zona della prima esplosione mentre la
seconda è avvenuta nel punto estremo del segmento.
www.edicolaweb.net/bodaf02g.htm

Il prof. Mikhail Nazarov, del Comitato per le Meteoriti dell’Accademia


delle Scienze della Russia, ha calcolato che la massa iniziale del corpo
caduto doveva essere di circa 160 tonnellate, con una velocità di circa
11 Km/sec. Naturalmente il fenomeno dell’ablazione ha causato una
perdita di massa consistente. Egli crede perciò che la velocità iniziale
fosse addirittura di 25 Km/sec e che circa 100 Kg di frammenti siano
caduti al suolo. Con queste condizioni si stima che il corpo, in entrata
nell’atmosfera, doveva avere un diametro compreso tra 2,5 e 3 metri.
I testimoni oculari hanno riferito di aver assistito ad una serie di
esplosioni, due delle quali assai consistenti, collegate con bagliori di
luce di notevole intensità. Sono stati proprio questi particolari a far
pensare, inizialmente, che si fosse dinanzi ad un evento non naturale o
meglio che fosse caduta un’astronave extraterrestre sul nostro pianeta.
Lo stesso equivoco aveva pure portato a conclusioni errate sulla zona
dell’impatto ma successivamente gli scienziati, nonostante la presenza
di neve, sono riusciti a correggere le coordinate, confortati dai dati resi
noti dalle autorità militari americane.

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Le coordinate effettive dell’esplosione principale sono: 58° 11’ N e 113°


28’ E, mentre quelle dell’altra esplosione notevole corrispondono a 58°
26’ N e 114° 00’ E.
La zona interessata è composta di montagne non molto alte, in pratica
con altezza variabile tra i 1000 e 1250 metri sul livello del mare,
collegate tra loro da versanti non ripidi e foderate dalla caratteristica
taiga siberiana, vegetazione arborea composta in maggioranza da pini e
betulle.
Un altro testimone importante, ma non diretto, è stato l’Istituto
Geografico Polare di Murmansk (Penisola di Kola, Russia) che ha
descritto un evento particolare in concomitanza con la caduta del
meteoride in Siberia Orientale. Si tratta della registrazione di
cambiamenti consistenti nello spettro delle onde di gravità e degli
infrasuoni nella Mesosfera polare e nella bassa Termosfera. Gli
scienziati hanno notato, in sostanza, l’interazione delle onde
gravitazionali con quelle infrasonore (di frequenza inferiore ai 16 Hz)
nella bassa ionosfera polare. Le osservazioni sono state effettuate anche
con un radar MF dislocato a Tumanny, che scandaglia su una
frequenza fissata.
Osservazioni simili dell’interazione si sono presentate solamente in
alcune occasioni particolari degli ultimi tempi: il 12 Agosto 2000
durante l’esplosione sottomarina del sommergibile russo Kursk,
durante la tempesta magnetica avvenuta tra il 30 e 31 Marzo 2001 e
durante l’esplosione del meteoride siberiano del 25 Settembre 2002. In
tutte le tre occasioni é stata effettuata un’analisi dei parametri acustici
per determinare i dati della densità elettronica e dell’intensità delle
fluttuazioni del segnale a differenti altezze per un range d’altitudine
compreso tra i 70 e 100 Km. Si è stabilito che durante i citati eventi
sono avvenuti cambi nelle forme dell’intensità delle fluttuazioni alle alte
frequenze e, contemporaneamente, nell’incremento della pendenza della
parte a bassa frequenza. Il cambio nella forma dello spettro può essere
spiegato molto probabilmente con l’influenza delle onde infrasoniche
con quelle gravitazionali nella mesosfera.

Foto 3 - Tempo di variazione dell’intensità del rumore radiolelettrico sulla frequenza di


2.7 MHz.
www.edicolaweb.net/bodaf03g.htm

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Foto 4 - Particolare del diagramma di Foto 3 riferentesi al periodo compreso tra le ore 22
e 24.
www.edicolaweb.net/bodaf04g.htm

Foto 5- - Magnetogramma ottenuto durante l’esplosione del meteoride.


www.edicolaweb.net/bodaf05g.htm

Nelle Foto 3-4-5 si presentano i dati forniti dalla misura dell’ampiezza


del rumore radioelettrico dovuto al radar del PGI e dal magnetogramma,
ottenuti a Tumanny (69.0°N - 35.7°E). Il primo picco d’intensità del
rumore radioelettrico di tutta la serie, si è avuto tra le ore 17,40 - 17,50;
il secondo alle ore 21,00 - 21,45 e il terzo alle ore 22,35 - 22,55 UT
(Tempo Universale) e così via. Chi volesse studiare tali grafici, forniti
gentilmente dal prof. V. D. Tereshchenko del Polar Geophysical
Institute, deve tener conto del fuso orario rispetto alla Siberia Orientale
e del tempo necessario alle onde per compiere il viaggio tra i due punti
esaminati. Considerando poi che tali perturbazioni provengono da un
punto della ionosfera, le velocità di propagazione delle relative onde sono
state calcolate in circa 1,2 km/sec, 0,3 km/sec, 0,2 km/sec, che
corrispondono alla propagazione delle onde gravitazionali interne e degli
infrasuoni. In contemporanea il microbarografo del PGI, che consiste di
tre rivelatori infrasonori adatti proprio per le misure delle onde
atmosferiche a bassissime frequenze e situato nella città di Apatity
(67,3°N - 33,3°E), ha registrato, alle 22,29 UT del 24 Settembre 2002,
un impulso di pressione pari a 45 dyn/cm2.

IL PUNTO SUL METEORIDE


Sergey Yazev, Direttore dell’Osservatorio Universitario d’Irkutsk, è stato
uno dei primi scienziati a recarsi sul posto. Dopo un breve sopralluogo
nella zona dell’impatto, ha dichiarato:
“Niente suggerisce che il corpo esploso sia frutto dell’attività degli
uomini. Non c’è traccia di combustibile per razzi o incremento del livello
di radiazioni o elementi di strutture meccaniche. Apparentemente
sembra che sia caduto un masso ferroso o un bolide roccioso. La
dimensione dovrà essere determinata. In accordo con i racconti dei
testimoni, una grossa 'stella' ha tracciato una curva risplendente nel
cielo, cadendo in qualche luogo tra le montagne. Il flash abbagliante ha
illuminato la taiga per parecchi secondi, come se fosse stata avvolta da
luce elettrica, dove è avvenuta un’esplosione così potente da far
sbattere le finestre nelle case distanti almeno una dozzina di
chilometri”.
Il sommario esame è stato determinato dall’incombere del gran freddo e
dalla neve, impedendo lo svolgimento di più accurati studi e
osservazioni dettagliate del posto.

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Le spedizioni sono state riprese a primavera inoltrata del 2003 ed i


primi a giungere sulla zona sono stati i membri del gruppo di Mosca
Kosmopoisk, il cui direttore è l’ingegner Vadim Chernobrov. In tale
intervallo sono state formulate diverse ipotesi sull’origine del fenomeno,
e tutte sono state concordi nel definire la causa dell’esplosione proprio
un meteoride. L’unica fonte ufficiale a riferire il caso è stato il
Dipartimento Regionale della Russia: l’EMERCOM, i cui scienziati
hanno avuto informazioni dall’Istituto di Fisica Solare e della Terra della
divisione siberiana dell’Accademia delle Scienze della Russia. L’ingegner
Chernobrov è stato poi il solo a contrastare una simile analisi. La sua
convinzione è nata dal fatto che sia sui giornali sia in televisione, i
testimoni hanno parlato di una prima grande esplosione con forte
illuminazione e spostamento d’aria, seguita da una serie d’esplosioni di
cui una è stata assai violenta. Per la sua formazione scientifica, egli ha
creduto che tutto ciò si potesse attribuire all’avaria di un’astronave
extraterrestre che, nella caduta verso la superficie terrestre, avesse
generato l’inaspettato evento.

Foto 6 - L’ingegner Vadim Chernobrov illustra la caduta di un altro bolide


incandescente. Si può notare il piccolissimo cratere che testimonia la fine della corsa e
l’asta che indica la probabile angolazione di caduta. In questa zona non è stata ritrovata
alcuna traccia del presunto meteoride.
www.edicolaweb.net/bodaf06g.htm

Quando poi si è recato sul posto si è dovuto ricredere, dichiarando che


probabilmente una cometa di piccole dimensioni avesse procurato il
disastro. Secondo le sue deduzioni, il corpo celeste si era disintegrato
prima di toccare il suolo, con la caduta successiva di almeno 25 masse
che hanno causato altrettanti crateri e un’esplosione principale
equivalente ad una bomba atomica di piccola potenza.

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Foto 7 - Ricostruzione della fase iniziale dell’esplosione del bolide, avvenuta alle ore
1,48 del 25 Settembre 2002 nelle vicinanze della città siberiana di Bodajbo, come
testimoniata da parecchi abitanti di alcuni villaggi non molto distanti dell’epicentro.
www.edicolaweb.net/bodaf07g.htm

A prescindere da tali considerazioni, l’équipe di Chernobrov ha eseguito


un lavoro di ricerca abbastanza mirato e dettagliato. È stata calcolata
l’estensione della zona colpita, che corrisponde a circa 100 chilometri
quadrati, dove moltissimi alberi sono stati abbattuti, sradicati, spezzati
nei tronchi e nei rami e parzialmente carbonizzati. C’è da ricordare che,
poco tempo dopo la caduta del meteoride, sopra la zona è passato un
aereo. Per motivi inspiegabili ha avuto seri problemi tecnici: è caduto e
si è incendiato. Inoltre si è costatato che tutti coloro che si sono
avvicinati al luogo dell’impatto, anche parecchio tempo dopo l’accaduto,
hanno avuto una specie di “intossicazione”, un qualcosa d’inspiegabile
che sembra provenire dal terreno e dall’aria circostante. È difficile
trascrivere cosa in realtà abbia colpito i loro organismi. L’elemento più
pericoloso trovato sinora è stato il Tritio. Certamente la radioattività del
Tritio può arrecare danno alle persone ma non con effetti così
immediati. Sta di fatto che l’epicentro dell’inquinamento corrisponde a
quello dell’esplosione principale. Sono stati trovati almeno 12 crateri di
una certa consistenza, corrispondenti ad altrettante esplosioni di varia
potenza. La principale ha avuto il suo effetto su un’estensione di 6x12
km, in cui tutti gli alberi sono stati abbattuti, ed un epicentro di 2x3 km
dove gli alberi sono stati abbattuti e bruciati. Ci sono inoltre una decina
di crateri più piccoli, formati dall’onda d’urto, come ci sono quelli che
misurano anche 50 cm di diametro, per 20 cm di profondità.

Foto 8 - Ricostruzione dell’esplosione nella zona di Bodajbo. Si può notare l’impatto di


diversi corpi col terreno, mentre uno di essi ha proseguito la corsa ed è esploso a circa
40 Km di distanza.
www.edicolaweb.net/bodaf08g.htm
IL CASO DEL METEORIDE DELLA GIORDANIA
Per avere un riferimento più preciso e reale della caduta di un meteoride
avente modeste dimensioni, si può valutare innanzitutto ciò che è

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accaduto in Giordania il 18 Aprile 2001. Il racconto della JAS (Società


Astronomica Giordana) riferisce:
“Il 18 Aprile, mercoledì , alle ore 19 circa, in altre parole prima del
tramonto, circa un centinaio di persone che si accingevano a seppellire
un residente locale hanno potuto osservare un oggetto luminoso, di
colore giallo scuro, che si muoveva nel cielo da ovest ad est. L’oggetto si
è poi spezzato in due tronconi, che sono caduti su una vicina collina (a
circa 1,5 Km dal luogo in cui si trovavano). Subito dopo l’impatto sono
stati visti due fuochi, inizialmente di colore verdastro, finché le fiamme
non hanno raggiunto i 5 metri di altezza”.
I testimoni sono stati gli abitanti di un villaggio situato a circa 55 Km
dalla capitale Amman.
In questo caso gli effetti sono stati diversi e si possono riassumere in:
- Il tronco di un albero è stato spezzato di netto in due (Foto 13) ed è
stato bruciato per metà. Lo stesso è successo per un cespuglio del
secondo sito (Foto 10).
- Essendo i siti ricoperti di sassi, si sono formati dei crateri ma
superficiali e di piccole dimensioni. Pure in questo caso un masso è
stato bruciato per metà mentre l’altra è rimasta al naturale.
- Non sono stati trovati parti del meteoride.
- Si è sviluppato un piccolo fuoco, di colore verdastro, che si è alzato
fino a cinque metri d’altezza.

Foto 9 - Effetto della caduta del meteoride della Giordania su una pietra presente nel
punto di impatto B.
www.edicolaweb.net/bodaf09g.htm

Foto 10 - Giordania - Cespuglio bruciato per metà dal passaggio di un frammento del
meteoride, caduto il 18 Aprile 2001 a circa 55 km dalla capitale Amman.
www.edicolaweb.net/bodaf10g.htm

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Foto 11 - Giordania - Cratere formatosi nella zona A, dopo la caduta di uno dei due
frammenti.
www.edicolaweb.net/bodaf11g.htm

Foto 12 - Giordania - Cratere formatosi nella zona B.


www.edicolaweb.net/bodaf12g.htm

Foto 13 - Giordania - Tronco di un albero spezzato di netto al passaggio di un


frammento di meteoride.
www.edicolaweb.net/bodaf13g.htm

IL METEORIDE CANADESE
Un altro interessante caso si è verificato in Canada, alle 14,12 del 14
Ottobre 2001, con la caduta di un meteoride filmato e fotografato nel
momento finale della sua corsa verso la superficie terrestre. Proveniente
da sud, passando sopra la zona della British Columbia-Alberta, è
esploso verso nord o meglio a circa 30 km dal confine del Banff National
Park, sopra il ghiacciaio del fiume Ram, producendo un enorme boato
che ha fatto oscillare le montagne circostanti. È stato udito oltre 150
km di distanza dall’epicentro. L’esplosione poi ha creato del panico nelle
vicine località, dove i residenti sono usciti dalle loro case per vedere cosa
fosse successo, come pure i cani che correvano spaventati.
Alan Hildebrand, ricercatore capo di Scienza Planetaria presso
l’Università di Calgary, ha rilasciato questa dichiarazione:
“Il meteoride caduto è stato un frammento di un asteroide pesante da 5
a 10 tonnellate, avente 1,5 metri di diametro. Viaggiava a circa 20

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chilometri il secondo. È probabilmente il più gran meteoride caduto


nella Provincia di Alberta dal 1960”.
Testimoni hanno riferito che alcuni proiettili sono sopravvissuti
all’esplosione e undici di loro sono caduti più lontano, verso nord,
probabilmente nelle vallate del fiume Ram, Whiterabbit Creek o del
fiume Siffleur. Dalle analisi dei segnali infrasonori, compiute dai
ricercatori appartenenti al Los Alamos National Laboratory, del New
Messico e ad altri centri specializzati, è stata stimata l’energia derivata
dall’esplosione pari a 250 tonnellate di tritolo.

Foto 14 - Fase finale del volo del meteoride di Alberta (Canada). Il fenomeno si è
verificato il 14 Ottobre 2001. La foto mostra l’oggetto cosmico ad un’altezza di circa 50
km da terra.
www.edicolaweb.net/bodaf14g.htm

RIFLESSIONI PER COMPLETARE L'ANALISI


Alcuni di questi fenomeni sinora analizzati sono stati riscontrati anche
con il meteoride di Bodajbo, ma é pur vero che ci sono diversità
sostanziali. Molti frammenti possono aver causato fenomeni simili ma
restano inspiegabili le esplosioni, il ritrovamento del Tritio ed altri
fenomeni assai interessanti. Occorre premettere che le dimensioni dei
meteoridi, caduti nella Tunguska nel 1908, in Giordania e in Canada
nel 2001 e nella regione siberiana di Bodajbo nel 2002, non sono
comparabili, visti gli effetti al suolo ed in atmosfera.
Si può ipotizzare che l’energia cinetica delle masse in movimento
discensionale abbia avuto un ruolo principale. Nel caso Bodajbo,
probabilmente, non si sono avuti impatti di materiale solido col terreno,
e perciò oltre 25 masse incandescenti si sono abbattute in aree diverse
investendo alberi, la bassa vegetazione e in qualche maniera hanno
impattato pure con il suolo.

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Foto 15 - Un albero colpito.


www.edicolaweb.net/bodaf15g.htm

Foto 16 - Alcuni alberi scagliati lontano dalla loro sede, scortecciati e con i rami
spezzati. La boscaglia rimasta intatta non è molto distante dalla zona dell’epicentro
dove si è avuta l’esplosione del bolide. Da notare come un albero sia stato deformato,
probabilmente per l’effetto del calore e della pressione dell’onda d’urto.
www.edicolaweb.net/bodaf16g.htm

Il problema si concentra perciò sull’esplosione principale.


Il satellite americano ha seguito la discesa del bolide sino ai 30 Km dal
suolo, limite in cui l’oggetto misterioso ha iniziato la frantumazione. Che
cosa potrebbe essere successo dopo?
Non ci sono certezze a riguardo.
L’altro problema è che a terra non sono stati ritrovati residui
apprezzabili di materiale cosmico: ecco perché si pensa che le esplosioni
siano tutte avvenute in aria.

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Foto 17 - La mappa indica le zone dove il meteoride di Bodajbo ha lasciato le sue tracce.
Sono all’incirca 25 i punti interessati e, come si può notare, due sono le linee rette
principali.
www.edicolaweb.net/bodaf17g.htm

La tesi proposta è abbastanza singolare poiché gli studi, da me compiuti


sull’evento della Tunguska, lasciano intendere che, con ogni probabilità,
ci sia stato l’intervento di un sistema di difesa nei confronti proprio dei
meteoridi, insediato da remoto tempo nella zona siberiana nei paraggi
del fiume Viljui. La distanza tra la Tunguska e la zona di Bodajbo, con
tale insediamento, in pratica è la stessa e gli effetti si possono
confrontare non nella quantità bensì nella qualità.

Foto 18 - Siberia Orientale: la zona A è stata colpita dal meteoride di Bodajbo, la zona B
è quella dell’esplosione della Tunguska avvenuta nel 1908 ed infine la zona C
rappresenta il luogo dove è presente l’insediamento non terrestre.
www.edicolaweb.net/bodaf18g.htm

Presumo, anche per quest’ultimo caso, che raggi d’antimateria (non


intesa nel senso terrestre ma energia capace di disgregare i nuclei degli
atomi per ottenere in maggioranza atomi d’idrogeno) abbiano colpito il
bolide durante la sua corsa verso la superficie terrestre. La massa
gassosa poi, per attrito e risonanza, si è innescata determinando
l’esplosione, il forte bagliore e la successiva formazione nuvolosa a
forma di fungo che si è probabilmente innalzata verso il cielo, aiutata,
se così si può dire, dall’avvallamento del terreno compreso tra le due
montagne contigue. Si è potuto notare nella zona dell’esplosione
principale che alcuni alberi, situati nel versante montagnoso più vicino
all’impatto ed alti almeno 15 metri, sono stati dapprima sradicati e poi
bruciati completamente nella parte esterna. In ogni modo, qualunque
sia la natura dell’esplosione, i gas che essa produce o libera in un breve

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tempo, esercitano sul mezzo che li circonda un’azione meccanica più o


meno forte, eventualmente molto brutale.
Con un’esplosione chimica, ad esempio, nella maggioranza dei casi si ha
una produzione d’onde sismiche dovute ad una velocità di reazione
assai elevata, sviluppantesi in un’onda di alta pressione che avanza a
parecchie migliaia di metri il secondo.
Nel nostro caso si è supposto che l’attore principale sia l’idrogeno, un
elemento con il più piccolo peso atomico e la struttura più semplice.
Allo stato naturale esso è una miscela di tre isotopi, dei quali quello con
numero di massa 1 è di gran lunga il più abbondante (oltre il 99,98%).
Gli altri isotopi hanno rispettivamente numero di massa 2 e 3. L’isotopo
con massa 2 è chiamato comunemente Deuterio e il terzo isotopo Tritio.
Quest’ultimo si trova nel nostro pianeta in quantità piccolissime,
dell’ordine di un atomo per circa 1017 atomi d’idrogeno.
È risaputo che l’idrogeno, in certe condizioni di pressione e
temperatura, si combina con l’ossigeno dell’aria con decorso esplosivo.
In pratica sopra i 500 °C la reazione è rapidissima ed esplosiva. La
combustione controllata dell’idrogeno in ossigeno produce una
temperatura di 2800 °C nella fiamma ossidrica. Pure l’idrogeno e l’azoto
si combinano già a temperature superiori ai 300 °C, naturalmente alla
presenza di un catalizzatore a base di ferro, per formare ammoniaca.
Per completare simili conoscenze c’è da dire che le miscele in aria
contenenti dal 20% al 40% d’idrogeno sono le più infiammabili.
L’accensione può verificarsi in seguito a riscaldamento a 500-580 °C a
seconda della pressione. L’accensione inoltre può essere provocata da
onde d’urto esplosive e, come è stato accennato, dal calore di attrito e
d’urto in un getto d’idrogeno contenente particelle solide. Di solito la
pressione gassosa si può alzare dalle 20 alle 40 volte quella iniziale. I
dati in nostro possesso, riprodotti su quantità di materia e condizioni
assai diverse, di solito vengono estrapolati per interpretare situazioni
naturali come appunto quella della caduta di un meteoride.
Per fare un discorso chiaro: se molti di questi dati possono essere ben
interpretati, rimane il gran dubbio sulla temperatura scaturita nella
taiga siberiana e rilevata dal satellite. Le zone, dove sono avvenuti gli
impatti con il suolo, sono dislocate su un rettangolo avente le
dimensioni di circa 100 km in lunghezza per oltre 40 km di larghezza.
Dal grafico allegato (Foto 19) si può notare che non tutta l’area è stata
interessata o colpita. Essa è morfologicamente variegata: piccole
montagne si alternano con vallate più o meno ampie, il tutto ricoperto
dalla classica taiga. Le zone disegnate in rosso sono quelle dove gli
alberi sono stati abbattuti e bruciati e le frecce indicano la direzione di
posa a terra. Il fenomeno si è sviluppato secondo l’asse di caduta ed è
terminato a ridosso del versante di una montagna foderata di alberi, a
circa 40 km dalla zona dell’esplosione principale. In quest’ultima
distinguiamo due zone: nella centrale si è avuto il danno maggiore con
l’abbattimento e la bruciatura di tutti gli alberi. Nella zona restante
l’effetto è stato assai ridotto.

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Foto 19 - Bodajbo. Le zone, dove sono avvenuti gli impatti con il suolo, sono dislocate
su un rettangolo avente le dimensioni di circa 100 km in lunghezza per oltre 40 km di
larghezza.
www.edicolaweb.net/bodaf19g.htm

Dalle prime analisi effettuate risaltano delle opinioni non sempre


concordi e questo si può spiegare considerando che il tempo dedicato
alla risoluzione del mistero è veramente poco, se confrontato con quanto
avvenuto con la Tunguska, in particolare con gli studi sugli infrasuoni.
Ci sono già alcuni dati di notevole interesse, sicuramente suscettibili di
dibattito:

1° dato: Il satellite americano DoD (foto 1) ha registrato un’energia


totale irraggiata di 8,6 x 1011 joules, corrispondente ad una temperatura
del corpo nero pari a 6000 °K. È un dato imprevisto e molto
interessante, se non è da ritenere errato. Ammettendo che corrisponda
veramente all’evento di Bodajbo, esso non può essere spiegato come
effetto di un fenomeno prettamente naturale conosciuto sulla Terra.
Visto che i fenomeni fisici che accompagnano la caduta di un meteoride
sono stati studiati abbastanza, si può affermare che quando il corpo
penetra nell’alta atmosfera, l’attrito gli fa raggiungere temperature
dell’ordine di alcune migliaia di gradi. Le sostanze ferrose o pietrose di
cui è composta la sua parte esterna vaporizzano molto più rapidamente
di quanto non impieghi il calore a propagarsi verso l’interno del corpo.
Ad un certo punto la differenza di temperatura può raggiungere valori
tali da far esplodere il meteoride. In tal caso l’osservatore noterà
dapprima una traccia luminosa di crescente intensità e poi un lampo di
luce e una frammentazione in più parti. Tali frammenti si possono
disperdere su un’area molto vasta come è successo, per fare un
esempio, nel Messico l’8 Febbraio 1969. Il rapporto ufficiale di
quell’evento afferma che la massa condritica iniziale, probabilmente di 5
tonnellate, vaporizzò quasi del tutto in atmosfera, generando una
pioggia di piccoli frammenti del peso complessivo di circa 100 kg che si
diffuse su una superficie di circa 350 chilometri quadrati. Possiamo
anche fare un parallelo sui due casi, ma in quello di Bodajbo si è
verificata una forte esplosione che ha portato la temperatura della
massa incandescente a quasi 6000 °C.

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Foto 20 - Due componenti del gruppo moscovita Kosmopoisk dinanzi a degli alberi
completamente sradicati e poi bruciati, situati nell’epicentro della prima fortissima
esplosione.
www.edicolaweb.net/bodaf20g.htm

Foto 21 - Altri alberi abbattuti e ritrovati a ridosso della zona dell’esplosione principale.
www.edicolaweb.net/bodaf21g.htm

Come si può spiegare una temperatura così elevata? Presumo che si sia
verificata una reazione di fusione nucleare degli atomi d’idrogeno,
coadiuvata da un’esplosione chimica. Mi viene subito da collegare un
simile evento con quanto accade sul Sole. Secondo il diagramma di
Hertzsprung-Russel, in cui si mette in relazione la luminosità e la
temperatura di una stella, risulta per il nostro Sole una temperatura
superficiale di 6000 °K e una luminosità di tipo giallognolo. Ci sono poi
stelle con temperature esterne di circa 2500 °K ma che possono arrivare
anche oltre 25.000 °K per le stelle azzurre. Il diagramma rispecchia
sostanzialmente l’evoluzione delle stelle, vale a dire quella della loro
vita. In tale situazione il nostro Sole è preso come riferimento dagli
scienziati che lo studiano da parecchio tempo in maniera incessante. Ad
esempio: la composizione degli strati superiori può essere determinata
direttamente analizzandone la luce con lo spettroscopio, da cui risulta
che sono composti prevalentemente da idrogeno (all’incirca 74 %) e da
Elio (per circa il 25%), quest’ultimo dovuto quasi esclusivamente a
reazioni nucleari in equilibrio dinamico. Perché non associare questo
tipo di reazione all’evento di Bodajbo e, perché no, a quello della
Tunguska del 1908?
È naturale pensare poi che tale reazione si sia autosostenuta per
qualche frazione di secondo. Se invece vogliamo restare ancorati
all’esperienza sinora acquisita con la caduta dei meteoridi in varie parti
della superficie terrestre, possiamo concludere che la sorte di un oggetto
che entra nell’atmosfera dipende: dalle sue dimensioni, composizione,
struttura e velocità relativa alla Terra. Ad alte velocità, un oggetto ionizza
le molecole atmosferiche e viene immediatamente circondato da un
alone molto luminoso che ha dimensioni più grandi del diametro del

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corpo stesso. Si presume che già a 100 km dalla superficie terrestre


l’alone sia ben formato. Il processo ablativo, in altre parole la perdita
della materia nella caduta libera, può arrivare a valori notevoli giacché
un corpo che pesa meno di qualche grammo può essere totalmente
consumato da questo processo. Simili oggetti viaggiano spesso in nubi
molto estese ma sottili. Nella maggior parte dei casi, se non del tutto,
rappresentano il risultato della disintegrazione di comete e il processo
d’ablazione avviene prima di raggiungere i 60-80 km dalla Terra.
Se il corpo penetra più in profondità nell’atmosfera, deve avere una
massa assai superiore con determinate proprietà meccaniche. Nel
momento che raggiunge profondità notevoli, gli si forma davanti uno
scudo atmosferico che già a 70 km dalla superficie terrestre può
esercitare una pressione di diverse atmosfere, che tenderà a spezzare
l’oggetto, facilitato da cavità o fessure possedute dal bolide. Eventuali
frammenti più o meno grandi subiranno essi stessi fenomeni
d’ablazione e ulteriori frammentazioni. Quando il corpo avanza nella
sua caduta, inizierà una continua e progressiva decelerazione che non
permetterà di continuare nel riscaldamento necessario per fondere la
parte esterna del corpo e l’inviluppo di aria ionizzata diminuisce fino a
far sparire la palla di fuoco quasi completamente e il bolide cade come
un oggetto oscuro e termina pure il processo di ablazione. La parte fusa
ma non ancora espulsa, si raffredda e solidifica sotto forma di crosta
nera che rappresenta uno degli aspetti tipici di un meteorite.

Foto 22 - Visione totale della zona dell’esplosione principale.


www.edicolaweb.net/bodaf22g.htm

Foto 23 - La zona principale dell’esplosione vista dall’elicottero.


www.edicolaweb.net/bodaf23g.htm

Consideriamo poi che la palla di fuoco si muove a velocità supersonica,


ad essa si associa una o più onde d’urto. Un sibilo può accompagnare
ed anche precedere la prima apparizione della palla di fuoco: esso
anticipa di molto l’arrivo dell’onda d’urto e può essere di origine
elettrica ed associato all’intensa ionizzazione causata dalla stessa. Tale

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fenomeno si estingue normalmente tra i 30 e 10 km dal suolo, l’ultima


parte del volo del meteoride si può osservare molto raramente.

Foto 24 - Esplosione nella bassa atmosfera di due frammenti di meteorite. Il fenomeno si


è verificato sui cieli dello Yukon, in Alaska. (Foto NASA).
www.edicolaweb.net/bodaf24g.htm

Conoscere poi la sua energia cinetica effettiva rappresenta uno degli


enigmi più importanti da valutare. Dato che essa varia col cubo del suo
raggio effettivo (tenuta costante la densità) e l’effetto frenante dell’aria
solo con il quadrato, la velocità d’impatto dipende molto dalla massa.
Per la stessa ragione si è notato che i frammenti più grandi provenienti
dalla frammentazione di un meteoride viaggiano più velocemente di
quelli più piccoli e tutto ciò porta ad una dispersione di frammenti in
un’area più o meno ellittica. Consegue che le masse più grandi si
sistemeranno nella parte più estrema della traiettoria, ma se la
frammentazione è notevole tale probabilità si potrebbe invertire. Questo
è quanto, in sintesi, si può dire sulla caduta di un meteoride di piccole
e medie dimensioni. Riguardo agli effetti sul terreno, per masse non
eccessivamente grandi e pesanti, quanto è stato detto può dare un
quadro reale della situazione, ma non è detto che sia sempre così .
Il meteorite Sikote-Alin, caduto il 12 Febbraio 1947 nella Siberia
dell’estremo oriente, ha creato qualche dubbio su un simile
meccanismo.

Foto 25 - Una zona di taiga andata a fuoco nell’estate 2003 nelle vicinanze della caduta
del bolide di “Bodajbo”.
www.edicolaweb.net/bodaf25g.htm

2° dato: Il gruppo Kosmopoisk ha effettuato un prelievo di ghiaccio,


campionando sia nell’estremità sia nel centro del cratere principale
dell’impatto.

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Foto 26 - Zona dell’epicentro principale dove è stata prelevata la neve nella quale è stata
rintracciata una notevole quantità di Tritio.
www.edicolaweb.net/bodaf26g.htm

I due campioni sono stati analizzati in un laboratorio di Mosca,


specializzato nel campo nucleare, ed hanno evidenziato la presenza di
Tritio in concentrazione l’una quasi il doppio dell’altra, mostrando una
quantità incredibilmente superiore rispetto a quella che si riscontra
nella normale acqua. Qui il discorso comincia a farsi interessante. I
campioni, in pratica, sono costituiti da acqua ma in alcune molecole
l’idrogeno è stato sostituito dal Tritio, il suo isotopo radioattivo che ha
un numero di massa uguale a tre.
Nel 1939, Alvarez e Cornog dimostrarono che il tritio decade emettendo
particelle beta, aventi energia molto bassa, per dal luogo all’isotopo Elio
(3,2), con tempo di dimezzamento poco superiore alla decina d’anni. La
concentrazione di tritio nelle sostanze idrogenate è tanto bassa che è
stato ritenuto conveniente riferirla al numero di atomi di idrogeno
contenuti nei campioni. Il tritio è presente in natura perché si forma per
reazione della componente neutronica della radiazione cosmica con
l’azoto atmosferico a quote superiori ai 9000 metri. Prima dell’inizio
degli esperimenti termonucleari, tutto il tritio presente in natura era in
sostanza solo d’origine cosmica. Poiché durante le esplosioni
termonucleari si produce tritio in ragione di circa 1,2 Kg per ogni
Megaton dell’ordigno nucleare, i livelli di attività attualmente imputabili
a quest’isotopo in natura sono considerevolmente più alti.

Foto 27 - Il grafico mostra la quantità di Tritio ritrovata nei due campioni di neve
prelevati nella parte centrale e laterale della zona principale dell’esplosione.
www.edicolaweb.net/bodaf27g.htm

Dobbiamo registrare, però, che gli esperimenti nucleari sono


ufficialmente terminati sul nostro pianeta nel 1998 ed inoltre che la
zona interessata della Siberia non ha mai subito esperimenti del genere,
come non vi sono state mai depositate scorie nucleari.

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Il tritio ritrovato nei campioni di ghiaccio in maniera consistente,


secondo la mia personale visione dei fatti, rappresenta la parte tangibile
di una reazione nucleare che ha portato inizialmente alla formazione di
una notevole quantità d’idrogeno, isotopi compresi, che poi è esplosa. La
neve caduta nella zona in sostanza non può avere un’origine terrestre
considerato tutto il Tritio presente.
Dopo l’analisi alcuni scienziati hanno interpretato tali dati come
conseguenti della caduta di una piccola cometa, meccanismo già
proposto per spiegare il caso Tunguska.
Mi sono chiesto spesso perché solo nella Siberia cadono le comete,
ammettendo che una tale ipotesi possa essere reale. Addirittura si sta
scomodando l’ipotesi della materia oscura per risolvere problemi del
genere, in quanto tali avvenimenti scuotono veramente la testa agli
studiosi. Ritengo la teoria della cometa non proponibile ed i motivi li ho
già spiegati a proposito del caso Tunguska.
Sinora tutti gli esperti che si sono dedicati a studiare l’enigmatico caso,
riferiscono solo l’ipotesi che sia caduto un semplice meteoride. Allora
ritorna il dubbio: perché non si è trovato alcun residuo del bolide e
perché ci sono state quelle due esplosioni così violente?
Il prof. Olkhovatov è stato uno dei primi studiosi a porsi il problema del
Tritio e si è interrogato sulla sua possibile origine. Egli ricorda che
qualche cosa del genere è successa nella regione siberiana in questione,
dove sono avvenute esplosioni nucleari sotterranee.
La ricerca dei dati conferma che sette esplosioni sono avvenute ad oltre
400 Km di distanza, a nord della zona di caduta del meteoride e questo
dal 1976 al 1987.
Potrebbe essere che l’abbondanza di tritio e qualche altra peculiarità
radioattiva siano l’effetto di queste esplosioni?
Penso che sia molto improbabile l’ipotesi che dopo parecchi anni ricada
una simile quantità di tritio, guarda caso proprio dove si è verificato un
evento cosmico. Un’idea del genere può essere verificata senza
problema. Quello che noi conosciamo è che il tritio può essere prodotto
mediante un certo numero di reazioni nucleari, sia per irraggiamento
neutronico di diversi nuclidi sia durante il processo di fissione
dell’uranio nei reattori nucleari, sia infine durante il processo di fusione
nucleare di due deuteroni. Conosciamo pure che simili reazioni
avvengono all’interno del pianeta Terra come è stato dimostrato durante
le ricerche sul vulcano di Mauna Loa nell’Hawai, compiute per circa
cinque anni dal fisico americano Steven Jones, il fautore della fusione
piezonucleare a freddo degli atomi di idrogeno.

3° dato: C’è un’altra prova a dimostrazione del fatto che, con ogni
probabilità, la caduta dell’oggetto misterioso sulla zona di Bodajbo abbia
un’origine singolare, non equiparabile con altre cadute di meteoridi
come dimostrano pure gli scienziati del Polar Geophisical Institute
situato a Murmansk, nella Penisola di Kola.
È noto che gli Stati Uniti e la Russia possiedono sistemi di rilevamento
per scoprire un probabile attacco atomico o un eventuale test atomico.
La tecnologia che riesce a monitorare simili eventi è abbastanza

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semplice. Ci sono microfoni speciali sono posti in punti strategici del


territorio nazionale per registrare le onde di pressione atmosferica, un
fenomeno che investe tutto il mondo, ad una frequenza così bassa che
l’uomo in condizioni normali non riesce a rilevare con i propri orecchi.

Foto 28 - 500 tonnellate di tritolo (TNT) fatte detonare dall’esercito canadese il 9 Agosto
1968 per tarare i rivelatori ad infrasuoni.
www.edicolaweb.net/bodaf28g.htm

Il sistema attualmente si sta estendendo un po’ in tutto il pianeta, in


considerazione del fatto che è operativo il trattato sulla non
proliferazione nucleare. Una simile tecnologia può rilevare l’arrivo di un
grosso meteoride già nella parte più lontana dell’atmosfera, la cui
vaporizzazione della materia può produrre onde di pressione similari.
Negli anni ’60, l’U.S. Air Force disponeva già di una serie di stazioni
d’ascolto per gli infrasuoni destinati ad una prima difesa ed anche per
rilevare gli effetti di esplosioni nucleari sperimentali. I russi del resto si
sono prontamente adeguati ed inoltre si affidano a radar MF per
scandagliare la bassa atmosfera.
Gli scienziati Tereshchenko, Oglobina e Kovalevich dell’Istituto Geofisico
Polare di Murmansk hanno dichiarato che dal 2000 ad oggi sono stati
evidenziati tre eventi anomali, tra cui l’esplosione di Bodajbo.
Evidentemente sono casi riconducibili in qualche modo a processi
nucleari che in tali occasioni hanno interferito in maniera imprevista
con l’ambiente terrestre.

Foto 29 - Lo studioso Rod Whitaker del Los Alamos National Laboratory - Mew Mexico -
mentre ispeziona il dispositivo per la rilevazione degli infrasuoni (per gentile
concessione del Los Alamos National Laboratory).
www.edicolaweb.net/bodaf29g.htm

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Per ritornare al caso Tunguska, il famoso ricercatore Vasiliev, che


condusse nel 1962 una spedizione in quella zona, dove portò un
centinaio di specialisti in differenti discipline scientifiche, ebbe a dire:
“La concentrazione di energia dell’esplosione era racchiusa in un
sistema termonucleare, quindi circa il 10% di essa venne liberata sotto
forma di un flash di luce. Non sono state trovate tracce dirette di
radiazioni nucleari sul terreno, tuttavia lungo la traiettoria presunta del
corpo è stato possibile osservare un incremento della
termoluminescenza nei minerali. Alcuni specialisti sono dell’idea di
accettare che la sorgente del flash di luce non potesse coincidere con la
sorgente dell’onda di esplosione. Ci sono conseguenze ecologiche come:
una crescita accelerata e l’intensificazione della frequenza di mutazione
negli alberi di pino.”

Foto 30 - Cratere formatosi a circa 40 Km di distanza dall’esplosione principale.


www.edicolaweb.net/bodaf30g.htm

Nel nostro caso perciò è necessario solo attendere il tempo necessario


affinché si sviluppi un simile processo.

4° dato: La spedizione, effettuata dal gruppo moscovita Kosmopoisk alla


fine di Maggio del 2003, non ha rilevato nessun corpo metallico
estraneo all’ambiente né meteoriti d’alcun genere. È stato usato, per i
rilievi del caso, anche un metal-detector di una certa potenza, capace di
scandagliare ad oltre un metro di profondità.

Foto 31 - L’ingegner Chernobrov mentre analizza con un metal-detector la zona della


caduta di un frammento appartenente al bolide di Bodajbo.
www.edicolaweb.net/bodaf31g.htm

Le zone perlustrate sono state molteplici, a cominciare dall’area più


colpita. Sono stati raccolti alcuni frammenti di materia dissimili dal

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terreno circostante e sono stati analizzati, mirando particolarmente al


fattore radioattivo. L’irraggiamento del campione con raggi gamma, ha
evidenziato la presenza di due elementi radioattivi assolutamente
introvabili nella zona dell’impatto. Precisando che tali dati dovranno
essere approfonditi, rimane sempre il problema che è quello di chiarire
l’origine di simili risultati. Ci si domanda in particolar modo quali
processi li abbiano generati.

Foto 32 - Un particolare campione di terreno è stato analizzato con raggi gamma. Dallo
spettro risalta la presenza di due elementi radioattivi come il Cesio 137 e il Cobalto 60.
www.edicolaweb.net/bodaf32g.htm

Si potrebbe obiettare che gli esperimenti nucleari, effettuati soprattutto


al tempo dei sovietici, possano aver contaminato l’ambiente in
questione. Le nostre informazioni non portano a simili conclusioni
perché la zona non è mai stata contaminata né con esplosioni
termonucleari, né con depositi di materiale radioattivo.
Effettivamente non c’è ancora un’evidenza che possa chiarirci il
probabile meccanismo dell’evento, ma reputo l’ipotesi dell’antimateria
come la più consona per spiegare quanto è accaduto alla fine di
settembre del 2002 e in altri casi simili avvenuti nella Siberia Orientale
sin dai tempi più remoti.

Vorrei concludere con una storiella Zen, che il professor Emilio Del
Giudice ha raccontato in TV, in una sua intervista su “Report” mandata
in onda da RAI 3, a proposito della bistrattata “Fusione Fredda”:
“Per tutta la mia vita ho cercato DIO. E l’ho cercato dappertutto: sui
monti, nelle valli, sui mari… Finché un giorno, mi sono trovato a
passare per un villaggio e, su una casa a due piani che stava lì sulla
strada del villaggio, ho visto un cartello; mi sono avvicinato, e c’era
scritto: DIO VIVE QUI. Allora ho bussato alla porta, e dopo poco, col
cuore in gola, pensavo: ancora pochi secondi e vedrò davanti a me lo
scopo della mia vita. Ma sono stato preso dal terrore. Sono scappato con
tutta la forza delle mie gambe. E da allora lo scopo della mia vita è stato
unicamente quello di cercare DIO. E l’ho cercato dappertutto: sui monti,
nelle valli, sui mari… Ho condotto pellegrinaggi ovunque e l’ho cercato
dappertutto, tranne che in quel posto dove so con sicurezza che c’è.”

Costantino Paglialunga

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Bibliografia

Gravity waves and infrasound in the polar mesosphere and lower thermosphere. - V.
D. Tereshchenko; O. F. Oglobina; V.A. Tereshchenko; T.V. Kovalevich Polar
Geophisical Intitute - Murmansk - Russia

Infrasound from the september 24-2002 Vitim (Siberian) fireball - O.I.Shumilov; E.A.
Kasatkina; E.D. Tereshchenko; S.N. Kulichkov; O.M. Raspopov; A.N. Vasiljev and A.G.
Struev - Goephisical Research Abstract, Vol. 5, 00885, 2003

Germano Roberto - Fusione Fredda - Moderna storia d’inquisizione e d’alchimia -


Saggi Bibliopolis - 2000

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INDICE:

UNA NUOVA TUNGUSKA? 5


Alcuni dati interessanti 5
IL PUNTO SUL METEORIDE 8
IL CASO DEL METEORIDE DELLA GIORDANIA 11
IL METEORIDE CANADESE 13
RIFLESSIONI PER COMPLETARE L'ANALISI 13

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